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IL MARINO
OPERE SCELTE
DALLA STAMPERIA DI ORAPELET
RUC DE VACOtllAKD, 9
L ADONE
POEMA
BEL GAVillII GltlBlTTISTi lAIINO
ARCUaaitTt SI FORTCIII
LA STRAGE DEGL' INNOCEÌSTI.
ED UNA SCELTA DI POESIE URICHE
MUOVA B&mONE COMPUTA
CON LN D18C01ÌS0 PRELIMINAHE
ensippi zisuiiii
PARIGI
3, 00*1 KALAODAIB, rais LX TONT IfS t:
1849
/ " ■ '■•■
DI
GIAMBATTISTA MARINO
E DEL SUO STII£
Varie sono le vicende, alle quali siccome le arLi hanno a servire
le lettere, la bellezza delle quali non così tiene presi gli occhi e le
menti degli uomini che non ai lascino tirare da ombre che ban faecia
di vero, e non si stanchino de' cibi i più succosi e i più squisiti, per
pascersi di grossi e privi d'ogni virtù nutritiva. A nissuno è ignoto
che dopo Cicerone e Virgilio, fiumi d'eloquenza, vennero Seneca e
Lucano, impuri torrenti , dopo Dante e Petrarca , i secentisti ; dopo
Alfieri e Byron, dai quali vorrà questo secolo nomioaffsi, un'in*'
finita schiera di versificatori vuoti di sapienza e d' afTelto. Questi
esempi ci paiono utilissimi alla storia del Buono e del Bello, e però
non sarà vano il parlare d' un Poeta, fattosi per abbondanza dHoge-
gno capo di corruzione,, e della quale, per istrana vicenda, abbiam
pur ora vive l'immagini.
GuMBÀTTiSTÀ MiaiNo nacque a Napoli nel 1569 di padre giurecon«
sulto. Veduto il figliuolo nemico a quegli studj tanto cari e pei quali
aspettava in lui un erede di quel po' di gloria venutagli dalla giu-
risprudenza, sdegnato di saperlo volto all' arte povera del poeta,
caccìollo di casa, e gli fd avaro di pane. Al duca di Bovino
ed al principe di Conca, grande ammiraglio del regno di Napoli,
venne fatto di leggere alcuni versi del giovane, e scorgendolo di fe-
condissima vena, furongli generosi di conforto ed akito. Chiaro era
r ammiraglio per l'amor suo a' letterati di che glorktvasi, e però le
amicizie de' migliori ingegni non mancarono al Makino, e così
crebbeiindui.dotirìiia ed «more alla poesia per la quale aveva Hvuto
a vile le discipliiie cibili e canoniche. Né picciolo vanto fu a lui di
II 01 GIAMBATTISTA MARINO
vedere ed ammirar vivo Torquato Taaao che nella dolce aria na-
tiva riatoravam allora dalle molte ingiarie di Fortuna. Forse più
che non dovesse fu il Hiaiiio vago d' amori, anzi disse alla sua
maniera :
Quelle catene In eh* lo son preso e vinto
Insieme colle Cuce mi legaro.
E tanto se ne compiacque da farsi istrumento alla pericolosa tresca
d* un amico, ma squarciato quel velo e condotti tutti e due prigioni,
non potè uscire che morto improvvisamente il compagno. Né la
bellezza di Napoli potè vincere in lui il dolore della sciagura, a]
quale sperò un refrigerio partendosi precipitoso. Pietro Aldobran-
dino, cardinale, avutolo a sé in Roma, il condusse a Ravenna e
poi a Torino. I versi del giovane non eranvi ignoti e il duca
Carlo Emmanuele, letto il panegirico che di lui avea fatto il Poeta ,
cbbelo a segretario e lo decorò della croce di San Maurizio. Gasparo
Murtola, poeta e familiare pur egli a quel principe, invidioso delle
grazie onde il padrone era così largo al forestiero, s* argomentò vin-
cere il rivale svillaneggiandolo. 11 Maiino allora non potè tenersi di
farsi beffe in un sonetto di quel poema del Mondo creato, onde il
Murtola menava tanto rumore. Rispose questi con una satira intito-
lata : Compendio della vita del cavalier Marino. Né finì qui il furore
letterato, che il primo scrisse la Marineide , Risate del Murtola, e
l'altro la Murtoleide, Fischiate del Marino. Questa non fu solo guerra
d'inchiostro, perchè il Murtola troppo vedutosi inferiore a quella
lotta, perdutone il senno daddovero, appostato un dì il Marino, la
rabbia fece errar la mano, che in quella vece ferì d'archibugiata
un compagno al Poeta e amico al duca. Parlò il Masino di quella
vendetta, e l'antitesi campeggia nella descrizione di quel colpo
che pur non era una baia:
Girò 1* infllusta chiare, e e sue strane
Volgendo intorno e spaventose rote.
Abbassar fé* la testa al fero cane
Cbe in bocca tien la formidabil cote.
Sicché toccò le macchine inumane
Onde avvampa il balen che altrui perente,
E con fragore orribile e rimbombo
Avventò contro me globi Ai piombo*
E qui viene a rallegrarci una virtù dèi Marino. Fatto prigione
r uccisore del cortigiano, avrebbe della testa pagato il fio di quella
E BEL SUO STILE. II
matta vendetta, se il Poeta non avesse avuto il chiesto perdono.
Queste furono le grazie rendutegli dal Murtola, che partito per
Roma, trovato il poemetto della Cuccagna, scritto dal Marino in
gioventù, e venutegli scoperte alcune ottave in cui poteasi far per-
suaso il duca, che in esse il Poeta avesse voluto farlo segno ad in-
giuria, mandolle a Torino, e godè di saper prigione Y emulo gene-
roso. Corta fu la difesa, né lunga la prigionia del Marino. Invitato
dalla regina Margherita, rìfuggiossi in Francia, paratagli più sicuro
porto.
Maria de* Medici non gli fu meno cortese della morta regina; che
anzi l'apoteosi fattane nel poemetto il Tempio, fece montare la
pensione del Poeta a dieci mila franchi incirca. Il re e la eorte
furono larghi di grazie al Marino. Compito il Poema deHM-
dùHC ogni copia manoscritta di questo, dicesi, fosse venduta cin-
quanta scudi d^oro. Stampato in Parigi nel 1623, le lodi toccaronle
stelle. «^ Questi amici che lo hanno sentito, scriveva egli, ne vanno
pazzi. »
Né del Poema deirildoneavvisiam noi dover tacere senza biasimo,
e perchè è la prova di quel che potesse l'ingegno del Marino e per-
diè fu delizia d'un secolo. E non è forse senza pericolo il parlarne ;
se si pensi, aver egli in quello, siccome in molte sue liriche, fatta
stramento d'infido diletto quella Poesia il cui u£Bcio è dilettare
giovando, ed il vero, assai volte amaro, render soave. Noi afier-
miamo però che la vaghezza e la novità delle descrizioni d'ogni
genere e la fecondità , più presto inaudita che rara, onde i versi
paiono nati fatti, e che non viene mai meno per ben venti lunghi
Canti, induce anche adesso maraviglia. Ma di questa fecondità
grave è la noia , perchè oltre le bizzarrie , arguzie e bisticci , ha
tale con lei una schiera di metafore e di similitudini , da parere
assai volte un vocabolario di figure reltoriche. Chi avesse la-:
lento di vederne un saggio, getti gli occhi in sulle prime ottave del
Canto IV, ov'è parlato della virtù che più è oppressa, più in alto si
leva, e in quelle del Canto XII, ove gridasi contro la gelosia. Ma
chi leggerà il canto X le Maraviglie, e nel quale Mercurio dimostra
a Venere salita in cielo con Adone, tutto che contiene il inondo
nostro, vedrà quanto fosse l'altezza e la dottrina del Marino, che
in questo Canto non si lasciò governare da quelllt prepotente fan-
tasia che troppo spesso trasportollo in altri a voli infelici. Del quale
errore più presto che il Poeta debbono accagionarsi le smisurato
lodi che di lui risuonarono in Italia ed in Francia. « Or quanto , dice il
Crescimbeni nella sua Storia della volgar Poesia, fosse applaudita e
W DI GIAMBATTISTA MARINO
stimaUt una si smoderala lioenza non sarebbe agevol cosa riferire e
dare altrui a comprendere, se la vicinanza del tempo non ne avesse
iiasporlato intero il grido anche alle nostre orecchie e fattici udire
Applausi di quella sorta che né Dante» né Petrarca, né il Tasso in lor
vita, e per avventura ninno degli antichi Greci e Latini ebbe fortuna
.vivendo di goadagnarai. «
Claudio Achillini che Luigi X1YI premiò fli oltre cinquemila
franchi per una Canzone, scriveva di Bologna ai Maaino : « Nella
più pura parte dell* anima mia sta viva questa opinione, che voi
siate il maggior Poeta di quanti ne nascessero o tra* Toscani, o
tra* Latini, o tra* Greci, o tra gli Egizi, o tra gli Arabi, o tra' Caldei,
o tra gli Ebrei... Insomma Tapi di Pindo non sanno stillar favi più
dolci di quelli che fabbricano nella vostra bocca e la fama poetica
non sa volar con altre penne che con la vostra. L' invidia poi de'
vostri detrattori non sente i suoi funerali più risoluti che nelle mie
parole. » Né il Marino ebbe solamente maravigUose lodi da povcTÌ
ingegni, e ne piace rapportar quello che il cardinale Bentivoglio
scrivevagli a Parigi, perchè T esempio d'un ottimo faccia meno
strano Terror de' mediocri :
« Se non ho potuto goder la vostra conversazione, ho goduto al-
m^o quella de' vostri versi nell'armonia della vostra dolce^amp»-
gna. Per istrada questo è stato il mio gusto, ed ora che sto fermo
qoesla è la maggior ricreazione eh' io abbia. Oh che vena ! oh ehe
purità! oh che pellegrini concetti ! Ma di tant' altri vostri corafioni-
menti, che sono di già o finiti o in termine di finirsi, cherisoèQ-
zione piglierete ? Gran torto in vero fareste alla gloria di voi mede*
siou>, alla liberalità d'un re cosi grande , alla Pruicia ed all'IUlia ,
eospiranti in un voto stesso , o più tosto emule nella participazHMiB
de' vostri applausi, se ne differtsie più lungamente hi stampa. So-
prattutto ricordatevi, il mio caro Cavaliere, di grazia, come tante voka
jr^bo detto, di purgar Y Adone dalle liucivie in maniera, ch'egli^noo
abbia da temere la sfeBa delle nostre censure d' Italia , e da morir
più infeiioementeal fine la seconda volta con queste ferite, che non
fiMe.la prioMi con quelle altre che fovolosamentedavoissMinno
flautate. (Confido però che non vorrete essere onisida voi slesso fle'
^rostri parti. Fralaoto goderemo ilsuono- di questa soave fiamjMfiia;
in frontoi della iioale, perohè avete voluto voi porre qnella fam|$aile^
Inra, o più:tfl0tD'apologia,!airAchillinied al Pr0ti?Trop{io aveteal»-
Insaatala vostra viriùieiroppo ottonato il livorc'de'-voatrir malomlL
All'insidia il mag^ore castigo è il disprezso, e mai'SStflSaBeriitfari
il flielo. Chi è.giuntOiaUa^QStra emÌBenm,'Don deve*fiP caso «temo
E DEL SUO STILE. V
di quattro o sei ombre vane, cbe non concorrono a^ commii ap-
plausi di tutto il teatro. »
AmegliocoDoscere il Marihio e le intenzioni del suo stile, assai più
delle nostre parole e di quelle d'altrui, giovano le sue. Però pare
a noi non inutile opera il porre innanzi al Lettore la lettera so-
praddetta dove si vedrà come il concerto di lodi che gli risuo-
navan d'intorno, avesse tanta forza nel Poeta da impedire la mo-
destia :
// Cavalier Marino a Claudio Achillini,
« In un medesimo punto e per una medesima mano ho ricevute
insieme due lettere a me carissime, l'una vostra, l'altra del signor
Preti ; care dico , perchè mi vengono da due de' più cari amici ,
ch'io mi abbia al mondo; e care anche, perchè caramente mi lo-
dano e mi lusingano. Risponderò a voi, ma parlerò con Tutio e con
l'altro, perchè voglio, che siccome ad amendue è comune una
istessa patria ed una istessa affezione, cosi sia ancora ad amendue
comune una mia sola risposta. Ma piano di grazia , piano con
tanti encomi, che se l'Invidia vi sente, voi le farete scoppiare il
fiele. So che siete troppo teneri delP onor mio, e che soverchio
amore vi fa smoderare. Lasciarsi però tanto trasportar dall'affetto,
cbe si trabocchi in iperboli, lodandomi in guisa, ch'io conosca la
loda trapassar di gran lunga la capacità de' meriti miei , questo mi
tà doppiamente vergognar di me stesso. Forse il fate per dimostrar
l'altezza del vostro spirito, il qual siccome in tutte Taltre operazioni
tenta sempre l'eminenza e cerca la sovranità, cosi ancora lodando,
BOB contento delle lodi oi*dinarie , trascende i gradi mezzani e si
diffonde negli eccessi. Certo io debbo prenderle senza alenn se**
spetto d'adulazione, sì perchè da animi cosi candidi, come sono i
vostri , eziandio quando si lasciano cadere in passione di parzialità,
non si può sperare altro, che giudicio sincero , si perchè essendo la
loda frutto della virtù, non deve stare in su i termini della trtviaKtà.
km (se mi è lecito dirne con libertà la mia opinione ) io per me
aliiBo migliori e più tollerabili le detrazioni gravi , che le lodi me*
dÉxsri» Colui cbe biasima, quatto il fa con maggior veemenza,
tuito meno è creduto, perciocché quanto i biasimi sono più acerbi,
più il fanno conoscere per nemico del biasimato. Sia colui eheloda
freddamente ed a bocca secca , discopre o malignità di cuore m
oecvpare quelle qualità deir amico, che non si deono tacere, o pe^
amia d'ingegno in non saper ritrovare invenzione da lodar con eSSh
iày nò parte alcuna nel lodato, che possa naeritar 1* altrui loda.
VI DI GIAMBATTISTA MARINO
Per queste ragioni tutte quante le lodi , che dalle vostre penne, o
dalle vostre lingue mi sono attribuite, si riflettono in voi stessi, per-
chè lodando si bene, date ad intendere a chi legge ed a chi ode,
che sapete eccellentemente lodare anche coloro che non sono
lodevoli. Comunque sia, s'io dicessi, che l'esser lodato non mi
piace, senza dubbio mentirei, che la loda è una musica che diletta
a tutti ed un incanto, ch'agli aspidi istessi per ascoltarlo, farebbe
cavar la coda dell'orecchio. Che sarà poi , quando la loda esce di
bocca di persone lodate? Quella in vero si può chiamar loda glo-
riosa, e l'ambizione del gloriarsene è ragionevole , laddove al con-
trario i lodatori indegni allora commendano quando vituperano , ed
allora avviliscono quando esaltano, perciocché ne' lodali da cotali
uomini si presume conformità di costumi, e negl' ingiuriati contra-
rietà. I veri onori e le vere glorie si derivano da' par vostri , e
s' alcun di voi dicesse mal di me, allora non potrei fare di non af-
fliggermi, e restame mortificato, perchè crederei fermamente, che i
miei difetti avessero sussistenza, per essermi accusati da chi ha in
sé la dottrina uguale alla integrità. Voglio adunque, che la fede, che
voi avete fatta del mio picciolo valore, sia autenticata dalle stampe,
e che a guisa d'un privilegio immortale sia posta in su '1 fronte»
spizio dell' opere mie, si perchè a tutto il mondo sia palese 1' ono*
revolezza che mi viene da testimoni si grandi ; sì per obbligami in
un medesimo tempo a sostentare, quando occorra il bisogno, quel
che avete di me una volta scritto. Più mi glorio io , che l' Achillini
intelletto mirabile, la cui feconda miniera produce sempre nuove
ricchezze di concetti preziosi ; e il Preti spirilo dilicalissimo, nel cui
stile fioriscono tutte le delizie e tutte le grazie delle Muse , mi ab-
biano odebrato nelle lor carte, che non mi turbo de' cicalecci di
mille balordi , che mi vanno lacerando la fama. Più mi pregio, che
il conte Ridolfo Campeggi, una delle più franche penne, che oggidì
▼olino per lo cielo italiano , nel suo Poema delle Lagrime delia Ver-^
gine abbia fatta onorata menzione di me, che non mi tribulo,
eh' alcun moderno Archimede, fabbricatore di mondi nuovi ne' suoi
stracciumi ipdiani , abbia motteggiato sopra il mio nome con vili-
pendio. Più mi piace di vedere nella Primavera di monsig. Giovanni
Boterò , uomo consumato nelle lettere ; e nell' Autunno del conte
Lodovico d'Agliè, suggello compiuto in tulle quelle condizioni, che
ai ricbi^ggono a cavaliere e a letterato , vivere registrala la mia
meiRioria, che non mi attrista l'avermi sentilo trafiggere con acute
punture dalle sobiocberalrìci delle Scanderbeidi. Più mi giova, che
prima dal conte Lodovico Tesauro , tesoro veramente non meno
E DEL SUO STILE. VII
d'inoomparaUl genlilena , che di scelta e peregrina erudizione; e
poi dal Capponi , dal Dolci » dal Forteguerra e dal Valesio , cime e
fiori degl'ingegni elevati, aia stata abbracciata la mia difesa contro
r alimi opposizioni con si dotte rispoate, che non mi nuoce ressero
stato sittdicato con oltraggiose e mordaci esamine dai fiscali delia
Poesia. Amo meglio, che in molte famose Accademie d'Italia, e
principalmente in quella degli Umoristi di Roma , paragone dove
s' affina T oro del vero sapere , si sieno più volte avute pubbliche le-
zioni sopra i miei componimenti, privilegio a niuno altro degli scrit-
tori vivi conceduto, eccetto a me , che se fnssi stato buccinato per
divino dalle rauche trombe d' infiniti ignoranti. Non darei V onor
fattomi da Filippo di Portes, dal marchese d'Urfè, da mona, il Sec-
chi, da mons. di Vaugelà , da monsig. di Brussin, da altri nobiiis-
simi ingegni , che si sono compiaciuti di trsdurre gran parte delle
mie composizioni in francese, per quanto mi potesse dar di grido la
garrula voce di tutta la turba volgare. Non vorrei non ritrovarmi
appoggiato all'autorità del P. Giulio Mazzarini, torrente d'eloquenza
e specchio di bontà , che neir ultima parte del suo Miserere si è ab-
bassato a comprovare molte sue proposizioni con le sentenze de'
miei versi , per centomila vane acclamazioni , che potessero fare in
mia loda le bocche di tutto il resto de' goffi. Mi basta, eh' un cardinal
di Perona , oracolo e miracolo di sapienza , un cavalier Battista
Guarini , un conte Pomponio Torelli , un conte Guidobaldo Bona-
relli, un Ascanio Pignatelli, un Gio. Battista Attendolo, un Ca- ,
mille Pellegrino , un Celio Magno , un Orsatto Giustiniano , un Ber-
nardino Baldi, un Filippo Alberti, un Scipione della Cella, lumi
del secol nostro tra' morti ; e mi basta, eh' un cardinale Ubaldini,
ornamento delle porpore e splendore delle scienze, un monsig. An-
tonio Csetano , un monsig. Antonio Querenghi , un monsig. Por-
firio Feliciani , un monsig. Scipione Pasquali , un abate D, Angelo
Grillo, un Gabriello Chiabrera, un Guido Casoni, un Gio. Battista
Strozzi , un Ottavio Rinuccini , un Giulio Cesare Bagnoli , un Pier
Francesco Paoli , simulacri delhi immortalità tra' vivi, parte con
vive voci in diverse corone di virtuose ragunanze , e parte con pri-
vate lettere scrittemi di lor proprio pugno , abbiano testifiòito
quello istesBo, che ora mi viene ratificato da voi. Questi A , che son
personaggi , i quali possono o parlando , o scrivendo recsre altrui
onore , o disonore ; e quando coetoro mormorassero di me , avrei
ben giusta cagione di rammaricarmi. Ma ciò non può essere, perchè
i savi e i buoni non sanno dir se non bene, siccome gli sdoccbi e i
malvagi mm possono dir se non male. Poco ho io a temere sotto lo
tm DI GMroATnSTA MARINO
scudo di cuDpknn* riflaUi' le saette spuntale degU av^wncui mtlk^
lUei ; e pooo debbo corare con la guardia di tal patroeimo le vele-^
uose zanne de* cagnacci arrabbiati. 11 meglio è lasciar quelli bravttm
al Tento fincliò si stanchino , e questi abbaiare alla Iona tanto ohe
crepino. Che oa' importa , avendo io meco (oltre V universale api-
plauso della moltitudine) la favorevole protezione di chi più sa,
V essere maltrattalo ne* Poemazzi pasqoineschi dagl' imitadori- d^
Bovo e di Brusiano ! Lodato pure il Cielo, che ataneno non hanno
avute altre armi da pungermi , che titoli gloriosi , onde in veoe di
piccarmi, mi hanno più tosto onorato. Ch'io mi sia figliuolo della
Sirena, noi nego, anzi me ne vanto ; ma coloro, che ciò mi rinfac-
ciano per obbrobrio, vengono tacitamente a dichiarare, eh' essi noi
sono* La somiglianza della scimia non so come mi possa ben conve-
nire, poich'io non mi son giammai piegato a contraffar loro, come
eglino hanno contraffatto me. Così fanno appunto alcune buone fem-
flrine, che quando talvolta vengono a garrire con donne oneste ,
prima che sieno ingiuriate di puttane , le prevengono col proprio
nome. Mi hanno contraffatto dico, imitandomi non con emulazione,
hmt oob islbeciataggine, non solo nel suggetto d' alcun poemetto fa»
foioso, (^àda me disteso in sonetti, e con ogni confidenza comunicato
Ibro a penna in Napoli prima che si stampasse ; non solo nella
divisione delle rime liriche in capi, ordine da ninno altro osservato
prima che da me, e poi seguito da essi ; non solo nella forma de' pane-
girici in sesta rima, nella quale cou Y occasione del natale di qualche
principe hanno tracciato il mio stile, ma ne' concetti particolari
de' lor canzonieri ; e non solo in quelli de' canzonieri , ma in quelli
delle lor colonbaie ; e non solo ne' concetti, ma ne' versi ; e non solo
ne' versi , ma ne' nomi istessi delle persone, che vi sono introdotte,
ancorché ad altri poeti non ben conosciuti ne sieno stati parimente
tolti parecchi di peso. Ma non è tempo ora da spianar queste ciferc.
8^ per r innanzi sarò hrritato d'avantaggio , dimostrerò senza alcun
rispetto più distintamente queste ed altre cose, le quali non piace-
wnno pmto a chi prende ardimento di stuzzicarmi. Farò veder le
haBSezzo iammerabili, le sciapitezze inenarrabili, le durezze iusop-
partabili , gii storcimenti del buon parlare , le contradizionì delle
sentenze, i barbarismi delle frasi, gli storpj della lingua, le freddure
degR aggiunti, le meschinità delle rime, infino alle falsità delle de-
ainenze , scappate che non si possono scusare , perdocdiè non son
notate nel registro degli altri errori. Allora chiaro vedrossi chi sia
li bertuccia del mAre, e chi il babbuino della terra, o io, che (la Dio
nercè) son pur lodato da voi , o altri , che per voler fare un sritetto
fi DEL SUO STILB. IX
dietro al Tasso , discoprendo il londo pelato con qnanto di vergo-
gnoso s'appiatta sotto la coda, ha data assai piaoe^fol materia al
fiso popolare» Hanno procurato di giustificarsi meco , affisticaodosi
inutìlmenle intomo a certe interpretazioni ridicole e puerili; come
•e noi non sapessimo assai meglio di loro, che quando si vuol mor-
dere, si ricorre air equivoco, e si scherza col doppio, acciooebò
possa in ogni caso il poeta lasciare il senso metaforico, e salvarsi
nella ritfarata del proprio , giuocando come i zingari a eh' eli' è den-
tro, e eh' eir è fuora. Io per me ne rimango quieto, se non soddisfatto,
e siccome non curo altra giustificazione all' altrui perfidia, che il gfo*
dicio del mondo, cosi non catx) altra vendetta alla mia offesa , che
quella istessa che ne fa il caso , o che ne fanno più tosto i propri
Ubri loro, i quali o non essendo letti, o essendo letti con irrisione,
terranno per sempre sepolte insieme con le glorie loro l' ingiurie
mie. Altro ci vuole per illustrarsi, che con discorsi specolalivi pre-
sumere di far paralelli e riscontri tra i suoi scartabelli, e la Gerusa--
lemme liberata, se poi alla prova le misure riescono corte , e si fa
come il gallo, che canta bene» ma ruspa male, romanzando in uno
stilacelo sì sciagurato, che pare appreso dagl' improvvisanti di Pu-
glia, o da* pitocchi di Spoleto. L'importanza consiste nell' atto pra-
tico, e non nelle parole; bisogna sapere operare e porre ad effetto
quel che si predica , perchè molti conoscono il buono , ma pochi
l'attingono ; e chi non è nato a questo , rivolgasi ad altri studj, che
il mondo può ben passarsela senza un poeta. Vaglia però a dire il
vero, egli non si può negare, che costoro, de' quali io parlo, sebben
mancano nella felicità dello stil poetico (ch'alia fine è dono più di
natura, che d'arte) sono per altro nondimeno dotati di buona cogni-
zione di belle lettere e di finezza di giudicio ; e se questo talora
s'inganna, se ne può recar la colpa all' affezione delle cose proprie.
11 peggio è, che vi ha certi giovanotti , i quali appena spoppali dal
latte de' primi elementi , vorrebbono subito esser maestri ; e per
aver dato fuora un quinternuzzo di soncttini e di madrigaletti, quasi
tutti scroccati dalle mie cose, mi fanno il concorrente addosso; e
perciocché sono stati loro rimproverati i furti, si sono ingegnati di
levargli via ristampando il libretto in altra forma ; ma hanno con
tutto ciò saltato meno in camìcia, che in farsetto. Oltre che nelle lor
pistolesse a' lettori (dove non ha però straccio di grammatica) vanno
ombreggiando la mia persona , e tra' denti cinguettando del fatto
mio. Mostrano sdegno e rimordimento, si lamentano ed arrabbiano,
che nel proemio fatto dal Claretti nell' ultima parte della mia Lira si
fusse pariate troppo albi libera intorno a certe Arpiette dall' ugne
X DI GIAttlATTlSTA MARINO
uncinate, che vanno rapinando i concetti altrui. Quando si riprende
un vizio in generale » ed altri appropria a aè stesso solo quel che si
può intendere di molli , è segno oh* egli non ha la coscienza ben
netta. Aggiungasi di più, che per discolpar sé stessi e difendersi dalle
imputazioni apposte loro, si sforzano di discreditar me, rovesciando
in me il medesimo fallo. Se confessassero con modestia di rìcono-*
scere il bene da chi *1 ricevono, e' si potrebbe pure fame passaggio ;
ma il volere abbellirsi del mio, e di più nascondendo la fraude, cer-
care ingratamente d' inUtccar la mia riputazione, questo mi fa rom-
pere ogni freno di sofferenza. Perchè par loro strano, eh' io abbia
tanta varietà di cose composta, né sanno comprendere da qual
fontana scaturisca una si larga vena, dicono, che ho tolte anch'io
delle poesie dal latino e dallo spagnuolo. Permettetemi (vi priego)
eh' io con una breve digressionetta mi vada alquanto dilatando
intorno a questo punto. L' incontrarsi con altri scrittori può ad-
divenire in due modi , o per caso , o per arte. A caso non solo
è impossibile, ma è facile essermi accaduto , e non pur oon Latini,
o Spagnuoli, ma eziandio d'altre lingue, perciocché chi scrive
molto non può far di non servirsi d' alcuni luoghi topici comuni,
che possono di leggieri essere stati investigali da altri. Le cose
belle son poche, e tutti gV intellelti acuii quando entrano nelhi
specolazione d* un suggello, corrono dietro alla traccia del me-
glio, onde non è maraviglia, se talora s'abbattono nel medesimo;
né mi par poco iu questo secolo , dove si ritrova occupata la
maggior parte delle bellezze principali, quando Ira molle cose ordi-
narie si reca in mezzo qualche dilicatura gemile. Ad arte e a bello
studio si può fare altresì per uno di questi tre capi , o a fine di tra-
durre, o a fine d'imitare, o a fine di rubare. 11 tradurre (quando
però non sia secondo V usanza pedantesca) merita anzi loda, che ri-
prensione; né vi mancano esempi di moltissimi uomini egregi, i
quali comeché per sé stessi fussero fertilissimi rilrovatori, non
hanno con tutto ciò lasciato anch' essi d* esercilarvisi. Tradurre in-
tendo, non già vulgarizzare da parola a parola, ma con modo pa-
rafrastico mutando le circostanze della ipolesi, ed alterando gli
accidenti senza guastar la sostanza del sentimento originale. Ho tra-
dotto senza dubbio anch' io talora per proprio passatempo e talora
per compiacerne altrui ; ma le mie traduzioni sono stale solo dal
latino, o pur dal greco passalo nella latinità, e non da altro idioma,
e sempre con le mentovate condizioni ; sebbene ancor questo sov-
viemmi aver fallo pochissime volte, e queste poche le riduco sola-
meute a due canzoncine trasportate da due elegie d'Ovidio, e slam-
E DEL SUO STILE. XI
paté nella terza parte della mia lira , cioè a dire i TrasÈuUi estivi, e
Y Incostanza d'Amore. Qualora si prende da autori noti, non si può
dubitare di ladroneccio, perciocché son luoghi pubblici, ed esposti a
tatti gli occhi, che non sien ciechi, onde si concedono a chi prima
gli occupa , come le gemme sparse nel lido del mare. E siccome
Virgilio non arrossi di framettere nella sua Eneade i versi intieri
d* Ennio e di Catullo; né altri lirici ed epici toscani si hanno re-
cato ad onta di servirsi di quelli di Dante e del Petrarca ; cosi chiun-
que da essi , o da altri piglia a volgere in diversa lingua alcun pas-
saggio più lungo , presuppone che si sappia da coloro , che son
versati tra' poeti , né deve esseme chiamato usurpatore. Anche tra
gridillj della mia SampogiM un ve n' ha, il quale a prima vista potrà
forse parer traslato da aliro linguaggio straniero , tuttoché il primo
ed antico fonte, da cui procedono amendue i nostri ruscelli, sia
Ovidio, e forse prima d' Ovidio alcun altro Greco, lo Y ho poi (se non
m'inganno} aiutato, illustrato ed amplificato con diversi cpisodietti^
e descrizioni, onde quel che v' è rimase dei suo primiero autore, è
si poco, che si può dir quasi nulla, né so s'egli stesso cosi travestito
il riconoscerebbe per suo. Or avvengachè per esser le suddette cose
(come dissi) da me accresciute ed arricchite di molti lumi, che per
r addietro non avevano , io possa dire d'aver sopra di esse qualche
giusta giuridizione, e d'essermene non senza ragionevole autorità
insignorito, non voglio con tutto ciò esserne tenuto legittimo pos-
sessore. Sieusi traduzioni, per tali si smaltiscano, spendansi per
quel che vagliono, non le vendo come mie, né pretendo di esse altra
loda, che di fatica. Ma che diranno questi tali, s'io farò loro toccar
chiaramente con mano, che que'mcdesimi componimenti, de* quali
essi mi appellano traduttore, soiio stati dal mio esemplare tradotti?
Adunque tante mie poesie, che da' sopraccennati e da altri begli
ingegni sono state messe in favella forastiera, e che poi sono parte
uscite alla pubblica slampa e parte vanno in volta a penna, si dovrà
dire di qua a qualche anni, che non sieno originariamente mie? Le
mie rime prima che impresse fossero , e specialmente quelle della
detta ultima parte, sono ite un gran tempo attorno per tutte quante
le mani , e dopo l'impressione per molte reiterate edizioni hanno
avuto tanto dì dispaccio, che chiunque ha voluto o tradurne, o car*
pime qualche parte, ha ben potuto scapricciarsi a sua volontà. Or
se così è , perchè questi malignetli avanti che detrarre alla mia
fama, seminando si fatte menzogne per le stampe, non si sono in-
formati del vero? Ma poniamo anche, che vero fusse, ch'io per tra-
stullo avessi due o tre sonetti tolti alla Spagna, o alla Francia, e dati
XII DI GIAMBATTISTA MARINO
airitalia ^ perchè con fare alla lor madre questo torto , la quale di
amili frotti è altrettanto feconda, quanto quell'altre due pròvinde
se sono sterili , defraudandomi iniquamente della loda in quell»
parte che mi sì deve, ne tacciono le migliaia fatte di nùa propria ed
assoluta invenzione? Vengo dal tradurre all'imitare; né parlo dì
quella imitatone, la qual dice Aristotele esser propria del poeta,
quella che si conEà con la natura , e da cui nasce il verisimile e per
conseguenza il dilettevole: ma di quella, che c'insegna a seguir le
vestigia de' maestri più celebri , che prima di noi hanno scritto.
Tutti gli uomini sogliono esser tirali dalla propria inclinazione na-
turalmente ad imitare; onde l' immaginative feconde egrintelletti
inventivi ricevendo in sé a guisa di semi i fantasmi d' una lettura
gioconda, entrano in cupidità di partorire il concetto che n'ap-
prendono» e vanno subito macchinando dal simile altre fantasie, e
spesso per avventura più belle di quelle, che son lor suggerite dalle
parole altrui , ritraendo sovente da uu conciso e semplice motto
d' un poeta cose, alle quali ristesse poeta non pensò mai, ancorcb^
egli ne porga 1* occasione e uè sia il primo promotore. Questa imi-
tazione può essere o negli universali, o ne* particolari. L'universale
consiste nella invenzione e nelle cose; la particolare nella sentenza,
e nelle parole; l'una è propria deireroico, l'altra s'appartiene più
al lirico ; quella ha più del poetico e si può meglio dell' altra nascon*
dere, questa è più sfacciata e manco lodevole. Tralascio infiniti
esempi antichi , e tocco solamente i due epici eminenti dell'età più
vicina a noi. L'Ariosto ha (secondo il mio giudicio) assai meglio, che
il Tasso non ha fatto , imitati i poeti greci e latini e dissimulata
l'imitazione. Chi direbbe mai, che Astolfo con l'Ippogrifo sia imi-
tato da Perseo? lo scudo d'Atlante dal teschio di Medusa? Isabella
uccisa da Rodomonte, da Medea con le sorelle di Giasone? l'Orco
con Norandino, da Polifemo con Ulisse? Orrilo dall'Idra? È vero,
che telvolta non ha saputo nel celare esser tanto accorto, che non
si sia discoverta la ragia. Onde all'incontro chi non direbbe subito,
che Olimpia abbandonata da Bireno, sia imitata da Arianna abban-
donata da Teseo? Angelica esposta al mostro marino, da Andromeda
condannata ad esser divorata dalla balena? Rodomonte nell'assedio
di Parigi, da Capaneo in Tebe? Clorìdano e Medoro, da Niso ed Eii»
rialo? Sobrino, da Nestore? l'Arpie, dall'Arpie di Virgilio? l'Amaz-
zoni, dall'Amazzoni di Stazio? il cerchio deUa luna, dal cerchio
della luna di Luciano? Il Tasso all' incontro è stato maggiore e più
manifesto imitatore delle particolarità , perciocché senza velo al-
cuno trapporte ciò che vuole imitare, usando assai forme di dire
If DEI. SCO STILEé^ XIR
ed'doeuzioni hlàoe, delle quali troppo evidentemente si serve; sic-
c«OM ^ecft più destro panni che dìmostnito si sia nelle unrrersalità.
Onde^ii naasiaomito di Clorinda ci fa sabito ricordare del nsaoioiento
di €aviidi8 in Eliodoro; lo sdegno di lUnaldo, dell'ira d'Achille
io Omeio;. r inremo e '1 consiglio de-^ demoni, ddl'uno e del-*
Taltro in Claodiano e nel Trissino; la battaglia tra i diavoli e gli
angioli nella espugnazione di Gerusalemme, del contrasto degl* Iddii
pfOBDO Omero nella distruzione di Troia ; la sete del campo, ddla sete
in Lucano ;. Tancredi, ch'uccide Clorinda, di Gefolo, che saetta Pro-
cri; la Fmìa che stioMihi Solimano, della Furia, eh' irrita^ Turno;
Binaldo quando parte da Armida, d'Enea quando lascia Didone;
Aarmida che fii^^ nella rotta dell'esercito egizio, seguita ed abbrac-
daia da Rinaldo, d'Abra sconfitta, ed appunto nel medesimo modo
disperato per Lisvarte. Neil' una e nel!' altre foggia mi sono ingegnato
adeh'io d'oaservar l'imitazione. Per quel che tocca agli universali,
s^io afaUa bene, o male imitato, ancore non si può giudicare dal
Biondo^ poiché ancora alcuni miei poemi narrativi non sono esposti
al giwficiosiio. Per quel che concerne i particolari, non nego d'a-
vere imitalo aUe volte, anzi sempre in quello istesso modo (se non
erre) che hamo tetto i migliori antichi e i più {arnesi moderni ,
dando nuova forma alle cose vecchie, o vestendo di vecchia maniera
le cose nnovis. E s' io questa sorte d' imitazione mi abbia male
0 bene aeaegmta, me ne riporto al parere di chi più di me sa,
parehè leggacon occhio puro e con animo spassionato quant' io ho
s^tto. Ora discendo al terzo ed ultimo capo dei rubare , sebben di
questo, e deUa differenza eh' è tra il furto e Timilazione e delia
regoli^ da tonerai neli' uno e nelF altra, parmi esseme stato ab-
bastanza discorso nel sopredetto preambulo della Lira. E qm che
posso, o che debbo io dire ? Dirò con ogni ingenuità non esser pun*
to da dubitare, eh' io sinùhnente rubato non abbia più di qualsivoglia
akro poeta. Sappia tutto il mondo, che infin dal primo di oh' io
inconmKtai a studiar lettere, imparai sempre a leggere col rampino,
tfrando id mio proposito ciò eh' io ritrovava di bnono, notandolo
nel Alio libsidbae, e servendomene a suo tooopo ; che insomma
ipnsla è il frutto ohe si cava dalla lezione de' libri. Cosi fanno tutti
t vaienti' uomini Ae scrivono , e chi coA non fa, non può giammai
per mis stima pervenire a capo di scrittura eccellente, perchè la
neetraoMmoria è debole e mancante, e senza questo aiuto di rado
el soraminìatra perfettamente le cose vedute quando 1' opportunità
il rishiede. Vero è^ che cotal repertorio ciascuno sei' ha a bxe a sao
«iprioeie • eom quel metodo ordinario, die può più facilmente
XIV DI GIAMBATTISTA MARINO
improntai^]] le materie quando le cerca. GY hitdletti son diversi e
diveraiBsimi gli umori degli uomini , onde ad uno piacerà tal cosa,
che dispiacerà ad un altro; e taluno sceglierà qualche sentenza
d' un autore , che da un altro sarà rifiutata. Le statue antiche e le
relìquie de' marmi distrutti, poste in buon sito e collocate con
belP artificio, accrescono ornamento e maestà alle fobbriche nuove.
Perciò se, secondo i precetti e le circostanze nel sopraccitato di«
scorso contenute , razzolando col detto ronciglio, ho pur commesso
qualche povero furtarello, me ne accuso e me ne scuso insieme,
poiché la mia povertà è tanta, che mi bisogna accattar delle ricchezze
da chi n' è più di me dovizioso. Assicurinsi nondimeno cotesti
ladroncelli, che nel mare, dove io pesco e dove io traffico, essi non
vengono a navigare, né mi sapranno ritrovar addosso la preda,
s' io stesso non la rivelo. Ed almeno non mi potranno querelare,
eh* io abbia loro involato nulla, com* eglino hanno a me fatto; onde
si possono ben vantare d' aver rubato a' Napoletani, che sono
avvezzi a saper farlo altrui con sottilità e con grazia. Stentino adun*
que col malanno, tanto, che svanisca loro il cervello nel capo, e
crepino le vene nel petto, se hanno disiderio di gloria, e vogliono
farsi onore. E se non hanno spirito atto a sapere inventar novità,
né dottrina da potere scrivere con fondamento, riveriscano ed am<-
mirino coloro che Thanno ; nò credano per chiudere un sonettuzzo
con una bella punta ( il che pure alla fine hanno da me imparato)
d*esser divenuti immortali ; o per istrappazzare il mio nome dopo le
spalle, di deprimer me ed avantaggiar sé stessi nella opinione del
mondo. Ma io debbo di tutto ciò ridermi e dissimularlo, perchè son
fanciuUacci più tosto da scudisciar per burla a colpi di sonetti ce-
duti, che da confondere con salde ragioni ; se non eh* io mi ritrovo
già un pezzo fa avere appeso all' arpione lo staffil della satira, nò ho
volontà di ripigliarlo , se non son provocato più che villanamente.
Quanto poi alla caterva dozzinale de' pedanti muffi, de' critici falliti,
e degli altri correttori delle stampe, che non sapendo giammai per
sé medesimi produrre cosa di buòno, fanno tuttavia professione di
ficcare il grifo per tutto crivellando gli scritti e tassando gli scrit*
tori, non ce ne dobbiamo dolere, essendo questo il contrassegno
ddhi virtù e il tocco del paragone. Non deve chi cammina al monte
della Gloria, per la stitichezza di quattro linguacciuti nasuti, a cui
anche le rose putono, tralasciare il corso delle onorate fatiche, che
lo conducono alla Eternità. Siccome i legai hanno i tarti, che gli
rodono, cosi i poeti hanno i censori, che gli flagellano ; e siccome il
vento australe è contrario alla serenità , cosi delhi gloria è stato
E DEL SDO STILE. XV
sempre nemico il livore. Ditemi, furono fora' eglino nel biasimare
gli altrui sudori, o nel condannargli con perverso giudicio più mo-
desti gli antichi di quel che si sieno i nostri? L^Orazioni di Demo-
stene ad alcuni parevano smunte ed asciutte, ad Eschine barbare, a
Demade che olissero di lucerna. Quelle di Cicerone da Calvo erano
stimate trite ed esangui , da Bruto dirotte e dislombate , da altri
aride e secche. Altri al contrario giudicavano il suo dire troppo tur*
gido e gonfio, altri troppo lubrico e fluido, altri molle e ricercato,
altri superstizioso, freddo negli scherzi e poco osservatore dell* an-
tichiià. Didimo grammatico alessandrino scrisse volumi contro di
lui , così parimente Gallo Asinio e Larzio Licinio. Contro Teofrasto
scrisse una certa meretrice, la qual si racconta avergli data grandis-
sima noia. PoUione notò in Livio, isterico di tanta eccellenza,
alquante parole padovane. Ed il medesimo poi riprese Sallustio,
principe delle romane istorie , per avere usato un vocabolo in altra
significanza, che non portava la sua etimologia. Lucilio, che fu il
primo (secondo che dicono) a fare il punteruolo ed il postillatore
dell' altrui fatiche, quanto acerbamente lacerò Euripide, Accio,
Ennio, Pacuvio ed altri poeti classici del primo secolo? E pure
Orazio riprende lui, notandolo d* impurità. Or come può mai chi
scrive soddisfare a tanti appetiti , se non ha i sapori della manna,
che si affaceva con tutti i gusti? o come guardarsi da simili zanzare
fastidiosette, che senza perdonare a chi che sia pungono rabbiosar
mente? Non ha dubbio, che ciò per lo più non d'altro fonte suol
nascere, che d^invidia, perchè pensano costoro col censurare gli
uomini illustri di rischiarare i lor nomi rugginosi ed acquistarsi
qualche grido, che altrimenti sempre abbietti e sconosciuti se ne
starebbono ; in quella guisa istessa, eh* Erostrato con Tincendio del
tempio di Diana si fece famoso, e Pilato per la scelleraggine della sua
ingiusta sentenza si canta ogni giorno nel simbolo per le chiese.
Certo colui, che fu il primo a porre il nome a questo vizio^ con gran
ragione chiamollo invidia, poiché Tinvido par che non vegga l'altrui
bene, ma osserva solamente il male, e tutto quelle cose lasciando
da parte, che in una scrittura sarebbono per avventura lodevoli»
volge gli occhi solo a que* pochi mancamenti, che potrebbono essere
riprensibili. Orazio, quantunque fusse giudice de' poemi molto severo,
sapendo nondimeno le difficoltà, che nel comporre si passano, si
contentava di rimetter loro molti falli, che gli parevano degni di
perdono :
« Snnt dellcU ttunen, quibus ignovlate TtHoMit,
« Nani Dcc corda sonum rcddit, quem viilt ninus et neas.
Xn DI GIAMBArnSTA MARINO
• Potcentlque gravein, pereaBp« reinUUt acutiim,
e Nec 8emper feriet quodcunque mirabiuir arcu& »>
E conoscendo egli ottimanacnte, che non tutte le palle (come dir si
suole) riescono ri tonde, e che in un bel corpo si può tollerare qual-
che nco, qualche pelo, o qualche picciolaruga, senza pregiudicio del
resto, scusava molte colpe leggiere ne' componimenti in quegli altri
versi 2
e Verum ubi plura nitent in carmiae, non ego paucis
« Offendar maculb. »
Veramente soverchio rigore gli pareva voler guastare l'integrità del
tutto per una particella, e dannare a morte un' opera di chiaro au-
tore per un minimo peccatuzzo. Che se nelle cose di coloro, che
furono in maggior credito ne' tempi addietro, vorremo incrudelire
con tanta austerità, che non s'ammettano se non gì* immacolati, si
verranno ad escludere forse tutti senza rimanerne pur uno. Perciò
diceva il medesimo nel primo de' Sermoni.
« Age qtueso,
« Tu nlhil in magno doctus depraehendis Homcro?
« NH Ck)mis tragici mutat Lucilius Acci?
Le quali parole (come voi meglio di me sapete) hanno a pronun-
ciarsi interrogativamente con ironia, volendo quasi dire il contrario,
cioè non esser poeta, in cui alcuna cosetta da emendare non si ri«*
trovi. Vi sovviene di ciò che dice Quintiliano nel decimo libro al
capitolo de Fmìtatione? In magnis quoque auctoribus incidunt all'-
qua vitiasa, et a doctis inter ipsos etiam mutuo reprxhensa. E
ristesso nel medesimo libro al capitolo primo : Tieque id statim
legenti persuasum sitj omnia qux omnes auctores dixerunt esse
perfecta, nam et labant cdiquando^ et oneri cedunt, et indulgent
geniorum suorum voluptati, non semper intendunt animum, non--
nunquam fatigantur, nam Ciceroni dormitare interdum non solum
Demosthenis oratìo, verum etiam Homerus ipse videatur. Non
deono dunque i signori sindici di Parnaso e gabbellieri degl' im^-
pacci esser tanto importuni, che vadano ricercando sottilmente nelle
poesie col fuscellino ogni scropoletto , uè dobbiamo noi quando
altri ciò faccia alterarci punto, né risentirci ; ma sforzandoci d^appa-*
gare il disiderio di Fiacco, ci basterà, che se pure ne' nostri scritti
8i troverà qualch' emenda di poco momento, almeno le parli princi**
pali abbiano in sé tanto di bello, che ricuopra qualsivoglia difetto.
Chi ha giammai più di me soierti i latrati di questi mastini , e i zuffo-
E DfiL SUO &T1LE. Xm
lambiti di queste serpi? Io Boo dico già di ^aon potete errare, poiebè
niuno scrittore può esser tanto occhiuto, quantunque Argo eia,
eh* alle volle non inciampi senssa avvedersene, maseime io, ohe mi
stimo più d'ogni altro degnodi correzione, e neUe cui cose è verisi<-
mile,.che delle imperfezioni non manchioo. Dovrebbono peròcon^
tentarsi questi, non dirò Zoili ed Arislarchi, ma più tosto Monode
Pasquini, di disfogar contro l'opere sole la rabbia, manifestando le
mie scioccbezae, senza pregiudicarmi in cose, che rilevano molto
più. U continovo corso de' miei varj e fortunevolì accidenti crederei
Ql^imai, che bastasse a farmi degno d'essere più compatito, che in*
vidiato. E aarebbe pietà il considerare, che se fra tanti moli, peri-
coli e travagli qualche cosa ho pur fatta, ho fatto olire il possibile
del poter mio. Nò il vulgo de' poeti correnti dovrebbe con tante
persecuzioni calunniarmi, avendo più tosto occasione d' amarmi, se
non per altro, almeno per aver io periate le Muse toscano di qua dal-
l'Alpi, ed introdottele nelle camere reali ; e per aver fatto oltracciò ai
lauro, .eh' è pianta infeconda, in vece di coccole piedurre scudi del
Sole, che ben del Sole meritano il nome, poiché a sostentamento
de' seguaci d' Apollo si dispensano. Conviene pertanto darsene [«ce,
e soggiacere con pazienza a sì fatta infelicità, ringraziando tuttavia
la divina Provvidenza, eh' almeno non diede a costoro le forze pari
all'orgoglio ed air arroganza, sicché ci possano nuocere. Una delle
grazie principali, che ci abbia fatte la Natura, fu per mio avviso il
non aver dati i denti ai ranocchi, perciocché poco ci gioverebbe il
possedere le delìzie di questo mondo, se ci fusse bisogno al passar
de' fossati armar le gambe di horsacchini di ferro per difenderci
da' moarai loro. Buon per noi, eh* essi abbiano la bocca sdentata, che
altrimenti la darebbono in barba agli aspidi ed alle vìpere ; là dove
essendo tali, quali sono, basterà che noi siamo più tosto ben forniti
d' orecchi, che d' altre armature. Gracchino pure e garriscano a
posta loro, che il vero antidoto di questo veleno si é il tacere e pro-
curar d'avanzarsi ogni giorno di bene in meglio. Così si confonde
rignofoiiaa, s-abbaUe Tinvidia, sì conculca la calunnia, si calpesta la
perfidia, s'abbassa la -superbia, si sotterra la presunzione, e si sub-
bisaa la tenwrUà. Chiuderò questa lettera salutandovi di vivomiors,
abbncrioidovi eon tutta l'anima, e ringraziandovi di nuovo del
vostra eertese affetto in lodarmi tanto ; del che non posso non sonlif*-
nm forte .obbligato. Obbligato dico di tutte l'altre lodi mi vi.eoiH
faaso, sakDjsolo di quella, ehe mi dateannorerandomittra gli.Ebrsi,
poiebbhn sapete, 0fa' lio wm mi dilettoipantodi rìsprsngsr oioppe
veeohìe.i&8eDsa più alla vostra buona ^grazia mi racsomando, pM--
XVIII DI GIAMBATTISTA MARINO
gando il, Signore, che abbia voi perpetuamente nella sua. Di Pa-
rigi. »
Noi avvisiamo che nessuno ci accuserà d' aver voluto ristampare
tutta quanta questa lettera del Miaiiio, perchè è un buon saggio
della sua prosa libera dagli errori in che si lasciò cosi spesso cadere
quando scrisse poeticamente. E poi nella lunghezza di essa lettera
potè il Poeta sfogando V ira contro i censori , far chiaro come le
lodi sperticate gli avessero offeso siffattamente l' intelletto da te-
nere per fermo che la sua gloria non verrebbe oscurata per volger
di secoli , e da giudicare che le considerazioni di chi avea per guida
gli esemplari di Roma ed Atene , fossero argomento d* invidia e
d' ignoranza. Ma chi non vede come il suo lamentare andasse a
vuoto? Troppo oralo splendore dello stile del Mariiio da non abba-
gliare le moltitudini. E può affermarsi senza tema d' errare che anche
adesso, ¥ Adone, la Strage degt Innocenti , il canto Vii della Geru-
salemme distrutta, e le alcune poche liriche scelte in questo vo-
lume , offrono bellissimi esempj di fecondità e grazia di concetti ,
di purità e franchezza di parole. Che se assai bello è misto a strane
fantasie, ne troviam chiara T intenzione nella sua sentenza della
Murtoleide :
È del poeta il fin la maraviglia ;
Parlo dell' eccellente e non del goffo ;
Chi non sa far stupir vada alla striglia.
Questa fu, a dir così, l'insegna del secenio, e da questa deriva-
rono le puerilità che adesso muovono a riso chi non sappia di
scemo ; questa faceva scrivere in sul serio al cavaliere Giro di Pers,
che pativa di pietra :
Io so che in queste pietre arrota V armi
La Morte, e che, a formar la sepoltura
Nelle viscere mie nascono i marmi.
Discorso del Marino, non possiam tenerci di toccai*e un poco del
vivente Victor Hugo , fattosi in Francia rinnovatore di quella in-
sensata scuola de' secentisti italiani, ed alcuna volta dolce e potente
di quell'affetto che troppo spesso affoga in un mar di metafore e
di similitudini. E a dir vero le stranezze di che va bruttando le
odi alla Colonna di Napoleone, all'Arco di trionfo, e non poche delle
sue liriche, son più vergognose delle antiche, e perchè Tessere
quegli errori divenuti favola di tutta Europa, avrebbe avuto a ren-
derne impossibile il rinnovamento , e perchè le glorie francesi son
E DEL SUO STILE. XIX
più presto atte ad innalzare gli spiriti che abbassarli a fiinciulleschi
concetti, de' qaali oe piace dare un esempio fra i molti , tolto
alla seconda delle Odi sopraddette nella quale il poeta fa una cosi
strana pittura di Parigi :
e Oh! Paris est la cité mère,
« Paris est le lien sdennel
e Où le tourbillon éphémère
« Toume sur un centre eterne I!
« Paris , feu sombre ou pure étolle ,
e Home lais converte d'un voile!
e Araignée à rimmeose toile«
e Où se prennentles nationsl
« Fontaine d'urnes obaédée ,
« Mamelle sans cesse Inondée
e Où pour se nourrìr de l'idée
e Yiennent les généraUons....
e G'est elle, hélas! qui nuit et Jour
« RéveiUe le géant Europe
« Atcc sa docbe et son tambour ! »
Legga le opere poetiche di Victor Hugo chi avesse voglia di sapere
se questi errori, scelti a dimostrare il mal gusto di quel poeta,
siano r abito, a dir cosi, della sua mente e del suo stile, oppure un
accidentale impeto di falsi e puerili concetti. A noi duole che sic-
come il MiRino ebbe colpa del corrotto gusto del suo secolo,
debba pure apporsi a Victor Hugo il peccato de' molti sconsigliati
che, tirati dall' imitazion dell' immaginoso maestro, si lasciano por-
tare dalla fantasia senza un pensiero al mondo della bella natura ,
dell'importanza del decoro, della castità dello stile, e avendo in non
cale il nobilissimo fine del poeta, la correzion de' costumi ; alle
quali cose chi non ponga mente, formerà parole, somiglianti a
bolle di sapone che splendono un poco, e poi com'elle svaniscono.
Ma quasi a conforto di tanta licenza vive ancora quel dolcissimo Bé-
ranger, il quale o canti il valor della Francia, o mediti sulle danze
fanciullesche, è sempre sublime di spontanei canti che Amore gli
dettò, e che ne' poveri tetti cosi spesso risuonano. Né questo è il
solo premio; un altro e maggiore s' aspetta al virtuoso poeta, che
l'inesorabile vecchio non lascerà cader nell'onda dell' obblio nis-
suna sua nota.
Giuseppe ZIRARDINl.
ALLA MAESTÀ CRISTIANISSIMA
DI MARIA DE' MEDICI.
REINA DI FRANGA E DI NAVARRA.
La Grecia di tulle le beir arti inventrice, la qual sotto velo di favolose finzioni
loleya ricoprire la mai^gior parie de' suoi misteri , non senza allegorico senti-
meato chiamava Ercole Musagete, quasi duce e capitano delle Muse. Il che non
con altra significazione (s'io non m'inganno) hassi da inlerprelare, che per la
vicendevole corrispondenza che passa tra la forza e T ingegno, tra 'I valore e '1
sapere, tra l'armi e le lettere; e per la reciproca scambievolezza, che lega in-
sieme i principi e i poeti , gli scettri e le penne, le corone dell'oro e quelle del-
l'alloro. Perciocché siccome alla quiete degli stud] è necessario il patrocinio
de* Grandi, perchè gli conservi nella loro tranquillità ; così all'incontro, la glo-
ria delle operazioni inclite ha bisogno dell'aiuto degli scrittori, perchè le sot-
traggano alla obblivione. E siccome questi ofA'ono versi e componimenti, che
possono a quelli recare insieme col diletto l'immortalità; così ancora quelli
donano ricompense di favori e premj di ricchezze, con cui possono questi me-
nare comodamente la vita. Quinci, senza alcun dubbio, è nato ne' signori il
nobilissimo costume del nutrire i cigni famosi, acciocché illustrando essi col
canto la memoria de' loro onori, la rapiscano alla voracilà del Tempo. Quinci
d'altra parte parimente si è derivala in coloro che scrivono, l'amica usanza del
dedicare i libri ai gran maestri , a' quali , per non altra cagione sogliono indiriz-
zargli , se non per procacciarsi , sotto il ricovero di tale scudo, sicura difesa dal-
l'altrui malignità e dalla propria necessità. Questi rispetti mossero Virgilio ad
intitolare il suo poema a Cesare, Lucano a Nerone, Claudiano ad Onorio, ed ai
nostri tempi , l'Ariosto e 'I Tasso , alla serenissima casa da Este. Questi istessi ,
dall'altro lato mossero Mecenate a sovvenire alla poverlà d'Orazio, Domiziano
a promovere Slazio e Silio Italico a gradi onorevoli, Antonino a contraccambiare
con altrettanto oro le fatiche d'Oppiano; ed ullimamente (per tralasciare gli
altri stranieri) Francesco il primo, re di Francia, a remunerare con effetti di
profusa liberalità le scritture dell'Alamanni, del Tolomei, del Delminio, del-
l'Aretino e d'altri molli letterali italiani; Carlo il nono, a slimare, onorare e
riconoscere oltremodo la virtù ed eccellenza di Piero Ronsardo ; Arrigo il terzo,
ad accrescere con larghe entrate le fortune di Filippo di Portes, abaie di Ti-
rone; ed Arrigo il quarto, dopo molli altri segni d'aCTezione parziale, ad esaltare
alla sacra dignità della porpora i meriti del cardinal di Perona. Non mossero già
(per mio credere) questi rispetti la maestà cristianissima di Lodovico il tredi-
cesimo, quando con tante dimoslrazioni di generosità prese a trattener me
nella sua corte, sì perchè all'edificio deità sua gloria, non fa mestieri di sì falli
puntelli , sì anche perch'io non son tale, che basti a sostenere con la debolezza
del mio stile il grave peso dei suo nome. Né muovono ora similmente me a con-
sacrare a Sua Maestà il mio Adone, come fo, sì perchè l'animo mio è tanto lon-
tano dall'interesse, quanto il suo dall'ambizione, sì anclie perchè sono stalo
prevenuto co' benefici , ed ho ricevuti guiderdoni maggiori del desiderio e della
sperania, non che del merito. Ma quantunque i fini principali della sua prole-
1
J DEDICAZIONE.
zlone e della mia dedicazione non sieno questi , contuttociò tanto per la parte ,
che concerne i debili della obbligation mia, quanto per quella, die s'appartiene
ai meriti della grandezza sua , con ragione parmi che si debba il presente libro
al nostro re, e che da me al noslro re sia, buon tempo fa, giustamente dovuto.
Devesi a lui , come degno di qualsivoglia onore; e deveci da me , come onorato
(benché indegnamente) del titolo della regia servitù. Per quel che tocca a
Sua Maestà dico, ch'è proporzionato questo tributo, essendosi già col sopraccen-
nato esempio d'Ercole dimostrato, eh' a' principi graadi non disconvengono
poesie. E mi vaglio della somiglianza d'Ercole, nreriiando egli appunto ad esso
Ercole d'essere per le sue azioni paragonalo. Poiché se l'uno ne' principj della
sua infanzia ei>be forza di strangolare due fieri dragoni, il che fu preso per
infallibile indizio dell'altre prove future-, Faltre ne'prìraordj, e della sua età,
e del suo governo, conculcò né più ne meno due ferocissime e velenosissime
serpi, dico le guerre intestine di Francia e le slraniere d'Italia , superale l'una
con la mano del valore, l'altra con quella dell'autorità; dal qual allo si può far
certissimo giudicio dell'altre imprese segnalale, che ci promettono gli anni suoi
più fermi. Havvi però di più tanto di di(Terenza, che quel che Tuno operò già
adulto e robusto, l'altro ha operato ancor tenero fanciullo, esttrpamlo dal suo
regno un mostro così pestifero, com'era l'idra della discordia civile, le cui teste
pareva che d'ora in ora moltiplicassero in infinito. E sebbene al presente guer-
reggia tuttavia co' suoi sudditi, il che par che repugni alla pubblica pace e con-
trafaccia alla concordia dello Slato, vedesi nondimeno chiaramente, che dopo
l'onor di Dio, ch'è il suo primo riguardo, il tutto è inteso a quel medesimo
scopo, cioè di passare alla quiete per lo mezzo de* travagli; né altro pretende,
che con la dovuta ubbidienza de' popoli tranquillando le continue tempeste del
suo reame, slabii irsi nella paterna monarchia. Gran cosa certo è il mirare i mi-
racolosi progressi che fa questo mirabile giovane in età sì acerba con sì maturo
consiglio, che più di grave non si desidera nella [irudenza de' più canuti. Ecco
appena uscilo della fanciullezza, mosso dal senno, spinto dalla virtù, guidato
dalla Fortuna, accompagnato dalla lode, ascende a gran passi co' piedi del va-
lore le scale della immortalila, e va crescendo in tanta grandezza di pregio,
che oggimai i suoi fatti peregrini sono ammiral)ili, ma non imitabili. Si arma
per l'onor di Cristo, combalte per la verità evangelica, vendica l'ingiurie della
corona gallica, ristora i riti del culto cattolico, fa inviolabili le leggi della buona
religione. Le sue for;e, le sue armi, le sue genti, i suoi tesori, e tulli i concetti
alti del suo animo reale, non ad altro fine hi rivolgono, che alla gloria del Cielo.
Passi esecutore della divina disposizione, difensore della regia dignità, punitore
della insolenza de' rubelli; ed in tutte le sue generose azioni si dimostra amico
de' buoni, compagno de' soldati, fratello de' servi, padre de' Yassalii, e degno
flgliuol primogenito della Chiesa apostolica. Risarcisce i quasi distrutti onori
della milizia, i disagi gli sono ozj , i sudori delizie, le fatiche riposi. Fa stupire
e tremare , vince prima che coml>atla, ottiene più trionfi, che non dà assalti , e
signoreggia più animi, che non acquista terre. Il suo petto è nido della fortezza,
il suo cuore refugio della clemenza, la sua fronte paragone della maestà; il suo
sembiante specchio dell' afiabililà, il suo braccio colonna della giustizia, la sua
mano fontana della liberalità. La sua spada infocata di zelo par la spada del
serafino , che discaccia dalla sua casa i contumaci di Dio. Onde il mondo , die
gli applaude , e che ha delle sue magnanime opere incredibile aspettazione, con
voce universale lo chiama intelligenza della Francia , virtù del trono e dello
scettro, angelo tutelare della vera Fede, poiché angelico veramente è II suo
aspetto, angelico il suo intelletto, ed angelica la sua innocenza. Così la somma
pietà di quel Dio, il quale lo regge , ed il quale egli difende , guardi la sua vita ,
ed allontani dalla sua sacra persona la violenza del ferro, la fraudo del veleno e
la perfidia del tradimento ; come in lui si adempiranno appieno tutte le condi-
zioni di perfezione, che mancarono negli antichi Cesari. E trattandosi in qnesla
guerra santa dell'interesse pur di Dio, non mancheranno a quella infinita si-
pieaxa modi da teminarfaL a gloria sua, • con. riputazione d'un re sì giusto.
Omnltb ftA tìH patrie, cfte foeca a me, debita antora, non che ragionevole
sttmolo «piesla dedicatuta , acctof^cTvè «e nell'ano abbonda cortesia, neiratlto
non manchi gralHndlne. Ma con qual cambio o cìoil qtial effetto condegno, cor-
rftponderò io a tanti eccessi d'umanità , i quali sopraratmo tanto di gran lan^a
ogDt mio potere ?Oeirto non so con ailro pagargli, che con parole e con lodi, m
fletta guisa Istesm cVie si piagano le divine grazie. Ben vorrei che la mìa viriti
fùue pari alfa sua bontà , per potere altrettanto celebrar lui , quanto egli giova
a me; percioccliè Siccome i suoi gesti cgi-egi, quasi stelle del ciel della gloria,
influiscono a! mio ingegno suggetti degni d'eterna lode , così i favori, ch'io ne
ricevo, quasi rivoli del fonte della magnificenza, innaffiano l'aridilà della mia
fortuna con tanta larghezza, che fanno arrossire fa mia viltà, onde rimango
confuso di non aver Un qui fatta opera alcuna, per la quale appaia il merito di
^ fatta mercede. Potevano per avventura da questa oblazione dislormi due
circostanze, cioè la bassezza della offerta dal canto mio, e l'eminenza del per-
sonaggio dal camiosuo. Ma era legge de' Persiani (come Eliano racconta) che
ciascune tributasse il re loro di qualche donativo conforme alle proprie facoltà ,
quahmquesi fosse. E Licurgo voleva che si offerissero agVlddj cose, ancorché
nlnirae, per non cessar giammai d'onorargli. Queste ragioni scusano in parte il
mancamento del donatore. Ma per appagare la grandezza di colui , a cui si dona,
dirò solo, die quell'islesso Ercole di cui parliamo, per dar alle sue lunKhe faliche
qualche sollazzevole intervallo, deposta talvolta la clava, soleva pure scher-
zando favoleggiare con gli amori. Achille, mentrechè nella sua prima età viveva
tra le selve del monte Pelià sotto la disciplina di Chìrone , soleva (secondo che
scrive Omero) dilettarsi del suono della celerà, né sdegnava di toccar talvolta
Fumll plettro, e di tasteggiar le tenere corde con quella mano istessa che do-
veva poi con somma prodezza vibrar la lancia, trattar la spada, domare destrieri
indomiti e vincere guerrieri invincibili. Perla qual cosa io non dubito punto,
che tra l'altre eroiche virtù, che adornano gli anni giovanili di Sua Miiesla in
tanta sublimità di stato, in tanta vivacità di spirito ed in tanta severità d'educa-
zione, non debba anche aver luogo l'onesto e piacevole trastullo della poesìa.
E se il medesimo eroe pargoletto (come narra Filoslralo), quando ritornava
dall'esercizio della caccia stanco per la uccisione delle fiere , non prendeva a
schifo d'accettare dal suo maestro le poma e i favi, in premio della fatica con
quell'istesso animo grande, con cui poi aveva da ricevere le palme e le spoglie
delle sue vittorie ; perchè non del)bo io sperare, che Sua Maestà, non dico dopo
le cacce, nelle quali suole alle volte nobilmente esercitarsi, ma dopo le guerre,
le quali con troppo dure distrazioni rincominciano ad occupare, abbia con be-
nignità a gradire questo picciolo e povero dono presentato da un suo devolo, il
quale appunto altro non è, che frutto di rozzo Intelletto, e miele composto di
fiori poetici, quasi lieto e sicuro presagio de' ricchi tributi e de' trionrali onori,
che in più maturo tempo saranno al suo valore ofTerti? Parmi veramente la
figura biforme di quel misterioso scmicavallo ben confacevole al mio suggello,
come molto espressiva delle due necessarie e principali condizioni del principe,
dinotando per la parte umana il reggimento della pace , e per la ferina Tammi-
nistrazione della guerra. La qual significanza si attende, che debba perfettamente
verificarsi in Sua Maestà, come degno figlio di sì gran padre, ed erede non
meno delle paterne virtù, che db* regni; la cui generosa indole precorre l'età
e vince l'altrui speranze. E già gli effetti ne fanno fede , poiché non così tosto
prese in mano le redine dell'imperio, che stabilì per sempre la devozione nei
popoli; ed appena assunto al possesso dello scettro, gli fu commesso rarbilrio
del mondo. Egli è ben vero, che se il Centauro (come finge il medesimo scrittore)
per rendersi uguale alta statura del giovanetto, quando le delle cose nel grembo
gli sporgeva , piegando le gambe dinanzi si chinava , chiunque volesse con dono
conforme pareggiare gli eccelsi pregi di Sua Maestà, che ancor crescente si sol-
leva a pensieri tanto sublimi , bisognerebbe per contrario, in vece d' abliassarsi,
innalzar più tosto sé stesso a quel grado d'eccellenza, che nella mia persona e
nel mio ingegno, manca del tutto. Per riparare adunque alla disccnvenevolezza
4 DEDICAZIONE.
di cotale sproporzione, io mi sono ingegnalo di rìlroTare un mezzo potente, e
questo si è introdurre il mio dono per la porta dei favore di Vostra Maestà, anzi
all'una ed all'altra Maestà farlo comune, acciocché siccome ella è per tutti una
fontana, anzi un mape, onde scaturiscono agli altri l'acque della vena regìa,
così sia per me una miniera, onde passando quelle del mio tributario ruscello,
piglino altro sapore e qualità , che non dispiaccia a gusto sì nobile. E siccome
ella è fatta (si può dire). Io Spirilo assistente del regno suo, avendolo tanto
tempo governato con sì giusto e provvido reggimento, così si faccia anche II
Genio custode dell'opera mia, rendendola in virtù del suo glorioso nome e
della sua favorevole autorità più cara e più dilettevole. Veramente , che la ma-
dre abbia a partecipare delle glorie e delle lodi che si danno al figlio, è dovere
di legge umana e divina; e che in particolare debba ella aver parte in quelle,
che si contengono in questo volume , è cosa giusta sì per rispetto suo, come per
rispetto mio. Per rispetto suo, poich* essendo Vostra Maestà, la terra, che ha
prodotta sì bella pianta, e la pianta , che ha partorito sì nobii frutto, si debbono
tutti gli onori attribuire non meno a lei, come a cagione, che a lui, come ad
effetto. Per rispetto mio, perciocché essendo io sua fattura, e dependendo tutto
il mio presente stato da lei, per la cui ufficiosa bontà mi ritrovo collocato nel-
Tatluai servigio di questa corte, siccome dalla sua protezione riconosco g
accrescimenti della mia fortuna, così mi sento tenuto a riconoscere le ricevute
cortesie con tutti quegli ossequj di grata devozione, che possono nascere dalla
mia bassezza. Oltre che per essere il componimento, ch'io le reco, quasi un re-
gistro delle sue opere magnanime , delle quali una parte (ancorché minima) mi
sono ingegnato d'esprimere in esso ; e per avere io ridotto il suggello, che tratta
(come per l'allegorie si dimostra) ad un segno di moralità la maggiore, che
per avventura si ritrovi fra tutte Tanliche favole, contro l'opinione di coloro,
che il contrario si persuadevano, giudico, che ben si confaccia alla modesta
gravità d'una principessa tanto discreta. Or piaccia a Vostra Maestà con quella
benignità Islessa , con cui si compiacque di farmi degno della sua buona grazia,
accettare e far accettare la presente fatica ; onde si vegga , che sebbene il mio
ingegno é mendico ed infecondo, ed il poema, che porla, é tardo fruito della
sua sterilità , vorrei pur almeno In qualche parte pagar con gli scritti quel che
non mi é possibile soddisfar con le forze. Se ciò farà (per chiudere il mio scrì-
vere con l'incominciato paralello d'Ercole) ricevendo ella per sé stessa, e rap*
presentando a Sua Maestà composizioni di poeta, come non indegne di re
guerriero, né disconvenevoli a reina grande, conseguirà la medesima lode,
che conseguì già Fulvio, quando delle spoglie già conquistale in Ambracia
trasportò nel tempio dello stesso Ercole da lui edificato i simulacri delle Muse.
E senza più augurando a Vostra Maestà il colmo d'ogni felicità, le inchino con
reverenza la fronte , e le sollevo con devozione il cuore.
Di Parigi, lì 30 giugno 1623.
Di Vostra Maestà
Umilissimo e devotissimo Servitore
Il CAVALiER MARINO.
L'ADONE.
CANTO PRIMO.
LA FORTUNA.
ALLEGORIA.
Nella sferza di rose e di spine, con cui Venere batte il figlio, si figura la qualità
degli amorosi piaceri, non giammai discompagnati da* dolori. In Amore, che com-
move prima Apollo, poi Vulcano, e finalmente Nettuno, si dimostra quanto questa
fiera passione sia potente per tutto, eziandio negli animi de* Grandi. In Adone, che
con la scorta della Fortuna, dal paese di Arabia sua patria, passa all' isola di Cipro,
si significa la gioventù, che sotto il favore della prosperila, corre volentieri agii
amorì. Sotto la persona di Clizio s' intende il slg. Gio. Vincenzo Imperiali , gentil-
uomo genovese di belle lettere, che questo nome si ha appropriato nelle sue poesie.
Nelle lodi delia vita pastorale si adombra il poema dello Sfato Rustico, dal mede-
fimo leggiadramente composto.
AtGOHBUTO.
PMsa in picciol legnetto a Cipro Adone
Dalle sp'.aggie d' Ai-abia, ov'egli nacque.
Amor gli turba intorno i venti e l' acque;
elisio pastor V accoglie in sua magione.
Io chiamo te, per cui si volge e move
La più benigna e mansueta sfera,
Sanu madre d*Amor, figlia di Giove,
Bella Dea d' Amatunia e di Citerà,
Te, la cui stella, ond* ogni grazia piove,
Della notte e del giorno è messaggiera,
Te, lo cui raggio lucido e fecondo
Serena il cielo ed Innamora il mondo.
Tu dar puoi sola altrui godere in terra
Di pacifico stato ozio sereno.
Per te Giano placato il tempio serra.
Addolcito il furor tlcn V ire a freno;
Poiché lo Dio dell' armi e della guerra
Spesso laol prigionier languirti in seno,
E con armi di gioia e di diletto
Guerreggia in pace, ed è steccato 11 letto.
Dettami tu del giovinetto amato
Le venture e le glorie alte e superbe;
Qual teco In prima visse, indi qual fato
L* estinse, e tinse del suo sangue 1* erbe.
E tu m' insegna del tuo cor piagato
A dir le pene dolcebiente acerbe,
E le dolci querele, e il dolce pianto,
E tu de* cigni tuoi m'Impetra il canto.
Ma mentr' io tento pur. Diva cortese,
D* ordir testura ingiuriosa agli anni,
Prendendo a dir del foco, che t'accese,
1 pria si grati e poi si gravi affanni ;
Amor con grazie almen pari ali* offiese
Lievi mi presti a si gran volo i vanni ;
E con la face sua (s* io ne son degno)
Dia quant* arsura al cor, luce ali* ingegno.
MARINO.
E te, eh' Adone istesso, o gran Luigi,
DI beltà vinci, e di splendore abbagli ,
E seguendo ancor tenero i vestigi
Del morto genitor, quasi V agguagli ;
Per cui suda Vulcano, a eui Parigi
Conyjen che palme colga e statue intagli,
Prego intanto m'ascolti, e sostien ch'io
Intrecci il gìglio tuo col lauro mìo.
m
Se muovo ad agguagliar V allo concetto
La penna, che per sé tanto non sale,
Facciol per ottener dal gran soggetto
Col favor, che mi rrgge, ed aure ed ale.
Privo di questo, il debile intelletto,
Ch' al ciel degli onor tuoi volar non vale,
Teme all'arder di sì lucente sfera
Stemprar l'audace e temeraria cera.
[avanza
Ma quando queir ardir, eh' or gli anni
Sciogliendo al vento la paterna insegna,
Per domar la superbia e la possanza
Del tiranno crudcl, che In Asia regna,
Vinta col suo valor l'altrui speranza,
Fia che in sul fiore a maturar si vcgna,
Allor con spada al fianco e cetra al collo
L'un di noi sarà Marte e T altro Apollo.
C!osl la Dea del sempre verde alloro.
Parca immortai de' nomi e degli stili,
Alle fatiche mìe con fuso d'oro
Di stame adaniantin la vita fili,
E dia per fama a questo umil lavoro
Viver fra le pregiate opre gentili.
Come farò, che fulminar tra l'armi
S' odan co' tuoi metalli anco i miei carmi.
La donna, che dal mare li nome ha tolto
Dove nacque la Dea. che adombro in carte.
Quella, ciie ben a lei conforme molto
Produsse un novo amor d' un novo Marte,
Quella, che tanta forza ha nel bel volto,
Quant' egli ebbe nell' armi ardire ed arte.
Forse m' udrà, né sdegnerà clie scriva
Tenerezze d' amor penna lasciva.
Ombreggia il ver Parnaso, e non rivela
Gli alti misteri ai sciuplici profani.
Ma con scorza mcntiU asconde e cela
(Quasi in rozzo Silen) celesti arcani.
Però dal vel, che tesse or la mia tela
In molli versi, e favolosi e vani^
Quest/o senso verace altri raccoglia :
Smoderato piacer termina in doglia.
Amor pur diami, il fanciullin crudele,.
Giove di nova fiamma acceso avca.
Arse di sdegno, e '1 cor d' amaro fiele
Sparso, gelò la sua gelosa Dea,
E incontro a lui con flebili querele
Richiamossi del torto a Citerea,
Onde il garzon sovra l'etade astuto
Dalla materna man pianse battuto.
Oìmè, poBsibil fia, dlcea Ciprigna,
Ch'io mai per te di pace ora non abbia?
Qual cerasta più livida e maligna
Nutre nel Nilo la deserta sabbia ?
Qual furia insana o qual arpia sanguigna
Là negli antri di Stige ha tanta rabbia?
Dimmi, quel tosco, ond' ogni core appesti.
Aspe di paradiso, onde traesti?
Vuol tu più mal conlaminar di Gtuno
Le legittime gioie e i casti amori?
Udrò di te mai più rldtiamo alcuno.
Ministro di follie, fabbro d' errori?
Soilecito avoltor, verme importuno.
Morbo de' sensi , ebrietà de' cori ,
Di fraude nato e di furor nutrito.
Omicida del senno, empio appetito?
Ira mi vlen di romperti quo' lacci
E queir arco che fa piaghe si grandi ;
Né so chi mi ritien eh' or or non stracci
Quante reti malvagie ordisci e spandi ;
Che per sempre dal elei non ti discacci ,
Che in esilio perpetuo io non ti mandi
Su i gioghi ircaoi e tra le caspie selve ,
Arder villano, a saettarle belve.
Che tu fra gli egri e languidi mortali ,
Di cui s'odono ognor gridi e lamenti.
Semini colaggiù martirj e mali,
Con\ ien , malgrado mio, eh' io mi contenti.
Ma soffrirò che in Cicl vibri 1 tuoi serali.
Non perdonando alle beate genti?
Che sostengan per te strazj si rei.
Serpentello orgoglioso, anco gli Dei ?
Che più? fin delle sielle il aommo Duce
Questo malnato di sforzar si vanta,
E spesso a stato tale anco il riduce, [canta.
Che or in mandra^or in nido,or mugghia,or
Un pestifero mostro orbo di luce
Avrà dunque fra noi baldanca tanta?
Un , che la lingua ancor tinta 1» di latte,.
Cotanto ardisce? E ciò dicendo, il balte.
VAWR&.
Cmb fla^eBo dk rose farieme storte ,
Ch*afc« grappa ^ ^P^n^i <Ua i^ peroosw,
E de' bel OMaibri , onde si dote forte,
Fé' le vivaci porpore più rosM.
Tremato I peli, e ia steHaia earte
A qnel fiero fiagir tutta si mosse.
Mossesi ii Ciel, cbe pie d'Amor infante
Teme ii furor, che di IKeo gigaatSc
Deila reggia materna il fglio escilo,
Con qneUo sdegno aiior se n'allontana,
G>n cui sofiar per l'arenosa lite
Caieata suol la vipera africana
0 l'orso cafemicr, quando- ferito
Si scaglia faor della sassosa tana
E va fremendo per gii error più cnpl
Delle valli lucane e deile rapi.
Sferzato e pien di cliipettaaa dogli»
Fuggii piangendo atta vicina sfera.
Là dove doto di purpurea spoglia
(Gran Bonarcnde' tempi) il Soie impera^
E io su l'entrar della dorata soglia
Stella nanzia dei gion» e condottienif
Lucifero incontrò che in Oriente
Aprìa eaa chiave d'or 1* nsdo lacepte.
E il crepuaeolo seeo a poco a poco
Uscito per la lucida contrada
Sovra un corsier di tenebroso foco.
Spumante il fren d'ambrosi» e di rugiada.
Di firesco giglio e di vivace croco,
Forier del bei mattin, spargea la strada ;
E con sCerza di rose e di viole
Aflrettava il cammino innanzi al Sole»
La lidia luce ch'in su l'aurea porta
Aspettava del So4 la prioMi uscita..
Era di Citerea ministra e scorta
D'anorosi* spieodor tutta crinita».
PcK varcar l' ombro Innami tempo sorta.
GU la biga rotante asea: spedita^.
E '1 venir deila Dea slava attendendo ^
Quando iiiicr pargoiettoentrò piangendo»
Blanaa al pianger d'Amor In nnttmloa
Del m de' lumi ambasciadrlce stella ,
E di pioggia aagentala e cristalHn»
Rigò la fancia mgiadasa. e beMa ,
Onde di vive perle accolte- im brina
Potè l'urna- ooloar V Alba novella^
L' Alba , che rasciugò eoi vei vermiglio
L' onido raggia aiiagrinoso ciglio»
Ricoverato al riecgafbei^o Amorg
Trovò, die posto a' corridori il ttorw.
Gii s' era accinto H principe dell'Ore
Con la verga gemmata al novo corse ;
E i focosi deatrìer slìuffaiìdo ardore
L'attere iube si scotean sti! dorso,
E sdegnosi d' Indugio, tt pavimento
Fcrian co' calci, e co' nitriti il vento.
Sta quivi l'Anno sovra l'afl accorto
Cliesempre il fin col suo principio annoda,
E in forma d'angue innanetlato e torto
Morde l'estremo alla volubil coda;
E qnal Anteo cadnto e poi risorto
Cerca no>-a materia ond' egli roda;
Vi ba la serie de' mesi e i di lucenti ,
I lungbl e 1 bravi , 1 fervidi e gli algentL
L'aurea corona, onde scintilla II gioivo,
Del Tempo gli ponean le quattro iglie.
Due schiere avca d'alate anceile intorno,
Dodid brune e dodici vermiglie.
Mentre accoppiavan queste al carro adone
Gli aurati gioghi e le rosate briglie, '
Gli occhi di foco il Sol rivolse, e il pianto
Vide d'Amor, che gli languiva accanto.
Era Apollo di Tenere nemliA^
E tenea l'odio ancor nel petto vivo.
Dacché lassù dell' adulterio antico
Pubblicò io spettacolo lascivo.
Quando accusò del talamo impudico
Al fabbro adusto II predator furtivo,
E con vergogna invidiata in Cielo
Ai suoi dolci legami aperse il velo.
Orche gli espone Amor sua graTOsalma,
E che sciocchi dolor, dice, son questi?
Sci tu colui che lillgar la paima
In riva di Penco meco volesti 7
Tu, tumeote del mondo, alma d'ogni alÉM,
Vincitor de' mortali e de' celesti ,
Or con strato arrotato e face accesa
Vendicar non ti sai di tanta oOésaY
Quanto fora il miglior, siecomcalllltU)
Di lagrime Infantili il volto or bagni ,
Volgere il duolo In ira, e il dardo ii«Vitlo>
Aguzzar nett* Ingiuria onde ti lagni?
Facile con petto lacerne trafitto
Per te pianga colei per cui tu> piagni;
Che , se vorrai , non senaa gloria e none
Seguiranae l^eiTétlo; MOoMacmne:
MARINO.
Li nella reglon ricca e felice
D'Arabia beila, Adone il giovinetto,
Quasi competitor della fenice,
Senza pari in beltà , \ive soletto.
Adon nato dlM, cui la nutrice
Gol proprio grnitor giunse in un ietto;
Di lei, che yolu in pianU, 1 suoi dolori
Ancor distilla in iagrimosi odori.
Schernì la scellerata il re mal saggio
Accesa il cor di sozzo foco indegno,
Ond' egli pò! per così grave oltraggio,
Quant*ella già d'amore, arse di sdegno;
E le convenne in loco ermo e selvaggio
Girne ad esporre il mal concetto pegno ;
Pegno furtivo, a cui la propria madre
Fu sorella in un punto, avolo il padre.
Fattezze mai si signorili e belle
Non vide l'occhio mio lucido e chiaro.
Sventurato fanciullo, a cui le stelle
Prima il rigor, che lo splendor mostrano.
Gontro gli armò crude influenze e felle
Ancor da lui non visto, il Cielo avaro :
Poiché mentre l' un sorse e l'altra giacque,
Al morir della madre il Aglio nacque.
Qual trofeo più famoso? e qual altronde
Spoglia attendi più ricca o più superba,
Se per costui ch'or prende a solcar l'onde.
Il cor le ferirai di piaga acerba?
Dolci le piaghe finn , ma sì profonde ,
Ch' arte non vi varrà di pietra o d'erba.
Questa fia del tuo mal degna vendetta ;
Spirito di profezia così mi detta.
Più oltre io ti dirò. Mira là, dove
A caratteri egizj in note oscure
Inlagliati vedrai per man di Giove
1 vaticini dell'età future.
Havvl quante il Destino al mondo piove
Da' canali dei elei sorti e venture,
Che de' pianeti al numero costrutte.
Sono in SKtte metalli incise tutte.
Quivi ciò che seguir deggia di questo
Legger potrai quasi in vergale carte.
Prole tal nascerà dt^l beli* innesto
Che non ti pentirai d'avervi parte.
In lei , pur come gemme in bei contesto,
Saran tutte del Ciel le grazie sparte;
E questa (oh per tal nozze a pien beato I )
Al tiranno dd mar promette 11 Fato.
Se ciò farai, non pur n'andrà In obblio
La memoria tra noi de' gran contrasti ,
Ma tal premio n' avrai d* un doho mio.
Che in mercè di tant' opra io vo' che basti.
Lira nei mio Parnaso aurea serb'io
Che ha d* or le corde e di rubino 1 tasti.
Fu d' Armonia tua suora , ed lo di lei ,
Con questa celebrai gli alti Imenei.
Questa fia tua. Così qualor ti stai
Di cuore e d'armi alleggerito e scarco,
Musico com'arcier trattar potrai
Il plettro a pardi me non men che l'arco ;
Che l'armonia non sol ristora assai
Qualunfjue sia più faticoso incarco;
Ma molto può co' numeri sonori
Ad eccitare ed incitar gli amori.
Fur queste efficacissime parole
Folli, ch'ai Tolle cor soffiaro orgoglio,
Ond* irritato abbandonò del Sole,
Senza far motto, il lampeggiante soglio,
E ruinando dall'eterea mole
Invcr le piagge dei materno scoglio ,
Corse coi tratto delie penne ardenti
Più che vento leggier le vie de* venti.
Come prodigiosa acuta stella.
Armata il volto di scintille e lampi.
Fende dell' aria , orribtl sì , ma beila
Passeggiera lucente , i larghi campi.
Mira il nocchier da questa riva e quella.
Con qual purpureo pie la nebbia stampi,
E con qual penna d'or scriva e disegni
Le morti ai regi e le radute ai regni.
Così mentre ch'Amor dal ciel disceso
Scorrendo va la region più bassa.
Con la face impugnata e l'arco teso
Gran traccia di splendor dietro si lassa.
D' un solco ardente e d* auree fiamme acce-
Riga intorno le nubi ovunque passa, [so,
E trae per lunga linea in ogni loco
Striscia di luce, impression di foco.
Su il mar si caia, e slccom'ira il punge.
Sé stesso avventa impetuoso a piombo.
Circonda I lidi quasi mcrgo, e lunge
Fa dell'ali stridenti udire il rombo.
Né grifagno falcon quando raggiunge
Col fiero artiglio il semplice colombo
Fassi lieto così, com'ei diventa
Quando il leggiadro Adon gli si presenta.
L'
Era Adon n«l]*età chela fiTella
Sente d'Amor più rigorosa e vira,
Ed avea dispostezia alla novella
Acerbità degli anni intempestiva.
He sulle rose della guancia bella
Alcun germoglio ancor d* oro fioriva ;
0 seppur vi spuntava ombra di pelo,
Era qual flore in prato o stella in cielo,
ADONE. 9
Giunto alla sacra e gloriosa riva ,
Che con boschi di palme illustra Idume ,
Dietro una cerva lieve e fuggitiva
Stancando il pie, slccom'^vea costume.
Trovò di guardia e di govefbo priva,
Ritratta in secco appo le salse spume
Da* pescatori abbandonala , e carci
D'ogni arredo marin , picclola barca.
In blonde anella di fin or lucente
Tutto si torce e si rincrespa il crine.
Dell* ampia fronte in maestà ridente
Sotto gli sorge il candido confine.
Un dolce minio , un dolce foco ardente
Sparso tra vivo latte e vive biine ,
GII tinge il viso in quel rossor che suole
Prender la rosa infra 1* Aurora e il Sole.
Ma chi ritrar dell'uno e l' altro ciglio
Può le due stelle lucide, serene?
Chi delle dolci labbra il bel vermìglio.
Che di vivi tesor son ricche e piene?
0 qual candor d'avorio, o qual di gìglio
La gola pareggiar, eh' erge e sostiene
Quasi colonna adamantina, accolto
Un del di meraviglie in quel bel volto ?
Qualor feroce e faretrato arciero
Di quadrella pungenti armato e carco
Affronta o segue in un leggiadro e fiero,
0 fere attende fuggitive ai varco,
E In atto dolce cacciator guerriero.
Saettando la morte incurva l'arco.
Somiglia in tutto Amor, se non che solo
Mancano a farlo tale U velo e '1 volo.
Egli tanto tesoro In lui raccolto
Di natura e d' amor par che abbia a vile,
E cerca del bel ciglio e del bel volto
Turbar il Sole, inorridir l'aprile.
Ma minacci cruccioso o vada incolto «
Esser però non sa se non gentile;
E rustico quantunque e sdcgnosetto, [to.
Convlen pur eh' altrui piaccia a suo dlspet-
Or mentre per I* arabiche foreste,
DoT'ei nacque e menò l'età primiera,
L'orme segula per quelle macchie e queste
D'alcuna vaga e tlmldetta fera,
Errore il trasse, oppur destìn celeste ,
Dalla terra deserta alla costiera ,
Colà dove fa lido alla marina
Del lembo ultimo suo la Palestina.
Ed ecco varia d'abito e di volto
Strania donna venir vede per l' onde,
Ch' ha sulla fronte il biondo crine accolto
Tutto in un globo, e quei eh' è calvo ascon-
Vermiglio e bianco ilvestimento sciolto[de
Con lieve tremolio l'aura confonde.
Lubrico è li lembo, e quasi un aer vano.
Che sempre a chi lo stringe esce di mano.
Nell'ampio grembo ha della copia 11 cor-
fi nella destra una volubil palla. [no,
Fugge ratto sovente , e fa ritomo
Per le liquide vie scherzando a galla.
Alato ha il piede , e più leggiera Intorno
Che foglia al vento, si raggira e baila ;
E mentre move al bailo il pie veloce,
In si fatto cantar scioglie la voce :
Chi cerca in terra divenir beato ,
Goder tesori e possedere imperì ,
Stenda la destra In questo crine aurato ,
Ma non indugi a cogliere I piaceri ;
Che se si muta poi stagione e stato.
Perduto ben di racquistar non sperì.
Così cangia tenor i*Orbe rotante ,
Neil' incosunza sua sempre costante.
Cosi cantava, Indi arrestando il canto.
Con lieto sguardo al bel garzone arrise ,
Ed allo scoglio avvicinata intanto
Spalmò quellegno e in sul timon s'assise :
Adon , seguimi , disse , e vedrai quanto
Cortese stella al nascer tuo promise.
Prendi la treccia d' orche in man ti porgo.
Né temer di venirne ov' io li scorgo.
Benché volgare opinione antica
Mi stimi un idol falso, un' ombra vana ,
E cieca e stolta , e di virtù nemica
M* appelli, Instabil sempre, e sempre Insa-
E tiranna impotente altri mi dica, [na;
Vinta talor dalla prudenza umana ;
Pur son fata , e son diva , e son relna ,
M'ubbidisce Natura, Il Ciel m'inchina.
10 - ìixmvùi
Chi unquAAAioreo Marte Magvlr pceade,
Convieq che il nome mio celebri e cliiami.
Chi solca r acqua « e chi la ten^feaUo ,
0 8* alcun v' ha , che onore e gloria brami «
Porge pregili al mio^'u^lee voti apfiende.
Ed io dispenso altrui scettri e reami.
Toglier posso e donar tutto ad un cenno,
E quanto è sotto il Sol reggo a «io senno.
Me dunque adora, e io su r eccelsa cima
Della mia rota asconderai di corto.
Per me nel trono, onde ti trasse in prima
L'empio inganno materno, or sarai scorto;
Sol che poi dove il Fato or ti sublima
Sappi nel conservarti essere accorto ;
Che spesso suol con preveder periglio
Romper Fortuna rea cauto consiglio.
Tace ciò detto, ed egli vago allora
Di costeggiar quel dilettoso loco ,
Entra nellegiM>, e dell'angusta prora,
I due rami a trattar prejuie per gioco.
Ed ecco al sospirar d' agcvol ora
S'allontana l'arena a poco a poco,
Sicché menlr ei dal mar si volge ad essa,
Par che navighi ancor la terra isiessa.
Scorrendo va piacevolmente il lido,
Mentr'è placido e piano li molle argento,
E da principio del suo patrio nido
Rade la riva a passo tardo e lento.
Indi airinslabil fé del flutto infido,
Sé ^stesso crede , e si commette al vento
Lunge di la dove a morir va l' onda ,
E con roco latrar morde la sponda.
Tragparean si le belle spiaggie ondose,
Che si potean dell' umide spelonche
Nelle profonde viscere arenose
Ad una ad una annoverar le conche,
Zeffirl destri al volo, auiy$ vezzose
L' ali scotcan , ma tosto lor fur tronche,
li mar cangiossi , il Ciel ruppe la fede:
0 malcauto colui ch'ai venti credei
0 stolto quanto industre, o troppo au*
Fabbro prjmier dei temerani0 legno, [dace
Che osasti la tranquilla antica pace
Romper del crudo e prooeJioeo regno 1
Più che aspro scoglio e più che mar vera*
Rigido avesti il cor, fiero l' iiigegao, [co
Quando sprezzando l' io^poto marino^,
Gisti a sfidar la morie la fragil pÌ9fh
Per far uiMJtgigÌ«ir»Ma v«iìiI«U«
Amor fu solo autor di si gran molo..
Amor fu , oli' a pugnar con tanta fr«tt»
Trasse turUiU e nembi ^ Affrico e Nóto«
Ma della stanca e miaera bardietta
Fu senipr'egli il poppiero^ egli il pilolo,.
Fece vela del vel, vento con l'aii,
E fur r arco tlmon , remi gli strali.
Dalla madre fuggendo iva il figliuolo
Quasi bandito e contumace intorno.
Perchè, com'io dicea, vinto dal duolo
Di fanciullesca stizza arse e di scorna ,
Né perchè poscia il richiamasse, il volo
Fermar volse giammai, né far ritorno;
E in tal dispetto , in tant* orgoglio salse ,
Che di vezzo , o pregar nulla gli calse.
Per gli spazi sen già dell' arb molle
Sriocchoggiando con l' aure Amor volante,
E dettava talor rabbioso e Còlle
Tragiche rime a più d'un mesto amante.
Talor luns;o un ruscello , o so>ra un colle
Piegava 1* .di e raccoglica le piante ,
E dovunque ne giva il supcrbctto
Rubava un core, o trapassava un petto.
Non é questo Io strai possente e fiero.
Ch'ai Hetlor delle stelle il fianco olTese?
Per cui più volte dal celeste impero
L'aureo scettro deposto, in terra scese?
Quel eh' al quinto del ciel Nume guerriero
Spezzò, passò l'adamantino arnese?
Quel che punse in Tessaglia il biondo Dio,
Superbo sprezzator dei valor mio?
Questa la face è pur, cui sola adora
(Non che la terra eli Ciel) Stige e Cocito;
Cile strugger fé*, che fé' languir talora
11 signor delle fiamme incenerito.
Quella , da cui non si difese ancora
Di Teli 11 freddo ed umido mari tot
Che tra gelidi umori infiamma i fonti ,
Tra l' ombre i boschi, e tra le nevi ì monti.
Ed or costei, da cui con blasmo eterno
Miir onte gravi io mi sofferai e tacqui,
Perché dee le mio forae aver a sohemOi,
Sebbcn dai ventre suoconcettoio naoqnit
Dunque andri da qne' lacci il cor materno
Libero a cui (non eh' altri) anch' io soggiao*
[qui?
Arse per Marte, è ver; ma questo è poco«
Lieve plaga fu quella, • dsbiLli»Qib
n
yo^^'P^toH^ ai coHMiìUpiinaiioo.)
Si vedrai cè.'eUa.|siaiMM imrìorHdt}
La vipera crudel cbe leapre.U,fianQ9»
Degg* hi.fleaipre ononau cbhpiù m'imta?
Fon««per: tcoia il mio valor vìm mmeo?
NoiBO., segua clie può« Goti cU«eiL
L'impiMal»a figiluQl di Cilena.,
Moitet chequiacl e quIadivOriMuaft^or
VoUe riffoia il predator fellooe, [alto,
Cone prìma loiilaii dal verde snalio
Yed» ia picciol Legneli» il vago Adone ;
SubitaBMnie al disegnato aasaibo
L'amù apparecchia e raaiUno dispone ;
E tutto ioAeso a tribolarla madre ,
Vasseodia Leuno alla magloa del padre*
Malia fiiligiiiosa» atra fucina^
Dove il aoppo Vuican suo genitore
De* Numi eterni i varj arnesi aOaa
Tinto di fumo e molle di sudore^
Entra per fabbricar tempra divina
D* un aureo strale, imperioso Amore;
Slral, eh* efficace e penetrante e forte
Possa un petto immortal ferire a morte»
Libero 1* uscio al cieco arderò aperso
La gran ferriera del dlviiìo artista ^
Parte di gii polite opre diverse «
Parte imperfette ancor, confusa e mista.
Colà lan l'armi lampeggianti e terso
(Dd celeste guerrier superba vista).
Qui la folgor flaumieggia alala e rossa
Del gran Fuiminator d' Olimpo e d' Ossa*
Vi è di Pallade ancor lo sondo e l' asU,
11 rasteUo di Cerere e il bidente;
L'acuto spiedo di Diana casta^
La grosaa mazza d'Ercole poiseHiA,
La falce, oode Saturno U iMtlo guasta^
L*arco, ood' Apollo uocise ilflor serpentei
Dt Nettnno il tcallero, o di Mutom
Gas duopuaiad' aedaio haién il fiMxone^
Le trombe vlha^ eon cuè volando suona
laEamn^^gUailnd faUiorMaama or loda,
VI hai ceppi, ira'eui ferri Gololniprigiiona
I Venti insani , e le Tempeste ineldodn.
Vfrèa le catene, onde lalor Bellona.
II Furor lega, e la Diecoadia annoda..
Evi baie chiavi, ondo n dar piceo guerra
Ciano iLgranteBipln ti» strato dlawcau
Prawo altfooon-d^nM%nnaHinl
; Travagliai il<nero.fabbra.entr4^ la «gipHa»
Più d'unrcalloJula manforte erobuslDn
Alle fatiche esorcUala e dotta*
Rugginosa la. fronte, il. volto. adu|s^(^«
Crespa la pelle od abbronzata e cott^^
Sparso, il grembial di mille avanzi e mi^e
Di limatuns^ e ceneri,, e faville.
QnandaegU scorge il nudo paigoletto^
La forbice e il martol lascia, e sospenda,
E curvo« e chino entro il lanoso pot^o
Con- uftriso villan da terra il prende«
Tra le ruvide braccia avvinto e stretto
L* ispido labbro per baciarlo stende ^
E la sudicia barba ed iucompos^
Al molle viso e. delicato a.ccostJ^
ìfa mentre cb*egU raecarezaa ostring^
Raccolto in braccio con paterna zelo,
Amor, perchè baciando il punge e tii^ge»
La faccia arretra dall' irsuto pdo ,
E con quel sozzo iiu , che il seu gli cinge.
Per non macchiarsi di carbone il vdo ,
Air aspra guancia d' una in altra ruga,
Dell' immondo sudor le sUUe asciuga.
Padre, dalla tua man, poscia gli dice,
Voglio or or sopraffina una saetta ,
Che fia de' torti tuoi vendicatrice,
Lascia la cura a me della vendetta»
11 come appalesar né \o\ né lice ,
Basti soltanto « spacciali, cbè ho fretta.
Non porta indugio il caso, al tro or non puoi
Da me sapi r, i' bilcnUcrai ben poi.
Il quadrel, eh' lo ti chicggio, esser con-
Dl perfetto artificio, e ben condotto, [viene
Cli' esserne fin nelle più inLerne vene
Deve un petto di\in forato e rotto.
Se usò mal sforzo ad impiegar si bene
Il tuo braccio, lituo senno esperto e dotto.
Fa , prego , Ui cosa o\ * lui tanto Uteresse,
Del gran saper le meia^iglie espresse.
Starò qui tcco a ministrarti intento
Sotto la rocca dd canimin, che fuma ;
Acciocché- U foco non rimanga spento^
Mantice ti farò deli' aurea piuma.
E s'egli avverrà pur, che mai.clii il vento
Al folle, che l'accende, a che l'alluma,
Prometto.accumulnr tea questi ardori
In.nAsol|ia 1 sospir di mille cori
tt
MARINO.
non pon Vulcano in qtiell' affar dimora,
Ma sceglie la miglior tra cento zolle,
E pria che In su 1* incudine sonora
1^ la castiglii , al Tocolar la liolle ;
E non la batte, e non la tratta ancora
Flncliè ben non rosseggia, e non tIcd
IHvenuta poi tenera e vermiglia, [molle.
Con la inorsa tenace ei la ripiglia.
Amor presente ed assistente all' opra
Come l'abbia a temprar, come l' aguzzi
Gli mostra, acciocché poi quando l'adopra
Non si rompa, o si pieglii, o si rintuzzi ;
E di sua propria man vi sparge sopra
Dell'umor d*un' ampolla alquanti spruzzi,
Piena di stille di dogliosi pianti
Di sfortunati e disperati amanti.
Mentr' è caldo il metallo, i tre fratelli.
Che un sol occhio hanno in fronte, e son gi-
Con vicende di tuoni i gran martelli [ganti,
Muovono a grandinar botte pesanti ;
E il dotto mastro al martellar di quelli,
Che fan tremar le volte arse e fumanti,
Per dar effetto a quel che ha nel disegno,
Pon gli stromenti in opera e V ingegno.
Tostochè il ferro è raffreddato, in prima
Sbozza il suo lavorio rozzo ed informe,
Poi sotto più sottil minuta lima
Con industria maggior gli dà le forme ;
L' arrota intorno, e lo forbisce In cima.
Applicando al pcnsicr studio conforme.
Col fuoco alfin 1* indora e col mordente,
E fa 1* acciaio e l'or terso e lucente.
Polche l'egregio artefice allo strale
Per tutto il liscio e II lustro ha dato appieno,
N' arma il fanciullo un' asticcluola frale.
Ma che trafigge ogni più duro seno.
Ci' impenna il calce di due piccini ale
E il tinge di dolcissimo veleno ;
E tutto pien d' una superbia stolta
Pon la caverna e i lavoranti in volta.
Va della Dea, che generaro 1 flutti ,
Il baldanzoso e temerario figlio
Spiando intorno, e i ferramenti tutti
Della scola fabbri! mette in scompiglio.
Or de' Ciclopi mostruosi e brutti
La difforme pupilla e II vasto ciglio,
Or il cotto tatlon del pie paterno
Prende con rìsi e con dispreazi a scherno.
Veggendo alternamente arsicci e neri
Pestar ferro con ferro i tre gran mostri ,
Troppo son, dice, del>oIi e leggieri
A librar le percosse 1 polsi vostri.
Omai con colpi assai più forti e fieri
Questa mano a ferir v'insegni e mostri.
Impari ognun dalla mìa man, che spezza
Qualunque di diamante aspra durezza.
Volto a colui, che ha fabbricato li telo.
Soggiunge poscia : In questa tua fornace
Le fiamme son più gelide che gelo :
Altro ardor più cocente ha la mia face.
Tolto indi in mano il fulmine del Cielo,
E sciolto il freno all'insolenza audace,
In cotal guisa, mentre il vibra e move,
Prende le forze a beffeggiar di Giove.
Deh quanto, oTonator, che dalle stelle
Fai sdegnoso scoppiar le nubi orrende,
Più della tua, che a spaventar Babelle
Dal ciel con fiero strepito discende.
Atta sola a domar genti rubelle
Senza rumor la mia saetta offende.
Tu de' monti, io de* cori abblam le palme,
L' una fulmina i corpi e l'altra l'alme.
Depon r arme tonante, e ricercando
Di qua di là T affumicato albergo.
Trova di Marte li minaccioso brando,
11 fin brocchier, V avantaggiató usbergo.
Or la prova vedrem, dice scherzando,
Se a difender son buoni li fianco e il tergo.
Lo strale in questa uscir dall' arco lassa,
Falsa lo scudo, e la lorica passa.
Di s) fatte follie sorridea seco
Lo Dio distorto, che il mirava intanto.
Tu rìdi, disseti faretiato cieco,
Né sai, che l'altrui risolo cangio in pianto»
E più che la fumea di questo speco
Farli d' angoscia lacrimar mi vanto.
Ciò detto al gran Nettun vola leggiero, [ro.
Che nel mondo dell'acque ha sommo Impe-
Velocemenle a Tenaro sen viene,
E l'aria scossa al suo volar fiammeggia.
Abitator delle più basse arene
Quivi ha Nettun la cristallina reggia.
Che dall' umor, di cui le sponde ha piene
Battuta sempre e flagellata ondeggia.
Rende dagli antri cavi eco profonda
Rauco muggito alio sferzar dell' onda.
L'ADONE.
13
All' arilTo d'Amor da cupi fonti [ca.
Sgorga, e crespo di spuma 11 mar s* imbian-
Qttincl e quindi gli estremi In duo gran mon-
Sospendee inmezzosldivideemanca; [U
E scoperti del fondo asciutti i ponti.
Del gran palagio I cardini spalanca.
Passa ei nel regno, ove la madre nacque.
Patria de' pesci e region dell' acque.
Passa, e sen va tra 1* una e l' altra roccia
Quasi per stretta e discoscesa valle.
L'onda noi bagna, e 11 mar non cbe gli noe-
Ritira Indietro il pie, volge le spaile, [eia,
Filano acuto gelo a goccia a goccia
Ambe le rupi del profondo calle,
E tra questo e quell'argine pendente
Appena ei scorger può l' aria lucente.
Né già, mentre varcava i calli ondosi,
La faretra o la face in ozio teme,
Ma con acuti stimoli amorosi
Faville e piaghe a seminar vi venne s
E laddove dell'acqua augei squamosi
Spiegano i pesci l' argentate penne.
Tra gr infiniti eserciti guizzanti
Sparse miU'escbe di sospiri e pianti.
Strana di quella casa è la struttura,
Strano 11 lavoro e strano è l'ornamento.
Ha di ruvidi pomici le mura ,
E di tenere sj)ugne il pavimento.
Di lubrico zaffiro è la scultura
Della scala maggior, i' uscio è d'argento.
Variato di pietre e di conchiglie
Azzurre, e verdi, e candide, e vermiglie.
NeiF antro Istesso è la maglon di Teti,
E gran famiglia di Nereidl ha seco,
Che In vaij uffici ed esercizi lieti
Occupate si sian nel cavo speco.
Queste con passi incogniti e secreti ,
E per sentier caliginoso e cieco
Van dell'arida terra irrlgatrici
A nutrir piante e fiori, erbe e radici.
Intorno e dentro all'umida spelonca '
Chi danzando di lor le piante vibra,[conca.
Chi sceglie o gemma In sabbia, o perla In
Chi fila l'oro, e clii l'affina o cribra ;
Qnal de* germi purpurei 1 rami tronca,
Qnal degli ostri sanguigni I pesi librai
E sotto U pie d' Amor v'ha molte Ninfe,
Che vaa di onisco ad infiorar le linfe.
* Belle aon tutte si, ma differenti :
Altra ceruleo, ed altra ha verde U crine.
Altra r accoglie, altra lo scioglie ai venti.
Altra intrecciando 11 >*a d' alghe marine ;
E di manti diafani e lucenti
Veian le membra pure e cristalline.
Simili al viso, ed agili e leggiadre
Mostran che figlie son d'un stesso padre.
Pasce Proteo pastor mandra di foche ,
Orche, pistrl, balene ed altri mostri ,
Delle cui voci mormoranti e roche
Fremon per tutto i cavernosi chiostri ;
E le guarda e le conta, e non son poche,
E scagliose han le terga, e curvi I rostri.
Glauchi ha gli occhi lo Dio,cllestro II volto,
E di teneri giunchi il crine involto.
Giunto alla vasta e spaziosa corte
Stupisce Amor da tutti quanti 1 lati :
Polche per cento vie, per cento porte *
Cento vi scorge entrar fiumi onorati ,
Che quindi poi con piante oblique e torte
Tornan per invisibili meati
Fuor del gran sen, che gli concepe e serra,
Con chiare vene ad innaffiar la terra.
Vede l'Eufrate dlvlsor del mondo ,
Che i bei cristalli suoi rompendo piange.
Vede l'originai fonte profondo
Del Mi, che il mar con sette bocche frange.
E vede in letto rilucente e biondo
Del più fino metal corcarsi il Gange ,
11 Gange, onde trae l'or, di cui si suole
Vestir quand* esce In sul matthio il Sole.
Vede pallido li Tago in su la riva.
Non mcn ricchi sputar vomiti d' oro ;
E trar groppi di gel neli' onda viva
li Reno, r Istro, e il Rodano sonoro.
Di salce il Mincio, l'Adige d'oliva,
L'Arno al par dei Peneo cinto d'alloro,
Di pampini il Meandro, ed' edre l'Ebro,
E d'auree palme incoronato il Tebro.
Vede di verdi pioppo ombrar le corna
L' Eridano superbo e trionfale ,
Ch' ove il rettor del pelago soggiorna
Vien dall' Alpi a votar l'urna reale;
E mercè de' suol duci, 11 ciglio adoma
DI splendor glorioso ed immortale;
Onde quel eh' è nel ciel di lume agguaglia,
E con fronte di Luna II Sole abbaglia.
14
ìAàxamL
Poi di grifi» ntaor ne veés- mpUit
Che con rvmi divisi in varie parti
Per i* Italia ieUce errano scioiti
Dei gran padre Appennin concetti eparti.
E quai di canna, e quai di mirto aTvoitt
Le tempie, e guai di rosa ornati e sparti,
Somniinìstranconracque in lunga schiera
Sempiterno alinìciito a pi imavera*
Tra questi yumii iieliuol del l>el Tirreno,
Il mio Sel>eto ancor i* acque confonde :
Picciolo si, ma di delizie pieno.
Quanto ricco d* OHor, povero d* onde.
Giriti intorno il ciel sempre sereno.
Nò sfiori aspra stagion le belle sponde.
Né mai la luce dei tuo vivo argento
Turbi con sozzo pie fetido armento*
Giacque in te la Sirena, e per te poi
Sorger viriude, e fiorir gloria io veggio.
Trono di Giove, e di pregiati eroi
Felice albergo e fortunato seggio;
Dolce mio porto, agli abitanti tuoi , f gio,
Ne' cui pel ti ho il mio nido, eterno io deg-
Padre di cìkiìì, e lor ri covro eietto,
E de' fralelli miei fido ricetto.
Con questi encomj affettuosi Amoro
Dei patrio fiume mio le lodi spande,
Che il riconosce al limpido splendore,
Che fra mili' altri è segnalato e grande ^
E de' cedri fioriti al grato odore.
Di cui s' intesse al crin verdi ghirlande^
Intanto nella gelida caverna ,
Dove siede Nettuno, i passi interni»
Seggio di terso orientai cristalio
Preme de' flutti il regnator canuto^
Che da colonne d' oro e di corallo
Con basi di diamante è sostenuto*
E chi d' una tealudine a cavallo ,
Chi d'un deifin^ ciii d' un vi tei cornuto,
Cento aJtri Dei n>inor. Numi vuigari.
Cedono a lui la monarchia de' mari*
Non pensar ohe |>er ira« Amor gli disse,
Gran padre delle cose, a te ne vegna ;
Che non può Dio di pace amarle risse,.
E nel petto d'Amore odio non regnc;
Ma perchè nuovamente il Ciel prefisse
Impresa all' arco mio nobile e degtta»
Per render l' opra agevole e spedita.
Di contese favor ti chieggie alta*
Tiivedillk, dvvft di Siria siede
La spiaggiaestreroa, die eoi oyv confiate
Vago fanctul del mio bei regno erede-
Col -remo esercitar i' onda < marina*
Questo, diedi l>eileszaogni altro eccede,.
Alla mia i>elia madre it Cl(4desUnav
Onde frutto uscir dee di Mtà tantsi,.
Che sia simile in tutto alia saa pianta.
Se deriva* da te l'originmia.
Se a chi mi generò desti la cuna,
Se il tuo desir, quando d'amor languia..
Ottenne unqua da me dolcezza alcuna,
Acciocch' io possa per più facil viat
Condurlo a posseder tanta fortuna,
Mercè di quanto feci, o a far mi resta.
Siavi nel regno tuo breve tempesta*
Di questa Immensa tua liquida sfera
Turbar la beila e placida quiete
Piacciati tanto sol, eh* innanzi sera
Venga Adone a cader nella mia rete.
E Pia tutto a suo prò, perchè non pera
Sì ricca merce io mai sicuro alicte,
11 cui navigio con incerta legge
Piùiltimorclie il timon governa e regge;
Sai che quando Ciprigna in novi amori
Occupata non è, come ha per uso ,
Usurpando a Hinerva i suoi lavori
Non sa, se non trattar la spola, o il fosOf
Onde inntil letargo opprime i cori ,
Torpe spento il mio foco, il dardo ottuso.
Manca il seme alla vita, ed infecondo
A riscliio va di spopolarsi il mondo.
Oltre queste cagion, per cui dorrei
Impetrar quaich' efletto alle mie voci.
Dee r util proprio almeno a' preghi miei
Far più le voglio tue pronto e veiool.
Da questt feilcissinii imenei
Corteggiata da mille e mille Prod
Beroe uscirà, che più d'ogni -altra l)elbi>
Fia delie Grazie l' uitims sorella.
Costei, siceome mi moslraro in cielo
L' adamantino tavole immortali ,
Dov« nel cerchio dei signor di Delo
Giove scolpi gli oracoli fatali ,
Concede ai re del liquefatto gelo
L' allo tener di quegli etemi aimaH ,
Perciiè venga! a scaldar eoi doKee lumo
Del freddo letta tuo V umido piume^
L'AIM>^*
15
Ma quando ancorda quel, cb' Mscplpio
Chi move U tutto « il (ato altro volgeste*»
Sebben di Tebe il giovioetto Dio
Fia tuo rivai nelle belleve ìstesse»,
A dispetto del Ciel tei promell' io :
Scrìtte in diamante sien le mie promease.
Io» che.Giove o destin punto non curo»
Per r acqpe sacre,epermeslesao il giuro*
Cosi parlava, e il ro dell* onde intanto
A lui si volse con tranquilla faccia;
0 domatore indomito di quanto
Il ciel circonda e i' Oceano ai)bracciai,
A chi può dare altrui letizia e pianto [ciai
Ragione è ben, che appieno orsicompiao-
Spendi comunque vuoi quanto poss' io^
Pende dal cenno tuo l'arbitrio mlo«
E qual onda Ha mai , die a tuo talento
Qui non si renda o torbida o tranquilla,
Se ardon nel molle e mobile elemento
Per Ciquotoe Triton, Glauco per Scilla 7
Come Ha tardo ad ubbidirti il Vento,
Se il re de* Vcuti ancor per le sfavilla?
E ricetian l'ardur ne' freddi cori.
Borea d' Orùia, e Zcfflro di Uori ?
Tu virtù somma de' superni giri,
Dispensier delle gioie e de' piaceri ,
Imperator de' nobili deslri,
Illustrator de' torbidi pensieri ,
Dolce requie de' pianti e de' sospiri ,
Dolce union de' cori e de' voleri ,
Da cui Natura trae gli ordini suoi,
Dio delle meraviglie, e cbe non puolS
Siccome tanti qui fiumi che vedi.»
Del mio reame tributar] souo ,
Cosi signor, che V anime possiedi ,
Tributario son io del tuo gran trono.
Ond* a quant' oggi brami e quanto cliiedl
Do questo scettro a te devoto in dono,
0 gioia, o vita uni versai del mondo»
Altro che l' eseguir piCi rispondo.
Co» dice Nettuno, e cosi detto
Crolla 1* asta trisulca , e 11 mar scoscende »
D' alpi spumose oltre 11 ceruleo IcUo.
Cumulo \asto iuver le stelle ascende;,
Urtanal i Venti in minaccioso aspetto t»
Delle concayo. nubi aniqie orrende ;
E par che rutto , o dlstcmprato in gelo
Voglia nel mar precipitaro.il delo..
Borea d! aspn^teuxo» UronbaffnerHom
Sfida 11 turbo a battaglia,, a la prooaUaé
Curva r arco dipinto Iride arciera*,
E scocca lampi invece di quadrelli
Vibra la spada sanguinosa e Aem
Il superbo Orlon torbida stella.,
E il ciel minaccia, ed alle nubi piene
D' acqua iitf iene e di foco^apre le vene»
Fuor del confin prescritto la alto poggi»
Tumido limar di gran superbia, e cresce.
Ruinosa nel mar scendo la pioggia «
Il mar col cielo , 11 ciel col mar si measd»
In novo stile , in disusata foggia
L'augello il nuoto impara, il votoli pesce.
Oppongonsl elementi ad elementi, [ti.
Nubi a nubi, acque ad acque, eventi a vca^
Potè (tant*alto quasi il flutto sorse)
La sua sete ammorzar la Cagna estiva (
E di nova tempesta a riscliio corse
Non ben secura in ciel la Nave argiva.
E voi fuor d'ogni legge, o golid'Orse,
Malgrado ancor dcila gelosa Diva ,
Nel mar vietato i luminosi velli
Lavaste pur delle stellate p^li»
Dell che farai dal patrio suol lontano^
Misero Adone, a navigar mal atto 7
Vaghezza pueril tanto pian piano
Il mal guidato paUschermo ha tratto,
Che la t(rrra natia sospiri invano
; Dal gran rischio confuso e soprailatto»
Tardi ti penti , e sbigottito e smorto
Omaiv cominci a disperar dei porto.
Già già conirìen, che lltimido ooocUero
; Air arbitrio del caso s' abbandoni..
Fremono per lo ciel torbido e nero
Fra baleni ondeggianti i rauclii tuoni*.
E tuono aneli' egli 11 re dell' acque altero,,
Ch' a SUOR d'austri soffianti e d' aquiloni
Col fulmine dentato (emulo, a Giove)
Tormentando la terra , il mar commovc.
Corre la navicella, e ratta. e lleTo
La corrente del man acco la porta..
Piega r orlo talvolta «. e l' onda bew^
Assai vicina a rinwicrae astore.
Più pallido- e più gelido che nev^.
Volgesi Adon^ né scorge plù.laiSCorMSt.
E di morte si vasU U fiero aspetto
Confonde g|l occhi suoi» spaventa U^mUi^
16
MARINO.
Ma mentre privo di terreno aiuto
L* agitalo battei Tacilla ed erra ,
Kmbo ì fianchi sdrucito e combattuto
Da queir ondosa e tempestosa guerra \
Quando il fanciul più si tenea perduto ,
Ecco rapidamente approda In terra ,
K tra giunchi palustri in su la rena
Vomitato dair acque , Il corso affrena.
Oltre r Egeo, là donde spunta in prima
Il pianeta maggior, che il di rimena ,
Sotto benigno e temperato clima
Stende le falde un* isoictta amena.
Quindi il superbo tauro erge la cima,
Quinci il famoso Nil fende l' arena.
Ha Rodo Incontro , e di Soria vicini ,
E di QUcia I fertili confini.
Questa è la terra,che alla Dea che nacque
Dall'onde con miracolo no^ello,
Tanto fu cara un tempo, e tanto piacque,
Che disprezzato il suo disino ostello.
Qui sovente godea fra 1* ombre e T acque
Con invidia dell' altro un elei più bello ;
E V* ebbe eretto all' immortale esempio
Della sua diva imago altare e tempio.
Scende quivi il garzon salvo all' asciutto.
Ma pur dubbioso e di suo stato Incerto ,
Che ancor gli par dell* orgoglioso fluito
Veder l' abisso orribilmonte aperto.
Volgesi intomo , e scorge esser por tutto
Circondato dal mar, bosco e deserto.
Ma quella solitudine che vede.
Gioconda è sì, che altro piacer non chiede.
Quivi si spiega in un sereno eterno
L'aria in ogni stagion tepida e pura,
Cui nel più fosco e più cruccioso verno
Pioggia non turba mai , né turbo oscura ;
Va prendendo di par l'ingiurie a sche^no
Del gelo estremo e dell' estrema arsura ,
Lieto vi ride , né mai varia stile
Un sempre verde e gfovinetto aprile.
I discordi animali in pace accoppia
Amor, né l' un dall' altro offeso geme.
Va con r aquila il cigno in una coppia ,
Ma col falcon la tortorella insieme.
Né della volpe insidiosa e doppia
Il semplicetto' pollo inganno teme.
Fede all'amica agnella il lupo osserva,
E secura col veltro erra la cerva.
Da' molli campi , I cui bennati fiori
Nutre di puro umor vena vivace,
E dolce confusion di mille odori
Sparge e invola volando aura predace.
Aura che non pur là con lievi errori
Suol tra rami scherzar spirto fugace.
Ma per gran tratto d' acque anco da lunge
Peregrinando 1 naviganti aggiunge.
Va oltre Adone , e Filomena e Progne
Garrir ode per tutto , ovunque vanne ,
E di stridule pive , e rauche brogne
Sonar foreste e risonar capanne.
Di villane sordine e di sampogne.
Di boscherecci zufoli e di canne ,
E con alterno suon da tutti 1 iati
Doppiar muggiti, e replicar belati.
Solitario garzon posarsi stanco
Vede all' ombra d* un lauro In rozza pietra;
Ha l'arco a' piedi, e gli attraversali fianco
D'un bei cuoio linceo strania faretra.
Veste pur di cerviero a negro e bianco
Macchiata spoglia, e tiene in man la cetra.
Dolce con questa al mugolar de' tori
Accorda il suon de' suoi selvaggi amori.
Di dorato coturno ha II pie vesiito ,
Eburneo corno a verde fascia'appende.
Ride il labbro vivace e colorito,
Sereno lampo il placid* occhio accende.
Ha fiorita la guancia, il crin fiorito,
E fiorita é l'età, che bello il rende.
Tutto in somma di fiori é sparso e pieno.
Fior le ipan, fior la chioma, e fiori il seno.
Formidabii masti n dal destro lato
In un gruppo giacer presso egli scorse ,
Che con rabbioso ed orrido latrato
Quando il vide apparir contro gli corse ;
Ma posto il plettro in su 1* erboso prato
Il cortese vliian subito sorse ,
E 1* indomito can , perciié ristesse ,
Fugò col grido e col baston corresse.
Ubbidisce il superbo , a pie gli piega
L' irsuta testa, e l'irta coda abbassa.
Quegli alia gola intomo allor gli lega
Con tenace cordon serica lassa.
Poscia il real donzello Invita e prega.
Che oltre vada seciiro, ed egli passa.
Passa colà, dove raccoglie umile
Famiglia pastora! rustico ovile.
L'
Stassene alcun su le fiorite rive
D* una sorgente cristallina e fresca.
Altri per i* elei folte all'ombre estive
1 vaghi augelli insidioso invesca.
Altri ne* verdi faggi intaglia e scrive
D' amor tulio soletto il foco e V esca.
Altri rintraccia di sua Ninfa V onne.
Altri salta, altri siede, ed altri dorme.
ADONE. 17
Vi iia poi templi ed altari, hawi Amor se-
Simuiacri , olocausti e sacerdoti , [ co
Dove in segno di onor del popol greco
Pendono affissi in lunga serie i voti.
Offrono al Nume farelralo e cieco
Vitiime elette i supplici devoti ,
E gli spargono ognor tra roghi e lumi
Di ghirlande e d'Incensi odori e fumL
Quei con versi d*amor I*aure addolcisce
Al susurrar de* lubrici cristalli, [disce.
Questi al tauro, al monton , che gli ubbi-
Insegna al suon della siringa i balli.
Qual fiscelle d* ibisco , e qual ordisce
Serti di fiori o purpuriui o gialli.
Chi torce ali* agne le feconde poppe ,
Chi di latte empie i giunchi, echi le coppe.
Col bel fanciullo, ove gran d* ombra sten-
Pergolato di mirti , il pastor siede, [de
Quivi Adon sue fortune a narrar prende,
Della contrada e di lui slesso chiede.
L' un gli risponde , e 1* altro in lauto pende
Dal parlar, che d' amore il cor gli fiedc.
Strani , gli dice , olir* ogni creder quasi ,
Peregrino gentil , sono i tuoi casi.
Ma cangiar patria omal deh non ti spiac-
Con si bel loco , e rasserena il ciglio , [eia
Che se pur (come mostri} ami la caccia.
Qui fere avrai senzMra e senz'artiglio.
Né creder vo', che indarno il Ciel ti faccia
Campar da tanto e sì mortai periglio ,
0 senz'aita cagion per via si lunga
Perduto legno a queste rive giunga.
Così compia i tuoi voti amico Cielo,
E secondi i desir desira fortuna ,
Come fra quanil col suo pie di gelo
Paesi Inferior scorre la Luna ,
Non potea più conforme a sì bel velo
Terra trovarsi , o regione alcuna.
Certo con lei , che con Amor qui regna,
Sol di regnar tanta bellezza è degna.
L* isola , dove sei , Cipro s* appella ,
Che del mar di Panfilia In mezzo è posta.
La gran reggia di Amor, vedila, è quella.
Che io là ti addito In ver la destra costa.
Né ( se non quanto li vuol la Dea più beila)
Colà giammai profano pie s* accosta.
Scender di del qui spesso ella ha per uso;
In altro tempo il ricco albergo è chiuso.
Qui per elezion, non per ventura ,
Già di Liguria ad abitar venn' io.
Pasco per l'odorifera verdura
I bianchi armenti , e Clizlo è il nome mio ;
Del suo bel parco la custodia in cura
Diemnii la madre dell'alato Dio,
Dov' entrar, fuor che a Venere , non lice ,
Ed alla Dea selvaggia e cacciatrice.
Trovato ho in queste selve ai flutti amari
Di ogni umano travaglio il vero porto.
Qui dalle guerre de' civili aflari.
Quasi in sicuro asilo , il Ciel mi ha scorto.
Serici drappi non mi fur sì cari ,
Come r arnese ruvido che io porto ;
Ed amo meglio le spelonche e 1 prati ,
Qie le logge marmoree e 1 palchi aurati.
Oh quanto qui più volentieri ascolto
I susurrl dell' acque e delle fronde ,
Che quei del foro strepitoso e stolto.
Che il fremito volgar rauco confonde!
Un' erba , un pomo , e di fortuna un volto
Quanto più di quiete in so nasconde
Di quel che avaro principe dispensa
Sudalo pane in mal condita mensa!
Questa felice e semplicetta gente.
Che qui meco si spazia e si trastulla ,
Gode quel ben , che tenero e nascente
Ebbe a goder sì poco 11 mondo in culla :
Lecita libertà , vita innocente ,
Appo il cui basso stalo 11 regio è nulla,
Che sprezzare i tesor, né curar l' oro
Questo é secolo d' or, questo é tesoro.
Non cibo, o pasto prezioso e lauto
II mio povero desco orna e compone.
Or damma errante , or capriolo incauto
L' empie, or frutto maturo In sua stagione.
Detto talora a suon d' avena , o flauto
Al discepoli boschi umli canzone;
Serva no, ma compagna amola greggia;
Questa mandra malculta é la mia reggia.
18
MARINO.
Luo^ da* (asti ambliioai e Tanl
MièscettroU miobaston, porpora il veil«»
Ambrosia il latte , a cui le proprie mani
Servon di coppa, e nettara ii ruscello.
Son ministri i bifolcbi , amici i caiU ,
Sergente il toro , e cortìgian V agnello ,
Musici gli augeiletii e 1* aure e l'onde.
Piume l'erbette, e padiglion le fronde.
Cede aquest' ombre ogni più cbiarafnce,
Ai lor silenzi i più canori accenti ;
Ostro qui non fiammeggia or non riluce ,
Di cui sangue e pailorson gli ornameuU.
Se non ballano i fior, die il suol produce,
DI più beir ostro e più bell'or lucenti ,
Ck)n sareno splendor spiegar vi suole
Pompe d' ostro 1* Aurora e d' oro il Sole.
Altro monnorator non è che si oda
Qui mormorar, che il mormorio del rivo.
Adulator non mi lusinga o loda,
Fuor che lo specchio suo limpido e vivo.
Livida invidia, die altrui strugga e roda
Loco non vi lia, poiché ogni cor n' è schivo.
Se non sol quando in questi rami eln quelli
Gareggiano tra lor gli emuli augelli.
Hanno coIà tra mille insidie in corte
Tradimento e calunnia albergo e sede,
Dal cui morso crudel trafitta a morte
É l'innocenza e lacera, la fede.
Qui non regna perfidia , e se per sorte
Piccìol ape talor ti punge e fiede ,
Piede senza veleno , e lo ferite
Con usure di mei son risardte.
Non sugge qui crudo tiranna il sangue,
Ma discreto bifolco il latte coglie.
Non mano avara al poverello esangue
La pelle scarna , o le sostanze toglie.
Solo all'agnel , che non però ne langue,
Havvi chi tonde le lanose s|)oglie.
Punge stimolo acuto il fianco a' buoi ,
Non desire immodesto il petto a noi.
Non si tratta fra noi del fiero Marte
Sanguinoso e mortai ferro pungente ,
Ma di Cerere si, la cui beli* arte
Sostien la vita, il vomere e il bidente.
Né mai di guerra in questa o in quella par-
Furore insano o strepito si sente, [le
Salvo di quella, che talor fra loro
Fan eoa cozzi amorosi U capro e U toro.
Con landa o brando mal non si contrasla
In queste beatissime contrade.
Sol di Bacco talor si vibra 1* asta ,
Onde vino e non sangue hi terra cade.
Sol quel presidio ai nostri casipi basta
Di tenerelle e verdeggianti spade ,
Che nate IJI su le vicine sponde
Stansi tremando aguerreggiarcon 1' «ade.
Borea eoa soffi orribHI ben pole
Crollar la selva e batter la foresta.
Pacifici pensier non turba o scote ,
Di cure vigilanti aspra tempesta.
E se Giove talor fiacca e percote
Dell'alte querce la superl>a testa.
In noi non avvieu mai che scocchi maodk
Fulmini di furor l' ira de' grandi.
Così tra verdi e solitari boschi
Consolati ne meno i gìonii e g^ amiL
Quel Sol , che scacc la 1 tristi orrori e foschi,
Serenaanco 1 pensier, sgombra gli affanni.
Non temo , o d'orso , o d' angue artigli, o
Non di rapace lupo insidie o danni ; [toschi^
Che non nutre il terren fere o serpenti ,
0 se ne nutre pur, sono innocenti.
Se cosa è che talor turbi ed annoi
1 miei riposi placidi e tranquilli.
Altro non è die Amor. Lasso, dappoi
Che mi giunse a veder la bdU Filli ,
Per lei languisco , e sol per gli occhi anoi
Convien cbe quant' io viva, arda e sfavilli;
E vo' die chiuda una medesma fossa
Del foco insieme il cenere e dell' ossa.
Ma cosi son d* Amor dolci gli strali.
Si la sua fiamma e la catena è lieve,
Che miUe strazj rigidi e mortali
Non vagliono un piacer, che si riceve*
Anzi pur vaga de' suoi propri mali.
Conosciuto veien l' anima beve;
E inquegii occhi, ov' allicrgail suodolore.
Volontaria prìgioii procaccia il core.
Curi dunque chi vuol delizie ed agi ,
Io sol piacer di villa apprezzo ed ama.
Co' tuguri cangiar voglio i palagi.
Altro tesor, che povertà ixm braoM).
Sazio dsc' vezzi perfidi e malvagi ,
Che han sotto 1' esca dolce amaro l'amo,
Qui sol qudla ottener gioia nd giona,
Cile ciascun va oercando e nessua tiova.
VJMUS,
1»
Non ti maravigliar, clie la selvaggia
Vita tanto da me pregiata sia ,
Che ancor di Giano in su la patria spiaggia
Ne cantai già con rustica armonia ;
Onde vanto immortai d'^iguU o saggisi
Concesse Apollo alla sampogna mia ,
De' cui versi lodati in Elicona
Il ligustico mar tutto risona.
Del maestro d' amor gli amori ascolta
Stupido Adone , ed a' bei detti intento.
Coltti , poicli* affrenò la lingua sciolta ,
Fé' da* rozzi valletti in un momento
Recar copia di cibi , a cui la molt^
Fame accrebbe sapore e condimento.
Mei di diletto e nettare d' amore ,
Soave al gusto e velenoso al core.
Né mai di loto abbominabil frutto.
Di secreta possanza ebbe cotanto.
Né fu giammai con tal virtù costrutto
DI iMvanda circea magico incanto ,
Cbe non perdesse, e non cedere in tutta
Al pasto del paslor la forca e il vanto.
Li<pior insidioso, esca fallace,
Doioa velen, eh' uccida e non dispiace.
Nel gìardin del Piacer le poma colse
Qizio amoroso , e quindi il vino espresse,
Ond' ebbro in seno il giovinetto accolse
Fiamme sottili, indi s'accese in esse.
Non però le conobbe e non si dolse, [ se.
Che fincb' uopo non fu, giacquer soppres-
Qual serpe ascosa in agghiacciata falda.
Che non prende vigor, se non si scalda.
Sente un novo desir, ch'ai cor gli scende,
E serpendo gli va per entro il petto.
Ama, né sa d' amar, né ben intende
Quelstto dolce d'amor non noto efletto, [de
Ben crede, e vuole amar, ma non compreu-
Qual esser deggia poi V amalo oggetto ;
E pria si sente incenerilo il core »
Cbe s'accorga il suo male essere amore.
Amor eh' alzò la vela, e mosse 1 remi
Quando pria tragittollo al bel paese.
Va sotto l' ali fomentando 1 semi
Della fiamma, eh' ancor non è palese.
Fa su la mensa iatanto addur gli estremi
Della vivanda ti contadio cortese.
Adon solve il digiuno, e 1 vasi liba,
E quei segue il parlar, mentr'ei si ciba.
Signor, tu vedi il Sol, ch'avventa i ral
Di mezzo V arco, onde saetta il giorno.
Però qui riposar meco potrai
Tanto che il novo di faccia ritorno.
Ben da sincero cor, prometto, avrai
In albergo vìllan lieto soggiorno;
Avrai con parca mensa e rozzo leltp«
Accoglienze cortesi e puro affetto.
Tosto cbesusurrartra U vxUto^ììùisi^»
Io sentirò l' auretia. mattutina^
Teco risorgerò, per far iiassaggio
Alla casa d'Amor, di' è qui vicina.
Tu poi quindi prendendo altro viaggio.
Potrai forse saldar l' alta ruina,
GoDosduto che sii l'unico e vero
Successor delia reggia e dell* impero.
Benché non tema il folgorar dd Sole
Tra fatiche e disagi Adon nutrito.
Di quell' oste gentil non però vole
Sprezzar 1* offerta, o ricusar l' invito.
Risposto al grato dir grate parole.
Quivi di dimorar prende partito;
E ringrazia il destin, che lasso e rotto
A si cara magion l'abbia condotto.
Sceso in tanto nel mar Febo a colcarsi
Lasciò le piagge scolorite e meste,
E pascendo 1 destrier fumanti e arsi
Nel presepe del del biada edeste.
Di sudore e di foco umidi e sparsi
Nel vicino Ocean lavar le teste;
E l'un e r altro Sol sunco si giacque,
Adon tra'ftori,ApoUo in grembo all'acque.
30
MARINO.
CANTO SECONDO.
IL PALAGIO D' AMORE.
ALLEGORIA.
Le ricchezze della casa d* Amore e le sculture della porta dì essa, contenenti l'a-
zioni di Cerere e di Bacco, ci danno a conoscere le delizie della sensualità e quanto
l'uno e l'altra concorrano al nutrimento della lascivia. Le cinque torri comprese
nel detto palazzo son poste per esemplo de' cinque sentimenti umani , che sono
ministri delle dolcezze amorose, e la torre principale , eli' è più elevata dell' altre
quattro , dinota In particolare il senso del tatto in cui consiste l' estremo e 1* eccesso
di simili dilettazioni. La soavità del pomo gustato da Adone ci insegna, che per lo
più sogliono sempre 1 frutti d' Amore essere nel principio dolci e piacevoli. Il giudizio
di Paride è simbolo della vita dell'uomo, a cui si rappresentano Innanzi tre I>ec,
doè l'attiva, la contemplativa e la voluttaria; la prima sotto nome di Giunone, la
seconda di Minerva e la terza di Venere. Questo giudizio si commette all'uomo, a
cui è dato libero l'arbitrio della elezione, perchè determini qual di esse più gli piac-
cia di seguitare. Ed egli per ordinario più volentieri si piega alla libidine e al pia-
cere, che al guadagno, o alla virtù.
ARGOMENTO.
AI palagio, ov'Amor chiude ogni gioia,
Ne van Clizio ed Adone in compagnia ;
Clizie gli prende a raccontar per via,
11 gran giudicio del paator di Troia.
Giunto a quel passo il giovinetto Alcide
Che fa capo al cammin di nostra vita.
Trovò dubbio e sospeso infra due guide
Una via, che 'n due strade era partita.
Facile e plana la sinistra el vide,
DI delizie e piacer tutta fiorita;
L'altra vestla l'ispide balze alpine
DI duri sassi e di pungenti spine.
Stette lung'ora irresoluto In forse
Tra' duo sentieri il giovane Inesperto,
Alfine il pie ben consigliato ei torse
Lunge dal calle morbido ed aperto ;
E dietro a lei, eh' a vero onor lo scorse,
Scelse da destra il faticoso ed erto.
Onde per gravi rischi e strane imprese
Di somma gloria In su la cima ascese.
E cosi va chi con giudicio sano
Di virtù segue l' onorata traccia.
Ma cliiunque credendo al vizio vano
Cerca il mal, eh' ha dì ben sembianza e fac-
Giunge per molle e spazioso piano [eia.
Dove in mille catene II piede allaccia, [modi
Quante 11 perfido, ahi quante, e'n quanti
N' ordisce astute insidie, occulte frodi.
Per l'arringo mortai, nova Atalanta
L' anima peregrina e semplicetta,
Corre veloce, e con spedita pianta
Del gran viaggio al termine s'affretta.
Ma spesso il corso suo stornar si vanta
Il senso adulator, eh* a sé 1* alletta
Con r oggetto piacevole e gioconda
Di questo pomo d' or, che nome ha Mondo.
L'AiyONE.
Curi Io scampo suo, fugga e disprexil
Le dolci ofTerte, i dilettosi inganni.
Né perchè la lusinglii e l' accarezzi.
Disperda in fiore il verdeggiar degli anni.
Mille ognor le propon con finii Yeizl
Per disviarla da' lodati aflTanni
Gioie amorose, amabili diporti.
Che poi fruttano altrui ruine e mortL
Da si fatte dolcezze ella Invaghita
Di farsi esca al focile, e segno all'arco,
Nella cruda magion passa tradita
Di mille pene a sostener l' Incarco;
Gabbia sena' uscio, e career senza uscita.
Mar senza riva, e selva senza varco,
Labirinto ingannevole d'errore.
Tal è II palagio ov' ha ricetto Amore.
Già l'auge! mattutin battendo intomo
L'ali, a bandir la luce ecco s'appresta,
E 'I capo e '1 pie superbamente adorno
D'aurato sprone e di purpurea cresta.
Delia villa oriuol, tromba del giorno,
Con garriti iterati 11 mondo desta,
E sollecito assai più che non suole,
Gi4 licenzia le stelle e chiama 11 Sole.
Quando di là, dove posò pur dianzi
Dal suo sonno riscosso, Adon risorge,
Che veder vuoi pria che 'I calor s'avanzi,
Se '1 elei di caccia occasion gii porge.
Qizio pastor con la sua greggia innanzi
Al vicin bosco 1* accompagna e scorge.
Là dove a suon di rustica sambuca
Gonvien sul mezzodì, eh' ei la riduca.
Disegna Adon, se pur tra via s'abbatte
In damma, In damo, o in altra fera alcuna,
Errando ancor per quell' ombrose fratte
Torcer dell* arco la cornuta Luna.
Quest' armi avea (come non so) ritratte
In salvo dal furor della Fortima;
Me so qual tolto avria fra le tempeste
Più tosto abbandonar, la vita o queste.
Cosi, mentre vagante e peregrino
Scorre l' antico suo paterno regno.
Del crudo arder, del perfido destino
Affretta l'opra, agevola 11 disegno.
Ma stimando fatale 11 suo cammino.
Poiché campò gran rischio in plcclol legno.
Spera, quando alcun di quivi soggiorni.
Che lo scettro perduto hi man gli tomi.
21
Veggendo come per si straoU via
Dalla terra odorifera sabea
Mirabilmente all' isola natia
Pietà d'amico elei scorto l'avea,
E che del loco, ond'ebbe origin pria,
II leggi ttimo stato in lui cadea.
Nel favor di Fortuna ancor confida.
Che de' suol casi a' bel progressi arrida.
Appunto il Sol su la cornice allora
Della finestra d'or levava il ciglio,
Forse per risguardar, s'avesse ancora
Nulla eseguito Amor del suo consiglio,
Quando di lei, che '1 terzo giro onora,
Dolente pur del fuggitivo figlio.
Vieppiù da lui, che dal pastor guidato.
Giunse presso all' ostello avventurato.
Ancorché chiusa sia, com' ognor suole,
L' entrata princIpal della magione,
Tanta 6 però di si superba mole
La luce esterior, eh' abbaglia Adone.
La reggia famosissima del Sole
De* suol chiari splendori al paragone
Fora vile ed oscura, e '1 giovinetto
D* infinito stupor ne colma il petto.
Sorge il palagio, ov' ha la Dea soggiorno,
Tutto d* un muro adamantino e forte, [no
I gran chiostri, 1 gran palchi invidia e scor-
Fanno alle logge dell' empirca corte.
Ha quattro fronti e quattro fianchi intorno;
Quattro torri custodi e quattro porte ;
E piantata ha nel mezzo un' altra torre,
Che vien di cinque il numero a comporre.
Ne' quattro angoli suol quasi a compasso
Poste le torri son tutte egualmente.
Quella di mezzo è del medesmo sasso,
Ma dell* altre maggiore, e più eminente.
L' una all'altra risponde, e s' apre li passo
Per più d' un ponte eccelso e risplendente;
E con arte assai bella e ben distinta,
Ciascuna delle quattro esce alla quinta.
Sì alto e sì sottile è ciascun arco.
Che sotto ciascun ponte si distende.
Che ben si par, che quel sublime incarco
Per miracol divino in aria pende.
L'incurvatura, ond'ogni ponte ha varco,
DI tante gemme variata splende,
Ch'ogni arco al lumi ed ai color che veste.
Somiglia in terra un' iride celeste.
32
iTAhlNO.
Son fatte in (fMdro, e Mn é* egnat misura,
Tranne la prìMipal IVa Taltre tutte,
Gh'è fabbrteaita In sferfca figura.
Son dlstantf del pari, e «on condotte
Le linee a fli coti vaga arthltettura,
E salvo la maggior, che*n grembo il tiene,
PtT Ogni torre in un glardin si viene.
Non di porfidi ornaro, o scrpentint
Quello strano «difitio i dotti mastri,
Ma fer di sassi orientali e fini
Comignoli e comid, arclil e pllasttl.
Preziosi crisoliti e rubini
Segar di marmi in vece e d* alabastri,
E tutte qui dell' Indiche spelonche,
E de' lidi eritrei votar le conche.
balle vene del Gange il fabbro scelse
11 più pregiato e Incido metallo,
E dalle rupi deli' Arabia svelse
Il diamante purissimo e *l cristallo.
Onde compose le colonne eccelse
G>n ben dritta misura ed intervallo,
Che su diaspro rilucente e saldo
Ferman le basi, e 1 capi han di smenlldo.
Tra colonna e colonna al peso altero
Sommessi i busti smisurati e grossi,
Servon d'appoggio ai grave magistero
In forma di giganti alti colossi.
Son fabbricati d* un berillo intero,
E d'ardente piropo han gli occhi rossi.
Ciascun regge un fcston distinto e misto
DI saflir, di topazio e d'ametisto.
Splende intagliata di fabbril lavoro
La maggior porta del mirabll tetto.
Sovra gangheri d'or spigoli d'oro
Volge e serragli ha d' or limpido e schietto.
È sostegno e non fregio al gran tesoro
Del ricco ingresso il calci donio eletto.
Soggiace al pie, quasi sprezzato sasso,
Nella lubrica soglia 11 Ikì balasso.
Qudl di mezzo 6 d' argento e mflle in esso
Illustri forme Industrc mano indse;
E di lor col rilievo e coi commesso
Gli atti e i volti distinse in varie guiȏ.
Vero II fhito dirà vero ed espresso
Uom, che v* abbia le bici Intente e fise.
L* opra, eh* opra è dell* arte, e qittsl spira.
Con* Opra di sm ami, Natura aMinlra.
In Mia Inatte dèi supei^ e bello
Uscio, ch'ai vivo ogni figura esprime,
Scolpì Vulcan col suo divin scarpello
L'alma tnventrlce delle biade prime.
Fumar Etna si vede, e Mongibelto
Fiamme eruttar dalle nevose cime.
Ben sepp'egll Imitar del patrio locO
Con rubini e carbonchi il fumo e '1 foco.
Vede^ 1% per la campagna aprica,
Tutta vestita di novella messe.
Biondeggiar d'oro ed ondeggiar la spica.
Sparsa pur or dalle sue mani islesse.
Scoglio gentil (par che tacendo dica.
Sì ben le >t>cI ha nel silenzio espresse)
Siami fido custode 11 tuo terreno
Del caro pegno, ch'io ti lascio In Steno.
Ecco ne vlcn con le compagne elette
La vergin fuor della materna soglia,
E per ordir monili e ghirlandette
De' suol frogj più vaghi il prato spoglia.
Già par che 1 fior tra le ridenti erbette
Apra con gli occhi, e con le man raccoglla,
Ritrar non sapria meglio Apelle o Zeusi
La bella figlia della Dea d'Eleusi.
Ed ecco aperte le sulfuree grotte.
Mentre eh' ella compon gigli e viole,
Dai fondo fuor delia tartarea notte
Il rettor delle Furie uscire al Sole.
Fuggon le Ninfe, e con querele rotte
l>a rapita Prose rpina si dole.
Spuman tepido sangue, e sbuffan neri
Aliti di caligine i destrieri.
Ecco Cerere In Flegra afllilta ricde,
Ecco gemino pin succide e svelle,
E per cercarla, fattone due tede.
Le leva In alto ad uso di facclle.
Simile al vero il gran carro si vede
Ricco di gemme sfavillanti e belle.
Van con lucido tratto il ciel fendenti
L'ali verdi battendo 1 duo serpenti.
Dall' altro lato mirasi scolpito
Il giovinetto Dio, clic '1 Gange adora.
Come immaturo ancor, non partorito
Giove dal aen materno il tragge fora.
Come gH è madre il padre, indi nutrito
Dalle Mnfé di Nlsa, I boschi onora.
Stranio parto e mirabile, che fae
Un« volta concetto, e nacque dui*.
L'ADONE.
23
in un eam di palmiti sedere
Vedilo altrove, e gir subitine e lieve.
Urano il carro rapide e Icggiem
Quattro d' Ircaaia generose allieve.
Leccano iatinlo il freni' orride fere
Del buon lleor, cbe fa gioii* olii *1 bere.
Egli tra i plausi della vaga plebe
Pa^sa lastoso e trionfante a Tebe.
n non mai sobrio e Tecchlare! Sileno
Sovra pigro asinel vien sonnacchioso,
Tinto tutto di mosto il viso e '1 seno,
Verdeggiante le chiome e pampinoso.
Già già vacilla, e per cader vien meno,
Rpggon Satiri e Fauni il corpo annoso;
Gravi porta le ciglia e le palpebre
DI vino e di stupor tumide ed ebre.
Vulgo dal destro lato e dal sinistro
Di iandulii e di Ninfe si confonde,
E par eh' a suon di crotalo e di sistro
Vibrìn tirsi e corimbi e frasche e fronde ;
Inghirlandan di Bacco ogni ministro
Verdi viticci, nve vermiglie e bionde :
E son le vi(i di smeraldo fino,
L' uve son di giacinlo e di rubino.
Qniod e quindi d* intomo ondeggia e
La turba delle vergini Baccanti, [bolle
E corre e salta infuriato e folle
Lo strepitoso stuol de* Coribanti.
Par già tutto tremar facciano il colle
Buccine e comi e cembali sonanti.
Pien di tant'artc è quel lavor sublime.
Che nel muto metallo in suono esprime.
Quanto Adon più d'appresso al loco fossi ,
Più la mente gl'ingombra alto stupore.
Questo è il cid della terra e quind vassi
Alle beatitudini d'Amore.
Cosi colà volgendo 1 guardi e i pasd,
In fronte gli mirò scritto di foore.
Tatto d'incise gemme era lo scritto,
Tarsialo a caraUerì d' Egitto.
Ecco il palagio, ove Ciprigna alberga,
Disse allor Qizio, e dov'Amor dimora.
Io quando avvlen che 1 Sol più alto s'erga,
Menar qui la mia greggia uso talora,
Né finché poi neil'Ocean s'immerga.
La richianùi airovil canna sonora.
Ma poiché Sirio latra, io vo ben oggi
MigiioroMbn cercar tra que' dio poggi.
Tra qve'dno poggi, cbe non lunge Vedi,
Teco verrò per soKtarìe rie.
Poi da te presi 1 debiti congedi.
T'attenderò sul tramontar del die,
E recberommi a gran mercè, sè riwS
A rìcovrar nelle capanne mie.
Forse intanto il tuo legno esposto all'onda
Fia che guidi a buon porto aura seconda.
Adon disposto di seguir sua sorte,
Cortesemente al contadi n rispose.
In questo mentre Innanzi alle gran porle
Estranie vide e disusate cose.
In mezzo un largo pian, che ri fa corte,
Stende tronco gentil braccia ramose.
Di cui non verdeggiò mai sotto il ciclo
Più raro germe o più leggiadro stelo.
Cedan le ricche e fortunate piante ,
Che dispiegare la pomposa chioma
Nel bei giardin dei libico gigante ,
Che il tergo incurva alla stellata soma.
Non so se là nelle contrade sante ,
Carica i rami di vietate poma,
Arbor nutrì si preziosa e ideila
Quel che suo Paradiso 11 mondo appella.
Ha di diamante la radice e il fusto,
Di smeraldo le fronde , 1 fior d' argento.
Son d' oro i frutti, ond' è mal sempre Odu-
E la porpora all'or cresce ornamento, [sto.
Di contentar dopo la vista 11 gusto
Al curioso Adon venne talento.
Onde un ne colse , e come appunto grave
Fusse d' ambrosia , il ritrovò soave.
E tutto colmo d' un piacer novello
AI pastor dimandò : Cbe frutto è questo ?
li frutto di quel nobile arboscello
Non è, rispose, di terreno innesto ;
E se è dolce alla bocca , agli occhi bello.
Ben di gran lunga è più perfetto II resto.
Per la virtù, che asconde il suo sapone ,
S'accresce grazia, e si raddoppia amore.
Udito hai ragionar del pomo ideo ,
Che in premio di beltà Venere oCtenno,
Per cui con tanto sangue II ferro acbco
Fé' il ratto dell' adultera solenne.
Questo poiché di lei restò trofeo ,
La Dea qui di sua mano a piantar veAUc;
E iriaotato che fu , volse dotario
DeUa proprietà di cui ti parto.
Deh, gli soggiunse Adon^senon ti pesa.
Narra l' origìn ^rim»^ e in qual maniera
Nacque fra le tre Dee l' alta contesa ,
Cbm' ella andò di si M pomo altera.
Dalle Ninfe sabee n*lio parte intesa.
Ma bramo udir di ciò 1* istoria intera.
Così men malagevole ne fia
L'aspro rigor della malvagia via.
VARINO.
Tornii OTe laricliiama alla vendetta
Dell'alta ingiuria la memoria dura,
E d'astio accesa, e di veleno infetta.
Nel velo ascosa d'una nui>e oscura.
Con la sinistra man sul desco getta
Dell'esca d'or la perfida scrittura.
Questo magico don tra tante feste
Gettò nel mezzo all'assemblea celeste.
Poicli'ebbe Amor con tanti lacci e tanti,
Il pastor cominciò, tese le reti ,
Che alfio pur strinse dopo lunghi pianti
In nodo maritai Peleo con Teti ;
Le nozze illustri di si degni amanti
Vennero ad onorar festosi e lieti
Quanti son Numi in elei, quanti ne serra
Il gran cerchio dei mare e della terra.
Fu di Tessaglia avventuroso il monte,
Dove si celebrar quest'imenei.
Di mirti e lauri gli fiorì la fronte ,-
Del trionfo d* Amor fregj e trofei ;
E le stelle gli fur propizie e pronte,
E le genti mortali e gli alti Dei,
Se non spargea dissension crudele
Tra le dolci vivande amaro fiele.
Senza Invidia non è gioia sincera,
Né molto dura alcun felice stato.
Quel gran piacer della discordia fiera ,
Madre d' ire e di liti , ecco è turbato ;
Che esclusa fuor della divina schiera,
E dal convito splendido e beato ,
Gli alti diletti e l' allegrezze immense
Venne a contaminar di quelle mense.
All'arti sue ricorre, e col consiglio
Di quella rabbia, chela punge e rode.
Corre al giardin d' Esperia, e dà dì piglio
Alle piante, ciie il drago ebber custode.
Quindi un pomo rapisce aureo e vermi-
De'cui rai senz'offesa il guardo gode [glio,
Di minio e d'oro un fulgido baleno
Vibra, e gemme persemi accoglie il seno.
Nella scorca lucente e colorila.
Il cui folgore lieto 1 lumi abbaglia,
La Diva di disdegno inviperita ,
Cui nulla furia in fellonia si agguaglia,
Di propria man (come il furor V irrita)
Parole poi sediziose intaglia.
Dice il motto da lei scolpilo in quella :
Diasi questo bel dono alla più belici.
Lasciaro i cibi , e da' fumanti vasi
Le destre sollevar tutti coloro ,
E di stupore attoniti rimasi ,
Presero a contemplar quel si bell'oro.
Donde si vegna non san dir, ma quasi
Un presente del Fato ei sembra loro.
E si di sé gli alletta al bel possesso ,
Che par che Amor si sia nascosto in esso.
Ma sovra quanti il videro, e il bramaro
Le tre cupide Dee, n' ebber diletto,
E Slimolate da desire avaro ,
Che di quel sesso è naturai difetto ,
La sollecita man steser di paro
Alla rapina del leggiadro oggetto,
E con gara tra ior non ben concorde.
Se ne mostraro a meraviglia ingorde.
Quando lo Dio, che del signor d'Anfriso
Guardò gli armenti, e che conduce il gior*
Meglio in esso drizzando il guardo fiso,[no.
Vide le lettre ch'avea scritte Intorno;
E lampeggiando in un gentil sorriso.
Di purpuree scintille il volto adorno.
Fé' delie note peregrine e nove
Sculte sulla corteccia accorger Giove.
Letta l' iscrizion di quella scorza ,
Le troppo avide Dee cessa ro alquanto,
E cangiar volto, e in su la mensa a forza
Il deposito d' or lasciaro intanto.
Cede il mertoal desio, ma non s'ammorza
L'ambizione che aspira al primo vanto.
San , che averlo non può, se non sol una ,
Il vogilon tutte, e noi possiede alcuna.
Degli assistenti l' immortai corona
No^a confusion turba e scompiglia.
Con vario disparer ciascun ragiona ,
Chi di qua , chi di là freme e bisbiglia.
Sovra ciò si contende e si tenzona,
Omai tutta sossopra è la famiglia.
Tutta ripiena è già d' alto contrasto
La gran solennità deluobii pasto.
L'ADONE»
ts
GiuiiMi superba è sì di sua grandesia,
Che più dell* altre due degna scappella,
Kè aè eotanto Pallade dbpresza ,
Che noo pretenda la vittoria anch' ella.
Vener^^e è madre e Dea delia beileasa,
E sa ebe è destinato alla più bella ,
Ridendoai fra sèdi tutte loro,
Spera sena* altro al mirto unir l' alloro.
Tatti gli Del nel caso banno biteresse,
E aoB divisi a favorir le Dee.
Harte vuol sostener con 1* armi Istesse
Cbe II ricco pomo a Citerea si dee , {
Apollo di Minerva In campo ba messe
Le lodi , e cbiama l' altre Invide • ree.
Giove, poicb' ascoltato ba ben ciascuno,
testale della moglie, applaude a Giuno.
Atto, percbè alcun mal pur non seguisse
Inqueldrappel, ch*alparagon concorre,
Bramoso di placar tumulti e risse,
E querele e litigi in un comporre.
Le cose belle (a lor rivolto disse)
SoD sempre amate, ognun v'anela e corre ;
Ma quanto altrui più piaceli bello e il bene
Goo vie maggior difficoltà s'ottiene.
Ubbidir sia gran senno, ed è ben dritto,
Cb'alla ragion la passion soggiaccia,
E cbe a quanto si vuole ed è prescritto
Dalla necessiti^ si soddisfaccia.
Cbe sebbcn di chi regna alcun editto
Talor troppo severo, avvien che spiaccia,
Non ostante il rigor con cui si regge,
Giusto non è di violar la legge.
Parlo a voi, belle mie , tutte rivolte
Alla pretension d* un pregio istesso.
Pur non può questo pomo esser di molte :
Sapete ad una sola esser promesso.
Or se beUezse eguali in voi raccolte
Pomo egualmente aver ragione in esso,
Kè voglion l' altre due dirsi più brutte ,
CoBie possibil sia contentar tutte?
Giudice delegar dunque convfensi ,
Saggio conoscitor del vostro merto,
A cui conforme il guiderdon dispensi
Con occhio sano e con giudizio certo.
A lui quanto di bello ascoso tieiisi
Vuobi seni* alcun vel mostrar aperto,
Percbè le differenze, onde garrite.
Distinguer sappia, e terminar la lite.
Io rinunziò all' arbitrio ; esser tra voi
Arbitro idoneo in quantolhne non posso,
Cile se ad una adeHsco, lo^non vo'poi
L'odio dell'altre due tirarmi addosso. '
Amo di par ciascuna, 1 casi suol
Pari lelo a curar sempre mi ha mosso.
PoteaV lo trionfanti e vincitrici
Veder così di par tutte felici.
Pastor vive tra' boschi In Frigia nato,
Mal sol nei nome, e nell* ufficio è tale,
Cbe se ancor non tenesse invido fato
Chiuso tra rozze spoglie li gran natale.
Al mondo tutto il suo sublime slato
Conto fora, e il lignaggio aito e reale.
DI Priamo è figlio , Imperador troiano ,
Di Gauhnede mio maggior germano.
Paride ba nome, e non è forse indegno
Ch' egli tra voi la questlon decida,
Poicb' ha r integrità pari ali' ingegno
Da poter acquietar tanu disfida.
Sconosciuto si sta nel patrio regno «
Dove il Gargara altier s'estolle in Ida.
itene dunque là ; colui che porta
L' ambasciate del Qel , vi sarà scorta.
Cosi diss' egli, e con applauso 1 detti
Raccolti fur dal gran Rettor superno,
E sentii per man d'Atropo fur letti
Nel bel diamante del destino etemo ,
E le Dive a quel dir sedar gli affetti.
Pur di vento pascendo il fasto in temo
Già s' apprestano a prova al gran viaggio,
E ciascuna s'adorna a suo vantaggio.
L' altera Dea, che del gran re gè è moglie
Dell* usato s'ammanta abito regio.
DI doppie fila d'or son quelle spoglie
Tramate tutte, e d' oro han doppio fregio
Sparse di soli, e folgorando toglie
Ogni sole al Sol vero il lime e il pregio.
Di stellante diadema II capo cinge,
E lo scettro genunato in man si stringe.
Quella, che Atene adora, ha di bel stami
Di schietto argento, e semplice la vesta
Ricamata di tronchi e di fogliami
Di verde olivo, e di sua man contesta
Tien d'una treccia degi'istessi rami
li llmpid'elmo incoronalo In testa.
Soslien r asta la destra, e il braccio manto
I Di scudo adamantin ricopre il fianco.
t
26
ìfARUIO.
L*«lU^,wcli*haiw*lMsU oocbl il JGMoafl
D*artìlicio labbM, pompa non Toke^^iitlo,
Mftil* un. Mri0».app«nsi<ftzcuffro rolo
La niidUà del^Umcbi meaubri IavoImm
Color del mare, «nzi£olor<dck€icla«
Quello .la. generò ,• questo l' aceolsei
Leggier leggiero, e ehiaanMnieiOSfiHiiQ,
Che facea trasparir TaTorio puso.
l^ronife Mercnrio U pomo, «gUi e pictti
Ponsi alle tempie 1 .vanni ^ ai Ullmni,
E la Terga lotal , ballando queali..
Si Baca in man, die attorti lia dnadr^gonl.
Per ben seguirlo l' eouiLe celesti
Lasdan colombe, e nottule, e paroai^
Ed è lor carro un nuvoletto aurato
LievcacnAe daiZefficoiporlalOL
J>ipinge un bel seren i*aria ridente
Di TermlgUe fiammelle .e d* aurei lampi,
E qual Sol , die calando in occidente
Di rosati splendori intorno avvampi.
Segnando il tratto del senticr lucente
Indora e inostra i suoi ccniid cai^>i«
Mentre condotta dalla saggia gui<la
La superbia dei £iel discende in Ida.
i&tasscne in Ida alle fresche ombreesti ve
Paride assiso a pasturar le gregge.
Laddove intomo in mille scorze vive
Il bel nome d' Rnon scritto si legge.
Misera Enon , se delle belio Dive
Giudice eictto ci la più beila elegge,
Ditexiiesia, ch'liai da restar sena* alma?
Ahi die perdita tua fia T altrui palma!
Vogllon coslor la tua deliiia cara
Las a, rapirti, e il tuo tesor di braccio.
Vanne dunque infelice, e pria che avara
Fortuna un tanto ardor converta in gbiac-
Quanto gioir sapesti, or tanto impara [ciò,
A dolerti di lui , ciie scioglie il laccio ;
E mentre puoi, dentro il suo grembo accol-
Bacia Paride tuo V ultima volta. [ta
Apio d' un antro nel più denso e chiuso
Siede il pastor, della stdùiga valle, [so)
La mitra Ila in fronte, e(quai de'Fryi^iè l' n-
Bariaro drappo annoda in su le spalle.
Lungo il eli laro Scamandroera diffuso
L* armento fuor delle sbarrate stalle^
E il >erde prato gli nutrisce e serba
Di rugiada condili i fiori a r«rba.
£f ll'gonAaMdo iacerata
y * aaconiaial«4loloe auoii casto*
Per gran doteorra ie ipalpfStwe
li fido cane, enon tontan |^
Tacdnoo inlaniea pièdellai
Ad ascoiiarioie lanose :todraM.
Cinti le coma di fioriae.baBcke
OhUtanoll
Quand'eocodeelinar la nuteai
Che il fior d*ognibeUetia in grombi
E rotiwÌo»coià, idov' egUaiaBte ,
Di giro in gìro.ovvirinatai a lem.
Ecolalia \solta sua jdriaaano tt pleét
Acdnlca oovac'dikttosagneffia
Le tre belle-Bemldie a'eui spiaadloii
Biadilara U batno i «mlaelvass^oRWi.
Jn rimifando alminbil
Stringe ie labbraallor, carva ie xlgUa,
E su la fattile crespa e spaventosa
Scolpisce eoi terror la meraviglia.
Sovra il tronco vldn la tesu posa..
Ed al tronco vicin ai raSaomigUa.
Lacanaon rompe, « lascia ìnlamomuu
Cadérsi a pie. la gamila dcula.
Fortmiato pastor, giovane illontre,
Il messaggio divin disscgli allora.
Il cui gran lume ascoso in vel palnsUe
Lo stesso Ciel , non che la terra onora;
Degno ti fa la tua prudenza iudnstae
Di venture a mortai non date ancora.
A te con queste Dee Giove mi maadi,
E che tu sia lor giudice comanda.
Vedi <|uesto bel pomo 7 aHaoonleia
Questo , die fu soggetto , or premio fia.
Colei l'avrà, che in cosi bdia.impaesn
Di bellezaa maggior dotata aia.
Donalo pur senza temere offesa
A chi il merita più, che a chi il desia.
Ben sopir saprai tu discordie tante
Come bd,>com'es|ìerk>, e
Tanto die* egli, e V aureo pomo sparto
Conscgnaal l'altro, il qual fra gioiao4aBn
In udir quel parlar facondo- e scosto,
E in risguardar quella J>eiià suprama,,
Il prende, e tace, c«bigottito<e amonto
Fuor di sé stesso impallidisce ctreiaa.
Pur fra .tanto stupor, cbcki coufanle,
Moderando i.auoi jnoli,alfia rispamk :
L'^ADOKK.
La conoscenla , che bo dell* esser mio^
*0 deDe stelle ambascUdor felice.
Questa gran novità, clie qui reggMo,
Al mio basso j>ensier creder disdice i
Oloria , di cui godere ad alcun Dio
Maggior forse lassù gloria non lice;
Che daltUel venga a povero pastore
Tanto bene insperato .e tanto onore.
Ma che abbia a profferir lingua mortale
Decreto In quel che ogni Intelletto eccede,
Quanto allo stato mio si diseguale
Più mi rivolgo, e tanto meno il crede.
Nulla degnar mi può di grado tale,
Se non l'alto favor che mei concede.
Pur se ragion dì merito mi manca ,
Graxia celeste o|^i vlltA rinfranca.
Può ben d* umane cose ingegno umano
Talor deliberar senza periglio.
Trattar cause divine ardisce invano
Senz'aiuto dìvin saggio consiglio.
Come dunque poss'io rozzo e villano
Non che le labbra aprir , volgere il ciglio
Dove ristessa ancor somma scienza
Non seppe in elei pronunziar sentenza?
Com' esser può, che Tesquislta e piena
Perfezion della beltà conosca
Uoro, che oltre la caligine terrena.
Tra queste verdi tenebre s'imbosca,
Dove altro mai di sua luce serena
Non n' è dato mirar, che un' ombra fosca?
Certo inabll mi sento e mi confesso
DI tali estremi a misurar l' eccesso.
Se avessi a giudicar fra toro e toro ,
0 decretar fra l'una e l'altra agnella,
Disccrner saprei ben forse di loro
Qual si fusse il migliore e la più bella.
Ma cosi belle son tutte costoro,
Che distinguer non so questa da quella.
Tutte egualmente ammiro , e tutte sono
D^ne di laude egtiale e di egual dono.
Dogliomi, che tre pomi aver vorrei 9
Qual è qucst' un , oh' a litigar l'hamosse,
Che allor giusto il giudizio .io crederei.
Quando comunJa lor vittoria fosse.
Aggiungo poi, die degli eterni Dei
Paventar deggio pur. l'ire e leposse^
Poiché di questa sdiiera avventurosa
Due iQo^liejdl£iove,,,e,l^^txaJ spoaa.
.Ma ida .che tali «on {gli locdkii aiioi«
Forza Immortale 11 juio.<IUeUo «cuai^
Pjuxh^è delle ùm xiute:alcuiia guA
Non sia, cbeiri^a U^oppo ardire «fienai.
Intanto^ oiieUe Jle*^ sejiura vai
Piace, ch'il peso.in\pM>sto io non jdausi^
Quel chiaro Sol, che tanta gioriaadilMJe«
Ritenga il juersoiUia sfrenata iiwi.
Qui GUlenio s' apparta, ediei n^afi^i^lo
Chiama lutti a consiglio 1 suol.pensifr^
E gli fipjcti.al gran caso aesouigliiiulo
Comincia ad aguaxari^ occhi aesei^i,
Giàs'jipparccchia alia beil' opra,iit«nd0
Con atti sgravi, e portamenti aiteri
Di reai -maestà, gli s* avviclnc^
E gU jisande a parlar ia DeaJLtwina :
Poiabè algiudUio umana! aottometie.
Dalla giustizia tua fatta aicura
La ragion, che le prime e più.perfette
Meraviglie del del vince ed oscugb ;
Della beltà».eh' eleiu è fra l' dette.
Dei conoscer, pastor, la dismismea,
Ma conosciuta poi, riconosciuta
Convienche.sia con la mercè dovnxa.
EiS'egK è vec, che l'eccellenaa prima
Possa sol limitar la tua speranza
Di mal meglio veder, vista la dm^
E il colmo di quel bel eh' ogni altro avanza,
Acciocché r. occhio tuo, die or si sublima
Sovra 1* umana e naturai usanza.
Non curi Qterea più, né Minerva,
In me rimira, e.mie fattezze osserva*
Tu discemi colei, ae me di^cemi ,
Cui cede ogni altro Nume 1 primi onoii,
Imperadrioe degli eroi superni ,
Consorte al gran Motor, re de' Motori.
Vedi il più degno Infra i soggetti eterni.
Che il Cielo ammh-i o che la terra adori ;
Innanzi ai raggi della cui beltade.
Lo stupor di atifpor stupido cadd.
.L' latesio Sol d' idolatrarmi eppcesc,
Di scorno spesso e di vergogna Vinto;
E 11 mio più volle il suo fipiendore,a«cic«e,
L'estiose.pria, poi ravvivolio.estinto.
Negar dunque non pi oi di far palese
Qud iuaie altiui, che il maggior.Uinierha
Senzaaccusar di ccdiÀ la luae i^hito,
Di.jcoltti, die per tuJJU>41 di cauAiQa.
28
MARINO.
Rompe tllora il silenzio, ed apre 11 varco
AUt voce il pastorcon questo dire:
Poiché t* suoi cenni col commesso incarco,
Legge di Qd mi sTorza ad ubbidire,
Non Ila ritroso ad onorarvi o parco.
Gloriosa relna, Il mio desire,
Del cui pronto voler vi fari noto
Un schietto favellar libero il volo.
Io vi giudico gii tanto perfetta,
Che più nulla mirar spero di raro.
Talché II merlo di quel die a voi s' aspetta,
Contentar ben vi può, ciié a tutti é cliiaro.
Senza bisogno alcun , eh* lo vi prometta
Qò che tor non vi dee giudice avaro.
Onde così la speme abbia a donarvi ,
Che In effetto 11 dover non può negarvi.
Ben Tolontier (se senza Ingiuria altrui
Cosi determinar fosse in mia mano]
Concederei questo bel pomo a voi,
Né dal dritto giudizio andrei lontano.
Ma mi convien (com* ammonito fui
Dal facondo corrier del Re sovrano)
Darlo a colei, eli* alle altre il pregio invola,
E voi scesa dal elei non siete sola.
L'orgogliosa mogller del gran Tonante,
Si fatte lodi udir non si scompiacque,
E senza trionfar, gii trionfante.
Attese il fin di quel certame, e tacque.
Ed ecco allor colei trattasi avante,
Che senza madre del gran Giove nacque,
D'onestà vlrginai sparsa le gote.
Chiede il pomo al pastor con queste note :
Tutti i mortali, e gl'immortali in questo
Sospetti a mio favor sarrebbon forse.
Paride sol, che amico é dell' onesto,
E dai giusto, e dal ver giammai non torse.
Degno é d* ufficio Ule, ed io ben resto
Paga d' un tanto onor, che il Ciel gli porse.
Poiché non so da chi più certo or io
Mi potessi ottener quanto desio.
Tu, che lume cotanto hai nella mente,
Ed apprezzi valore e cortesia.
Rivolgerai neli' animo prudente
Tutto ciò eh* io mi vaglia, e ciò eh' lo sia,
Ond* oggi crederò, die facilmente
Vindtrice farai la beltà mia, [gendo.
Queir ossequio, e quei dritto a me por-
Cbe merito, che bramo e che pretendo.
Non son, non son qual credi in me vedere :
DI Vener forse,, o di Giunon pensasti
Lusinghe Talse, ed apparenze altere,
I risi e i vezzi, e le superbie e I fasti T
Cose tu vedi essenziali e vere.
Vedi Minerva, e tanto sol ti basti.
Senza cui nulla vai regno, o ricchezza,
Fuor del cui bel difforme é la bellezza.
Virtù son lo, Ci cui non altro mai
Vide uom mortai, che una figura,un'orma.
A te però con cisveiati rai
Ne rappresento la corporea forma.
Da cui, se saggio sei, prender potrai
Della vera beltà la vera norma,
E conoscer quaggiù fuor d' ogni nebbia
Quel che seguir, quel che adorarsi debbia.
Forse mentre tu miri, ed lo ragiono.
Per troppo meritar mi stimi indegna,
E la vergogna di sì picciol dono
TI fa parer, che poco a me convegna.
Ma io mi scorderò di quel che sono,
Sol chela palma di tua mano ottegna;
Purch'ella oggi da te mi sia concessa.
Per amor tuo sconoscerò me stessa.
Dalla virtù di quel parlar ferito
Paride parer cangia, e pcnsier muta,
E dal presente oggetto istupidito
La memoria dell' altro ha già perduta.
Diva, risponde, li merito infinito
Di cotanta beltà non più veduta [za
Dona al mio cieco ingegno occhi abbastan*
Da potere ammirar vostra sembianza.
10 ben conosco che quel che oggi appare
In quest' ombroso e solitario chiostro,
È puro specchio, e lucido esemplare
Della divinità, che a me s* é mostro.
Ma se vittime e voti, incensi ed are
Consacra il mondo al simulacro vostro,
Qual sacrificio or v' offerisco e porgo
lo, che vivo, e non finto il ver ne scorgo ?
11 presentarvi ciò che vi conviene,
È dover necessario e giusta cosa;
E r istessa ragion, che \i appartiene.
Vi fa senza il mio dir vittoriosa.
La speranza del ben potete bene
Concepire omai lieta e baldanzosa.
Intanto In aspettandone P effetto.
Purghi la grazia vostra 11 mio difetto.
L'
Queste offerte cortesi assai possenti
Furo nei cor della più saggia Dea.
E quai più certo ornai di tali accenti
Pegno i suoi dubbj assecurar potea?
Da parole si dolci e si eloquenti.
Con cui quasi il trofeo promettea.
Presa rimase e fu delusa anch* essa
La sapienza e l' eloquenza istessa.
AIK)NE. 29
Faccian prima però di quanto han scor-
Testlmoni del ver, fede alla bocca, [io,
Acciocché poi sentenziando il torto
Non s'abbia a dimostrar maligna, o sciocca.
E s* è dover dì giudicante accorto
A ciascun compartir ciò che gii tocca.
Bella colei dichiara Infra le beile.
Che di beltà sovrasta ali' altre stelle.
Ma la madre d'Amor, nei cui bei viso
Ogni delizia lor le Grazie han posta.
Quel ciglio, che apre in terra il paradiso.
Verso il garzon volgendo a lui s' accosta:
E la serenità dei dolce riso
D' una gioconda alTablIià composta,
La favella de' cori incantalrice
Lusinghevole sdoglie, e cosi dice :
Paride*, io misontai, che nell'acquisto
Del disiato o combat:u:o pomo.
Senza temer d' alcun successo tristo
Rifiutar non saprei giudice Homo.
Te quanto meno, in cui sovente ho visto
Accortezza e lK>ntà più clie in altr' uomo.
Quanto più voientier senza spavento
Al foro tuo di soggiacer consento.
In terra, o In del tra* più tenaci affetti
Qualcosa più sensibile d' amore?
Quai possanza, o virtù, che abbia ne' petti
Più delie forze sue forza e valore?
Orche pensi? che fai? che dunque aspetti?
Dove, do^-e è il tuo ardir? dove il tuo core?
Dimmi come avrai core, e come ardire
Da poterti difendere, o fuggire ?
Se il pomo, per cui noi stiam qui pu-
Come senso non ha potesse averlo,[gnando.
Tu lo vedresti a me correr volando,
Né fora in tua balla di ritenerlo,
Polche venir non potè, lo tei dimando
Siccome degna sol di possederlo.
Qualunque don la mia beltà riceve
£ tributo d' onor che le si deve.
La vista, il veggio ben, dei mio bel volto
Ti ha dolcemente 1* anima rapita.
Or riprendi gli spirti, e In te raccolto
U cor rinfranca, e la virtù smarrita.
Qud che mlrabii è, mirato hai molto,
Qimprender non si può luce infinita.
Gii occhi tuoi, che veduto oggi tropp'han-
Ad ogni altro splendor cicchi saranno, [no.
Poiché r istesso dono a sé mi chiama,
Il dritto il chiede, e la ragion il vuole ;
Poiché del senno tuo la chiara fama
T' obbliga ad eseguir quel eh' egli suole;
Se a quant' oggi da me si spera e brama
Non corrisponderan le tue parole,
La giustizia dirò che ingiusta sia,
E chela verità dica bugia.
Vinto il pastor da paroletta tali,
E da tanu beltà legato e preso,
A que* novi miracoli immortali.
Senza spirito, o polso, é tutto Inteso.
Amor gli ha punto 11 cor di dold strali,
E di dolci faville il petto acceso.
Onde con sospirar profondo e rotto
Geme, langue, stupisce, e non fa motto.
Paride, a che sospiri ? o perché taci?
Dove bisogna nien, più ti confondi.
Tu desti air altre due pegni efficaci
Di tua promessa: a questa or che rispondi?
Sono i silenzi tuoi nunzi loquaci
D' effetti favorevoli e secondi.
Dunque del tacer tuo s' appaghi e goda,
Se di ciò la cagion le torna in loda.
Pensa, né sa di quella schiera eterna
Quai l>elià con più forza il cor gli mova,
Che mentre gli ucclii trasportando alterna
Or a questa, or a quella, egual la trova.
Là dove pria s' affida e il guardo interna,
Ivi si ferma, e quel che ha innanzi appro>a,
Volgesi ali* una, e l>ella applen la stima ;
Poscia all'altra passando, obblia la prima.
Beila é Glunone,e il suo candore intatto
Di perla orientai luce somiglia.
Ha leggiadro ogni moto, accojrto ogni atto
Del maggior Dio la bellicosa figlia.
Ma tien della bellezza il ver ritratto
La Dea d* amor nel volto e nelle ciglia {
E tutta, ovunque a risguardaria prenda,
Dalie chiome alle piante é seiua emenda.
HABIffO.
Ì9ù ABsor daf candor mm bendlsthito
Varia- hr guancia e la confonde e mesce.
Il ligOBfro di porpora £ dipinto,
LlrdbTe manca i' un, i' altra s'accresce.
Or Tinto il giglio è dalia rosa, or vinto
L*<lstn) a par dairavorIo,or fugge, or esce.
Alla neve colà la fiamma cede.
Qui ia grana coi latte in un si fede.
ìf nn nobti quadro di diamante- attera
La fnmte e clkiara al par del elei lampeggia.
Quivi Amor si trastulla, e quindi Impera
QmBl In sublime e spaziosa reggia.
Gli albori 1' alba, i raggi ogni altra sfera
Da lei sol prende, e In lei sol si vagheg-
Il cui cristallo limpido riluce [già,
D* una serena e temperata luce.
Le luci vaglie a meraviglia e belle
Senza alcun paragone uniche e sole,
Scorno insieme e splendor fanno alle stelle.
In lor si specchia, anzi s'abbaglia il Sole.
Dall' interne radici i cori svelle
Qualor volger tranquillo il ciglio suole.
Nei tremulo seren che In lor scintilla
Umido di lascivia il guardo brilla. ,
Per dritta riga da' begli occhi scende
li filo d' un canal fatto a misura,
Da cui fior che s* appressi, invola e prende
Più che non porge aura odorata e pura.
Sotto, ove r uscio si disserra e fende
Deli* erario d' amore e di natura.
Apre un corallo in due parti diviso
Angusto varco alle parole, al riso.
Né di si fresche rose In ciel sereno
Ambiziosa Aurora il crin s' asperse,
Nò di si fini smalli il grembo pieno
Iride procellosa al Sole offerse,
Né di sì vive perle ornato il seno
Rugiadosa conchiglia all' alba aperse.
Che la bocca pareggi ov* ha ridente
Di ricchezze e d' odori un oriente.
Seminate in più sferze e sparse in fiocchi
Son van le fila innanellate e bionde
De* capei d* or che a bello studio sciocchi
Lasciva trascuraggine confonde.
Or su gli omeri vaghi, or fra' l>egli occhi
Divisali e dispersi errano in onde ;
E erescon grazia alle bellezze illustri
Ard neglette e sprezzature industri.
Delle Ninfe dei del gH occble le guance
Considerate, e le proposte udite.
Mentre ancor vacillante in dubbia lance-
Dei concorso divin pende la lite.
Più non vuole il pastor favole o ciance ,
Più non cura mirar membra vestite,
Ma più dentro a spiar di lor bcltade
La sua curiosità gii persuade.
Poiché del pari in quest' agon si giostra,
Più olire, dice, esaminar bisogna.
Nò diflinir ia controversia vostra
Si può, se il vel non s'apre alla vergogna;
Perchè tal nel dì fuor bella si mostra.
Che senza favellar dice menzogna.
Pompa di spoglie altrui sovente inganna,
E d' un bei corpo i mancamenti appanna.
Ciascuna dunque si disclnga e spogli
De* ricchi drappi ogni ornamento, ogn i
Percliè la vanità di tali invogli [arte.
Nelle bellezze sue non abbia parte.
Giù non s' oppone e con superbi orgogli
Ciò far ricusa e traggcsi in disparte.
Minerva ad atto tal non ben si piega,
Tien gli occhi bassi e per mode^iia il nega
Ha la prole del mar che ne' cortesi
Gesti ha grazia, ed ardir quant'aver potè.
Esser vogl' io la prima a scior gli arnesi.
Prorompe, ed a scoprir le parli ignote.
Onde cliiaro si veggi a e si palesi.
Che non solo ho begli occhi e beile gote.
Ma che è conforme ancora e corrisponde
Al bello estcrior quei che si asconde.
Orsù, Palla soggiunse, ecco mi svesto.
Ma pria che scinte abbia le gonne e i manti.
Fa tu pastor, eh' ella deponga il cesto.
Se non vuoi pur che per magia t'incanti.
Replicò l'altra: Io non repugno a questo.
Ma tu, che di i>cltà vincer ti vanti, *
Perchè non lasci il tuo guerriero elmetti,
E lo spaventi con feroce aspello?
Forse che in te si noti e si rÌprenda[no7
Degli occhi glauchi il torvo lume hai scor-
Impon Paride allor, che si contenda
' Senza celata e senza cinto intorno.
Restò r aspetto lor, tolta ogni benda,
Seni' alcuna ornatura assai più adornou
Sì di sé slesse e non d'allr'arml altere
Nel grand' arringo entrarle tre guerriere^
L'iaNmE.
Zi
•léveslt attB.qoe' trrmMtelli
Della pofeiiOReebtMrikposte,
E.di* Ibp carpi iaunorUrimoite beili
FurtafiBrtlpià cMuse al guarde eapesle,
Vider tm V ombre lor lumi noTelU
Lecaiverne più obiuae e più riposte ;
Né pneaente \i fu creata cosa.
Che oca sentisse in sé forza amorosa^
UM ritemwll eonoat graoTiaggio,
InutU firtto ad Ulostnre il Mondo,
Kenahè lide offuscato ogni suaraggio
Da splendor più sereno e più giocondo.
Volea. scendere in tenra a fargli omaggio,
Ambisioso pur d'esser secondo^
Pni tfBD sé si ponti deli' ardimento,
E dhHUBirarlo sol restò comento*
teonta la Terra e fatta degna-
DI abitatrici si beate e sante,
Caa*lKlla gratitudine s' ingegna
Di rispoaden in parte a graaie tante.
DI IkI semi d'amor gravida impregna,
E partorisce a qne' begli occhi aTante*
Bingioveni Natura e primavera
GeoDOgUù d' ogn' intorno, ove non eiSi
Gsalra lor naturali aspri costtmil
Generar dolci poma i pini irsuti.
Vacqner viole da' pungenti dumi,
Fiorir narcisi in su I ginebri acuti.
Scaturir mele e corser latte 1 fiuml^
EU mar n'ebbe più ricebi 1 suoi tributi.
Spaner zaffiro i rivi, argento i fonti.
Far d* ostro i prati e di smeraldo i monti.
iasda il canto ogni augel della foresta
Per pascer gli occhi di si lieto oggetto.
L'aoqve loquaci in quella rupe e in questa
Fermerò il mormorio per gran dileilo*
Ir' aeee,. confuso di dolcezaa, arresta
I sosurri deli' acque al lor cospetto.
Iteaa al dolce spettacolo ogni beUa,
B oan atlention tace la selva.
Tasta, se- non che gli arbori feliot .
AWael della proasima palude,.
Mossi taler da venUceili amici
BisWgHavaoo sol all'erano ignuda»
E voi di' tanta glocia spettatrici
Sentiitq allso veiea, vipere cruda;
<Me topnaado ai vostri dolci amorit,
Ti ■iitaiini iimli linanr I cori»
Lelfaladi'laMlfv^ I Pimii oaoeni:
Abbandonano gH antri^ eoeon deH'nndi.
Ciasonn per fir con gli occhi ai bianelli seni
Qualche furto gentil, presso s^aseendeii
Vegeta amor ne' rotai steipi** pieni
D'amor ridono 1 fior, l' erbe e le fronde.
Ai sassi esclusi- dal pteeere immenaan
Spiace sol non avere anioW'e acosob
Paride istasBo btqadle ghiiecalreme
Non vive no, se non per gli oceUsolL
Tanto eocesso di luce, il miaer teme:
Non la vista e la vita in un gl'hivoU.
Sguardo non ha perianti raggi insieiBe,
Né cor bastante a sostener tre SolL.
Triplicalo baleno il cor gli aerra.
Un Sola la delo, e tre ne .vede in
Oh Dei, dlcea, che memviglie veggio 7
Chi dell'ottimo a trar m'insegna il megtto?
Son prodigi del Clel?. sogno o vaneggio?
Qual di lorlascio?o qual fral'altre soegUo?
Deh poiché iQvan per far ciò che fardegglo,
l sensi affino e V intelletto sveglio.
In tanto dubbio, alcun de' raggi voslif ,
0 beilesaa dlvhie, il ver. mi mostri.
Perchè non arni cdolfChed'ecchl pieno,
La giovenca di Giove in guardia tenna?
Avessi in fronte, avessi intomo ahaeno
Quante luci la Fama ha nelle penne.
Fossi la notte, o fossi il del sereno^
Poiché dal ciel tanta bellezza venne.
Per poter rimirar cose si belle,
Coa tante viste, quanta son le aleUft
Qual di santa onesta pudico luma
In quella nobil vergine sravlUa?
Quanto di venerando ha l' altro Nome?
Qual d'augusto decoro aria tranquilla}
Ha qual vago £anclul batta le pliune-
Intorno a questa? e che dolcetta» sUllaS
Par che ritenga in sé dolce atlfatUM,
Non ao eho.dL rldeata e di CbsUvq*
€16 però non ml.basta,.ancoBWpwo
Un ambiguo pensler m'aggira e. move t
Blentre or a questa,or san a qMeila4nteao.
Bramo il sommo trovar^ né » bea dflPie.
svio non vo' di seiocehesaa esaer nlpaoBO,
Conviemmi di veder più chiare pvofei
Fi» d'uopo Imresiigar meglio eiaaBUav,
E mlnriain dlsparta ad una ad uau.
32
VARINO.
Fa, e<^\ detto, allontanar le due,
E soletta rltien seco Giunone,
La qual promette a hii , che se le sue
Belleszealle beir emule antepone.
Prìncipe «Icun giammai non fla né fue,
Più di scettri posspnte e di corone:
E che ogni gente al giogo suo ridutta,
Il fari possessor dell* Asia tutta.
Spedito di costei , Pallade appella,
Che In aspetto ne vien bravo e \|riie,
E patteggiando rIì promette anch*clla,
Gloria cui non fia mal gloria simile ;
E che se lei dichiarerà più bella,
Farallo invitto in ogni a&saUo ostile,
Qiiaro nell'armi, e sovra ogni guerriero
Inclito di trofei , di palme altero.
No no, cosa in me mal forza non ebbe
Da poter la ragion metter di sotto.
Tribunal mercenario il mio sarebbe,
Se oggi a venderla qui fossi condotto.
Giudice giusto patteggiar non debbe,
Nèperprezxo o per premio esser corrotto.
Perdon di vero dono il nome entrambi,
Seavvien che con l'un don Taltro si cambi.
Cosi risponde, e nel medesmo loco
Accenna a Citerea che vcgna in campo.
Ella comparve, e di soave focn,
Nel teatro frondoso aperse un lampo.
Da queir oggetto, incontr*a cui vai poco
A qual più freddo cor difesa o scampo.
Non sa con pena di diletto mista ,
L* Ingordo spettator sveller la vista.
La qualità di quelle membra Intatte
Qua! descriver saprian pittori industri?
Rendono oscuro e l'alabastro e il latte.
Vincono I gigli , eccedono 1 ligustri.
Piume di cigno, e nevi non disfatte,
Son foschi esempi ai paragoni illustri. -
Vedesi lampeggiar nel bel sembiante,
Candor d'avorio, e luce di diamante.
Eccomi , disse, omal fa che cominci
A specular con diligenza II tutto,
E dimmi se trovar gli occhi de' linci,
Sapriano in l>ciià tanta un neo di brutto.
Ma mentre ogni mia parte e quindi e quinci
Rimiri , pur per divenirne Instrutlo,
Vo' che gli occhi e gli orecchi In me rivolti.
Le fattene mirando, i detti ascolti.
So, che sei tal, che signorìa non brami,*
Nò di scettri novelli uopo ti face.
Che ad appagar del tuo desir le fami ,
11 gran regno paterno è lien capace.
Da guerreggiar non hai, poiché i reami,
E di Frigia e di Lidia or stanno In pace,
Né dei tu d'ozj amico e di riposi.
Altri conflitti amar, che gli amorosi.
Le battaglie d' Amor non son mortali ,
Kè s'esercita In lor ferro omicida.
Dolci son l'armi sue, son dold I mali.
Senza sangue le plagile, e senza strida.
Ma non pertanto ad Imenei reali,
Denno aspirar le villanelle d' Ida,
Né dee povera ninfa ardere II core
A chi potè obbligarla Dea d'amore.
Ad uom, che d' alta stirpe orìgin tregge.
Sposa non si eonvien di bassa sorte.
Nulla tero hanno a far nozze selvagge,
Nulla confassi a te rozza consorte.
Cedano a tetti illustri inculte piagge.
Ceda l'umil tugurio all'ampia corte.
Curar non dee di contadini amori,
Pastor fra regi, e rege infra pastori.
Tu, fra quanti pastor guardano ovili.
Sei per fonna il più degno e per etade.
Ma le fortune tue rustiche e vili ,
Mi fan certo di te prender pleiade.
Peregrini costumi e signorili.
Pregio di gioventù , fior di beltade.
Deh che giovano a te, se gli anni verdi,
E te medesmo Inutilmente perdi t
Perche tra boselii,e rupl,e plante,e sassi.
In questa solitudine romita.
Cosi senz* alcun prò corromper lassi ,
ì^ primavera tua lieta e fiorita?
Perchè piuttosto a ben menar non passi
In qualche città nobile la vita ,
Cangiando In Ietti aurati erbette e fiorì ,
E In donzelle e scudier, pecore e torì?
Giovinetta si bella In Grecia vive.
Che di bellezza ogni altra donna eccede ;
Né sol fra le corintie e fra l' argive.
Questo pubblico onor le si concede,
Ma poco Inferlor tlensl alle Dive,
E quasi In nulla a me mcdesma cede.
Quesu agli studj miei forte Inclinata,
Ama, amica d' amor, d'eieere amata.
Laido GtoTe di Leda il veotre greTe
Di questo novo Sol , di cui favello.
Quando In len le volò veloce e lieve,
Trasfiguralo in nobil cigno e bello.
Candida e pura è si cum' esser deve
Fanciulla nata d' un sì bianco augello.
Molle e gentil , come nutrita a covo,
Dentro la scorza tenera d* un ovo.
ADONE. 33
Sebbene a si gran luce, umil farfalla.
Il più di voi mi taccio e il mcn n'aecenno.
Audace il dico, e so cbe in me non falla
Daisentier dritto traviato il senno.
Perdonimi Giunon , scusimi Wla,
Gareggiar vosco, o disputar non donno.
Giudico, che voi sola al mondo siate
L* Idea, non che la Dea della beltade.
Ha tanta di beltà fama costei ,
Tanto poi dall'effetto 11 grido è vinto.
Che Teseo il gran camplon s' armò per lei,
E lasclonue di sangue il campo tinto.
Chiedeano i felicissimi imenei ,
D'Argo i principi a prova e di Corinto,
Ma Menelao fra gli altri il più gradito,
Parve d* Elena sol degno marito.
Pur se ti cai di conquistarla e vuol,
Con un pomo mercar tanto diletto.
La ricompensa de* servigi tuoi ,
Fla di donna si bella, il grembo e il letto.
Al primo incontro sol degli occhi suoi,
Farti di lei signore io ti prometto.
Farò, che abbandonato il lido greco,
Dovunque più vorrai , ne venga teco.
Là di Lacedemonia all'alta reggia
Tu te n'andrai per via spedila e corta.
Ingegnati sol tu, ch'ella li veggia.
Lascia cura del resto alla tua scorta.
In tutto ciò, che un tanto affar rlchieggia.
Amor fido ministro, io duce accorta ,
Co' suoi compagni e con le serve mie.
La verremo a dispor per mille vie.
Qui tacque,e fiamma da'begli occhi uscio.
Atta a mollir dei Caucaso l' asprezza,
Ond'egli ogni altro bel posto in obbllo,
A quell'incomparabile bellezza.
Sforzato dal poter dì quel gran Dio,
Cbe ogni cor vince, ogni riparo spezza.
Baciato 11 pomo, e in lei le luci affisse.
Riverente gliel porse, e così disse :
0 bella oltra le belle, o sovra quante
Ha belle il del , bellissima Ciprigna ;
Foco gentil d'ogni felice amante.
Madre d'ogni piacer, stella benigna.
Sola ben degna, a cui s' inchini ava n te
L'Invidia stessa, perfida e maligna;
Se nuU'a!tra beltà la vostra agguaglia.
Ragion è ben cbe sua ragion prevaglia.
Basta ben, ch'alia gloria a Tol concessa,
Fu lor dato poggiar pur col pensiero ;
Né fu lor poco onor, cbe fusse messa
La certezza In bilancia, il dubbio Ui vero,
Ora di bocca la giustizia Istessa,
Pubblica il suo parer chiaro e ducerò.
L'obbligo suo per la mia mano offerto.
Questo pomo presenta al vostro merlo.
Atteggiata di gioia, ebbra di fasto,
Venere il prende, indi volgendo 1 lumi ,
Cedetemi l'onor del gran contrasto.
Disse ridente ai duo scornati Numi:
Confessa pur, Giunon, eh' io ti sovrasto,
E che a torto pugnar meco presumi.
Né spiaccia a te, Bellona, a vincer usa,
Di chiamarti da me vinta e confusa.
Pensò l'una di voi di superarmi ,
Per esser forse in elei somma reina.
E crede l'altra con sue lucid' armi,
DI spaventar la mia beltà divina.
Ma poco vi giovò, per quanto parml ,
Opporsi al ver, eh' al paragon s'affina.
E si possenti Dee vieppiù m'aggrada.
Senza scettro aver vinte e senza spada.
Venite, Grazie mie, venite, Amori,
Vigorose mie forze, Invitte squadre.
Incoronale de' più verdi allori ,
La vostra ornai vittoriosa madre.
Ite cantando in versi alti e sonori ,
E rispondano al suon 1* aure leggiadre.
Viva Amor, viva Amor, che in cielo e In ter-
Della pace trionfa e della guerra, [ra.
Mentre Intento II pastore ascolta e mira
La bella, a cui li bel pregio è tocco in sorte,
Le due sprezzate Dee ver lui con ira ,
Volgon le luci dispettose e torte.
Orgoglio ogni lor atto e sdegno spira ,
Quasi mina minacciante e morte ;
Giunon però dissimular non potè
La rabbia si, che non la sfoghi in note :
••
34
«ARma.
ttisero, e come def suo proprio relo
n cieco arcier, dlcea, gli occhi l* involse,
Sicché della ragion perduto il lelo,
Il bel lumQ del ver scorger ti toise ?
Te dunque scelse 11 gran rettor del cielo?
Te deputar per giudice ne volse^
Quasi un uomo il miglior dell* universo.
Perchè poi si scoprisse il più perverso?
Viepplì^ che gloriosa a te funesta
Sarà, sii certo, cleslon si fatta.
E sappi pur, che quest* onore e questa
Gloria, che m'abbi il tuo giudizio tratta,
Il vitupero sia delle tue gesta,
ET infamia immortai delia tua schiatta.
Queir islessa bella malvagia e ria.
Che fu il tuo premio, il tuo supplizio sia.
Queir impudica e disonesta putta.
Che dee con dolce incendio arderti il core.
Ancor sarà della tua patria tutta ,
E di tulio il tuo regno, uliimo ardore.
Caduto Ilio per te, Troia distrutta
( Così ferisce e cosi scalda Amore } ,
Sarà dell* armi e delle fiamme gioco.
Campo di sangue, e Mongibel di foco.
Tempo verrà, che detestando il Fato,
Pcrch*abbi 1 rai dei Sol goduti e visti,
li scn bestemmierai, che t'ha portato^
E Torà e il punto clic alta luce uscisti.
Il rimorso e il dolor dell' esser nato,
Fia il minor mal , che la tua vita attristi.
Dell'aver sostenuto un sì vii pondo,
Sarà sol la memoria infame al mondo.
Le stelle che tal peste hanno concetta,
L*aure, che al suo natal nutrita l' hanno,
Quelle congiureransi alla vendetta ,
Queste, il proprio fallir sospireranno.
Natura, che per te fia maledetta,
T'abborriràcon rabbia e con affanno;.
E farà, che nel fine albergo e fossa ,
Neghi ali* anima il elei , la terra ali* ossa.
Dopo la Dea di Samo, a lui si volta,*
Con cruccioso parlar l'altra più casta,
Né la superbia e l*lra In petto accolta.
La modestia dei viso a coprir basta.
Lingua bugiarda, temeraria e stolta,
Dice con fiera man crollando 1* asta ,
Ben si conforma il tuo decreto Iniquo,
Al cor fellone ed al pensiero obDquo.
Ah cosi ben distriìniiscl f premi ,
Preso a vii esca di fallaci inganni T
Cosi mi paghi i gloriosi semi
Ch'io t* infusi nel cor fin da* prlm'anni^?'
Che la lascivia esalti, e li valor premi ,
E il vizio abbracci, e la virtù coodauid^?
E per sozza mercè di molli vezsi,
Onor rifiuti , e castità disprezzi ?
Ha per codesta tua data In mal punto
Sentenza detestabile e proterva.
Non vicn già la mia stima a mancar punto,
Ch* io per tutto sarò sempre Minerva.
Se perdo il pomo, in un medcsmo punto
Ti merlo e la ragion mi si conserva ,
A te il danno col biasmo, e fia ben pronta
L*occasion di vendicar quest'onta.
Sarà questo tuo pomo empio e nefando.
Seminario di guerre e di mine.
Che farai? che dirai, misero, quando
Cotante li vedrai stragi vicine?
Pentito alfin, piangendo e sospirando,
T* accorgerai con lardo senno alfine,
Quanf erra quei , che dietro a scorte in fide.
La ragion repulsando, al senso arride.
Al parlar della coppia altera e vaga ,
L' infelice pastor trema qual foglia,
E dell' audacia sua pentito, paga
Il passato piacer con doppia doglia ,
La qual ne' suoi sospir par che presaga,
Strani infortuni annunziargli voglia.
Ma partite le due, Venere bella.
Soavissimamente gli favella :
Paride caro, e qual timor t* assale?
Se è tcco Amor, di che temer più del 7
Non sai, che in su la punta del suo strale,
Tutti 1 trionfi stan, tutti i trofei?
Che appo il vaior,che sopra ogni altro vaio.
Sono impotenti I più potenti Ddf
E che del fuoco suo l' invitta forza
Di Giove Isiesso le saette ammorza?
Quell'unica beltà, ch*io già ti dlssi^
Ti farà fortunato infra le pene.
Le chiome, che indorar potrian gli abissi,
Fian dell'anima tua dolci catene.
Quel!c, possenti a rischiarar gli eclissi
(Idoli del tuo cor), luci serene,
TI faranno languir di tal ferirai
Che avrai sol per morir cara la vita.
t"àJùiSMXf
U
Sì ben d* ogni bellezza In quel bel volto
Epilogato il cumulo s'unisce,
E il perfettamente insieme accolto
Quanto ha di bel la terra. In M lioriBer,
Cbe ristessa-beltà vinta di molto,
Il paraggio ne teme e n* arrossisce;
E d* aver lavorato un si bel TeUv,
Pngnin tra loro e la Natura e il Qelo.
Or non può sola immaginata l'ombra
Della figura, che t'accenno or io.
Con qaeli' idea, che nel pensier t'adombri-,
Felicitar per sempre il tuo desio 7
Si al, sostien l'alta speranza, e sgombra
Dal petto ogni timor, Ibride mio,
Sipcndo^ che d^Amor la genitrice,.
Di tutto il suo poter t' è debilriceb
A quest' ultimo motto, ancelle e paggi,
Qraaie ed Anwri, intorno alci s' uuiro,
E il carro dnto di purpurei raggi.
Spalmando per lo sferico lalBros
La portar da que' luoghi ermi eselvaggi^
Sofvra l'ali de' cigni al terao giro,
E di par con gli augei bianchi e canori,
Scn gir cantando e saettando fiori.
Qual meraviglia poi, che alcuno avvezzo
1 piati a giudicar de' cittadini,
Real oiinistro, per lusinga o prezzo.
Dalla via del dover talor dedini.
Se in virtù sol d'un amoroso vezzo,
Costui trapassa i debiti confini?
E d' un futuro e tragico piacere,
n pronetso guadagno li fa cadere?
Che non potran la face e l'arco d'oro?
fliaalcar non fia dalle lor forze oppresso,
Se il sacro olivo e il sempiterno alloro.
Inducono a sprezzar Paride istesso?
E l'umii mirto ei preferisce loro.
Anzi piuttosto 11 funeral cipresso,
Poiché il suo nome, onde si canta e scrive.
Per taute morti immortalato vive?
Tenea Torecchle ilbelI'Adone Intente,
Le Iodi ad ascoltar di Qterea,
E si già figurando entro la mente,
La bella ancor non conosciuta Dea»
Ha giunti al loco, ove del di cocente,
Clizio sottrarsi al gran calor desf'ea.
Dal benigno pastor tolta licenaa.
Con penaier di tornar, fece partenza^
Tolto appena commiato, uncaBO eslCMO
(Mercè d'Amor che lo scorgea) gU awea».
Prese un cervo a seguir, che per quel piano
Parve in fuggendo aver ne' pie le penne;
E poiché assai seguito ei l'ebbe invano,
Stanco il passo e smarrito alfin ritenue,
Là dove molto da villaggi e case,
£ da gregge e pastor lunge rimase.
M
MARINO.
CANTO TERZO.
L' INNAMORAMENTO.
ALLEGORIA.
In Amore, che ferisce li cuore alla madre, si accenna che questo irreparabile affetto
non perdona a chi che sia. In Venere, che s' innamora d' Adone addormentato si dinota
quanto possa in un animo tenero ia bellezza, eziandio quando ella non è coltivali.
Nella medesima, che volendo guadagnarsi l^affezion d* Adone cacciatore, prende ia
sembianza della Dea racciatrice e d* impudica si trasrorma in casta, s* inferisce, che
chiunque vuole adescare altrui, si serve di quel mozzi, ai quali conosce essere incli«
nato r animo di colui che disegna di tirare a sé. E che molle volte la lascivia vien
mascherata di modestia, né si trova femmina così sracclata, che almeno In su 1 prin-
cipi non si ricopra col velo dell'onestà. Nella rosa tinta del sangue di essa Dea ed a
lei dedicata, si dimostra, che 1 piaceri venerei son fragili e caduchi; e sono il più
delle volte accompagnati da aspre punture, o di passione veemente, o di pentimento
mordace.
ARGOMENTO.
Mentre che stanco Adon dorme in sul prato
I.a bella Ciierea n'arde d'anioro.
Egli hi desta e pien di pari ardore
Vassene sccu in ver l'o&tei bealo.
PerAdo è ben Amor, chi n*arde il sente,
a chi è che noi senta, o che non arda 7
Eppur la cieca e forsennata gente [guarda
Segue il suo peggio, e il proprio mal non
Fascino dilettoso, ond'uom sovente
Pasce , credulo agnello , esca bugiarda.
Vede tese le reti , e non le fugge ,
Né Yorria non voler quei che lo strugge.
Corre vaga farfalla al chiaro lume.
Solca incauto nocchier le plarid'onde;
Quella nel fiero incendio arde le piume.
Questo assorbon talor V acque profonde.
Spesso arsenico in oro , e per costume
Rigido tra bei fiori angue s* asconde ;
E spesso in dolce pomo , ed adorato
Suol putrido abitar verme celato»
Cosi spada lucente , arco dipinto
Con la pittura, e con la luce allctta ;
Ma se r una è trattala , e 1* altro è spinto ,
L*una trafigge poi , 1* altro saetta.
Cosi nuvolo ancor di raggi cinto
Fiamme nel seno , e fulmini ricetta ;
E con dorato e luminoso crine
Minaccia empia cometa alte ruine.
Sirena, lena, che con falsa voce,
E con canto mortale altrui tradisce ;
Foco coverto, che assecura e coce;
Aspe che dorme, eli tosco in sen nutrisce;
Spietato lusinghier, che allctta e noce;
Pietoso micidial, eh* unge e ferisce ;
Cortese carcerier, che a* rei di morte [te.
Quando chiusi gli ha in ceppi, apre le por-
L'
Dm lesfe, se l^ge esser paò dove
Oppressa It ragion , regna la voglia ,
B Talma folle In strane guise e nove
Per Testirsi d' altrui , di sé si spoglia.
Crudo signor, che a fona i sensi moTe
A proeaociarsi sol iomiento e doglia.
Fere come la merle, e non perdona
Seoxa distinguer mal stato o persona.
ADONE. 97
Mentre che pur, dov'egU arresti 11 passo.
Parte cerca più fresca e meno aprica.
Ode strepito d' acque a pie d' un sasso,
Vede dìiusa valletta al Sol nemica.
Or questo il corpo a sollevar gìA lasso,
E travagliato assai dalla fatica.
Seggio si sceglie, e slima util consiglio
Qui depor l'armi, e dar ristoro al ciglio.
0 del Mondo tiranno e di Natura,
Se del materno duol gioisci e godi , [ra
Qual llacheschermo,o scampo almasecu-
Abhia dalle tue fone, o dalle frodi T
Lasso, e di me che fla, che in prigion dura
Vivo, e scioglier del cor non spero i nodi,
Rnchè quel nodo ancor non si discioglia.
Che tien legau 1* anima alla spoglia?
Erra nella stagion , che il can celeste
Fiamme esala latrandole Tarla boIl<*, [ste
0nd*arde clangne in quelle parti e in que-
n flore, e l'erba, e la campagna, e il colle,
E 11 pastor per spelonche e per foreste
Rifugge all'ombra fresca, all' onda molle.
Mentre che Febo all' animai feroce,
Che fu spoglia d' Alcide, il tergo coce.
L*olmo, il pino, l'abete, il faggio e l'orno
Gii le braccia, e le chiome ombrosi e spes-
Che dar sui fin del più cocente giorno [si.
Agli armenii si>iean grati recessi ,
Appena or nudi, e senza fronde intomo
Fanno col proprio tronco ombra a sé stessi;
E mal secura dall' eterna face
Ricovra agli antri suoi l'aura fugace ;
Già varcata ha del di la mezza terza
Su il carro ardente il luminoso Auriga ,
E 1 volanti corsier, ch'ei punge e sferza,
Tranno al mezzo del ciel l'aurea quadriga.
Tepidetto sudor. che scriie e scherza ,
Al bell'Aden la bella fronte irrigai
E tal vive perle e liquide disciolto
Cristallino niscel stilla dal >olto.
Sotto l'arsura dell'estiva lampa,
Che dal più aito punto il suol percote ,
Tutto anelante il garzonetto avvampa,
E il grave incendio sostener mal potè.
Purpureo foco gli colora e stampa
DI più dolce rossor le belle gote.
Che il Sol, che secca i fiori In ogni riva.
Io quel prati d'Amor vieppiù gU avviva.
Fontana vi ha, cui stende Intorno oscura
L'ombra sua protettrice annosa ploppa,
Dove larga nutrice empie Natura
Di vivace licor marmorea coppa.
Latte fresco e soave è l'onda pura.
Un antro il seno ed un cannon la poppa.
A ber sugli orli I distillati umori
Apron r avide labbra erbette e fiori.
L' arco rallenta, e dell* usato pondo
Ai fianco ingiurioso, il fianco alleggia ,
Eli volto accesole il crin fumante, e biondo
Lava nel fonie,che in sul marmo ondeggia.
Poi colà dove il rezzo è più profondo,
E d' umido smeraldo il suol verdeggia ,
All'erba in grembo si distende, e l'erba
Ride di tant'onor lieta e superba.
Il gorgheggiar de' garruletti augelli ,
A cui da' cavi alberghi eco risponde;
li mormorar de' placidi ruscelli.
Che van dolce nel margoa romper l'onde;
Il vcntiiiar de' tremuli arboscelli.
Dove fan l'aure sibillar le fronde.
L'allettar si, che in su le sponde erbose
In un tranquillo obbiio gli occhi compose.
Non lunge è un colle,che l'ombrosa fron-
Di mirti intreccia e il crin di rose infiora, [te
E del Nilo fecondo il chiuso fonte
Vagheggia, esposto alla nascente Aurora.
E quando rosseggiar fa l'orizzonte
L' aureo carro del Sol, che 1 poggi indora.
Sente all'aprir del mattutino Eoo
D*Eto 1 primi nitriti, e di Piroo.
A pie di questo 1 suoi giardini ha Qori,
E qui la Dea d'Amor sovente riede
A corre I molli e rugiadosi odori
Per far tepidi bagni al bianco piede.
Ed ecco sovra un talamo di fiori
Qui giunta a caso il giovinetto vede.
Ma meotr'ellaln Adon rivolge il guardo,
Amor crudele In lei rivolge 11 dardo.
MlflNGT.
nr ptlcirnqmt féfocv anftno irsttr
Venere sua, che al par deglf occM rama,
CSon Fesca in man d*iro plcdofgtoljo aurato
Gonflb (il vento, a sé da lun^ il ciiiama.
Tosto elle Tede II vagabondo alato
La pallad'or, di possederla brama,
Per poter pof con essa in eliinso loco
Sfiìlar Mercurio e Ganimede- a gioca.
Votesi ratta, e In spashisa rotr
CSIl omeri dibattendo, omleggia ed erra,
Solca 11 ctef con le piume, In arfa nuota,
Or r apre e spiega, or le ripiega e serra.
Or il suol rade, or ver la pura e vota
Più alta regiott s'erge da terra.
Alflu colà dove Ciprigna stassl
Orina rapido l'ali, e drizza f passi.
Ella 11 richiama, egli rifegge, e poi
Toma, e intorno le schfn-za alto so i vanni.
Anime incaute e semplicette , o voi ,
Non sia chi credi a que' soavi inganni.
Fuggite f oimè, gii allettamenti suol.
Insidie 1 vezzi , e son gli scherzi affanni ,
Sempre là dov*el ride, è strazio acerbo.
0 Dio quanto è crudel, quanto è superbo I
Questa dolce magia , che per usanza
L'anime nostre a vaneggiar sospinge.
Tal in sé di piacer rttien sembianza ,
Che quasi in amo d'or le prende e strìnge.
Or se tanta han d' Amor forza e possanza
Soli gli effetti, allor che inganna e finge,
Deh che fora a mirar viva e sincera
DI quel corpo inmortai la forma vera?
Di splendor tanto , e sì sereno ognora
Quel bel corpo celeste rntomo è sparso ,
Che perderebbe ogni altro lume, e fora
(Senza escluderne it Sol) debile e scarso.
Stupor non fla, se Psiche (e chiusi ancora
Aveagliocehidal sonno) Il cor n'ebbe arso,
E \ide Innanzi a quella luce etema
Vacillando languir l' aurea luceraa.
Oh se nel Tosco e torbido InteHettD
Di queffa luce una scintilla avessi ,
Si che, come scolpito il chiudo in petto,
Cosi scoprtrìoagH occhi altrui potessi;
Farei veder nel suo giocondo aspetto
Di bellezze divine estremi eccessi ;
Onde scorgendo hi lui tanta belfezza,
Railnn la madre ha bec, se V accarezaa.
RoifAr tcstk', oodH Miàiufì e bruno ci-
Bocca ridente, e feccia ha dtlicata ,[j;ll6.
Né su la guancia, ove rosseggia If glgU<r«
Spanta ancor lar lanugine dorata;
Rome d'oro, di bianco e di vermlgtfo
Quinci e quindi su gli omeri- dilatar;
Ed ha' come pavon le* penne beHe*
Tntve fregiate d'occhi di donzelle.
Molti d'ambrosfa e di nigfadà ha sptrte
Le chioma e Tali, e hngarzonisce appena;
Bendato-, e senza spoglie, il copre ht parte
Sol una fascia , che di cori ò piena.
Arma la man con infalli bìl arte
D* arco , di strai , di face e di catena.
L'aceompagna in ogni atto il riso, il giocor,
E somiglia al color porpora e foco.
Gorre ingordo all'i nvlto,e colmo un lem-
Dl ioretii, e di fronde in prima coglie, [bo
Poi poggia in aria, e sul materno grembo
Ih colorita grandine lo scioglie ;
Ed ei nei nM)lle ed odorato nembo
Chiuso, e tra' fiori involto, e tra le foglie
Piover si lassa leggermente, e sowa
La bellissima I>ea posa e ricovra.
- Tal df donna real delizia e cnra
Picciolo can, che le sta sempre innansl,
E delle dolci labbra ha per ventura
Di ricevere I baci , e ber gli avanzf ,
Se con cenno, o con cibo rassicura
La b?lla man , clie Io scacciò pur dianal.
Scote la coda, e saltellando ricde
Umilemente a ri lambirle il piede.
Pargoleggiando il bianco collo abbraccia.
Baciali bel volto, e le mamnirlle ignnde.
Ride per ciancia, e la vcmirglla focchr
DentroiM'arcodHpettoascondeechiude.
Eìila, eh* ancor non sa qual le minaccia
L* alto vezzoso acerl>e piaghe e crude ,
Colma di gioia tutta , e di trastullo
Si stringe in grembo il lushìgiiier fanchillo.
Stretto in grenrbo si tien la Dea ridente
Il doh;e peso entro le braccia assiso.
Sul glnocciiio li solleva, e lievemente
L'agita, il culla, e se P accosta al viso.
Or degli occhi ribacia H raggio ardente.
Or deHa bocca il desiato riso ;
Né sa, che gonfia di mortai vefeno
Una serpe erndel al nutre hi seno.
VAWBfZ.
hi eoloTtte pfunie « le AeTT'aff ,
de ir fofo seoinptgffò,ratira disperse,
E le cbioine fncomposte e diseg uatf
Mtef eolfe man morbide e terse.
Ma Tareo tfadltor, gf Infidi strali ,
Onde tfnre fator piaghe sofferse ,
ntfrs'arrlsdila a toccar, che sa ben élIa[Ta.
ffttaf eontasfo htimo hi iè Taspre quadre!-
8bco però,mentreche In braccio II tiene,
Di alquanto divisar pur si compiace.
Figlio, dimmi, dicea, polche conviene ,
Cf esser tra noi non dcggla altro che pace,
Fercbè prendi piacer dell* altrui pencT
Carne sei si proteno e tanto audace ,
Che <^or con l*anni tue turbi e molesti
La quiete del Ciel e de* celesti t
Madre, risponde Amor, s*erro tafora.
Ogni crror mio per ignoranza accade.
Tu vedi ben che son fanciuITo ancora,
Condona i falli air immatura eiade.
Tu fanciul? replicò Venere allora.
Gli sì stollo pensler ti persuade?
Coetaneo dei tempo, e nato avante
ADe stelle ed al ciel, Cappelli liifanteT
Porse, perchè non hai canute chiome,
Te stesso in ciò semplicemente inganni?
E ti dai pur di pargoletto 11 nome.
Quasi l'astuzia poi non vinca gli anni.
Eqnal mìa colpa, Amorsogglunse,ocome
Altri da me riceve offese o danni 7
Perchè denno blasmar T inique genti,
Sol di gioia ministre, armi innocenti?
fn che pecco qualora alimi mostralo
Le cose belle? 0 che gran mal commetto?
Non accusi alcun farco o II foco mio^
Ma sé medcsmo sol , ch'erra a diletto.
Se il tuo gran padre,o qualunquealtro Dìo,
Si lagna alle mie forze esser soggetto «
Dì , che il dolce non curi , lì bel non brami ,
E chi d*amor non vuol languir, non ami.
Ed ella : Or tn , che ognor tante e sì noYo
Spieghi superbo In elei palme e trofei »
Tu , che con alte e disusate prove
Puoi tutti a senno tuo domar gli Del.
Tu , che non pur del sommo Istesso GIoTe
Vittorioso e trionfante sei,
Ma de' tuoi strali ancor pungenti e duri,
Me, che ti general, non assecurl.
Diimiit ond*aTTfeir, dn^ sol por coinè
Abbi la- foce e la faretra tota, [spenta
Contro Minerva è la tua ann sì lenta.
Che non Tarda giannnal , né la percotar?
Che soffra tanti un cor piaghe non senti.
Che gli sia la tua fiamma in tutto Ignota,
SoflHr non posso; o le facetle e 1 dardi
Depon per tutti , o lei ferisci ed* ardh
Ed egli : Girne , costei dì A treotendb
Sembiante arma la fW>nfe e sì severo ,
Che qualor per ferirla Io V arco tendo «
Temo r aspeuo suo virile e fiero.
Poi del grand* elmo ad or ad or scotendo
fi minaccioso ed orrido cimiero ,
Di si fallo terror suole ingombrarmi ,
Che alla stupida man fa cader TarmL
Ed ella a lui : Pur Marte era più molu>
Feroce e formidabile di questa ;
Da* tuoi lacci però non n'andò sciolto,
Blalgrado ancor della tcrribil cresta.
Ed egli a lei : Marte, Il rigor del volto
Placa sovente, e mi fa gioco e festa,
Bi* in^ ita ai vezzi , ad abbracciarmi corre ;
L*alira sempre mi scaccia e sempre aborre»
Talor, che osai d'^avvIcFnarmi alquanto.
Giurò per quel Signor che regge il mondo,
0 con Pasta o col pie rollo ed infranto
Precipitarmi ali* Èrebo profondo, [quanto
D'angui chiomato ha poi nel petto,ahl.
Squallido in vista, un tesciiio e furibondo.
Del cui ciglio uscir suol tanto spavento.
Che in mirarlo agghiacciar tutto mi sento.
Odi , dic*^elta, odi sagace scusa.
Sì certo, sì : dunque paventi e tremi
Nel sen di Palla a risguardar Medusa,
Eppur di Giove II folgore non temi?
Ha dimmi, or perchè lì cor d'alcuna Musa
Non mai del fuoco tao riceve i semi?
Queste , sguardo non han rigido e erodo,
Né del Gorgone 11 Mostruoso scudo.
Tero dirotti, egD ripiglia, io queste
Non temo no, ma riverente onoro.
Accompagnata da sembianze oneste
Yirginal pudicizia lo scorgo (n loro.
Poi sempre Intente al bel cantar celeste
0 in studio altro occupato è n sacro coro;
Talché non mai, se non ne* molli versta
Da conversar tra lortarco m'apersi.
40
MARINO.
Ed ella allor : Polche ritieni a freno
Tanto furor, qui zelo. Ivi paura «
Vorrei saper, perchè Diana almeno
Dalle quadrella tue vItc sccura?
Né di costei , risponde , il casto seno
Vaglio a ferir, rivolta ad altra cura.
Fugge per monti « né posar concede
SI cb* Olio mai la signoreggi al piede.
Ben ho quel chiaro Dio, che di Latona
Seco nacque In un |iarto,arciero anch'esso,
Dico quel , che di foco 11 crin corona ,
Piagato, e d'altra fiamma acceso spesso.
Così mentre con lei selleria e ragiona ,
n tratto studia , e le si stringe appresso ;
E tuttavia dialogando seco
Coglie il tempo a colpir l'occhiuto cieco.
Dal purpureo turcassojl qual gran parte
Delle canne pungenti in sé ricetta
(Pane caso improvviso, e fu bell'arte}.
La punta usci della fatai saetta.
Punge il fianco alla madre, indi in disparte,
Tìroldetto e fugace il volo affretta.
In un punto medesmo il fier garzone
Ferule il core ed addllolle Adone.
Gira la vista a quel che Amor gli addita,
Che scorgerlo ben può, sì presso ei giace.
Ed olmo, grida , oimè eh' io son tradita !
Figlio ingrato e crudel , figlio fallace.
Ahi, qual sento nel cor dolce ferita?
Ahi , qual ardor, che mi consuma e piace?
Qual beltà nova agli occhi miei si mostra?
Addio Marte,addio ciel,non son più vostra.
Pera quell'arco tuo d* Inganni pieno.
Pera, iniquo fanciui, quel crudo dardo,
Tu prole mia? no no, di questo seno.
No elle mai non nascesti, empio bastardo ;
Né mi sovì ien tal foco e tal veleno.
Concetto aver, per cui languisco ed ardo :
Ti generò di Garberò Megera ,
0 dell' oscuro Caos la notte nera.
SI svelle in questo dir con duolo e sdegno
Lo strai, eh' è nel bel fianco ancor confitto.
E tra le penne e il ferro In mezzo al legno,
Trova 11 nome d*Adon segnalo e scritto.
Volto alia piaga poi l' occhio e V ingegno,
Vede profondamente li sen trafitto,
E sente per le vene a poco a poco
Serpeodo gir licenzioso foco.
Ben egli è ver, che quella fiamma è tale,
Che non senza piacer langue e sospira;
E vaga pur del non curato male.
Mille in sé di pensier macelline aggira.
Orsi rivolge al velenoso strale.
Or l'esca del suo ardor lunge rimira;
E In questi accenti alle confuse voglie.
Con un ahi doloroso il gruppo scioglie.
Ahi , ben d'ogni mortai femmina vile
Omai lo stato invidiar mi dcggio :
Poiché di furto e con insidia ostile.
Da chi meno il dovria, schernirmi veggio.
Mi ferisce il suo strai , m' arde il focile ,
Né delle mie sventure é questo il peggio;
Che alfin le fiamme sue son tutte spente.
Se la madre d'Amore, amor non sente.
Ma eh* lo soggiaccia a si perversa sorte.
Che le bellezze mie si goda un fabbro?
Un aspro, un rozzo, un ruvido consorte ,
Incolto, irsuto, afi'umicato e scabro?
E che legge ininiortal, peggior che morte,
Mi costringa a baciari* ispido labbro?
Labbro, assai più neiro/ride fornaci
Atto a soffiar carbon , che a porger baci ?
Un, clic al tro unqua non sa, che col mar-
Tempestando r incudini infernali , [tello
Le caverne assordar di MongibcUo
Per temprar del mio padre i fieri strali ,
Che ^ an cadendo In questo lato e in quello.
Vano spavento ai semplici mortali,
E del maestro lor sembianti espressi,
Com' é torlo il suo piò, son torti ancii'essi.
Deh quante volte audacemente accosta
Importuno alla mia l'adusta faccia,
E quella man , che ha pur allor deposta
La tanaglia e la lima , in son mi caccia;
Ed io, malgrado mio, son sottoposta
Ai nodi pur dell' abborritc braccia,
Ed a sofl'rìr, che mentre el mi lusinga ,
La fuligine e il fumo ognor nd Unga.
Pallade, o saggia lei , quantunque meco
Non s' agguagli in beltà, ne fé* rifiuto.
Né Giove il >oÌse in del , ma nel più cieco
Fondo il dannò d'un baratro perduto;
Onde piombando in quel ardicelo speco
L' osso s' infranse , e zoppicò caduto ,
E pur zoppo ne venne entro li mio letto
L* altrui pace a turbar col suo difetto.
PIÙ non mi è già di mente ancor usdu
La rimembranza dcir indegne offese.
Altamente nel cor mi sta scolpita
L'insidia che sì perfida mi tese.
Quando alla rete di diamante ordita,
Questo sozzo Tillan nuda mi prese.
Follemente scoprendo ai Numi eterni
Delle mie membra 1 penetrali interni.
ADONE. 41
Voi , Grazie, voi, che dolcemente avete
Nel nettare del elei le labbra infuse,
E ne* lavacri più riposti siete
Nude le sue bellezze a mirar use ;
Voi snodar lamia lingua, e voi potete
Narrar di lei ciò che non san le Muse.
Intelletto terreno al cici non sale.
Né fa volo dlvin penna mortale.
Un rabbioso dispetto ancor sent* io
Del grave oltraggio onde delusa io fui ,
Polche die con sua infamia e biasmo mio,
Vergognosa materia al rìso altrui.
Or non si dolga no chi mi schernio.
Se Tonta che mi fé* ricade in lui.
S*el volle cancellar corno con scorno,
lo saprò vendicar scorno con corno.
L'Aurora Innanzi di si cala In terra
Per abbracciar d'Atene li cacciatore.
La Luna a mezzanotte il elei disserra
Per vagheggiar l' arcadico pastore.
Io perchè no? se U mio deslr pur erra.
Quella somma beltà scusa ogni errore, [to,
Vo', che il garzon ch'io colà presso ho scor-
Sla vendetta air ingiuria, emenda al torto.
Qui tace, e poi qua) cacciatrice al guado.
Colà correndo all'alta preda anela.
Vesta di lieve e candido zendado
Le membra assai più candide le vela ,
Che com' opposto al Sol leggiero e rado
Vapor, le copre si , ma non le cela.
Vola la falda Intorno abile e crespa ,
Zeffiro la raccorcia e la rincrespa.
Sudata dall' artefice marito
SuH' omero gentil fìbbia di smalto
Con branche d'oro lucido e forbito
Sospende ad un zafSr l' abito in alto.
L'arco, onde suole ogni animai ferito,
Mercè della man bella ambir l'assalto
Con la faretra, che al bel Hanco scende ,
Ozioso e dimesso al tergo pende.
Sotto il confln della succinta gonna
(Salvo ii bel pie, che ammanta aureocalza-
Dell' una e l' altra tenera colonna , [re,
L' alabastro spirante Ignudo appare.
Non vide il mondo mai (se la mia donna
Non 1* uguaglia però} forme sì care.
Da lodar, da ritrar corpo sì bello.
Tradì canto non ha, Grecia pennello.
Pastor di Troia , 0 te felice allora.
Che senza vel tanta bvltà mirasti ;
E saggio te, quanto felice ancora.
Che il pregio a lei d'ogni beltà donasti.
Beltà, che gli occhi e gli animi innamora.
Diva delle bellezze, e tanto basti.
Se non fuss'ella Qlerea , direi
Che Qtereas* assomigliasse a leL
Non osa al bell'Adon Venere Intanto,
Il vero aspetto suo scoprir si tosto.
Ma vuol per tome gioco innanzi alquanto.
Che sia sotto altra immagine nascosto.
Nov* (io non saprei dir con qual incanto)
Simulacro mentito lia già composto ;
E già si ben di Qnzia arnesi e gesti
Fmge, che in tutto lei la crederesti.
Va come Qnzia , Inculta ed inomata 1
E veste gonna di color d* erbetta.
Tutu in un fascio d'or la chioma aurata,
Le cade sovra l' omero negletta.
Nulla industria però ben ordinata,
Tanto con 1* artifìcio altrui diletta ,
Quanto al bel crin, ch'ogni ornamento
Accresce ogni disordine bellezza, [sprezza
Tien duo veltri la destra, al lato manco
Pende ad aurea catena indico dente.
D* argento in fronte immacolato e bianco
Vedesi scintillar luna lucente.
Lasciasi l'arco e la faretra al fianco.
Prende d' acuto acciar spiedo pungente.
Talché al cani, agli strali, ai corno,air asU,
La più lasciva Dea par la più casta.
Non sol per suo diletto ella usar vote,
Ma per Infamar l'emula quest'arte ,
Perchè temendo, se la vede il Sole ,
Non l'accusi a Vulcano, ovvero a Marte;
Vuol ch'egli o qualche SaUro, che suole
Da lui fuggire in quell'ombrosa parte,
A Pan piuttosto 11 riferisca e dica:
Che ancor Diana sua non è pudica.
«2
VftRIIVD.
I%rpf(l spedito ageroltrat tlcallfe
L* aureo cotorno si disfibbia e scalia «.
Poi dell' obliqua ed inUicata ralfe
Premeodo va la discoscesa balza.
Verbe dal Sole impallidite e gialla
Verdeggian tutte, ogni fior s'apre ed alza.
Sotto il pie peregrin dei bosco inculto,
Ogni sterpo fiorisce , ogni virgulto.
Ed ecco audace e temeraria spina ,
Ma qvanto temeraria , anco fdtcc ,
Che la tenera pianta alabastrina-
Ptingeln passando, e il sangue fuor n'elice,
E Tien di quella porpora divina-
Ad ingemmar la cima impiagatrice ;
Ma colorando i-fior dei proprio stelo,
Scolora i fior della beltà del cielo.
Pallidetla s'arresta e dolorosa
Que' begli ostri a stagnar col bianco Uno,
E intanto folgorar vede la rosa,
GIÀ di color di nere, or di rubino.
Ma per doppia ferita ancor non posa,
Nò della traccia sua lascia il cammino.
Vinta la doglia è dal desire , e cede
Alla plaga del cor, quella del piede.
Or giunta sotto il solitario monte,
Dove raro uman pie stampò mai l'orme,
Trova colà sul margine del fonte,
Adonche in braccio ai fior s'adagia e dor-
Ed or che già della serena fronte [me.
Gli appanna il sonno le celesti forme,
E tien velato il gemino splendore,
Veracemente egli rassembra Amore.
Rassembra Amor, qualor deposta e sclol-
Laface, e gli aurei strali, e l'arco fido, [ta
Stanco di saettar posa talvolta
Su ridallo frondoso o in vai di Gnido,
E dentro 1 mirti, ove tra l'ombra folta,
Han canori augelletti opaco nido,
Appoggia il capo alla faretra, e quivi ,
Carpisce il sonno al mormorar de' rivi.
Siccome sagacissimo seguso,
Polche raggiunta ha pur tra fratta e fratta,
Vaga fera talor, col guardo e II muso.
Esplorando li covll Termo s'appiatta ;
E in cupa maccliia rannlcciilato e chiuso,
Pkr che voce non oda, occhio non batta,
Mentre il varco e la preda, ov'ella sia.
Immobilmente insidioso spia ;
Così' la Oéa d'Amor, poicflè' soietta
Giunge a mirar l'angelica sembianza.
Che alle gioie amorose il bosco aUelta,
E del suo elei le meraviglie avanza.
Resta Immobile e fredda, e in su l'erbetUi
Di stupor sopraffatta e di speranza ;
Siede tremante, e il bel che l'innamora.
Stupida ammira, e reverente adora.
In atto sì gentil prende rl]>oso.
Che tutto leggiadria spira e dolcezza;
E il sonno Istesso In si begli occhi ascoso.
Abbandonar non sa tanta bellezza.
Anzi par che di lor fatto geloso «
Di starsi ivi a diletto abbia vaghezza;
E con nido si bel non le dispiaccia.
Cangiar di Pasitca l'amate braccia.
Placido figlio della Notte bruna,
li Sonno ardea d'amor per Pasltea;
E perchè questa delie Grazie cr'una.
L'ottenne in sposa alfin da Citerea.
Or, mentre che di lor sen già ciascuna
L'erbe scegliendo per lavar la Dea,
Scherzando intorno ignudo spirto alato,
Partir non si sapea dai vicin prato.
Vanno, ove Flora I suol tappeti stende.
Le Grazie a cor qual più bc! fior germoglia.
Qual dalla spina sua rapisce e prende
La rosa, e qual del giglio il gambo spoglia.
Quella, al balsamo ebreo la scorza fende.
Questa, all'indica canna iicrin disfoglia.
Altra, ove suol vibrar lingue di foco.
Ricerca di Cilicia il biondo croco.
Or, il tranquillo Dio, mentre che move
Invisibii tra tori* ali sue chrte.
Posar veggendo il beli' A don là dove,
Tesson notte di fronde ombre scerete.
Per piacer alla figlia alma di Giove,
GII pone agii occhi il ramosccl di Lete;
Talché ben potè, oppresso in quella gufsa.
Star quanto vuole a contemplarlo assisa.
Tanta In lei gioia dal bel viso fiocca,
E tal da' chiusi lumi incendio appiglia;,
Che tutta sovra lui pende e trabocca,.
Di desir, di piacer, di meraviglia.
E mentre or della guancia, or della bocca.
Rimira pur la porpora vermiglia.
Sospirando un oimè, svelle dai petto.
Che non è di dolor, ma di diletto.
t'AOfHfE.
Qual'indastre plttbr, che fistento eflso
tn M ritratto ad emuldir natura,
TiìtXù il Oor, tatto M bel d*un vaga risa»
Celàument^ Investigando fiira;
0«r dolce sguardo e del soave rìso,
PHai*binbra ignuda entro il 'pensler figura,
Poi con la man dlscepola delPart»,
Di leggiadri colbr la veste tn carte ;
Tal efla, qnasi con pennel flirtilo.
L'aria involando dell'oggetto amato,
BoTe con occhio cupido e lascivo.
Le bellezze del volto innamorato ;
Indi dell* Idol suo verace e vivo,
Forma l'esemplo con lo strale aurato,
E con lo strai medesimo d'Amore,
Se rinchiuda e configge in mezzo al core.
A pie gli siede, e studia attentamente,
Come la bella imago in scn si stampi.
In lui si specchia, ed ali* Incendio ardente,
Tragge nov'esca, onde più forte avvampi.
Ma delle stelle Incclissate e spente,
Suscitati veder vorrebbe i lampi ;
E consumando va tra lieta e trista,
la quel dolce spettacolo la vista.
Benché il favor de' rami ombrosi e densi,
Dal Sol difenda il giovane che giace.
Pur l'aria Impressa di vapori acccnsl,
E ripercossa dall' estiva face,
E quel che lega dolcemente I sensi,
E sopisce 1 pensier, sonno tenace,
II volto insieme ed umidetto ed arso.
Di fiamme tutto e di sudor gli bau sparso.
Onde la Dea pietosa, or della vesta
Il lembo, or un suo vel candido e lieve
In lui scotendo, a lusingar s'appresta
Della (h>nte e del crin, 1* ambra e la neve.
E mentre 1* aria tepida e molesta
Move e scaccia il calor noioso e greve,
Con r aure vane a vaneggiar intesa,
Sfoga ih sosplr l'Interna fiamma accesa.
Aore, oaure,dÌcea, vaghe e vezzose,
Peregrine dell'arhi, aure odorare.
Voi che di questa selva infì*a l'ombrose,
Cime sonore a stuol a stuol volate.
Voi, cui de' miei sospir Taure amorose,
Doppian forza alle piume, aure beate.
Voi, dall' estivo ingiurioso ardore.
Deh difendete n nostro amato amore.
Cosi di verno' mai, coiA dI'geDi',
Ira nemica non vi offènda o tocchi ;
E quando I monti bau più canuto il pdb.
Dolce dalle vostr'all ambrosia flocchi;
E securo vi presti II bosco e II cielo.
Schermo dal vivo Sol di que' begli occhi ;
E molle abbiate e di salute piena.
Ombra sempre tranquilla, aria serena.
fndl ai fiorito e verdeggiante prata.
Letto del vago suo, rivolta dice :
Terreno al par del cìei sacro e beato.
Avventurosi fiori , erba felice.
Cui sostener tanta bellezza è dato.
Cui posseder tanta ricchezza lice.
Che deir idolo mio languido e stanco.
Siete guanciali al volto, e piume al fianco ;
Sia quel raggio d'Amor, che vi percote.
Di Sole invece a voi, fiori ben nati.
Ma che veggio? che veggio? or che non potè
La virtù de' begli occhi ancor serrati?
Dal bei color delle divine gote.
Dal puro odor dì que' celesti fiati.
Vinta la rosa, e vergognoso il giglio,
L'una pallida vien, l'alti'O vermiglio.
Volgcsi agli occhl,e dice: Un degli ardenti
Vostri lampi, occhi cari, or mi consoli.
Occhi vaghi e leggiadri , occhi lucenti.
Occhi de* miei pensieri, e porti, e poli.
Occhi dolci e sereni, occhi ridenti.
Occhi de' mici desiri, e specchi, e Soli,
Finestre dell'Aurora, usci del die.
Possenti a rischiarar le notti mie.
Occhi ove Amor sostien lo scettro e il re-
Ov'egli arrota i più pungenti artigli, [gno,
Voi sol potete 11 mio battuto ingegno.
Campar dalle tempeste e da' perigli ,
Non men che stanco e travagliato legno,
Soglian di Leda 1 due lucenti figli.
Già parml In voi veder, veggio pur certb,
Tra due chiuse palpebre un cielo aperto.
Ma perchè non v'aprite Te I dolci ral
Non volgete a costei, che umil v'Inchina?
Aprili, neghittoso, e sì vedrai
A qual ventura il Fato or ti destina.
Rendi ai sensi 11 vigor, richiama ornai
L* anima da* bei membri peregrina.
Ah non gli aprir, che chiuso anco li bel d-
Splra Tardor del mio spietato figlio, [gllo,
44
MARINO.
Sonno, DM tu, s* egli è pur ver che sei,
Vi?a e verace Immagine di morte,
Anzi di qualità slmile a lei.
Suo germano t'appelli, e suo consorte.
Come, come potesti a danni miei,
Entrar del cicl nelle brate porte?
Con che licenza oltre 1* usato ardita.
Puoi negli occhi abitar della mia vita?
E se sei pur dell'ombre e degli orrori
Oscuro flgilo e gelido compagno.
Come 1 cocenti raggi, e 1 dliiarì ardori
Soffri di quel bel viso, ond'io mi lagno?
Fuggi il riscliio mortai. Semplici cori
Fan tra I vezzi d' Amor scai so guadagno.
Vanne vanne, lontan , vattene In loco ,
Dove tanto non sia splendore e foco.
Ma se stender vuol pur le brune piume
Sovra li novello autor de* miei tormenti,
Deb porgi all'ombre tue tanto di lume.
Che r immagine mia gli rappresenti ,
La qnal siccome dolce lo mi consume
Gli mostri in atll supplici e dolenti ,
Onde nel pigro cor, mentre giac'egll
Sonnacchioso dormendo. Amor si svegli.
Appena ha queste note ultime espresse,
Che l'amico Morfeo, ciie gli è vicino,
Fabbrica d'aria e di vapori inlesse
Simulacro leggiadro e peregrino.
Di tal forine si veste, e scopre In esse
Di celeste beltà lume di \ ino.
Donna, eh' è tutta luce, e foco spira.
Nel teatro del sonno Adone ammira.
Corona tal, che altrui la vista offende ,
Cerchia la fronte lucida e serena ,
E di gemme stellata avvampa e splende,
E di stelle gemmata arde e balena.
£ dal (itolo suo ben si comprende.
Che non è chi la tieucosa terrena,
HavvI scritto dintorno In lettre aurate :
Madre <f Amore, e Dea delta heltate.
Mentre d'alto stupore Adonvien manco
Glàpargli già la beila iarva udire.
Che stendendo una man d'avorio bianco,
Adon, dammi il tuocor,gii prendeadire.
E fu quasi un sol punto aprirgli il flanco,
Dispiccarglielo a forza, e disparire.
Sognando II bel garzon, si dole e geme.
Sì che la vera Dea ne langue Insieme.
E traendo un sospir piano e sommesso
Tempra il novo marti r, che la tormenta,
E languisce e gioisce a un tempo Istesao,
Spera, teme,arde,agghiaccia, osa e paventa.
La mano, elisen s'empie di (lori, e spesso
Sul viso un nembo al l)el fauclul ne avventa.
Indi (che lui dcsu non vuol) s'inchina
Dolcemente a baciar 1' erba vicina.
Poscia il bel riso entro le labbra accolto.
Che In carcere di perle s'imprigiona.
Contempla attentamente, e del bel volto
Vagheggiando la bocca, a lei ragiona :
Urna di gemme, ov'è il mio cor sepolto,
A te medesma 11 mio fallir perdona,
S* lo troppo ardisco, orche tu taci e dormi,
L' alma, che mi rapisti, io vo' ritorml.
Che fo, seco dicca, che non accosto
Volto a volto pian piano, e petto a petto?
Vola il Tempo fugace, e seco tosto
Seguito dal dolor, fugge il diletto.
Ahi quel diletto, a cui non vlcn risposto
Con bel cambio d* amor, non è perfetto ;
Né con vero piacer bacio si prende ;
Cui r amala beltà bacio non rende.
Qual dunque tregua attendo a* miei mar-
Se occaslon sì bella oggi iralasso [tiri
Ma se avvien, che si svegli, e che s'adiri.
Dove rivolgerò confusa il passo?
Moveranno il suo cor pianti e sospiri ,
Purché non abbia f anima di sasso.
Non r avrà, s*egli é bel. Cosi dubbiosa
Per baciarlo s'abbassa, e poi non osa.
Come resta il villan, se alle fresch'ondc
Quando più latra in ciel Sirio rabbioso
Corre per bore, e vede in sulle sponde
La vipera crudel prender riposo;
0 come il cacciator, che fra le fronde
Cerca di Filomena il nido ascoso ,
E ficcando la man dentro la cova.
Invece dell' augcl , l' aspe vi trova ;
Così lieta in un punto , e timldetta
Trema costei quanto pur dianzi ardia.
L'affligge la beltà, che la dileiu,
11 troppo stimolar la fa restia.
Brama quel che l'offende, ed è costretta
Tuitavolta a temer quel che desia,
Pentesl, che tant' oltre erri 11 deslre,
E si pente ancor poi del suo pentire.
L'ADONE.
45
Tre Tolte al lievi e dolci flati appressa
La bocca e il bacio, e tre si arresta e cede,
E sprone insieme, e Tren Tatta a sé stessa
Vuole e disvuole, orsi ritragn^e, or riede.
Amor che pur sollecitar non cessa.
La sforza alfine alle soavi prede,
Si che ardisce libar le rugiadose
Dì celeste llcor purpuree rose»
Al suon del bacio, ond'ella ambrosia
L* addormentato giovane deslossi, [bebbe
E poiché alquanto in sé rinvenne, ed ebbe
Dal grave sonno I lumi ebbri riscossi ;
Tanto a quel vago oggetto In lui si accrebbe
Stupor, che immoto e tacito reslossi ;
Indi da lei, che all'improvviso 11 colse.
Per fuggir sbigottito 11 pie rivolse.
Ma la Diva importuna II tenne a freno ;
Perché, disse, mi fuggi? ove nevai?
Mi volgeresti il bel guardo sereno,
Se sapessi di me ciò che non sai.
Ed egli allora abbarbagliato e pieno
D* infinito diletto a Unti rat ,
A tanti rai, che un sì bel Sol gli offerse.
Chiuse le luci, faidl le labbra aperse ;
Ed : 0 qual tu ti sia , che a me ti mostri
Tutta amor, tutta grazia, o donna, o diva
Diva certo immortai, da sommi chiostri.
Scesa a bear questa selvaggia riva.
Se van, disse, tant' alto i preghi nostri ,
Se riverente aflTetto il Ciei non schiva,
Spiega la tua condizion, qual sei ,
0 fra gli uomini nata, o fra gli Dei.
Alla madre d' Amor, che altro non vole,
Che aver le luci a quelle luci aflftsse ,
Parve, che aprendo 1* uno e l'altro sole
De* duo begli occhi , il paradiso aprisse.
E le calde d*amor dolci parole.
Che a lei tremando e sospirando disse,
Le furo soavissime e vitali
Fiamme al cor,lacci aU*alma,al petto strali.
Ma pur dell'esser suo celando 11 vero,
Mentitrice favella intanto forma :
Così poco conosci, incauto arderò,
Lei, che non solo il primo cielo informa,
Che ha nel centro infemal non solo impero.
Ma da cui queste selve han legge e norma?
Eppur m'imiti e segui a tutte l'ore;
Poco men che non diasi, e mi ardi il core.
Io men venia, siccome soglio spesso
Quando l'estivo can ferve e sfavilla,
In questo bosco, a meriggiarla presso
In riva all'onda lucida e tranquilla,
Che una bolla vivente aperta In esso ,
Di cavernosa pomice distilla ,
E forma un fonticel , che alle vidne
Odorifere erbette imperla il crine.
Quando il mio pie che per l'estrema arsu-
Siccome vedi, é d'ogni spoglia ignudo, [ra,
Con repentina e rigida pyntura
Ago trafisse Ingiurioso e crudo.
E bench* uopo non sia medica cura
Per farmi incontro al duol riparo e scudo.
Colsi quest' erbe, il cui vigore affrena
11 corso al sangue e può saldar la vena.
Ma perché ogni mia Ninfa erra lontano,
E chi tratti non ho l' aspra ferita,
Porgimi lu con la cortese mano
(A te ricorro, In te ricovro) alta.
Qui del trafitto pie, del cor non sano
L'una piaga nasconde e l' altra addita ,
E scioglie, testimon de* suol martiri,
Un sospiro diviso in duo sospirL
Non era Adon di rossa cote alpina.
Né di libica serpe al mondo nato.
Ma quando fosse ancor d' adamantina
Selce e di crudo tosco un petto armato,
Ogni cor duro , ogni anima ferina
Fora da si bel Sol vinto e stemprato.
Né meraviglia fia qualora' accosta.
Che arda fiamma vorace esca disposta.
Reverenza , pietade, amore e tema
Fan nel dubbioso cor fiera contesa;
Ma perché deve ogni fortuna estrema
Subitamente esser lasciata, o presa,
Non ricusa il favor, ma gela e tema
Mentre s' appresta a sì soave impresa*.
In quel gesto pietoso, ed attrattivo
Con cui ride languendo occhio lascivo.
Santo Nume, dlcea, cui Qnto, e Delo
Porge voti, oflTre incensi, altari infiora.
Vostra grande In abisso, in terra e in cielo
Virtù, chi non conosce e non adora?
Scusate il cor se con perfetto zelo
Celebrar non vi sa, quanto vi onora,
E l' ardir della man prendete In pace.
Che in sì degn' opra é d' ubbidini audace.
AÙ
UÀRmù.
Deb qual ventura mal, guai propdo
D* infelice mortai Unt' alto giunse ? [merto
Ben ho da benedir questo deserto,
Che le fide da voi serve disgiunse,
E quei, per cui mi è tanto bene offerto.
Spinoso stel, che il bianco pie vi .punse;
E vo' segnar per tante glorie mie
Con pietra lesbia un si felice die.
Scinlillan tante fiamme e tanti. raggi
Nel sembiante eh* lo scorgo, altero e beHo,
Che dar potriano Invidia e fare oltraggi
Al vostro ardente e lucido fratello.
Onde non gi^ de* boschi aspri e selvaggi,
Ma Dea de' cori e degli amor vi appello ;
Che s'io mi a£Bso in voi, di veder parmi
ÀI iLOlto Citerea, Diana ali* armi*
Con questo Bagianar, del pie gentile
Si reca in grembo l' animato latte,
E poscia che con vel bianco e sottile
N' ha le gelate stille espresse e tratte,
Delia destra vi accosta assai simile.
Quasi in Ji>el paragon, le nevi intatte.
Disse Amor, che.uon era indi lontano,
Non volea si bel pie men iìclla mano.
Tasta la cicatrice e terge e tocca
Morbidamente i sanguinosi avori,
£ mentre un rio di nettare vi fiocca
Fra cento erbe salubri e cento odori ,
Fan con occhio loquace e muta bocca
Eco amorosa i tormentati cori,
Dove invece di voce il vago sguardo
Quinci e quindi risponde, ardi eh' io ardo.
Dicea r un fra suo cor: Deh quali io miro
Strani prodigi e meraviglie nove?
Il del d'amor dal cristallino ^iro
Di sanguigne rugiade un nembo piove.
Quando tra gli alabastri unqua s'udirò
Nascer cinabri in cotal^uisa,odoveì
Da fonte eburneo uscir rivi vermigli.,
Dalle nevi xoralli, ostti dai gigli?
Sangue puro e divin, che a poco.apoco
Fai sovxa il latte scaturir le rose.
Vorrei da te saper, sei sangue, o foco ,
Che tante accogli in te faville ascose?
0 non mai più vedute in alcun loco
Gemme mie peregrine e preziose^
Di si nobll miniera usciste for<e,
Che.Jbea.ai «endca tanto.pcezzo un.cone.
E tu candido, piede insanguinato
Che di minio si fino asperso sei ,
E ricca .pompa fai cosi smaltato
De' tesori d'amore agli occhi mìei ;
Quanto più del mio cor. sci fortunato,
Del mio cor, che trafitto è da costei?
Langue ferita e di ferir pur vaga
Impiagato mi ha 11 cor con la sua plaga.
A te fasciato pur di bianco invoglio
Efficace Ucor rimedio serba.
Senaa fasce ei si dole^ al suo cordoglio
Non giova industria d'arte, o virtù d'erlia.
Consenta pure Amor, che s'io mi doglio,
Trovi ristoro alnien hi doglia acerba ;
E strinj;endomi il fianco in dolce taceio.
Se mi ferisce il piè« mi sani il braccio.
Chi più giammai di me felice fia,
S'egli avverrà, che questa bella esangue,
Che al chiuder della sua la piaga mia
Apre cosi, che il cor ne geme e langue ,
Di omicida crudel , medica pia, [gue ?
Mi asciughi il pianto, ov'io l'asciugo il san-
Si elle tra noie e gioie e guerre e paci
Quante mi dà ferite, io le dia baci?
Lassa , l'altra dlcca, che dolce pena.
Questa che la mia piaga annoda e cinge l
Non è fascia, anzi è ceppo , anzi è catena.
Che mentre il pie mi lega, il cor mi strìnge.
Questo purpureo umor, che In larga vena
Di vivace rossor mi verga e tinge [pressa
Ahi eh' è l' anima mia , che in sangue es-
Vuole a costui sacrificar sé stessa.
Erbe felici, che alle mie ferute
Dolor recale e refrigerio insieme,
Benché d'alto valor, quella virlute
Che vive in voi, non è virtù di seme.
Vien dalla bella man la mia salute,
Da quella man, che vi distilla e preme.
Emula de' begli occhi e del bei viso ,
Che aanandonii il corpo ha il core ucciso.
0 bella mano, ond' è che curar vuoi
La piaga del mìo pie conlanto affetto?
Forse sol per poter farmene poi
Mille più larghe e più profonde al petto?
Forse è desti n, che fuorché ai co)pi tuoi
Non dee corpo celeste esser soggetto.
La palma che di me morte non ebbf^
Aie.ael Ai concedei a te si dfibbe.
L'ADQMS.
lUcbe più tardoadUvelar qucsfombn,
Cbe tiene il mio splendor di nube cinto?
S*or che le mie l)ellezsein parte adombra
Magica benda, il mio avversario è ^into,
Cile Ila quando ogni nebbia In tutlo aigom-
Verri clie ccdaal vero oggetto il finto! ^bra
Disse e sguarciando le fallaci lane
In propria effigie al gioTanetto appane.
Qual vergine talor semplice e pura
Se arvien, che astuta mano alzi e discopta
Drappo, ch'alcuna in sé sacra figura
Effigiata ad arte abbia di sopra^
Ma secreta nasconda altna piltus^,
DI lascivo penncl piacevoloprj^
Tingendo il bel candor di .grana fin^
DaU* inganno confusa, 1 lumi inchina.
Tal al smarrisce Adon. quando scoverto
Della Dea gli si mostra il lume intero.;
E tanto più pur di sognar incerto,
D^ alta confusion colma il pensiero,;
Perchè conosce espressamente aperto
Del sogno suo nella vigilia il verx) ,
Rivedendo colei, che poco dianzi
Rnbatrice del cor, gii apparve InnanzL
Al bel garzon, che stupefatto resta
Veduto il primo aspetto in aria sciolto.
La beila Dea discopre e manifesta
In un punto mcdesmo il core e il volto.
Benmto, dicea, quai meraviglia è questa.
Che tra dubbj pensier li tiene involto?
Quel traveder, che ti fa star dubbioso ,
Fu di mia Deità scherzo amoroso.
Or non più m i nascondo. Io mi son quella,
Per cui d' amore il terzo ciel s' accende.
Quella son io, la cui lucente stella
Innanzi al Sole, emula al Sol risplende.
Taccio, che dal mio bei qualunque bella
Bella è detta qua{;giù, bellezza prende;
Taccio, die figlia son dui sommo Padre,
Dirò sol ch'amo e che d'Amor son madre.
Quando ben fosse a tua notizia ignoto
"Quel che t' abbaglia insolito splendore,
Qual è dima si ioospilo e remoto.
Alma qua! è, che non conosca Amerei
Che se pur poco agii altri sensi è noto.
Malgrado suo, ne lia conoscenza il cora.
Se ti piace d'Amor dunque il piacere,
Dinuni il tuo stato e dammi il tuo volere.
47
Si diate e Plto U persuasele vioat.
Ch'entro le labbra della Deaai ascoM.
Plto ministra sua d' ambrosia Intinw
Quelle faconde ed animate rase.
Plto in leggiadri articoli disUnae
Le note accorte e il iwl padar ^'^-jp^^^.
Plto dalla dokissima Xavella
Sparse catene.ed avventò Quadrdla*
Fosse la gran soavità di queste
Voci, che il.glovenil petto, percosse,
0 del bel cinto, ond'ella il fianco v^tte
Pur la virtù miracolosa fosse ;
Dal dolce suon del ragionar celeste
Invaghito il fanciul tutto si mosse ; [saasa^
Ma quel die in lui più eh' altro ebbcypos-
Fu la divina joltramortal aemi»lanxa.
Un diadema Ciprigna avea genunanle,
Genuneposaenti a concitare amore.
V era la pietra illustre e folgorante,
Ch' hadaUaLuna il nome e lo splendore.
La calamita, ch* è dei ferro amante^
E in giadnto, chea Cinzie accesa il core;
Bfa la virtù de* lucidi gioicUi
Fa nulla appo Tardor degli ocdii hellL
.La destra ella .gli stese e il vq^o line
Scorciò, che nascondea la neve pura ,
Onde implicato in un cerchietto fino.
Che con mista di gemme aurea scultura
Facea maniglia al gomito divino
Rigido di barbarica ornatura,
(Fosse arte o caso] delicato e bianco
Fece li fuso veder dd braccio manco.
Tenea, com* lo dicea, le membra belle
Appannate d' un vel candido e netto,
E qual d'Adria veggiam donne e donzelle
Infin sotto le poppe ignudo il petto.
Fé' vista allor tra il seno e le mammelle
Voler groppo annodar non ben ristretto
E più leggiadra e più secreta parte
Fingendo di coprir, acoverse ad arte.
Mentre languia 1* innamorata Dea,
Adon con fise ciglia in lei rivolto.
Tutto rapito a contemplar godea
Le meraviglie del celeste volto,
E quivi in vista attonito scorgea
H bei dd bello in breve spazio accolto.
Fra.i detti Intanto e fra gli sguardi amore
tyll entrò perj^li oochl^perrorcccbiealcore.
48
VARINO.
Neirudlr, nel mirar 8*accew ed arse
Di non sentite' ancor fiamme novelle,
E del foco del cor l'incendio sparse
Su per le guance delicate e belle.
Inchinò a terra onestamente scarse
Vergognosetio le ridenti stelle,
Poi fcrso lei con un sospir le volse,
Alfin lo spirto In queste vod «dolse :
0 Dea cortese, o s'altro è pur fra noi
Titol , cir a maestà tanta convegna ,
Qual può mai cosa offrir vii servo a voi ,
La cui pietà di coUl grazia il degna t
Lo scettro no, poiché ne* regni suoi
Povero dìredato or più non regna.
La Tita no, che da voi Dei fauii
Il vivere e il morir pende a* mortali
Voi siete Ul , eh* altri non può mlrarrl,
Che n^irando d* amor non se n'accenda,
Ma non può alcuno accendersi ad amarvi,
Che amando non vi oltraggi e non vi offen-
Offesa vi è servirvi ed adorarvi , [da.
Vi oltraggia uom vii, che cotanl'alto Inten-
Perchè con quel ch'ogni misura passa, [da,
Proporaion non ha scaia si hassa.
Non dee tanto avanzarsi umano ardire,
Che presuma d' amar bellezza etema,
Ma cunar le ginocchia e reverire
Con devota umiltà chi il del governa.
ti ben ver, che qualora entra in desire
D'inferior natura alma superna,
Quella bontà, quella virtù sublime
Nell'amato soggetto il merto imprime.
Quel merto eh' esser suol d' amor caglp-
In noi mortali è in voi celesti efletto, [ne
Sicché quando alcun Dio d* amar dispone
Uom terreno e caduco, il fa perfetto;
Che benché diseguale sia 1* unione ,
L*nn dell'altro però sgombra il difetto;
E d'ogni indignità purgando 11 vile,
Ciò che è per se vUian , rende gentile.
Amor di voi m'Innamorò per fama
Pria che a veder vostra beltà giungessi ,
E da lunge vi amai non men che si ama
Oggetto bei , eh' ingorda vista appressi.
Or che quanto li mio cor sospira e brama
Son condotto a mirar con gli occhi Istessi,
E eh* oltre li rimirarvi , altro mi é dato ,
Vo' contentando voi , far me bealo.
Quanto darvi mi lice e quanto è mio
Vi sacro e dell'ardir chiedo perdono.
Se degno son di voi , vostro son io,
E se il cor vi fia in grado , il cor vi dono.
Se mendica è la man , ricco è il desio ,
Siete donna di me più eh' io non sono.
I Né fuor che l'amor vostro, amar potrei.
Né potendo voler, poter vorrei.
Il mio volere al voler vostro è presto
Tanto, che quasi In me nulla n'avanzi.
Lo stato mio, se a tutti è manifesto.
Come a voi di celarlo avrei baldanza?
Mirra , dirolio , il cui nefando incesto
La vergogna rinnova alia membrania ,
Fu la mia genitrice e da colui ,
Che generolla , generato lo fui.
Ed or selvaggio cacdator ramingo,
Sagittario di damme e di cervette,
L'arco per mio trastullo incocco e stringo,
Ed impenno la fuga alle saette.
Felice error, che per l' orror sollngo
Di quest* ombre beate e benedette
Fuor di via mi tirò , né ciò mi dole ,
Poiché perdo una fera e trovo un Sole.
Ne' bel vostri occhi, per col vivo e moro.
L'anima omai depositar mi piace;
Ma perché il cor sacrificato In loro
Già sento già, che in vivo ardor si sface,
E perché a quella bocca, ov'é il tesoro
D'Amor, non é d'avvicinarsi audace;
Ecco con questo bacio, ancorché indegno,
A te candida mano , lo la consegno.
Ed ella allor : Che tu ti sia, mia vita.
Esperto arder, saettatore accorto ,
Altra prova non vo', che la ferita.
Che in mezzo ai petto immedicabil porto.
Ma d' aver tal beltà mai partorita
Mirra , credilo a me , si vanta a torto ,
Perché fra l'ombre 11 Sol non si produce.
Né può la notte generar la luce.
Ella il padre ingannò di notte oscura,
E tu porti negli occhi un di sereno.
Ella di scorza aipestra il corpo indura,
E tu più che di latte, hai molle II seno.
Ella amara e spiacente é per natura ,
E tu sei tutto di dolcezza pieno.
Elia distilla iagrlmosi umori,
E tu fai lagrimar l'anime e i cori.
Sol quelle luci tue rapaci e ladre.
Che Infoiando da* petti i cori vanno.
Parto furtivo di furtiva madre
T* aocuaaii nato e con furtivo inganno.
Or se membra si beile e si leggiadre
Fur concetto di furto e furar sanno ,
hoD ti maravigliar, se voglio anch' lo.
Che chi mi fura il cor, sia furto mio.
ADONE. 49
Poi le luci girando al vlcln colle.
Dov'era il cespo, che il bel pie trafisse,
Fermossi alquanto a rimirarlo e volle
Il suo fior saiutar pria che partisse;
E vedutolo ancor stillante e molie
Quivi porporeggiar, cosi gli disse :
Salviti il Ciel da tutti oltraggi e danni ,
Fatai cagion de' miei felici affanni.
Non pur gli occhi e le mani a tuo talento,
La bocca e il sen U è posseder concesso,
Ma ti apro il proprio fianco e ti presento
In cambio del luocore, il core istesso. [to,
Vedrai, che queir amor, che al core io sen-
Ti ha sculto no , ma trasformato in esso.
Che sei de' miei pensieri unico oggetto,
E che altro cor che te non ho net petto.
Con tal lusinghe il lusinghiero amante
La lusinghiera Dea lusinga e prega.
Ella arditeita poi la man tremante
Gli stende al collo e dolcemente il lega.
Qui , mentre Amor superlx) e trionfante
L'amoroso vessillo in aito spiega.
Strette a groppi di braccia ambe le salme,
Ammutiscon le lingue e parlan l' alme.
Dolce de' baci il fremito rimbomba ,
E furandone parte invido vento ,
Degli assalti d'Amor sonora tromba.
Per la selva ne mormora il concento ;
A cui la torlorella e la colomba
Rispondon pur con cento baci e cento.
Amor de* furti lor dal viciii speco
Occulto spettaior, sorrise seco.
Fu cosi stretto il nodo, onde si avvinse
L'avventurosa coppia, e si tenace.
Che non più Torte vite olmo mai'strlnse,
Smilace spina , o quercia edra seguace.
Vaga nube d' argento ambo riclnse.
Quivi gli scorse e chiuse Amor sagace.
La cui perfidia vendicando 1* onta
Con mlUe piaghe una sferzata sconta.
La bella Dea, che insanguinò la rosa.
Benché trafitta il sen di colpo acerbo ,
Contro il figliuoi non si mostrò S4Ìegnosa
Per non farlo più crudo e più superbo.
Ma premendo nei cor la piaga ascosa ,
Si morse il dito e disse : lo te la serbo.
Per questa volta con 1* altrui cordoglio
Tanta mia gioia bitorbidar non voglio.
Rosa riso d* Amor, del Qel fattura ,
Rosa del sangue mio fatta vermiglia.
Pregio del Mondo e fregio di Natura ,
Della Terra e del Sol vergine figlia ,
D'ogni Ninfa e pastor delizia e cura,
Onor dell'odorifera famiglia;
Tu tien d'ogni beltà le palme prime,
Sovra il vulgo de' fior donna sublime.
Quasi In bel trono Imperatrice altera
Siedi colà su la nativa sponda.
Turba d'aure vezzosa e lusinghiera
Ti corteggia dintorno e ti feconda;
E di guardie pungenti armata schiera
Ti difende per tutto e ti circonda.
E tu fastosa dei tuo regio vanto
Porti d'or la corona e d'ostro il manto.
Porpora de' giardln , pompa de' prati.
Gemma di primavera , occhio d' aprile ,
Di te le Grazie e gii Amoretti alati
Fan ghirlanda alia chioma , al sen monile.
Tu qualor torna agli alimenti usati
Ape leggiadra, o Zcfliro gentile.
Dai lor da bere in tazza di rubini
Rugiadosi licori e cristallini.
Non superbisca ambizioso 11 Sole
Di trionfar fra le minori stelle ,
Che ancor tu fra i ligustri e le viole
Scopri le pompe tue superbe e belle.
Tu sei con tue bellezze uniche e sole
Splendor di queste piagge, egli di quelle.
Egli nel cerchio suo, tu nel tuo stelo,
Tu Sole in terra, ed egli rosa in cielo.
E ben saran tra voi conformi voglie.
Di te fla li Sole e tu del Sole amante.
Ei deli' insegne tue, delie tue spoglie
L Aurora vestirà nei suo levante.
Tu spiegherai ne* crini e nelle foglie
La sua livrea dorata e fiammeggiante,
E per ritrario ed imitarlo appieno ,
Porterai sempre un piccoi Soie In seno.
9
50
itkìmo.
E perebèame d'un tal serrtffo «Mora
Qualche grata mercè render s'aspetta ,
Tu sarai sol tra quanti fióri Ila- Flora
La favorita niia^ la mia diletta*
E qua) donna più bella il Mondo onora
10 to', che tanto soi bella sia detta,
Quanto ornerà dei tuo color vivace
E le gote e le labbra. E qui al tace.
Il palagio d'Amor ricco e pomposo-
Da quel bosco lontan non era guari ,
Ma di ciò che tenea nel grembo ascoso
Degni giammai non fece occhi volgari.
Non mollo andar, che di flii or squamoso
Vider lampi vibrar fulgidi e chiari
11 tetto, onde facea mirabilmente
L' edifizio sublime ombra lucente.
Qndla casa magnifica, che raro
All'altrui vista 1 suoi secreti aperse.
Al novo comparir d' oste sì caro
Quanto di bello avfa, tutto gli offerse;
E non sol di quel loco illustre e chiaro
La gloria incomparabile scoverse.
Ma rattuffò nel pelago profondo
Di quante ha gioie e meraviglie il Mondo.
Nella torre primiera a destra mano
Entrando il ÌHtW Adon le pianto mosse,
E si trovò dentro un cortile cslrano.
Il più ricco, 11 più bel, clic giammai fosse.
Quadro è il cortili*, e spazioso e piano.
Ed ha dì pietre il suol candide e rosse.
Par che il pavese un lavolicr somigli [gli.
Scaccheggiato a quariier blandii e vermi-
Torreggiarne nel mezzo ampia e sublime
Sorge lumaca, onde si scende e po<;);ia.
Quattr'arclii clieescon fuor delle sue cime
Fanno una croce che ai balcou s'appoggia,
A cui congiunte sou le. stanze prime,
Onde scorrer si può dì loggia in loggia.
Si che una scala abbraccia e signoreggia
Per quattro corridoi tutta la reggia.
Ne'qnattroquarti Intorno, onde iloorti-
Dalla crooe diviso si comparte, [le
Hawi intagliate da scaipel fabbrile*
Quattro illustri fontane, ima per parte,
Di lavor si stupendo e si sottile.
Che ben si scorge che divina è l' arte*
Due d'alabastro e d' atpta scolpite ,.
Una di corniola , un.> tV ofitc.
Nettuno è In nna , In atto efligfato
Di ferir col tridente un scoglio alpino,
E ne fa scaturir per ogni lato
Fiume d'acqua lucente e cristallino.
Sta sovra un nicchio da Dclfln tfratb*,
Vomita ancor cristallo ogni Delfino.
Quattro Tritoni in tomo in mille rivi
Versan per le lor trombe argenti vW.
Nell'altra entro una pila incisi e scolti,
Che a colonnetta piccola fii tetto,
Stan tergo a tergo l' un l'altro rivolti
Piramo e Tisbe con la spada al petto ;
E spruzzan fuor molti ruscelli e molti
Perla piaga mortai di riuo schietto ,
Onde viene a cader per doppia canna
Dentro il vaso maggior purpora manna.
Tfen r altra fonte In una conca tonda
Seno a seno congiunto e bocca a bocca
Ermafrodito In su la fresca sponda,
Che la bella Salmace abbraccia e tocca ;
Rd a questa , ed a quello in guisa d'onda
Dalle membra e da* crini ambrosia fiocca ;
E su i lor capi una grand* urna piena
Piove nettare puro in larga vena.
La quarta esprime Amor, che sovra un
Quasi dormendo, si riposa in pace, [sasso
Le Grazie sotto lui slan più da basso.
Come per custodir l' arco e la face.
Sparge balsamo fuor per lo turcasso
L'orbo fanciul, che somiaccliioso giace;
E r amorose sue vaghe donzelle
Stillan r istcsso umor per le mammelle.
Per r alloggio d* Adon tra quelle mura
Va in volta la sollecita famiglia;
Ma mentre che la Dea mimila cura
Degli affari domestici si piglia ,
Col fìi^lìoa risguanlar r alta struttura
In disparte il garzon trattien le ciglia;
E chi sia della fabl>rica, che vede.
Il possessor, l' abitator gli chiede.
Questo (con un sospiro Amor risponde )
Che cotante in sé chiude opre snblimi ,
È il mio diletto albergo, ed ho ben donde
Pregiarìo sì , che sovra il elei lo stimi.
Qui già le dolci mie piaghe profbnde ,
Qui, lasso, incominciar gì' Incend) primi.
Qui per colei , che preso ancorml tiene.
Fu li principio fatai delle- mie penf.
L'ADONI.
Si
Non ené» Uàt che Uten wn vadtv
Dalle foTM amorose alme divina ^
Che a bramar quel placer^cbe tantoagirt»
Forte desir naturalmente Indille. [ da,
Che a questa legge soUogiaceia e eada
Anco il Re de' celesti, il Ciel destina^
Ed io, pur io, dalla cai mano isteas»
Piove i^ia e dolor, pasaai per eaaa»
NonreftaidÌlangnir,'pereh* io possegga
La face etema, Insupcrabii Dio,
E tratti l'arco onnipotente, e regga
Gli elementi , e le stelle a Toler mio.
E aernf ascDUeraf, to' che tu Tegii,
Glie fui dal* proprio strai ferito anch' fo,
E ehe del proprio* foco acceso il eoK
Ed arse- e piwse innamorato- Anwre.
Cosi l'arcier, clie df (Uprlgna nacque ,
Venia di Mirra al bel flgfiuol parlando;
E perche assai d* udirlo el si compiacque ,
Alle sue noie attcnzion mostrando,
11 dir riprese e poiché alquanto tacque,
Non però già di passeggiar lasciando,
Nel graaieso Adon gii occhi conTerse*,
E in pia lungo parlar le labbra aperse.
CANTO QUARTO.
LA NOVELLETTA.
ALLEGORIA.
La favola di Psiche rappresenta lo stato deli' uomo. La città dove nasce dinota
il Mondo. Il re e la reina clie la generano, significano Iddio e la Materia. Questi
hanno tre figliuole, cioè la Carne, la Libertà dell* arbitrio e l'Anima; la qtial noni
per altro si finge per giovane, se non perchè vi si infonde dentro dopo l' organizza-
mento del corpo. Descrivesi anche più bella, perciocché è più nobile della Carne,
e superiore alla Libertà. Per Venere, che le porta invidia, s' intende la Libidine.
Costei le manda Cupidine, cioè la Cupidità, la quale ama essa Anima e si congiunge
a lei, persuadendola a non voler mirar la sua faccia , cioè a non volere attenersi ai
diletti della Concupiscenza, né consentire agi' incitamenti delle sorelle Carne e Li-
bertà. Ma ella a loro instigazione entra in curiosità di vederlo e discopre la lucerna
nascostai cioè a dire palesa la fiamma del desiderio celata nel petto La lucerna, che
sfavillando cuoce Amore, dimostra l' ardore della Concupiscibile, che lascia sempre
stampata nella carne la macchia del peccato. Psiche agitala dalla Fortuna per diversi
pericoli e dopo molte faiiche e persecuzioni copulata ad Amore, è tipo della Istessa
Anima, che por neszo di molti travagli arriva finalmente al godimento perfetto.
ARGOMENTO.
Giunto all'albergo de' vezzosi inganni
Il bull' Adon laddove Amor s'annida,
Gli conta Amor, clic lo conduce e guida,
be fortune di Psiche e i propri alTiinDi.
fi di dura battagHft aspro confillto
Questa che vita ha nome, umana morte,
Dove ognor l' uom con mille mail afflitta
Vien eombattuto da nemica sorte.
Ma fra T ingiurie, e fra I contrasti Invitto
Non peiè sbigottisce animo forte.
Anzi contro ogni assalto iniquo e erode
S' arma e difende, e sa»vlrtA gli è seudb.
Talor ne tocca la patema verga.
Ma il suo giusto rigor non è crudele ;
Anzi perchè la polvere disperga
Ne scote 1 panni e porta in cima il mele.
Non difiperi mai si, che si sommerga
Chi per quest' Ocean spiega le vele,
Ma de' flutti e dc* venti al fiero orgoglia
Facda un' aita coslanfa ancora e «caglio,
53
HARmO.
Sembra il flaget, che correggendo ariisa
Anima neghittosa, amaro in vista.
Ma di salubre pur calice in guisa [sta.
La purga e giova altrui, mentre che altri-
Vite dal potator tronca e recisa
Fecondità dalle sue piaghe acquista.
Statua dallo scalpel punta e ferita
Ne diventa più bella e più polita.
Selce che auree scintille in seno asconde.
Il lor chiuso splendor mostrar non potè,
Se dair interne sue vene profonde
Non le tragge il focll che la percote.
Corda sonora a dotta man risponde
Con arguta armonia di dolci note,
E il vantaggio che trae di tal offesa.
Quanto battuta è più, viepiù palesa.
Rotta la conca da mordace dente.
La porpora real si manifesta.
Né del gran, né del vin si gusta o sente
L'eccellenxa e il valor, se non si pesta.
Stuxzicato carbon vien più cocente.
Soffiata fiamma più si accende e desta.
Palla a terra sospinta al ciel s' inalza,
E sfenaio paleo più forte sbalza.
La fatica e il travaglio è paragone,
Dove provarsi suol nostra finezza;
Ifè senz' affanno e duol , premj e corone
Può di gloria ottener vera fortezza.
Dell* amica d'Amor tei mostri Adone
La tribolata e misera bellezza,
Or eh' egli i tanti suoi strani accidenti
Ti prende a raccontar con tali accenti.
In real patria e di parenti regi
Nacquer tre figlie d'ogni grazia uniate.
Natura le arricchì di quanti pregi
Possa in un corpo accumular beltatc. .
Va versò de' suoi doni e de' suoi fregi
Copia maggior nella minore etate,
Perocché la più giovane sorella
Era dell'altre due troppo più bella.
Le prime due quantunque accolta in esse
Fusse d'alte bellezze immensa dote,
Tal non eran però che non potesse
Umana lingua esprimerla con note.
Va l' ultima di loro a cui concesse
Quanto di bello il Ciel conceder potè,
Tanto d'ogni beltà passava i modi,
Che era in tutto maggior del l'altrui lodi.
Per alpestri sentler stampando l' orme
Nazioni peregrine e genti estrane,
Per veder se era al grido il ver conforme.
Vi concorreano da region lontane.
E giunte a contemplar sì belle forme
Dico quel fior delle bellezze umane.
Si confessa van poi tutti costoro
Obbligati per sempre agli occhi loro.
Dai desir mossi e dalla fama tratti
Or quinci , or quindi artefici e pittori ,
Per fabbricarne poi statue e ritratti
Veniano e con scalpelli e con colorì.
E sospesi in mirarla e stupefatti ,
Immobili non men de' lor lavori ,
Dall'attonita mano e questi e quelli
Si lasclavan cader ferri e pennelli.
Quel divin raggio di celeste lume[strutto
Che avrebbe il ghiaccio stesso arso e di-
Rlsplendea sì, che qual terrestre Nume
Adorata era omai dal popoi tutto ;
Il qual della gran Dea, che dalle spume
Prodotta fu del rugiadoso fluito ,
Tutti gli onor, tutte le glorie antiche
Pubblicamente attribuiva a Psiche.
Sì di Psiche la fama intomo spase
(Tal era il nome suo) celebre il grido ,
Che questa opinion si persuase
Di gente in gente in ogni estremo lido.
Pafo d' abiiator vota rimase.
Restò Citerà abbandonata e Gnido ;
Nessun più vi recava ostia, né voto
Orator fido , o passeggier devoto.
Manca il concorso al frequentati altari.
Mancano 1 doni alla gran Diva offerti ;
Non più di fiamme d'or, lucenti e chiari,
Ma son di fredde ceneri coverti.
Da' simulacri venerati e cari
Omal non pendon più corone, o serti.
Lasciando d' onorar più Citerea ,
Sacrifica ciascuno a questa Dea.
Crede ciascun , che stupido s' affisa
DI que' begli occhi ai luminosi ral.
Novo germe di stelle in nova guisa
Veder, non più quaggiù veduto mal ;
E dalla terra e non dai mar s* avvisa
Esser più degna e più gentile assai
Pullulata altra Venere novella ,
I Casta però, modesta e verginella.
L' ADONE.
53
La vera I>ea d' amor, che dal ciel mira
Cotanto Insolentir donna mortale,
E Tede pur, che indegnamente aspira
A divin culto una bellezza frale;
Impaziente a sostener più V ira ,
Dassi in preda ai furori in guisa tale.
Che crollando la fronte e il dito insieme,
Questi accenti fra sé mormora e freme :
Or ecco là chi da* confusi abissi
L' universo costrusse e il ciel compose ;
Per cui dbiinto in bella serie aprissi
L'antico seminario delle cose;
Colei, che accende I lumi erranti e i fissi,
E ne fa sfavillar fiamme amorose ;
Di quanto è nato e quanto pria non era
La madre prima e la nutrice vera.
Con la mia deità dunque concorro
Un corpo edificato d'elementi?
Soffrirò, che ogni vanto a me di torre
Creatura caduca ardisca e tenti?
Che sovra l' are sue vittime a porre
Sprezzando i tempj miei, vadan le genti?
Che 11 sacro nome mio con riti insani
In soggetto mortale or si profani?
SI si soffriam vche con oltraggio indegno
Nostra compagna pur costei si dica ;
Che comune abbia meco il Nume e il regno
Lamia vicaria in terra, anzi nemica.
Ancor di più dlssimuliam lo sdegno.
Che Siam dntte io lasciva, ella pudica ;
Ond*loceda in tal pugna e far non basti.
Che non mi vinca ancor, non che contrasti.
Dehche mi vai, già figliaal gran Tonante,
Posseder d' ogni onor le glorie prime ?
E poter della \ia bianca e stellante
A mio senno varcar 1' eccelse cime? [te
Qual prò che ogni altroDio m'assorga avan>
Come a Dea tra le Dee la più sublime ?
E che quantunque il Sol vede e cammina
MI conosca e confessi alta regina?
Lassa, son pur colei, che ottenni in Ida
Titolo di beltà sovra le belle,
E il litigato d'or pomo omicida
Trionfando portai meco alle stelle ;
Che fu principio a cosi lunghe strida;
Ed esca dell' argoliche fiammelle ;
Onde sorser tant* armi e tanti sdegni ,
Per cui già d'Asia incenerirò I regni.
Ed or fia ver, che In temeraria impresa
La palma una vii femmina mi tolga?
Attenderò, che fino in cielo ascesa
L'orbe mio, la mia stella aggiri e volga?
Ah di divina maestade offesa
Giusto fia ben, che omaisi penta e dolga,
Che r ingiuria in colui che tempo aspetta ,
Cresce col differir delia vendetta,
Qual qual si sia l' usurpatrice ardita
Del grado aliicr, di si sul)lime altezza,
Non molto gioirà, non impunita
N' andrà lunga stagion di sua sciocchezza.
Yo* che s' accorga , alfln tardi pentita ,
Glie dannosa le fu tanta bellezza.
Stolta dell'alte Dive emula audace.
Io ti farò.... Qui tronca i detti , e tace.
Il carro ascende e d* impiegar disegna
Del figlio inquesi'affar le forze e l'armi,
Maconvicn, che 1 suoi cigni a fren ritegna,
Che dubbiosa non sa dove trovarmi.
Per le belle contrade ov'ella regna.
Di lido In lido invan prende a cercarmi ,
Poiché quivi e per tutto in terra e in ciclo
Come e quando mi piace altrui mi celo.
Prendo qual forma voglio a mio talento,
E con 1* acque e con l' aure io mi confondo.
Talor grande così mi rappresento.
Che visibil mi faccio a tutto il mondo.
Talvolta poi si picciolo divento, [condo.
Cb' entro il giro d' un occhio anco m* as-
Infin son tal, che benché m* abbia In seno,
Qii più mi sente mi conosce meno.
Lascia la Grecia e prende altri sentieri.
Vaga d' udir novelle ov' io mi sia:
Né più neir Asia entro i famosi imperi
Delle vestigia mie la traccia spia;
Ma stimolando i musici corsieri ,
Verso le piagge italiche s'invia :
Che sa ben quanto in quo' fioriti poggi
Viepiù che altrove io volentieri alloggi.
Giunge in Adiia la bella e quivi intese,
Che vi albergava il mio nemico onore,
E beltà cruda ed onestà cortese.
Nobiltà , maestà , senno e valore.
Passò poscia a Liguria e vi comprese
Apparenza d'amor viepiù che amore,
Gli' io ne' begli occhi e ne' leggiadri aspetti
Sol vi soglio abitar, ma non ne' petti.
Sì
MARiMO.
Vide |»oÌ la Marreccbia e 11 Sereliioeil Varo,
La Brenta, H Brembo, la Livenza ; e il Sìle,
E r Adda,e rOglio e il BacchigUone al paro,
Superbo il Mincio e il picciol Reno umile.
Il Tanaro, il Tesin , la Parma e ti Taro ,
£ la Dora, che d' or rìvesle aprile ,
E Stura e Sesia e di fresche ombre opaco
Da foce aurata scaturir Benaco.
Quindi al gran trono degli erculei regi
Sul Po volando i bianchi auge! rivolse.
Dove ricca sedea d* illustri fregi
La città, che dal ferro il nome tolse ;
Male fu detto, che fortuna i pregi ,
Di cui fiorir solea , sparse e disciolse.
Mille già V 'ebbi un tempo e palme e prede,
Poi tra Secchia e Panara io cangiai sede.
Non lunge dal maggior fiume Toscano
Vide r Arbia con l'Ombro, indi il Mctauro,
E con l'Isapl suo minor germano
Presso il Ronco e il Monton correr l'Isauro,
E il Tremiscn, laddove il verde piano
Vermiglio diverrà del sangue mauro ,
E dal freddo Appennin discender Trebbia,
Genitor di caligine e di nebbia.
Tra i campi arrivò poi fertili e molli.
Dove del Tebro il mormorio risona,
E de' suoi sette trionfanti colli
Il gran capo del Lazio s* incorona,
Ma seppe qiii\i furiosi e folli
Piuttosto soggiornar Marte e Bellona;
E con perfidia e crudeltà tra loro
Baccar scie di sangue e fame d' oro.
Posciachè quindi le lombarde arene
Ha tulle scorse e quanto irrida 1' Arno,
E quinci di Clituuno e d'Anicne,
E d' altri fratri lor le rive indarno ;
A visitar dal Garigli^n ne viene
Grati, Liri, Volturno, Aufido e Sarno,
E vede irne tra lor pomposo e lieto
Degli onori di Bacco il bel Scbcto.
Quivi tra Ninfe amorosctte e iielle
Trovommi a conquistar spoglie e trofei ,
E sebben tempo fu, ch'io fui di quelle
Già prigionier con mille strazi rei ,
Alme però non ha sotto le stelle,
Ghe aien più degni oggetti ai colpi miei;
Né 80 trovare altrove in terra loco ,
Dove più nobilesche abbia li mio foco.
AHor mi «trìng« entro le braccia e rnHle-
Groppi mi porge d'Infocati baci.
Poi per r oro immorial, per le faville
Delle quadrella mie, delle mie faci ,
Quanto può mi scongiura , e vive stille
Mesce di pianto a suppliche efficaci.
Che senza vendicarla io non sopporti
Più lungamente 1 suoi dispregi e i torti.
Della beila rubella in voce amara
L'orgoglio e il fasto a raccontar mi prende,
E come seco in baldanzosa gara
Contumace beltà pugna e contende.
Distinto alfine in suo dcsir dichiara,
K quanto brama ad eseguir m* accende,
Vuol, che di strai villano il cor le punga,
E che a sposo infelice io la congiunga.
Uom, che povero d*or, colmo di mali,
E da natura e da fortuna oppresso.
Sia cadavere vivo infra i mortali, [stesso,
Siccir abbia invidia ai morti, odio a sé
E senza esempio di miserie eguali
Tutto voti Pandora il vaso in esso ;
Che a tal consorte, in tal prigion la stringa
Mi comanda, mi prega e mi lusinga.
Scorgeml intanto al loco, ove mi addita
La meravnglia delle cose lielle,
Che circondala intorno e custodita
Da vago stuol di leggiadrclte ancelle,
Par tra le spine sue rosa fiorita.
Par la Luna, anzi il Sole infra le stelle.
Mira colà, quella è la rea, mi dice,
Delle bellezze mie competitrice.
Dal carro, che con morso aureo l'affre*
Scioglie, ciò dello, le canute guide, [na,
E d'un delfino in sull'arcuta schiena
Solca le vie de' pesci e il mar divide.
Cosi di Cipro alla nativa arena
Torna, che lieta al suo ritorno arride.
Ed io rimango a contemplar soletto
Quel sovruraan, so^radi^ino oggetto.
Veggio doppio oriente e veggio dui
Cieli, che doppio Sol volge e disserra.
Dico quei lumi perfidi, che altrui
Uccidon prima e poi bandiscon guerra,.
Sicché mirando un cor quel belio, a cui
Paragon di beltà non ha la terra,
Quando pensa al riparo il malaccorto
E vuol chieder mercè, 9l trova morto.
L' ADONE.
iU>
Né delle guance la vermiglia aurora
Al sol degli occhi di belieua cede ;
1 cui candori un tal rossor colora,
Quale JD non collo ancor pomo si Tede.
Ombra-fioave, che ogni cor ristora,
Un rìlìevo vi Ta^ che non eccede,
E con divorzio d'intervallo breve
Distingue in due conlin l'ostro e la neve.
Somigiia intatto fior d'acerba rosa,
Gli* apra le labbra delle fresche foglie
L'odorìfera bocca e preziosa, [coglie
Che un tal giardino, un tal gemmato ac-
Cbe l'India non dirò ricca e famosa.
Ma il Cicl nuila ha di bel se a lei noi toglie.
Se parla, o tace, o se sospira, o ride,
(Che farà poi baciando?] 1 cori uccide.
In reticella d'or la chioma involta, [da
Più che ambra molle e più che elettro bion-
0 stretta in nodi, o in vaghe trecce accolta,
0 sugli omeri sparsa ad onda ad onda ;
Tanto tenace più, quanto più sciolta,
Tra procelle dorate i cori affonda.
L'aure imprigiona, se taiorsi spiega,
E con auree catene 1 venti lega.
Che dirò poi del candldctto seno,
Morbido Ietto del mio cor languente 7
Che a' bei riposi suoi qualor vien meno.
Duo guanciali di gigli ofifrc sovente ?
Di neve in \ista e di pruine è pieno.
Ma neir efletto è foco e fiamma ardente !
£ l'incendio, clic in lor si nutre e cria
Le salamandre incenerir potria.
Quand' ebbi quel miracolo mirato.
Dissi fra me , da me quasi diviso :
Sono in elei? sono in terra? il ciel traslato
£ forse in terra? o ciclo è quel bel viso?
Si si, aon pur lassù, son pur beato
Tuttavia (come soglio) in paradiso.
Veggio la gloria degli eterni Dei.
La bella madre mia non è costei ?
No che non è, vaneggio, il ver confesso,
Venere da costei vinta è di molto, [tesso.
Ahi che il pregio alla madre a un punte i«-
Ed al figlio egualmente il core ha tolto.
Chi può senza morir mirar l'eccesso
Di si begli occhi , oimè , di sì bel volto.
Vadane aìicora poi, vada e s' arrischi
A mirar pur sicuro 1 basilisclii.
0 maeeUi de' cori, occhi s])ictati.
Di chi morir non potè anco omicidi.
Voi voi possenti a soggiogare i fati
Siate le sfere mie, siate itmiel nidi,
In voi l'ardo ripongo e i dardi aurati.
Che se poi contro me saranno infidi.
Più cara (in tali stelle è la mia sorte)
Dell' immortalità mi fia la morte.
Veggiola, mentre parlo, in atti mesti
Starsi sola in disparte a trar sospiri;
Che quantunque le sue più che celesti
Forme ben degne dcgU altrui desiri.
Da mille lingue e da quegli occhi e questi
Vagheggiate, e lodate il mondo ammiri.
Alcun non v' ha però di genti tante,
Cile cbicggia il letto suo, cupido amante.
Le suore, ancor che fossero appo tei
Vie più d'età, che di beltà fomile,
A grandi eroi con nobili imenei
Per giogo maritale erano unite.
Ma Psiche, unico sol degli occhi miei,
Parea dall' olmo scompagnala vite,
E ne menava in dolorosi aflanni
Sterili e senza frutto 1 più verd'anni.
II mlscr genitor, mentre ella geme
L' inuiil solitudine che passa,
Perchè l' ira del Ciel paventa e tenie,[sa,
Qic spesso ai maggior re l'orgoglio abbas-
Pensoso e tristo infra sospetto e speme.
La cara patria e il dolce albergo lassa,
E va per esplorar questo secreto
Dall' oracolo antico di Milcto.
Laddove giunlo poi, porge umilmente
Incensi e preghi al cliiaro Dio crinito.
Da cui supplice chiede, e reverente
Ali' infeconda sua nozze e marito.
Ed ecco intorno rimbombar si sente
Spaventoso fragor d' alto muggito,
E col muggito alfìu voce nascosta
Dalie cortine dar questa risposta :
La fanciulla conduci in scoglio alpino
Cinta d' abito bruno e funerale.
Nò genero sperar dal tuo destino
Generato d'origine nioitale;
Ma feroce, crudele e viperino.
Che arde, uccide, distrugge e batte l'ale,
E sprezza Giove ed ogni Nume eterno.
Temuto in terra, in cielo e nell' inferno.
&G
MARINO.
Pensa tu qua! rimase, e qual divenne
II sovra ogni altro addolorato Teccliio.
Pensa qual ebbe il cor, quando gli venne
La sentenza terribile air orecchio.
Torna ne* patrii tetti a far solenne
DI quelle pompe il tragico apparecchio,
Accinto ab ubbidir, quantunque afflitto.
Del decreto d'Apollo al sacro editto.
Del vaticinio infausto, e dell* avversa
Sorte nemica si lamenla e lagna,
E con r amare lagrime che versa,
Delle rughe senili i solchi bagna;
E la stella accusando empia e perversa
L' antica moglie i gemiti accompagna,
E pietoso non nicn piango con loro
Delle figlie dolenti il flebil coro.
Ha del maligno incvitabil fato
Il tenor violento è già maturo.
Deir influsso crudel già minaccialo
Giunto è r idol mio caro ai passo duro.
Raccoglie già con querulo ululato
La bella Psiche un cataletto oscuro,
La qual non sa fra tanti orrendi oggetti
Se il talamo, o se II tumulo Taspetti.
Di velo avvolti tenebroso e tetro,
E d'arnesi lugubri in veste nera
Van padre e madre il nuzial feretro
Accompagnando e le sorelle in sclilera.
Segue la bara il parentado, e dietro
Vien la città, vicn la provincia intera,
E per tale sciagura odesi intanto
Del popol tutto un pubblico compianto.
Ma più d* ogni altro lì re meschin pian-
Sfortunato s'appella ed infelice, [gendo
E gli estremi da lei baci cogliendo
La toma ad abbracciar mentre gli lice.
Così dunque da te congedo io prendo?
Cos\, figlia, mi lasci? (egli le dice)
Son questi 1 fregi, oi me, la pompa è questa,
Che al tuo partire il patrio regno appresta?
In esequie funebri inique stelle
Cangian le nozce tue liete e festanti?
Le chiare tede in torbide facelle ?
Le tibie In'squilie e l'allegrezze in pianti?
Sono I crotali tuoi roche tabelle.?
Ti son gl'inni e le preqj applausi e canti?
E la<ldove H dcstin crudo ti mena
Reggia 11 lido ti fla, letto l'arena?
0 troppo a te contrarlo, a me nemico,
Implacabil rigor d'avari Cieii!
Te del tuo bel, me del mio ben mendico
Perchè deiino lasciar fati crudeli ?
Qual tua gran colpa, o qual mio fallo antico
Cagion che tu t* afiligga, io mi quereli.
Te condanna a morire, ed a me serba
In si matura età doglia si acerba ?
Ad eseguir quanto lassù si vole
Dura necessità, lasso, m'affretta,
E viepiù eh' altro mi tormenta e dole,
Glie a sì malvagio sposo lo ti commetta.
Ch' lo deggia in preda dar I* amata prole
A mostro tal, che Tunivcrao infetta.
Questo so ben, che II fii sarà più corto
Che fu da Qoto alia mia ìiia attorto.
Ma poiché pur la Maestà superna
Così di noi disporre or si compiace.
Cancellar non si può sua legge eterna.
Ma convien , figlia mia , darsene pace.
De' consigli di lui, rhc ne governa,
È l'umano saper poco capace.
Poiché i giudizi suoi santi e divini
Son ordinali a sconosciuti fini.
Benché a sposar Io struggitor del mondo
Ti danni Apollo in suo parlar confuso.
Chi sa s'altro di meglio in quel profondo
Archivio impenetrabile sta chiuso?
Spesso effetto sortì lieto e giocondo
Temuto male, ond' uom restò deluso.
Servi al Clel, soffri e taci. E con tal note
Verga di pianto le lanose gote.
La sconsolata e misera donzella
Vede ch'eì viva a seppellir la porta,
E tal solennità ben s* accorg' ella.
Che a sposa no, ma si conviene a morta ;
Magnanima però non mcn che bella.
L'altrui duol riconsola e riconforta,
E I dolci umori onde il bel viso asperge.
Coi >el purpureo si rasciuga e terge.
Che vai planger?dicca,chèpiù versale
Lagrime intempestive e senza frutto?
A che battete 1 petti ed oltraggiate
Di livore e di sangue il \iso brutto?
Ah non più, no ; di lacerar lasciate
La canizie del crin con tanto lutto,
Offendendo con doglia inefficace
E la vostra vecchieaza e la mia pace.
L' ADONE.
67
Fu gii, quando la gente a me porgea
(AIGìel dovuto) onor profano ed empio,
Quando qitasl d*anior più bella Dea
Ebbi (toÌ permettenti) altare e tempio,
Allor fu da dolersi, allordoTea
Pianger ciascuno il mio mortale scempio.
Or è il pianto a voi tardo, a me molesto ;
IH mia vana bellezza 11 fine è questo.
L* Invidia rea, che l'ai trui ben , pur come
Suo proprio male, abborre, allor mi vide,
lo so pur ben , che l'usurpato nome
Della celeste Venere m'uccide.
Cbebado?Andianne pur; quest'auree chlo'
Con vii ferro troncate, ancelle fide, [me
Quel si temuto ornai consorte mio,
Già di veder, già d'abbracciar desio.
Qui tace, e già d'una montagna alpestra,
Eccola intanto giunta alla radice,
CbealSol volge le terga, e piega a destra
Sotto li gran giogo 1* ispida cervice.
Quindi di sterpi e selci, aspra e silvestra.
Pende sassosa e rigida pendice.
Rigida si, die appena si assecura
Di abitarvi Torrorcon la paura.
Il mar sonante a fronte lia perconflne.
Da' fianchi acute pietre e sclieggie rotte,
Dirupali macigni e rocche alpine,
Oscure tane e cavernose grolle.
Precipizi profondi, alte mine.
Dove riluce il dì, come la notte.
Dove inospitl sempre, e sempre foschi ,
Dilatan l' ombre lor baratri e boschi.
Ecco l'infausto monte ove a fermarsi
Ne venne il Tuneral tragico e mesto.
Quivi ha (quantNignun crede) a consumarsi
li maritaggio orribile e funesto.
Onde al fieri imenei da celebrarsi,
Scelto già per teatro essendo questo.
Dopo lagrime molte al vento sparte,
La mestlsaima turba alfin si parte.
Partissi alfin , polche tesor el caro.
Depositò nel destinato loco.
Lasciando nel partir col pianto amaro,
Delle fiaccole sacre estinto il foco.
Ai reg) alberghi I genitor tornaro,
E la luce vltal curando poco,
Dannerò gli occhi a lunga notte escura,
E il chiusero vivi In sepoltura.
Restò la giovinetta abbandonala
Sulla deserta e solitaria riva.
Sì tremante, si smorta e si gelata.
Che appena avea nel cor l'anima viva.
Veder quivi languir la sventurata.
Quasi di senso e movimento priva.
Dell* onde esposta al tempestosaorgogllo,
Altro già non parca, che scoglio in scoglio.
Le man torcendo, e in venniglletti giri
Dolcemente Incun'ando 1 mesti lumi.
Con che lagrime, o Dio, con che sospiri,
SI scioglie inacqua e si distempra in fumi !
Va raccogliendo il mar tra suoi zaflQri,
Delle stille cadenti i vivi fiumi.
Ambizioso e cupido d'averle,
Le serba in conche, e le trasforma In perle.
Con le man sui glnocchiojn terra assisa.
Filando argento da begli occhi fore,
China al petto la fronte, e in colai guisa.
Tra sé slessa consuma il suo dolore.
Poi, mentre ai salsi flutti il guardo afiisa,
Sfoga parlando l'angoscioso core,
E perde, apostrofando al mar crudele,
Tra gli strepili suol, queste querele:
Deh piaca,omare,i tuoi furori alquanto,
Pietoso ascoi la tor dei miei cordogli,
E di quest'occhi il tributario pianto.
Che in larga vena a le sen corre, accogli.
Teco parlo, or tu m' odi, e fa che intanto
Ai)bian quest'onde tregua equesti scogli;
Né sen portino in lutto invidi 1 venti ,
Come fer le speranze, anco i lamenti.
Nacqui agli scettri, e in sui reali scanni ,
Più di me fortunata altra non visse.
Bella fui detta, e fui, se senza inganni
Lo mio specchio fedele il ver mi disse.
Ora a quel fin sul verdeggiar degli anni
Corro, che 11 Fato al viver mio prescrisse,
Abbandonando In sull'età fiorita.
La bella luce e la serena >ita.
Di ciò non mi dogi' io, né mi lamento
Della bugiarda adulalrice speme i
Né del colpo fatai prendo spavento.
Che mi porti si tosto all'ore estreme.
Chi sol vive al dolore ed al tormento,
E suol vita abborrir, morte non teme;
A chi mal vive. Il viver troppo è greve,
Chi vive in odio il Ciel , viver non deve.
sg
MARINO.
* Lassa di quel eh* io soffro aspro roarliro,
Vie maggiore « più grave è il mai che afr-
tendo,
Cb*Ìodeggia entro il mio seno, oimè, nutri-
.•^^Jn moslro abbominevoie ed orrendo ; [re
Questo, Innanai al morir, mi fa morire,
Questo, morte spreizar mi fa morendo.
Dell dammi, pria clie un tanto mai succeda,
Padre Nettuno, alle tue fere in preda.
Se provocò del Ciel V ira severa
Da me commesso alcun peccato immondo,
E da te deve uscir i* orrida fera
Che me divori e clie distrugga il mondo ;
Fia ventura miglior, ciie assorta io pera
Da questo ingordo pelago profondo.
Piuttosto il ventre suo tomba mi fia,
E lavin l'acque tue la macchia mia.
Ma s'egli è ver, che pure a torto e senza
Colpa, incolpata e condannata io mora,
E se Nume è lassù, che l' innocenza
Curi e prego devo lo oda talora :
Da lui chieggio pietà, spero clemenza :
E quando ii reo ilestin fia fermo ancora,
Venga,e il suo nero strale in me pur scocchi
Morte per sempre a suggellar quest'occhi.
Più altro, eh* io ridir né so, né posso,
Parlava la dolente al sordo Ilio,
Che avria qual cor più perfido commosso,
Anzi il porfido stesso hitenerito.
Il cavo scoglio mormorar, percosso.
Per gran pietà fu d'ogn* intorno udito;
E rispondendo in roche voci e basse
Parca che de' suoi casi 11 mar parlasse.
Per risguardar chi sia, che si consuma
In note pur sì dolorose e meste.
Rompendo in spessì circoli h spuma,
Motte Ninfe e Tritoni alzar le teste.
Ma Tinti da quel Sol che T aeque alluma,
B tocchi li freddo sen d'ardor celeste,
Per fuggir frettolosi, i bei cristalli
Seminaro di perle e di coralli.
Mentre laddove il vertice il celoHe
Dell'erta rupe, è posta in tale itato,
Novo sente spirar di lungo il colle,
DI mlH'aiire sabee mitCo odoralo.
Indi d'uà aeredilicato e molle.
Sibilar, nworrar pladdo flato,
Glie doloemente rincrespando Tondo;
Fa tremar 1' «mbne, e sfrasoolar k fronde.
EraZefSfO f uesU. lo già, ehe Intento-
Altrove non avea l' occhio e il pensiero,
Volsi far quel benigno amico vento,
Delie mie gioie esecutor corriero.
Gonfia lamobtl gonna, e piano e lento
Gol suo trancino spirito leggiero.
Dalla scoscesa e ruinosa balza,
Senz' alcun danno ei la solleva -ed alzo.
£ colà preaso, ove di fior dipinta
Fa sponda al mar quella valletta erbosa ,
E di giovani allori intorno è cinta.
Soavissimamente alfin la posa.
Qui da novo stupor confusa e vinta.
Sul fiorito pratcl siede pensosa.
Glie fresco insieme e morbido le serba.
Tetto di fronde, e pavimento d'erba.
Poiché il dolor, che dc'suoi sensi é donno,
Satollato ha di pianti e di lamenti,
Stanca ornai sì , che le palpebre poano
Appena sostener gii occhi cadenti ;
Viensene ii sonno a torla in braccio, ilsoO'
Tranquillità delie turbate menti. [no.
Dal sonno presa al fremito dell'acque.
Sul verde smalto addormentossi e giacque.
Negli epicicli lor duo Soli asooai,
I begli occhi parean della mia Psiche,
Dove clùusi traean dolci riposi.
Dall'amorose lor lunghe fatiche.
Duo padiglioni lievemente ombrosi.
Le velavan le luci alme e pudtehe.
Le ÌMslie luci, onde languisco e moro.
Legate eran dal sonno, ed io da loro.
Vedesti «Ha «tagion, quando le aploe
Fioriscon tutte di novella prole.
Sparso di fresche perle e mattutine.
Piantato la riva al mar, nascosto al Sole,
Spiegare fi molle e giovinetto crine,
Glardinelto di gigli e di viole f
Dirai ben tal sembianza assai conforme
Alla leggiadra vergine che donne.
Goiltioiava,« vidi a un lenpolileflMi,
Liev'aura, aura vezzosa, aura tentile,
Scberiaffle intorno, e ventllarie apawo
I! crespo della chioma, oro aoldle.
Per badarla talor si fiioea preano
A quella bocca, ov'è perpetuo apilK
Ma tinddetu poi , quanto lasciva.
Da' respiri reepinta, olla fuggiva.
L'ADONE.
69
lo non so gii, se Zef&ro cortese
Fu, che spetUcol dolce allor m'offene,
C3ie la tremula veste alto sospese,
E delle glorie mie parte m'aperse.
So ben, che con sua neve 11 cor m* accese,
Quando il confin del bianco pie scoverse.
Scoverse il piede, e dell'ignuda carne
Quanto a casta beltà lice mostrarne.
Poiché assai travagliato e poco queto,
In più pcszi ha carpilo un sonno corto.
Destasi, e da quel loco ameno e lieto.
Piover si sente al cor novo conforto.
Sorge dair odorifero roseto,
E qua ne vien dove il mio albergo Iia scorto.
Questo istesso palagio, ove ora sei,
Come raccoglie le, raccolse lei.
Nel Umlnar della gemmata soglia.
Mette le piante e va mirando intorno.
Mira il tiel muro, e di pomposa spoglia
Difuigid* oro il travamento adorno, [glia).
Siche può far (quantunque il Sol non vo-
Coi proprio lume a sé medesmo il giorno.
Mira gli ardii, le statue e le altre cose.
Che senza prezzo alcuno son preziose.
Senza punto inchinar le luci ai basso
Del tetto ammira le mirahil opre.
Ma pur del tetto il rilucente sasso,
La superbia del suol chiara le scopre.
Stupisce il guardo, e si trattiene il passo
Ai i>el lavor, che il pavimento copre;
Perché tante ricchezze hi terra vede.
Che di calcarle si vergogna il piede.
Ella rapita da si ricchi oggetti,
EnlEa, e d'alto siupor più si confonde,
Poich'alia maestà di tal ricelti.
Ben la gran suppellettile risponde.
Ecco dove al cantar degU augelletti
Fermossi; ivi spiegò le trecce bionde ;
Qui, poiché intorno a spaziar si mise.
Respirò dolcemente, e qui s' assise.
Quel che più Hempic U cor di meravij^ia,
È che negletto é qui quanto si gode.
Casa si signoril non ha famiglia.
Abitante non vede, ostier non ode.
Castaldo alcun di lei cura non piglia*
Nelli tanto tcsor trova custode.
Vagacon gU occhi, e il vago pie raggira.
Tolta &a somma possiedef e nessun minu
Voce incorporea intanto ode, che dice :
Di che stupisci ? o qual thnor t'ingombrai?
Sappi cauta esser si, come feline,
Omai dal petto ogni sospetto sgombia.
Non bramar di veder quei che noaliee.
Spirito astratto ed impalpabil ombnu
Gli altri beni e piacer tutti son tuoi.
Ciò che qui vedi, o che veder non puoi.
Da non veduta man sentesi in queata
D'acque stillate in tepida lavanda
Condur pian piano, indi spogliar la vesta,
E i bei membri mollir per ogni banda.
Dopo i bagni e gli odor, mensa s' appresta
Coverta di finissima vivanda ;
E sempre ad operar pronte e veloci
Son sue serve e ministre ignude voci.
Dato al lungo dì gì un breve ristoro
Con cibi, che del ciel foran ben degni.
Entra pure alla vista occulto coro,
Sccso quaggiù da' mìei beati regni.
Concordando lo sili dolce e canoro
Alla facondia degli arguii legni.
Benché né di canlor, né di stromenti
Scorga immagine alcuna, ode gli accenti.
Già r Obblio taciturno esce di Lete,
Già la notte si chiude e il dì vien manco,
E le stelle cadenti e l'ombre chete
Persuadono il sonno al mondo stanco.
Onde disposta alfine di dar quiete
Al troppo dianzi affaticato fianco ,
Ricovra a letto in più secreto chiostro ,
Piumiito d'oro, incortinato d'ostro.
Allor mi movo al dolce assalto e tosto
Che cn irò la sunza, ogni lumiera è spenta,
Invisibile amante, a lei m'accosto.
Che dubbia ancor, ciò che non sa paventa.
Ma se l'aspetto mio tengo nascosto.
Le scopro almen l' ardor ciie mi tormenta,
E da lagrime rotte e da sospiri
Le narro l miei dolcissimi martiri.
Ciò che al buio tra noi fusse poi fatto,
(Più bel da far che da contar) mi taccio.
Lei consolata alfin, me soddisfatto, [ciò.
Basta dir, die ambeduo ne strinse un lac«
Della vlsu il difette adempie il tatto.
Quei che cerca con l'occhio accoglie in
braccio
S'appaga di toccar quel che non vede ,
Quanto ali* un senso nega, all' altro oredc.
1 I
60
MARINO.
Ma sul bel carro appena in oriente
Venne dell'ombre a trionfar l' Aurora,
E isuoi destrier con Tayto lucente
Fugate non avean le stelle ancora,
Quando al beli* idei mio taciumente
Uscii di braccio e sorsi innanxi 1* ora.
Innanzi che del Sol l'aurato lume
Spandesse i raggi suoi, lasciai le pium*.
Toman da capo alla mcdesma guisa
L'ascose ancelle ed aprono i balconi,
E della sua Tìrginitadc uccisa
Motteggian seco, ed ecco i canti e 1 suoni.
Si leva e la > a, ed ode a mensa assisa
Epitalami in vece di canzoni ,
E le son pur non conosci ule «enti
Camerieri, coppier, scalchi e sergenti.
Cosi dall'uso assecurata e fatta
Più coraggiosa omal dalla fidanza ,
Già già meco e co'mici conversa e tratta
Con minor pena e con maggior baldanza.
E leggiadra e gentil, scbiien s'appiatta.
Immaginando pur la mia sembianza.
Dal suono incerto delia voce udita,
Prende trastullo alla solinga vita.
Ma quant' ella però contenta vive.
Tanto menano i suoi vita scontenta;
E di tal compagnia vedove e prive
Più d' ogni altro le suore il duol tormenta.
Vigilando il pensier lor la descrive,
Dormendo il sogno lor la rappresenta ;
Onde alfin per saper ciò che ne sia ,
Laddove la lasciar prcndon la via.
Io, come soglio, in sulla notte ombrosa
Seco in tal guisa il ragionar ripiglio :
Psiclie , caro mio cor. dolce mia sposa.
Fortuna ti minaccia allo periglio ,
Laddove uopo ti fia d'arte Ingegnosa,
Di cautela sottile e di consiglio.
Ignoranti dei ver, le tue sorelle
Di te piangendo ancor cercan novelle.
Su quei sassi colà ruvidi ed erti ,
Onde campata sei , son già tornate.
Io farò, se tu vuoi, per compiacerti.
Che sieno a te da Zefilro portate.
Ma ben ti esorto, a quanto dico avverti ,
Fuggi le lor parole avvelenate.
Nel resto io ti concedo interamente,
Che le lasci da te partir contente.
Ve', che del petti lor l'avare fami
Satolli a piena m^ d* argento e d' oro.
Non ti lasciar però, se punto m'ami,
Persuader dalle lusinghe loro.
Non le ascoltar; se d'ascoltarle brami,
Pen^ ascoltar delle sirene il coro.
Dai cui dolce cantar tenace e forte
Mascherata di vita esce la morte.
E se pur troppo credula vorrai
Prestar fede alla coppia iniqua e ria ,
In ciò ti prego almen non l' udir mal ,
In cercar di saper qual io mi sia.
Con un tardo pentjr, se ciò non fai,
Ti sovverrà deli' avvertenza mia.
A me sarai cap;ion di grave affanno.
Ed a te porterai l' ultimo danno.
Taccio, ed ella ascoltanto i miei ricordi
Promette d'osservar quanto desio.
Di me stessa, dicea, fia che mi scordi
Pria che gli ordini tuoi ponga in oi)blio ;
A' tuoi fian sempre i miei desir concordi;
Tu sei, qualunque sei, lo spirto mio;
Abbine di mia Tè pegno securo.
Per me, per te, per Giove stesso il giuro.
Già dando volta al bel limon dorato,
E de' monti indorando omal le cime,
Il carro di Lucifero rosato
Dalle nubi vermiglie il giorno esprime;
Quando a quel dir svanitole da lato.
Volo per Taurc e fo portar sublime
L'indegna coppia innanzi alla mia vita
Dal bel signor della stagion fiorila.
Le incontra e bacia e in dolci atti amorosi
Fa lor liete accoglienze, ossequj cari.
Le introduce alla reggia ov' entro ascosi
Servon senza scoprirsi i famigliari.
Tra ricchi arnesi e tra tesor pomposi
Trovan cibi e lavacri eletti e rari ,
Si eh' elle a tanto cumulo di bene
Già nutriscon l' invidia entro le vene.
Le dimandan chi sia di cose tante
Signor, di che fattezze è il suo diletto.
Ella fino a quel punto ancor costante
Non obbliaiido II maritai precetto,
S'infinge e dice : Il mio gradito amante
È più ch'altro leggiadro un giovinetto;
Ma r avete a scusar, che agli occhi vostri
Occupato alle cacce, or non si mostri.
L'ADONE.
61
Qò detto le ribada e le rimanda
Colme di gemme e di monili il seno»
Ai cari genitorsi raccomanda,
Poi le consegna al ventlcel sereno ,
Cile presto ad eseguir quanto comanda,
Rapido più elle strale, o che baleno.
Con vettura Innocente in braccio accolte
Le riporta allo scoglio, onde 1* ha tolte.
Elie di quei velen tutte bollenti ,
Che sorbito pur diami avea ciascuna,
Borbottavan tornando, e in tali accenti
Con l'altra il suo furor sfogava 1* una.
Or guata cieca, ingiusta e dalle genti
Forsennata a ragion detta Fortuna,
Tal de* meriti umani ha cura e scio?
E tu tei Tedi e tu tei soffrì, o Cielo?
Figlie d*un ventre Istessoal mondo nate
Perchè denno sortir sorli diverse?
Noi le prime e maggior mal fortunate
Tra le sciagure e ie miserie immerse ;
Ed or costei, che in sull'estrema ctaie
Gii stanco in luce il sen materno aperse,
Se fu del nostro ben trista pur dianzi ,
Lieta del nostro mal fla per l' innanzi.
Un marito divln chi né godere.
Né conoscer sei sa, gode a sue voglie.
Vedesti tu per quelle stanze altere
Quante gemme, quanl' oro e quali spoglie?
S* egli è pur ver, cito con cgual piacere
Giovane così fresco in braccio accoglie,
E di tanta lieltà, quant*ella dice,
Più non vive di lei donna felice.
Altri certo non può, che Dio celeste
Esser l'autor di meraviglie uli;
E s' el pur I* ama, come appar da queste,
La porrà tra le Dee non più mortali.
Non vedi tu che ad ul)bi(liria preste
Insensibili forme e spirìuli
Quasi vili scudier, move a suo senno?
Comanda al venti, ed è servita a cenno?
Misera me, cui sempre 11 letto e 11 fianco
Ingombra inutilmente un freddo gelo,
Impotente fanciullo e vecchio bianco,
Uom, che vetro ha la Iena e ne>e il pelo.
Né sposo alcun siccome infenno e stanco,
PIÙ spiacente e geloso é sotto il ciclo,
Che custode importo n la casa tiene
Sempre di ferri dota e di catene.
EdiOfTaltra soggiunge, un ne sostegno
Impedito dal morbo e quasi attratto ,
E calvo e curvo e men che sasso, o legno
Ai congressi amorosi abile ed atto ;
Cui più serva, che moglie esser convegno.
Con le cui ritrosie sempre combatto ;
Conviemmi ognor curarlo e In tali affahnl
Vedova e maritata io piango gli anni.
Ma tu , sorella, con ardir ti parlo ,
Con cor troppo servii soffri i tuoi torti.
Io non posso per me dissimularlo.
Né più oltre sarà che mei sopporti.
Mi rode il petto un sì mordace tarlo ,
Che non trovo pensier, che mi conforti.
Animo generoso aiiborre e sdegna
Tal ventura caduta in donna indegna.
Non ti sovvien con qual superbia e quanto
Fasto, quantunque a non curarla avvezze ,
Poiché n* accolse, ambizioso vanto
Si die di tante sue glorie e grandezze ?
Eppure a noi, benché n* al)bondi tanto.
Poca parte donò di sue ricchezze ;
E poiché fastidita ne rimase ,
Subito ne scacciò dalle sue case.
Quando a farla pentir di tanto orgoglio
Vogii tu, come credo, unirti meco.
Esser detta mai più donna non voglio.
Se a mortai precipizio io non la reco.
Per or, tornando ai solitario scoglio.
Nulla diciam d* aver parlato seco.
Non facciam motto dei suo lieto stato,
Per non farlo col dir viepiù beato.
Assai noi stesse pur visto n' abbiamo,
E di troppo aver visto anco ne splace ,
A que* poveri alberghi omai torniamo.
Dove mai non si gode ora di pace.
Là consiglio miglior vo' che prendiamo,
A punir di costei l'infamia audace.
Onde s* accorga alfln d' aver sorelle,
Suo malgrado più degne, e non ancelle.
Tal accordo conchiuso, a qudla parte.
Le scellerate femmine sen vanno,
E con guance graffiate e chiome sparte,
Pur 1* usato lamento a prova fanno.
I ricchi doni lor celano ad arte.
Tra sé ridendo dell'ordito inganno.
Cosi con finti pianti e finti modi,
Van macchinando le spietate frodi
HÀBIKO.
Tosto che la slagioD serena e foaca«
L*aere abbraccia d* intorno, io rati spiego,
E quai velen , quelle due furie attosca.
Racconto alla mia Psiche, e la riprego
A voler (benché appien non mi conosca)
Contentarsi del più, se il nien le nego.
Le scopro il cor, coprendole il sembiante,
E può veder V amor, se non l'amante.
Le mostro, che soverchio è voler poi ,
Investigar la mia vietala faccia.
Poiché però non crescerà tra noi
Quel grand* amor, che 1* uno e V altro allac-
L' esorto clie non guasti i piacersuoi [eia,
Per un lieve desio, ma goda, e taccia:
Quanto può* giusto sdegno io le rammento,
E la fede promessa e il giuramento.
Le fo saper, che nel bel sen fecondo.
Un fortunato infante lia già concetto.
Che fia divino ed iauuortalc al mondo,
Se s'asterrà dal mio con toso aspetto.
Ma se vorrà mirar quel che le ascondo,
A morte io farà nascer soggetto.
L'ammonisco a scili var tanta ruina
Al fanciul sovrastante, a lei vicina.
£Uagittraescongiura,e in somma volc
Pur riveder quella sorella e questa;
E la con lagrime ite e con parole.
Un i)ado interccssor della richiesta.
Ed io col proprio erio, mentre si dote.
Rasciugando le vo la guancia mesta.
Lasso, che non potrà, se in me puòtanlo^
L'amorosa eloquenza del bel pianto?
Nulla alfln so negarle, e tosto quando
S'apre il del mattutino ai primi albori ,
Risorgo, e lieve in sullo scoglio mando
Il padre feoandiasimo de' fiori.
GU reaipie,che stan purqui vi aqKtUDdo,
Dello spirto gentil senton gli odori ; |
Ed ei pur quasi a fona in sulle spalle
Le filragitta alla fioriu valle.
Txovan la bella, e sotto lieta froaU
Coprono U ùeì clic il corXeiloBe asconde.
EUb con atti pur cortesi « pronti
Alla Beniita aflesion riiiMUMlei.
Caldi vapori d'odorale fonU
In CQodie d'oro ai lassi memlvi infonde,
E lo ricchi seggi infra deiiaielmmeiiie.
Degne le fa delle beale;
Comanda poscia agli •organi aooaali ,
Chiama al concerto le canore ved ,
E i ministri invisibili volanti
Ai primo cenno suo vengon veloci.
Ma quella melodia di suoni e canti.
Che placherebbe gli aspidi ferod ,
Delie serpi infernali (ancor che dolce)
Li perfidia crudel punto non molce.
Ansi con lo stupor tanto più fiera
Cresce l' invidia , die le morde e lima;
Onde la prcgan pur, che cliiara e vera
Dei vago suo la quaiitade esprima.
La semplicelta garrula e leggiera.
Cui non sovvien ciò ciie lor disse in prima.
Perchè accusar dei Callo il ver non vole,
A> viluppa e compon novelle e fole.
Dice , che ricco d' or per varie strade
Con varie merci a trafficare intende ,
E che la neve della fredda date
Già già le tempie ad imbiancar gii scende.
Poi, perchè raito alle natie contrade
Le riconduca, a Zeffiro le rende.
Che , come suole , alle paterne spiagge
Di nuovi doni onuste indi le tragge.
Deh che ti par delle menzogne insane
( L* una ali* altra dicea ) di questa sciocca?
Cacciator dianzi , dalie prime lane
Quel sue non avea pur la guanda tooca.
Or mercando scn va per rive estraae ;
E la bruma seidl sul crin gli fiocca.
0 che fmge , o che mente , o eh* ella stessa
Non sa di ciò la verttade espressa.
Tempo è (comunque sia) da far cedere
Tutte le gioie sue disperse e rotte.
Con si fatto pensier vanno a giacere,
E in vigilia crudel passan la notte.
Col favor di Favonio indi leggiere
A Psiche in sul mattìa aon ricùadette ,
Che gode pur d* accarezaar le due
(Sorette a/m dirò) vlj^ere sue.
Ciiuite,espriiBendo a fona in lar^keve-
Lagrime fuor degli uiuidetti rai, [ne
Che sempre (e dir non ao deve lelieue}
Qud aesso a voglia sua n'iu pura assai;
Dolce (presero a dirle) amata speae«
Tu aecura qui siedi e lieta stai;
E mal cauta al periglio e traacuraUv
L' IgnoraBaa dei mai ti £a lieata.
L' ikiM)NE.
noi , noi che soUecile alla cara
Della salute tua slam sempre Intente ,
Gonvien che a parte d' ogni tua sciagura
Abbiam del comun danno 11 cor dolente.
Sappi, che quel , che in sulla notte oscura
Giacer teco si suole è un fier serpente;
Un serpente crudele esser per certo
Quei che teco si giace, abbiam scoverto.
VMd più d* un pastor non senza rìschio,
Quando a sera taior tornò dal pasto ,
Guadare il fiume e variato a mischio
Trarsi dietro gran spazio il corpo vasto,
Intorno a sé dal formidabll fischio
Lasciando il elei contaminato e guasto ;
Con lunghe spire per 1* immonde arene
(Se vederlo sapessi) a te ne viene.
Yiensene in più volubili volumi
Divincolando il flessuoso seno ,
Da' minacciosi e spaventosi lumi
Esce strano fulgor, che arde il terreno ;
E di nebbia mortai torbidi fumi
Infetti di pestifero veleno;
Sbuffando intorno, allato a te si caccia,
E fa la cova sua fra le tue braccia.
Far che oltre a sé sporga e in sé rlentre,
E nei lubrici tratti onda somiglia ,
E fuggendo e seguendo il proprio ventre ,
Lascia sé stesso e sé stesso ripiglia..
Poi chiude i giri in mi sol groppo e mentre
In mille obliqui globi si attortiglia.
Di ben profondo solco, ove si accampa.
Quasi vomere acuto, il prato stampa.
Quando del cupo suo nativo bosco
IMUa fame ad uscir per forza é spinto,
D' an verde bruno e d'un ceruleo fosco
Mostra l'ali fregiate e il dorso thito.
Squàllido d*oro e turgido di tosco,
DI macchie il collo a più ragion dipinto ,
Seopre di quanti al Sol varj colorì
L' arco suo rugiadoso Iride Infiori.
kh\ 4Ae tgnra rirtyomhwBda e sena,
Se talor per lo pian Blende le atrtoce,
E polche ToniftaU 4ia dalla stroaaa
Ownt di «ome «Gelsa ol la lamMscet
0 9e4al aangve, che mai tempre togona,
Awien, Che II tergo « HpettoalSolsIllsee,
Il tergo e II poMa, amuto a piastre e wMf
DldopplMMflhM^litfMileMi^. [fl^
Livido foco , che le selve appaila ,
Spira la gola ed aliti nocesti.
Vibra tre lingue e nelle fauci aguzza
Un tripartito pettine di denti.
Sanguigne schiume dalla bocca spruzza ,
Ed ammorba co' flaU gli elementi ;
L'aure corrompe, mentre l'aria lecca.
Strugge 1 fior,rerbe uccide e i campi secca.
Guarditi, o suora, il Clel daHasua stizza»
Scampiti Giove pur da quella peste ,
Qualor per ira si contorce e guizza ,
E sbarra le voragini funeste ,
La superba cervice in alto drizza.
Erge del capo le spietate creste ,
E ribattendo le sonore squamme,
Mongibello animato , avventa fiamme.
Perché con tanta industria e secretezza
Credi la propria effigie ci tenga ascosa;
Se non perché sua naturai bruttezza
Agli occhi tuoi manifestar non osa?
Ma sebbene or ti adula e t* accarezza
Sotto quel dolce titolo di sposa ,
Pensi però , che la sua cruda rabbia
Lungo tempo digiuna a tener abbia T
Aspetta pur, che del tuo ventre cresca
(Come già va crescendo) il peso in tutto»
Lascia , che venga con più stabtl esca
Di tua pregnanza a maturarsi 11 frutto.
Atlor vedrai, sii certa, ove riesca
Il sozzo amor d'un animai sì brutto.
Allor fia, chi noi sa ? che fuor d* inganni ^
(Preda a suo modo opima) el ti tracanni.
Se a noi non credi (ed oh queste parole
Sparse sien pure al vento e non al vero)
Credi a quel, die mentir né può, né suole»
Dell'oracol febeo presagio fiero,
n presagio In obblio por non si vuole.
Che Immaghìandol pur trema 11 pensiero.
Che esser ti eonvenla moglie d' un angue.
Morte e strage del mondo e foco esangue.
GholhndihmqueToeol tnoscampoanoi
Conaentlrai d'ogni sospetto sdoltat
0 tanto attenderai , che tu sia poi
Nelle ferine visoere sepoHaT
Se 4b tal guisa nutrir phrttoalo mol
(!>ion so «* io dica o pertinace ,i» atolta)
L'empia Ingordigia delP osceno moatro ,
i Adempito abblaaiDoir «nido nostro.
64
MARUiD.
Ma se non vuol delle voraci brame
Cibo venir di sì vii bocca indegno,
Pri| che alfin saxia la lascivia Infame ,
Teco trangugi l'Innocente «pegno.
Della fera crudel tronchi lo stame
Senz'altro indugio un generoso sdegno,
E prendi a un colpo d* estirpar consiglio
Il proprio esizio e il pubblico periglio.
Sentesi Psiche a quel parlar d'orrore
Tremare i polsi ed arricciare 1 crini ,
Sudan l'estremità, palpita il core,
Spariscon dai bel volto ostri e rubini ,
Gelan le fibre e di gelato umore
Lucidi canaletti e cristallini
Stilla esangue la fronte appunto quali
Suole aurora d' aprii rugiade australi.
Contrarie passion , tra cui si aggira.
In quel semplice cor fan guerra interna.
D'amore e d'odio e di spavento e d' ira
Gran tempesta la volge e la governa.
Nave rassembra , a cui nieniro ostro spira.
Or garbino, or libeccio i soffi alterna.
Pur dopo molti alfin pensier diversi
Nel fondo d'ogni mal lascia cadérsi.
Dimenticata già d'ogni promessa,
Tutto il secreto a buona fé rivela.
Del furtivo marito il ver confessa,
E che fugge la luce e die si cela.
Rapita dal timor, dal duolo oppressa ,
Geme, fremo, si adliggc e si querela ;
E mancandole in ciò saldo discorso,
Di pietà le rlprega e di soccorso.
Contro 11 tenero core allor si scaglia
Delle donne nialvage il furor crudo,
E con aperta e libera battaglia
Stringon già della fraude il ferro ignudo.
Fuorché il partito estremo,altro che vaj^lia
Non hanno i casi estremi o schermo, o scu-
Air intrepide genti e risolute [do.
La disperazion spesso è salute.
Ti puoi della salute il calle aprire
(Se la speme non mente) assai spedito.
Né scemar deve in te punto l' ardire
Biasmo di fellonia con ul marito.
Chi t' inganna Ingannar non è tradire ,
Giusto è che sia lo scherni tor schernito;
Che quando a opra rea vien clie consenta,
La fede sccUeragglne diventa.
Sotto il letto vogllam che tu oasoonda
Un ferro acuto ed una luce acoesa ,
E come pria la creatura immonda
Nell'usato covil si sia distesa <
E nel colmo dell'ombra alta e profonda
Sarà dal maggior sonno avvinta e presa ;
Sorgi pian piano e tuo ministro e duce
Sprigiona 11 ferro e libera la luce.
La luce 11 modo allor fia che ti scopra.
Ben opportuna e consigliera e guida.
Non temer no, cliè d*ambe noi nell'opra
Avrai (se uopo ti fia) l'alu fida.
Senza alcuna pietà, giuntagli sopra.
Fa che del fier dragone 11 capo Incida ,
Perchè con bestia si feroce e strana
Qualunque umanità fora inumana.
E cosi detto l'una e 1* altra prende
Commiato e parte , ella riman soletta ,
Se non sol quanto agitatrici orrende
Seco le furie in compagnia ricelta.
Ma sebben risoluta all'opra intende,
E la macchina appresta e il tempo aspetta;
Pur con aflTetli varj in tanta impresa
Litigando tra sé , pende sospesa.
Ancor dubbia e pensosa ed ama e teme.
Or confida, or diffida, or vile , or forte.
Quinci e quindi inun punto 11 cor le preme
Ardimento d'amor, terror di morte.
In un corpo mcdcsmo insieme insieme
Abbonisce il serpente, ama 11 consorte,
E stan pugnando in un istesso loco
Tra rispetto e sospetto il ghiaccio e il foco.
Già ncir Occaso i suoi corsier chiudea
Giunto a colcarsi, Il gran pianeta errante,
E già vicin, mentre nel mar scendea.
Sentiva il carro d'or stridere Atlante;
Quand' io che cicco in tenebre vivea
Dal mio terrestre sol lontano amante.
Per far giorno al mio cor, dall'alto polo
Mcn venni ingiù precipitando il volo.
Psiche mia con lusinghe mi riceve,
L* apparecchio crudel dissimulando.
Ma poiciiè allato a lei mi vengo in breve.
Stanco dai primi assalti, addormentando,
Mentre piacevolmente il sonno greve
Sto con leggieri aneliti soffiando,
Sorge e sospinta da pensier maligni
Del sacrilegio ano prende gli onllgni.
L' AftONE.
6&
DeUe pria care e poscia odiate piume
Vietisi accostando inver la sponda manca.
Nella destra ha il coltel, neli* altra il lume,
D'orrore agglii.iccìa e di paura imbianca.
Ma per farle eseguir quanto presume
Sdegno il suo debii animo rinfranca,
E la forxa del fato ali* atto fiero
Arma d'audacia li femminil pensiero.
Fa la scorta per tutto e in sulla porta
Della stanza si ferma e guata pria.
Sporge innanzi la mano e la fa scorta
AJ pie che lento al talamo s* invia.
Tende 1* orecchie e so vr' avviso accorta
Ogni strepito e moto osserva e spia.
Sospende alto le piante e poi leggiere
Le posa in terra e non l' appoggia intere.
Quando ladov'io poso ò giunta appresso,
Voce non forma, nccento non esprime ;
Di tirar non s'arrisciiia il flato istesso,
E se spunta un sospir, tosto il reprime.
Caldo desio rinvigorisce 11 sesso.
Freddo timor le calde voglie opprime ;
Brama, e s'arretra, ardisce, si ritiene,
BoUon gli spirti , e gelano le vene.
Ha non sì tosto il curioso raggio
Del lume esplorator venne a mostrarse,
Dal cui chiaro splendor del cortinaggio,
Ogni latebra illuminata apparse.
Che sbigottita dell'ingiusto oltraggio,
Stupì repente, e di vergogna n*arse.
Kon sa se è sogno, o ver, che quando crede
Vedere un drago, un garzonelto vede.
Gran villania le parve aver commessa,
E di tanta follia forte le increbbe.
Spegner la luce perfida, e con essa
L'arrotato colici celar vorrebbe.
Fu per celarlo In sen quasi a sé stessa,
E senza dubbio alcun fatto l'avrebbe.
Se dalla man tremante 11 ferro acuto.
Non le fuase in quei punto ai suol caduto.
Mentr'ella in atto tal si strugge e langue,
Di toccar rami! mie desio la spinge,
E con man palpitante e core esangue.
Le prcndee tratta, e le tasteggia e stringe.
Tenta uno strale, e di rosato saugue.
L'estremità del pollice si tinge.
Mirasi punto Incautamente 11 dito,
E il aenltln un punto 11 cor ferito.
Così si stava, e romper non ardiva
La mia quiete piatlda e tranquilla.
Ed ecco aiior la liquefatta oliva ^
Dell* aureo luciA'nier scoppia e sfavilla,
E vomitando dalla fiamma viva
Di fervido licor pungente stilla;
All' improvxiso con tormento atroce
Sull'ala destra l'omero mi coce.
Desto in un tratto io mi risento e^lo
Fuor della cuccia, ed ella a me s'apprende.
M'abbraccia i fìanciii, e con vezzoso assalto
Per vietarmi il partir pugna e contende.
Mi afferra il pie fugace, lo meco in allo
La tragico a volo, ed ella meco ascende.
Così pendente per l'aeree strade
Mi segue e tiene, al fin mi lascia e cade.
Da me spiccata amaramente al suolo
Ululando e piangendo ella si stese.
Io mi volsi a quei pianti e del suo duolo
In mezzo all' ira la pietà mi prese.
Onde 1* ali arrestai, fermando il volo«
A sì tristo spettacolo sospese,
E mi posi a mirarla inlento e fiso
D* un cipresso vicin tra 1 rami assiso.
Ingrata, a dirle indi proruppi, ingrata.
Sì tosto in Lete un tanto ardore è spento?
Così dalla memoria smemorata
L'avviso mio ti cadde in un momento?
Questo è l'amor? questa èia fé giurata?
Dunque tu paglia ai foco, io foco al vento?
Tu dunque onda allo scoglio,io scoglio all'
10 stabil tronco e tu voiubil fronda? [onda?
Io della madre mia posto in non cale
L* ordin, cui convonia pur che ubbidissi,
Quanio d'ogni sventura e d'ogni male
Seppellir li volea sotto gli abissi,
11 cor per tua cagion col proprio strale,
Inavvedutamente mi trafissi.
Per te trafitto e per tuo bene ascoso
Volsi ad onta del Ciel farmili sposo.
E tu, sleal, pur come fusse poco
D* invisibii ferita il cor piagarmi.
Volesti me, che era tua gioia e gioco,
Quasi serpe crudel, ferir con l'armi.
E non contenta d'amoroso foco
Co' tuoi begli ocelli l' anima Infiammarmi,
Hai voluto con arte empia e malvagia
Ardermi ancora il corpo in viva bragia.
06 MA&INO.
Gli più volte predetto il ver ti tue.
Né frenar ben sapesti un van destre,
Ka quelle egregie consigliere tue
La pena pagberan del lor fallire,
Giusto flagel riserbo ad ambedue.
Te sol con la mia fuga io vo' punire.
Rimanti, addio ; da te cercato invano
E coi corpo e col cor già m*alloutano.
Tanto le dissi; ed ella, a cui più dolse
Che la caduta sua, la mia salita,
Pofcliè gran tratto d*aria alfìn le tolse
L'amata immago, in apparir sparila;
Per lung* ora di là sorger non volse,
Dove attonita giacque e tramortita.
Poi la fronte levando afllilta e bassa,
Tra sospiro e sospir ruppe un alii lassa!
Lassa, dicca, tu m* abbandoni e vai
Da me lontano e fuggitivo Amore.
Fuggisti Amor. Cbe più mi resta omai,
Se non sol di me stessa odio ed orrore?
Ben dalla vista mia fuggir potrai.
Ma non già dal pciisicr, non già dal core,
Se il Ciel dagli occhi miei pur ti dilegua,
Fia che col core e col pcnsicr ti segua.
Si per poco ti sdegni ? e tocco appena
Da piccola scintilla t'addolori?
Quest' alma or che farà d'incendio piena?
Che farà questo cor fra tanti ardori?
Cosi dolcasi e copiosa vena
Versando intanto d'angosciosi umori,
Sommersi dalle lagrime cadenti,
in bocca le morir gli ultimi accenti.
Dopo molto lagnarsi in pie risorge.
Ratto poi drizxa al vicin prato il passo,
Cile con corso pacifico vi scorge
Torcersi un fiumicel tra sasso e sasso.
Va sull* estremo margine, clie sporge
L* orlo curvo e pendente al fondo basso,
E disperata e dal dolor trafitta
Precipitosamente in giù si gitla.
^ Ma quel cortese e mansueto rio
0 che a me compiacer forse volesse.
Ricordevole pur, che son queir io.
Che so fiamme destar tra V acque istcsse;
0 che con gli occhi, ove arde il foco mio,
Rasciutle un sì bel Sol l'onde gli avesse,
Dell'altra riva in sulle spiagge erbose
Con innocente vomito l' espose.
Vede,usdta del rischio, all'ombraaitiso
D'Arcadia il rozzo Dio, che ivi sogglonit;
Tutto d' ebuli e mori ha tioto il viso,
E di pelle tigrina il fianco adorna.
Fa d*cdra fresca un ramoscel reciso
Ombroso impaccio all' onorate corna;
E tien con l'edra incatenando il faggio,
Impedito di fronde il crin selvaggio.
Mentre le capre sue vaghe e lasci ve^
Pendon dall'erta con gli amici agnelli,
E del fiume vìcin, lungo le rive,
Tondono i verdi e teneri capelli,
Egli alle canne, che fu rossa vive
Dilei.che gli arse il cor con gli occhi belli.
Inspira dallo spirto innamoralo.
Voce col suono, ed anima col fiato.
Sette forate e stridule cicute.
Con molle cera di sua man composte,
Bella varietà di voci argute
Formano in disegnai serie disposte ;
Onde il silenzio delle selve mute.
Impara ad alternar dolci risposte,
Ed alle note querule e canore.
Fa la Ninfa degli antri aspro tenore
Questi, veduta allor la meschine
Languida starsi, e sconsolata, e sola,
Pietosissimamente a sé l'appella,
E con dolci ragion poi la consola.
Rustico mi son io, giovane bella.
Ma dotto assai nell'amorosa scola;
E di quel mal , che in te conosco aperto.
Per lunga età, per lunga prova esperto.
Il piò tremante, il pallidetto volto.
Quegli umid' occhi eque' sospiri accesi.
Mi dan pur chiaro a diveder, che molto
Hai dal foco di Amor gli spirti offesi.
Odimi dunque, e V impeto sì stolto.
Frena dei tuoi desiri a morte intesi;
Ni* più voler, dell' opre lor più beile.
Omicida crudel , tentar le stelle.
11 mal, che ben si porta, è lieve male,
E vince ogni dolor sa<;gio consiglio,
E nello stato misero mortale,
È maggior gloria, ov'è maggior perìglio.
Mi son noli i tuoi casi, e so l>en quale
Sia delia bella Dea l'alato Ciglio.
Non ti doler, citò sebbene or ti fugge.
So che non mcn di te, per te si strugge.
L' ADONE.
6T
L*ife ^gH tmitorfidi e rerecl,
Moovoii, se non d'Amor mantici e venti,
Che dei freddi desir destan le faci ,
E le Bamme dei cor fan più cocenti;
Onde le risse alfin tornano in paci,
E in gioie a terminar vanno i tormenti.
Giova poi la memoria, ed è soave
A rimembrar quel che a soffrir fu grave.
Or del cor tempestoso acqueta i moti,
E eessa il pianto, ciie i begli ocelli oscura,
Né voler con guastar le proprie doti,
Far torto al Cieìo, ed oltraggiar Natura,
Umil piuttosto con preghiere e voli.
Quel sì possente Dio placar procura,
Il qual, credimi pur, fia ciie a' tuoi preghi.
Ogni sdegno deposto, alfin si ptegiii.
Ringrazia Psiche il satiro pietoso,
Che si ben la conforta e la lusiiìga.
Poi si accommiata, e senza alcun riposo,
Per traverse remote erra soiinga.
Alfin laddove domina lo sposo
Della suora maggior, giunge raminga.
Giunta, l'altra T abbraccia e la saluta,
E ehiede la cagìon di sua venula.
La già schernita, a vendicarsi accinta,
8eco d'amor le dimostranze alterna ,
E d'allegrezza astutamente infinta,
Vestendo il volto e V apparenza esterna ;
Dal tuo consiglio stimolata e spinta.
Presi il ferro , le dice , e la lucerna, *
Per uccider colui che di marito
Usurpalo s'avea nome mentito.
Tacitamente a mezza notte io sorsi,
Ed avendoa ferirstrettoil coltello, [scorsi,
Lassa , che un mostro , è vero , un mostro
Ma mostro di l>cltà pur troppo beilo.
Quel lume spettator, che innanzi io sporsi,
A quanto narro in testimonio appello.
Che quando un tale oggetto a mirar ebbe.
Raddoppiando splendore ardore accrebbe.
Alil, non senza sospir me ne rimembra.
Che contemplando quel leggiadro velo.
Dico il corpo di\in , che certo sembra
Meraviglia del mondo, opra del Ciclo,
All' armi, all'ali , alle purpuree membra,
Ond* uscia foco da stemprare il gelo,
M'accorsi alfin, che quel che ivi giacca,
Era 11 vero flgliuol di Citerea.
Ma quel perfido lume e maledetto,
Accusator delle beHezze amate.
Non so se invido pur del mio diletto,
0 vago di baciar tanta beliate.
Al sonnacchioso arcier,che ignudo in letto,
Le palpebre tenea forte serrate.
Con acuta favilla il tergo cosse.
Sicché all'aspra puntura ei si riscosse.
E veggendomi armata in sì fier atto,
Scacciommi, e non fé' più meco dimora.
Vanne, disse, crudel, vattene ratto,
E dal mio petto e dal mio letto fora.
Io, tutti i miei pcnsier per tal misralto.
Volgo in tua vece alia nia;;gior tua suora.
Ella, e t'espresse a nome, io vo' che sia
E di me donna, e della reggia mia.
Disse,e fuor del suo albergo all'altra riva,
Sofliar mi fé' dal portator volante.
Va dunque,occupainoco,ond'ioson priva.
Godi quel ch'io perdei, celeste amante.
A me, che più non spero infin eh* io viva,
Romper la stella mia dura e costante ;
Chieder conxicn tributo a tutte l'ore,
Ui pianto agli occhi, e di sos|)iri al core.
Appena ella ha di dir fornito questo.
Che queir invida Arpia le piante affretta,
E giunta in sui fatai monte funesto,
Dove andar suole il vento, il vento aspetta*
Vienne Zeffiro, >ìen veloce e presto,
Angel di primavera, amica aiiretta;
Vienne, dicea, tu condotticr, tu scorta,
Preda ben degna al mio signor mi porta.
Sente allora spirar di sulla cima
Dell'aita costa un ventolin soliilc,
Onde fuor d' ogni dubbio attende e stima,
Che a lei ne venga il precursor d'aprile.
Scagliasi a piombo, e gravemente all' ima
Parie del poggio, il corpo immondo e vile«
Ruinoso tral)occa, e tra quc' sassi ,
Misera, in cento pezzi a franger vassi.
Con l'arte istessa ancor poco dappoi.
Ingannò l'altra giovane meschina.
Che pur fede prestando a detti suol ,
Salse anelante in sulla rupe alpina,
E similmente inimaginar ben puoi ,
Se dal monte balzando alla marina.
Lasciò, condegno premio alle sue colpe.
Lacerale le viscere e le polpe.
68
MARINO.
Tra le pietre medtaie, ah! 8etii|iicetu,
Lasciò le membra dissipate e sciolte.
Cosi for con egual giusta vendetta
Le due pesti maligne al mondo tolte,
E cosi chi di fraude si diletu
Ne* propri lacci suoi cade alle volte.
Volse farle ambedue Tato consorte
Come complici al mal, compagne in morte.
Ma Psiclie or quinci or quindi errante e
Ricercando di me, le vie scorrea ; [vaga
DI me, che per dolor di doppia piaga
Sulle piume materne egro giacca;
E benché di sue ingiurie alquanto paga,
Pur tra duri martir l' ore traca,
Spendendo i giorni in gemiti dirotti,
E consumando in lagrime le notti.
Stavasi intanto la mìa bella madre
Nel profondo Oceano, ove già nacque,
Quelle membra a lavar bianche e leggiadre,
Ond*ella agli occhi tuoi cotanto piacque.
Ed ecco a lei dalle volanti squadre
Un maritimo augel, che abita Tacque,
Sotto Tonde atluflando allor le penne,
Tutto li successo a rivelar le venne.
Le prende a raccontar T Iniquo mergo
E le mie nozze e il già concetto pegno.
Scopre ch'io porto nell'adusto tergo
Di grave cicatrice impresso segno.
Narra che ascoso entro T usalo albergo
Languisco in amorsozzo, in ozio indegno.
Conchiude alflne il relator loquace,
Che il mondo tutto a biasmo suo non tace.
0 qual nel cor di Venere s'aduna
Fiamma di sdegno allor fervida e vìva!
Dimanda al messo in vista oscura e bruna
Chi sia l'amica mia, chi sia la Diva,
Se sia del popoi dr^lle Ninfe alcuna,
0 delle Dee nel numero s'ascriva.
Se tolta io l'abbia e qual scelta di loro,
0 delle Muse, o delle Graxle al coro.
Risponde non saper di questa cosa
L'alato ambasclator quanto, né come,
Se non che strugge Amor fiamma amorosa,
E che egli ama una tal, che Psiche ha nome.
Sembra la Dea non Dea, Furia rabbiosa
A quell'annunzio, e con discinte chiome
Esce dei mar correndo e in sulle soglie
Giunta della mia stanza, Il grido scioglie.
Così dunque ubbidisci al detti miei,
Quant* io t' impongo ad eseguire accinto?
Ilo In tal guisa a vendicarmi sei ?
Ed hai di Psiche 11 tant' orgoglio estinto 1
0 degne palme, o nobili trofei, [vinto.
Ecco il forte campion, che il mondo ha
L' arderò egregio, il feritore invitto.
Or da donna mortai langue trafitto.
Ecco quel grande e generoso duce.
Per cui soffre ogni cor tormento e pena;
E con infamia tanta or si riduce
A lasciarsi legar con sua catena ;
E in vii trionfo prigionier l'adduce
Bellezza currottibiic e terrena.
Quei buon figlio leal, che un van diletto
Suole anteporre al maternal precetto.
E forse ch'io minisira anco non fui
Di questa scelleraggìne e mezzana,
Quando diedi priniicr notizia a lui
Delia malvagia femmina profana?
CiT io deggia sopportar crede costui
Una nuora volgar di stirpe umana,
E die venga anco in cielo a farmi guerra
L'emula mia, la mia nemica in terra.
Pensi tu, che 11 mio ventre insterilito
Concepir più non possa un'altro Amore ?
Vedrai s' io saprò ben prender partito,
E figlio generar di te migliore.
Anzi per farti più restar schernito,
Voglio un servo degnar di questo onore.
Un de' alletti miei voglio adottarmi.
Dargli tutti i tuoi fregi e tutte Tarmi.
Lui vestirò de' colorati vanni.
Egli avrà l'arco d'or che tu possiedi.
Gli strali ond' escon sol ruine e danni,
E la fiaccola ardente, e gli altri arredi ;
1 quali a te fellon, mastro d'inganni,
A quesL' uso malvagio io già non diedi ;
Nò gli hai già tu d'eredità paterna.
Ma beni son della mia dote etema.
Fin dai prlm' anni tuoi veracemente
Fosti licenzioso e mal avvezzo.
Sei contro I tuoi maggiori irreverente.
Né vai teco adoprar minaccia, o vezzo.
Anzi qual vedovella orba sovente
La propria madre tua togli in disprezzo ;
Dico me stessa, onde alimento prendi.
Spesso oltraggiasti ed ogni giorno oATendi.
Né pur del forte tuo terribil Dio
Temi l'inni guerriere e vincitrici,
Ausi talor per maggior scorno mio
Concubine gli trovi e meretrici.
Ma di si fatti sclierzi so ben lo
Come far l' ire mie vendicatrici.
Vo* ciie tante follie ti costin care,
E queste noxxe tue ti sieno amare.
L' ADONE. 69
Sai b«i cb'el non àifriù tenero in erba.
Fon' è che al foco pur staccenda l'esca.
Se tu rimiri alla sembianxa acerba,
0 vuoi forse aspettar, di* egli più cresca.
Tal nella guancia sua vagliezza serba,
Sempre ignuda di pelo e sempre fresca.
Sì tlcn con la statura il tempo occulto.
Che ti parrà bambin, quantunque adulto.
Deh che far deggto 7 o come all' insolenza
Di questo sfrenatel stringere li morso T
Mi conrien pur malgrado all' Astinenza,
Mia nemica mortai, chieder soccorso.
Per dargli al fallo egual la penitenza.
Forza è pur che a costei rivolga il corso,
Costei, benché da me sempre abborrita,
Fia che mi porga alla vendetta alta.
Ella di quest* altier, che sì presume.
Domi le forze e suoi pensier perversi.
Io iin che quei criu d' or, che per costume
Più d'una volta inanellando tersi.
Per me tronco non veggia e quelle piume
Che in questo sen di nettare gU aspersi,
Di mia man non gli snella, unqua non fla,
Che soddisfaccia all'alta ingiuria mia.
Con questo dir da' suoi furor rapita
Vapor fare al mio core oltraggio e danno,
E Cerere e Giunon trova all' uscita.
Che le van contro e compagnia le fanno
E reggendola afflitta e scolorita,
Dimandan la cagion di tanto affanno.
Ella di quel dolor la somma spiega,
E sue ragioni ad alutar le prega.
Se mi siete, dicea, fldate amiche,
Se é l'amor vostro ali* amor mio conforme,
Datemi in man la fuggitiva Psiche,
Usate ogni arte a ricercarne l'orme.
L'accorte Dee, già mie seguaci antiche.
In cui sopito il foco mio non dorme.
Dell'arrabbiato cor l'ire feroci
S'ingegnan mitigar con queste voci :
E qual gran fallo , qual peccato grave
11 tuo figlio commise, o Dea cortese.
Se lo sguardo piacevole e soave
D'una vaga fanciulla il cor gli accese?
Amorosa e di\lna alma non ave
Onde sdegnarsi per si lievi offese.
Fora certo piuttosto il tuo dovere
Amar dO die ama e dò che vuol volere.
Or tu, che dei piacer sei dlspenslcra.
Tu, che pur madre sei, che sei prudente,
Vorrai ritrosa ognor dunque e severa
Spiar gli affari suol sì sottilmente?
Clii fla, che non t'appelli ingiusta e fiera
Se tu, che seminando infra la gente
A tutte r ore vai fiamme ne' cori.
Vuoi dalla casa tua scacciar gli amori?
Così parlando a mio favor le due
Scusan la colpa e prendon l'ira a gioco.
Temendo ior non sia, come già fue,
Ferito il petto di pungente foco. ^
Ella sdegnando, che l'ingiurie sue
Passino in riso, e sien curale poco,
Le lascia , ed a sfogar la rabbia altrove ,
Velocissimamente 1 passi move.
Intanto Psiche mia per varie strade
Inquieta d* errar giammai non cessa,
E discorsi or di sdegno or di pietade
Volge incerta e dubbiosa infra sé stessa.
Or dal grave timor battuta cade.
Or le sorge nel cor la speme oppressa.
Teme, spera, ama. brama e si consuma
Come a fenido Sol gelida bruma.
Di me novelle Investigando Invano
Quasi smarrita e saettata cerva.
Fugge per boschi a più poter lontano
Dell' orgogliosa Dea i' ira proterva ;
Vorrla, punita sol dalia mia mano,
Tito], se non di sposa almon di serva,
E l'amaro addolcir eh* io cliiiido in seno.
Se non con vezzi, con ossequi almeno.
Tempio, che d'arte ogni ediJIcIo avanza,
Sovra la sommità d'un monte mira;
E vaga di saper, se v' abbia stanza
L'occulta Deità, per cui sospira;
Tosto lo stanco piò, dalla speranza
Rinvigorito, a queihi parte gira,
E in Slilla cima dopo l'erta strada
Trova faKi di gran, mucchi di biada.
70
MARlNOb
In quella guitta die dopo la masse
Ventilale e baiuite, alcun Tha viste
Giacer sull'aia, accumulate e spesse
Stavan sossovra le mature ariste ;
E falci e rastri e vomeri con esse,
E vanghe e marre, in un confuse e miste,
E pale e zappe e cribri, e quanti arnesi
Usa il culuur nei più cocenti mesi.
Devota allor con umiltà profonda.
Sceglie, compon, dispon le sparse spicbe.
Quando si mostra a lei la Dea feconda :
Che fai, dicendo, o poverella Psiche?
Tu qui spargi oziosa e vagabonda.
In vane cure inutili fatiche;
£ Citerea, che morte li minaccia.
Va con cupida inchiesta alla tua traccia.
Innanzi al divin piede allor si stende,
E con larghe fontane il lava tutto,
E col bel crin,che fino a terra scende.
Scopando a un punto il suolo il rende asci ut-
Deh per le ceremonie, a dir le prende [to :
E i lieti riti dei tuo biondo frutto.
Per gli occulti secreti e venerandi
Dell' auree ceste, onde i tuoi semi spandi ;
Per le rote volanti, e per le faci.
Perii dragoni, che il tuo carro imbriglia;
Per le glebe fruttifere e feraci,
Onde Sicilia ancor si meraviglia;
Per la rapina dei dcstricr fugaci;
Per gli oscuri imenei della tua figlia;
E per quant* altre cose uniiic ancora,
Me* suol sacri silenzi Eleusi onora ;
Sovvien , prodiga Dea, pregoti, a questa
Perseguitata e misera, sovvieni.
Sotto le spiche della folla testa.
Soltanto ascosa per pietà mi tieni ,
Che di colei, che le mie paci infesta.
Passi alquanto il furor. Tira s*airrcni,
E con breve quiete almcn ristori
Le membra stanche da si lunghi errori.
Mover polca con questi preghi un scoglio.
Ha da Ccrer però trovossi esclusa.
Che non osando inacerbir l'orgoglio
Deir altera cognata, alfin si scusa>
Onde doppiando al cor tema e cordogli».
Quindi dal suo sperar parte delusa ;
Né ben scorge il cammin , si spesso e tanto
Le piove agii occhi e l'abbarbaglia il pianto.
Vede un'altra loa lunge eceela^mole,
Che par che fiso al elei s* estolla ed or|fi«
Scritte mostran sull' uscio auree parole
Del Nume il nome, che là dentro alberviL
Per supplicar la Dea, che ivi al cole,
S* asciuga i fiumi, onde la guancia vergi.
E poiché dentro s* avvicina e passa.
Gli ocelli solleva, e le ginocchia abbana.
Ed abbracciando reverente e cl»ifla>
L* aitar di sacro sangue ancor fumante,
0, dice, delle Dee degna reina.
Germana e moglie del sovran Tonanti ;
0 che Samo t'accolga, a cui bambina-
Desti i primi vagiti ancor UiUantn^
0 di Carlago la beata sede.
Che spesso assisa in sul leon ti vedtt>
0 che d' Inaco pur tra ! verdi cliio0trl,
Cerchi di Giove l' amorose frodi ,
0 che intesa a guardar dai ciel ti mnsttl
Le mura argive, onde hai tributi e lodi;
Tu, che Lucina sei detta dai nostri ,
Che alma con alma in maritaggio annodi ,
Deh propizia ai miei voti or me ritogli
Al vicin rischio, e in tua magione accogli.
Glunon , mentr'ella prega e l'ara abbrac-
Le appare in vista umana e mansueta; [cia^
Ma per non consentir cosa che spiacela
Alla motrice del gentil pianeta.
Le nega albergo, e con tal dir la scaccia :
Servo fugace ricettar si vieta.
A quest'altra repulsa aspra e severa,
Di sua salute in tutto ella dispera.
Con cor tremante, e con trcmantepiedc
Fugge la tapinella, e non sa dove,
In ciò che intorno ascolta, in ciò che vede,
Vede di novo orror sembianze nove.
Lieve arbosccl , cui debil aura fiede.
Lieve augellin , che geme o che si move.
Lieve foglia, che cade o clic si scote,
Di terror doppio il dubbio cor percote.
E per deserti inospiti friggendo,.
Cosi coi suoi pensler tra sé discorM,
Or qual suffragio in sì grand* uopo attendo.
Se il Cielo istesso I miei lamenti ablMrrftt
Se la forza divina^ ancor volendo.
Aiutar non mi può, chi mi soccorre t
Chi mi difenderà, se anco li Dei,
Non mi voglion sciwruir contro costei T
L'ADONE.
71
fn qnal grotta ^ fosca o sì profonda,
Chiiidernildeggio? Odore andar sì lunge.
Che agli occhi inevitabili m'asconda
DiGterea,clie in ogni parte giunge? [da,
Fia dunque il meglio, clie al destin rispoiir
E il corso affretti, ot* ei mi sferza e punge.
Che tardoT un franco ardir tronchi ogn* in-
EF altrui crudeltà sia mio refugio. [dugio,
Coli n* andrò dove ella alberga e regna,
In prigion volontaria a farmi ancella.
Forse quellMra alfln del. Cielo indcgnay
Pietosa deporrà, siccome bella.
Forse ancor fia, che i\i trovar mi avvegna,
Chi m* avventò nei cor fiamme e quadrella ;
E che con lieta o con infausta sorte,
0 m* Impetri perdono o mi dia morte.
Mentre ella In guisa tal s* aggira ed erra,
Driziando i passi, ove di gir propone,
E per ottener pace a tanta guerra^
Gli argomenti tra via studia e compone ;
Stanca Ciprigna di cercarla in terra,
1 rimedj del Ciel tentar dispone.
Rivolge il carro in ver le stelle ,e poggia[gIa.
Su* chiostri empirci ove il gran Giove allog-
Quivi Mercurio con preghiere astringe,
Che la bandisca e sappia ove si cela.
Gli narra la cagion , che a ciò la spinge,
Promette di premiar chi la rivela.
Dichiara il nome, e le fattezze pingc.
Aggiungendo gì' indizi alla querela,
Acciocchès* egli avvien, che alcun la trovi,
Scusa poi d'ignoranza altrui non giovi.
L' una a casa ritorna, e l*a1tropiomba
Veloce in terra a promulgar l'editto.
Qualsivoglia mortale (a suon di tromba
Pubblicato per lui dice lo scritto} :
Psiche, degna di carcere e di tomba,
Rubella e rea di capital delitto,
Fia che a Venere bella accusi e scopra,
Ricompensa ben degna avrà dell' opra.
Vengala tra le piagge a lei dilette,
Dove il tempio de' mirti erge Quirino,
Che dalla Dea benigna avrà di sette
Baci soavi un guid<^rdon divino ;
E più dolce fra gli altri uo ne promette.
In cui lingueggi il tenero rubino.
In cui labbro con labbro il dente strìnga,
E di nettare e mei si bagni e tinga.
Questo grido tra i popoli diffuso,.
Alletta tutti alia mercè proposta.
Onde non trova alcun loco sì chiuso.
Che non v' entri a spiar, se v' è nascosta.
Elia con pie smarrito e cor confuso,
Già della Diva alla maglon s' accosta^
Dalle cui porte incontro a lei s* avanaa
Una ministra sua, che è detta Usania.
Pur ne venisti, ad alta voce esclama.
Schiava sfacciata, ove il gastigo è certo.
0 non t' è forse ancor giunta la faau.
Di quanto in te cercando abhiam sofferto?
Giungi a tempo a pagarlo, e già ti diiam»
Giustissimo supplicio al proprio merto.
Tra le fauci dell'Orco alfin pur desti,
Perchè l'orgoglio tuo punito resti.
Così parlando le cacciò le mani
De* capei d'oro entro le bionde masse,
E con motti oltraggiosi, e con villani
Scherni, volesse o no, seco la trasse.
Giunta alla Dea, con tanti strazj strani
Rotta, con viso chino e luci basse,
Le ginocchia abbracciolle, innanzi al piede
Le cadde a terra, e le gridò mercede*
Con un riso sprezzante a lei rivolta,
Dice Venere allor : Sei tu colei,
Che alle Dee di beltà la gloria hai tolta?
Che hai domo il domator degli altri Dei?
Ecco pur la tua suocera una volta
Degnata alfin di >lsi(ar ti sci ?
0 vien forse a veder l' egro marito.
Che ancor per tua cagion langue ferito?
Or io ti raccorrò, vivi secura.
Come buona raccor nuora conviene :
Su suso, ancelle mie. Tristezza e Cura,
Date a costei le meritate pene.
E tosto a far maggior la sua sventura,
Ecco duri flagelli, aspre catene.
Daltendola con rigide percosse.
La fiera coppia ad ubbidir si mosse.
La rimenano avanti al suo cospetto.
Poiché ambedue IMian tormentata forte,
Speltacol da commovere ogni petto.
Se non di lei, che la disama a morte.
DI corruccio sfavilla e di dispetto,
E dalie luci allor traverse e torte,
Girando obliquo 11 guardo all' infelice,
f Aspramente sorride, e così dice :
72
MARINO.
E par mi voglia ancor col peso Immondo
Del suo tumfdo ventre indur pietate,
E mi prometta già, tronco fecondo,
Gloriose propaginl e iMite.
Felicissima me, che avola il mondo
M'appellerà nella più verde etate,
E il figlio d' una vii serva impudica
Fla che nipote a Venere si dica.
Ma perchè tanio onor? DI nozze tali
Figlio nascer non può, spurio più tosto,
Sono illecite, ingiuste ed ineguali,
Fur di furto contratte e di nascosto ;
Onde quel clie trarrà quindi i natali.
Tra gì* infami illegittimi sia posto,
Se però tanto altcnderem, clie ai Sole
Esca 11 bel parto di si degna prole.
No no far non possMo ciie rompre il freno
Sofferenza irritata alfin non dcggia.
Vo* di mia man da quel nefando seno
Trar l' eterno disnor della mia reggia.
Pace mal non avrò tanto che appieno
E lei sbranata e me sbramata io veggia.
Sazia mai non sarò finché abbia presa
Giusta vendetta dell'ingiusta oflesa.
Tace e le dà di piglio e dagl'inrerml
Membri tutte le squarcia e vesti e pompe.
La misera sei soffre e non fa schermi,
Né pure in piccol gemito prorompe.
Vadan pur fra tiranni I corpi inermi.
L'armi però del cor forza non rompe,
La costanza virii, die è ne* tormenti
Lo scudo adamantin degl'innocenti.
Poi di varj granelli accolti insieme
Confuso un monte, alla fanciulla impera,
Che prenda a separar seme da seme,
E sia Topra spedita innanzi sera.
Vassene alla gran cena e fuor di speme
Sola la lascia e pensa in quai maniera
Psiche potrà nei tempo a lei concesso
Agevolarsi il gran iavor commesso.
Psiche atterrita dal crudel comando,
Stupisce e Uce e d'ubbidir diffida.
Che l'assegnato cumulo mirando.
Non sa come lo scelga, o Io divida.
Tenta indamo ogn' industria e paventando
La rigorosa Dea, che non i* uccida.
Di non poter distinguere si dole
Quella incomposta inestricabil mole.
Quando In soccorso suo corse veloce
L*agricoltrÌce e provvida formica.
Quella ciie suol quando più i*aria coce
Dai campi aprici depredar la spica.
Questa l)iasmando delia Dea feroce
L' atto e mossa a pietà di sua fatica.
Dalie vicine allor vaili e campagne
Tutto il popol chiamò delle compagne.
Concorre tosto In numerose schiere
Con sollecita cura e diligente
Rigando il verde pian di linee nere
Il lungo stuol delia minuta gente;
E la mistura, ove 1* uman sapere
Manca e per cui la donna è sì dolente.
Con sommo studio e con mlrabil arte
Ordinata e partita, alfin si parte.
La notte intanto i rai d' Apollo spense,
E già con 1* ombre Arpocrate sorgea,
E 1 balli suoi per Talte logge immense
Tra le Ninfe del Ciei Cinzia traea;
Quando tornò dalle celesti mense
Di balsamo e di vin colma la Dea,
E tutta cinta d* odorate rose.
Terminate trovò 1* imposte cose.
Non tua, né di tua man (se non m* inganno
Fu già quest'opra, o scellerata, disse,
Opra fu di colui, che per tuo danno
Di te volse il dcstin, che s'invaghisse.
Ma godi pur, che all' un*, e ali* altra stanno
Le dovute da me pene prefisse.
£ partendo da lei poiché ha ciò detto
Consente al sonno e si ritragge in letto.
Neil* ora poi, che fa dal mar ritorno
L'Alba e colora il ciel di rosa, e giglio,
E in suli* aureo balcon. che s*apre al giorno
Rasciuga al primo Sole il vel vermiglio.
Dal ricco strato e di bei fregi adorno
La pigra fronte e il sonnacchioso ciglio
Sollevando Ciprigna, alia donzella
Sdegnosa tuttavia cosi favella :
Vedi quel bosco, le cui ripe rode
Precipitoso e rapido ruscello.
Pecorelle colà senza custode
Pascon lucenti di dorato vello,
lo vo* veder, se pur con nova frode
T ingegnerai di ritornar da quello.
Vattene dunque e delle spoglie loro
Recami Incontanente un fiocco d*oro.
Risoluta di cedere al destino,
Va Psiche per sommergersi in queir onde :
Ma verde canna, che del rio vicino.
Vive sulle palustri e Tresche sponde,
Animata da spirito divino,
E mossa da leggiere aure feconde ,
Ode con dolce e musico concento,
Susurrar questo suon tremulo e lento :
L'ADONE. *13
Da queiralpestra.e ruvida |nontagna.
Che al raggio orientai volge le spalle, *
Fiume, clie d'acque brune I sassi bagna,
Scorrer vedrai nella vicina valle.
Questo senza sboccar nella campagna.
Esce di Stige per occulto calle,
E in quella nera e fetida palude.
Dopo lungo girar s'Ingorga e chiude.
0 da tanti travagli, e si diversi,
Esercitata per sì lunghe vie.
Deh non volere 1 bei cristalli tersi,
Macchiar col sangue tuo dell' acque mie ;
Né contro i mostri andar crudi e perversi.
Che abitan queste spiagge infami e rie.
Fere, che han di fin or la pelle adoma.
Ma sasso hanno la fronte, acciar le coro».
Tocche dal Sol,qualor più forte avvampa,
Entrano in rabbia ininioderata orrenda,
Dal 'cui dente crudel morte non scampa,
Chiunque 11 morso avvelenato offenda.
Aspetta pur che la più chiara lampa,
A mezzo il cielo in sul meriggio ascenda.
Nel centro allor dell* ampia selva ombrosa.
La greggia formidabile si posa.
E tu di quel gran platano nascosta
Sotto 1 frondosi e spaziosi rami,
Finché l'ira dormendo abbia deposta,
Potrai tutto eseguir, quantunque brami,
E secura carpir quindi a tua posta.
Dell'auree lane i preziosi slami.
Che rìmangon negli arbori che tocca.
Implicati e pendenti a ciocca a ciocca.
Con questi accenti il calamo sonoro.
Psiche gentil di sua salute informa,
Che bene Instrulta, e intesa al bel tesoro,
Attende che ogni pecora si dorma ;
E poiché ha da quei tronchi il solili oro
Rapito alfin della lanosa torma.
Con esso in grembo a Citerea sen riede,
Che veggendola viva, appena il crede.
Con tor^'O ciglio e grosso cor la mira.
Né cessa l'odio, anzi s'avanza e poggia,
E viepiù cresce esacerbala l'ira.
Siccome In calce suol foco per pioggia.
In nova occasion la mente gira,
E d'affliggerla pensa in altra foggia.
So ben l'autor, dlcea, di questa prova,
Ma vo* vederne esperienza nova.
. j
Se spavento il tuo petto or non occupa.
Ed hai pur, come mostri, animo ardito,
Là nel più alto colmo, onde dirupa
L' acqua, iiai tosto a salir con pie spedito ;
E dalla scaturigine più cupa
Del fonte, che rampollo é di Cocìto,
Tentando il fondo dell' interna vena,
Trarmi di sacro umor quest' urna piena.
Dopo questo parlar la fronte crolla.
Intorbidando de* begli occhi il raggio,^
Né ben di perseguirla ancor satolla.
Par la minacci di più grave oltraggio.
Presa da lei la cristallina ampolla,
Psiche al gran monte accelera 11 viaggio.
Sperando pur, che a tante sue mine.
Un mortai precipizio Imponga fine.
Ma come arrha alle radici prime
Del poggio allcr,che volge al Sol la schiena.
Vede r erta sì aspra e si sublime.
Che volarvi gli augel possono appena.
Inaccessi recessi, aguzze cime.
Dove non tuona mal, nò mai balena.
Poiché ai verno maggior le nubi e 11 gelo.
Gli fan dai mezzo In giù corona e velo.
Lubrico é il sasso, e dalle fauci aperte
Vomita 11 fiume oscuro In viva cote.
Che per latebre tortuose incerte,
E per caverne concave ed ignote
Serpe, e tra pietre rotte, ispide ed erte,
Con rauchi bombi i margini perente.
I Caduto sugna e si diffonde in laghi.
Dove fischiano intorno orridi draghi.
Raccoglie la vallea dell'acqua stlgla.
Tutta la piena nel suo ventre intemo.
Riga l'onda il terren, pallida e bigia,
Orribil sì, che poco é più I* inferno.
Quivi raro uman pie segnò vestigia,
Né la visita mal raggio superno;
Anzi le nevi in sul bolHr dell'anno,
I A dispetto del Sol sempre vi stanno.
4
MABINO.
Quel flumeancorcbècnido «bbepletatc
M veder speoU si sereni rei «
E parea dir eoo Tonde innamorate^
Fuggi, mira ove sei, guarda che fai.
Deh non lasciar perir tanta beltate«
Toma, tornati indietro, ove ne Tal?
i follia più cbe senno e più che sorte,
Sema risorsa alcuna esporsi a morte.
Psiche presso la foce, onde deriva
U torrente infernal, di sasso muto
Resta quasi cangiata in statua viva,
Quel giogo insuperabile veduto,
Sì d*ogni moto e d'ogni senso priva,
Che il conforto del pianto anco ha perduto.
Ha qual cosa mortale è che non scerna
U tuo grand' occhio, Provvidenza etema 7
Spiegò Taugcl real dal ciel le penne.
Forse ingrato al mio Nume esser non voUÌe,
Che dell'antico ossequio gli sovvenne,
Quando il frigio coppier tra V unghie aecol-
Questì rapidamente a lei ne venne, [se.
E in si fatto parlar la lingua sciolse :
Spera dunque, o malcauta, il tuo desio
Stilla attinger giammai di questo rio?
Fatale è il rio che vedi , e son quest* acque
A Giove Istesso orribili e temute,
E i giuramenti suoi fermar gli piacque
Inviolabilmente in lor virtute.
Ha dammi pur cotesto vetro. E tacque,
E preso il vaso entro le grlnfe acute.
Volando sovra l'apice del monte.
L'empiè dell'onda del tartareo fonte.
Qò fatto la guastada in man le porge ,
E toma al ciel per via spedita e corta.
Psiche che del licor colma la scorgo,
Volentier la riprende e la riporta;
E fra tante sciagure in lei risorge
Speme che la rinfranca e la conforta ;
Qiè Ila sotto Ignudo petto armato core
Forte, se non di ferro, almen d'amor*.
Chi può dir ciò che disse e ciò che feo
La Diva allor di Pafo e d' AmatunuT
Non freme sì dal cacciator rifeo
Barbara tigre saettata e punta,
0 dagli austri sfersato il vasto Egeo,
Come monnortt e sbuffa alla sua giunta.
Non sa come sfogar T astio erodete,
E la d gonfia di gran rabbia il fiele.
Ben ti mostri, dlcea, come esser devi,
DI malizie maestra e di malie ;
Poiché sapesti in tante Inprese grevi
Sì ben tutte adempir le voglie mie.
Far certo un tal miracolo potevi
Sol per arte d' Incanti e di magie,
Ha cosa non minor forse di questa,
Beila mia pargoletta, ancor ti resta.
Prendi questo vasel, ch'io ti appresen lo.
Discendi a Dite e subito ritorna.
Là dove a comandar pena e tormento
1^ regina dell' Èrebo soggiorna.
Dì che mi mandi dei suo fino unguento.
Che la pelle ammollisce e 11 viso adorna.
Ha convientl spacciar tosto la via,
Perchè al pasto di Giove a tempo lo sia.
Psiche senza far motto, a terra fissi
"Hen qtie' bei lumi, ond' io sospiro e gemo.
Che ben s'accorge andando inver gli abissi
D'esser mandata all' infortunio estremo.
Pensa qual mi fess'io, qual mi sentissi.
Quando solo in narrarlo ancor ne tremo.
Vederìa astretta allor col proprio piede
A girne in parte, ond'uom giammai non
[rlede.
Poco oltre va , che trova eccelsa rocca ,
E là rivolge disperata I passi :
Perchè pensa tra sé , se Indi trabocca ,
Poter girne in tal guisa ai regni bassi.
La torre , o meraviglia , apre la bocca ,
E discioglic la lingua ai muti sassi.
Che non potrà chi potè il cor piagarmi ,
Se può dar senso agi* insensati marmi t
Lascio di raccontar con qual consiglio
Scese d'abisso alle profonde conche ,
Con qual tributi scnz' alcun periglio
Passò di Pluto ail'inthne spelonche,
E dei mostri d* A verno al fiero artiglio
Le forze tutte rintuzzate e tronche.
Pervia, che indietro mai non riconduce.
Ritornò salva a riveder U luce»
E taccio come poi le venne audace
DI quel belletto d'Ecate desio.
Indi il pensier le riuscì fallace ,
Che 11 sonno fuor del bossoletto uscio ;
Onde d' atra caligine tenace
Le velò gli occhi nn repentino obblio,
E da grave letargo oppressa e vinta
Cadde immobile a terra, e quasi estinta.
Io sano già della ferita, « molto
Da ^ lunga prigion staneato omat ,
Pier un plcool bàloon Ubero e sciolto
Fuor Mia chiusa camera vokri :
E vago pur di riveder quel volto
Rramato, amato e sospirato assai ,
Parvi battendo le veloci piante
Stella cadente , o folgore volante.
V ADONE. 75
L*anio , noi nego, e Ila che In me si scio-
Prima 11 nodo vltal , che I* amoroso, f glia
E sebben fui pur dianzi al vento foglia ,
Onde al cospetto suo tornar non oso.
Più giammai perder fede, o cangiar voglia
Non mi vedrà , slami nemico , o sposo ,
Tanto che il Sole a questi occhi dolenti
Porti l'ultimo di de* miei tormenti.
La dove senza monte , e senza moto
Giace mi calo , ed a begli occhi volo ;
He tergo li sonno , e nell* avorio voto
DI novo 11 dihido, e ben n*ha sdegno e duo-
Con Taurea punta dello stra 1 la scuoto, [lo.
Pria la riprendo , e poi la riconsolo.
Talché con lieta speme al cor concetta.
Porla il dono infernale a chi l' aspetta.
Giunse le palme umile in atto , e fuori
Tal note espresse : Andai sotterra, e venni,
Eccomi fuor del sempiterni orrori,
E il licor di Proserpina ne ottenni.
Imponml puir difficoltà maggiori ,
Nulla ricuserò dì quanto accenni ;
Che una devota affczion tuli* osa ,
E la potere ogni impossibil cosa.
Bh non fia mal quel di , lassa , eh* lo speri
Piccola requie alla penosa vita?
Quando vedrò di quei begli occhi alteri ,
Che innamorano il Ciel V ira addolcita t
Se fenno è pur, eh* io fra tanti odj fieri
D' ogni calamità sia calamita ,
Fa di tua man, che il fiato ond* oggi lo spl-
Sta deHa morte 11 precursor sospiro. [ ro
Deh donde avviene, o Dea pietosa e santa.
Che tu meco in tal guisa Incrudelisca?
Se pure è ver, che in questa che m' amman-
Spoglia mortai, qualche beltà fiorisca, [ la
Già non è in me temerità cotanta ,
Che d* emularti , o di sprezzarti ardisca.
Dei tu , che reggi l' amorosa stella ,
Odiarmi, perchè il Qel mi fece bella?
Perfida lo già non fui. Se forse errai ,
Colpevol son d' Involontario errore.
Un scusabil fallir perdona ornai.
Se pur fallo può dirsi amare Amore ;
Colui , dalie cui forze (e tu tei sai )
Difenderai non vale ardito core.
Dwique t'adlreral,perchè abbia amato [to?
Quel die pur del tuo grembo al mondo è aa-
Non chieggto il lettosuo, né nd si debbe;
So ben , che di tal grazia indegna sono ,
Malo quel bel seno,ond*eg1i nacque e creb-
Spero trovar pietà non che perdono. [ be
Più oltre ancor continovato avrebbe
Delle sue note addolorate il suono ,
Ma la doglia nel cor le abbondò tanto.
Che die fine al parlar, principio al pianto.
La Dea l' ascolta , e di stupore impetra,
Che in tanti rischi indomita la trova.
Ma il petto a quel parlar 1* apre e penetra
Un non so che di tenerezza nova.
11 diamante del cor pietà le spetra.
Onde a forza con>len clie si commova.
Ella noi mostra, e col suo sdegno ha sdegno
Che cede vìnto all' avversaria il regao»
In questo mezzo io pur temendo In vero
Il minacciato mal , con tanta fretta
Rivolo Inverso il elei , che men leggiero
Di mal pieghevol arco esce saetta.
Quivi ai monarca dei celeste impero
Espongo ogni ragion che a me s' aspetta.
Narro di lei gì* ingiusti oltraggi , e come
Grava ognor Psiche d'Indiscrete some.
Prego, lusingo il suo gran Nume eterno,
E gli fo del mio cor la fiamma nota.
Sorrise Giove , e con amor paterno
Mi prese il mento , e mi baciò la gota.
Sebben, disse, il tuo ardircon tanto scUer-
Sovente incontro a me gli strali arrota, [no
Siche a tor forme indegne anco m* hamos-
A tuoi pregili però mancar non posso, [so.
Gli Dei convoca, e questo aflar censi-
E le mie nozze celebrar comanda. [ glia ,
Esorta a contentarsene la figlia.
Poscia il suo fido nunzio in terra manda.
Rapita già tra l' Immortai famiglia.
Gusta li cibo divino e la bevanda ,
E meco dopo tante aspre fatiche.
Nel teatro del elei sposata è Psiche.
le
MARINO.
L*Ore spogliando de' lor fregi i prati ,
Tutto di rose imporporaro il cielo.
Sparser le grazie aromati odorati.
Cantar le Muse la mia face e il telo.
Le corde d' oro e i calami cerali
Toccar lo Dio d'Arcadia e quel dlDeio,
Besse Imeneo la danza, e volse in essa
Ballar con V altre Dee Venere istessa.
Cosi di tanti affanni a riva giunsi, [si,
E per sempre il mìo bene in braccio accol-
Con cui mentre che alfin mi ricongiunsi ,
Tanto mi trastullai , quanto mi dolsi ;
Né dair amato sen più mi disgiunsi ,
Né dal nodo gentil più mi disciolsi ;
E del mio seme entro il bel sen concetto
Nacque un figliuol, che si chiamò Diletto.
Amor così ragiona , e l' altro intanto
Il suo parlar meravigliando ascolta ;
E per pietà , d'affettuoso pianto
Qualche perla gentil stilla talvolta.
Ma con le faci e le faville accanto
Sente avvampar nel cor la flamma accolta.
La fiamma che il pastor con sue vivande
Gr infuse al cor, già si dilata e spande.
CANTO QUINTO.
LA TRAGEDIA.
ALLEGORIA.
Per Mercurio, che mettendo Adone in parole, gii persuade con diversi esempi a
i)en amar Venere , si dimostra la forza d' una lingua cflQcace , e come le esortazioni
de'pcnersi ruffiani sogliono facilmente corrompere un pensier giovanile. Ne* favolosi
avvenimenti di quei giovani da esso Mercurio raccontati , si dà per lo più ad inten-
dere la leggerezza ed incostanza puerile. In Narciso è disegnata la vanità degli
uomini morbidi e deliziosi, i quali non ad altro intesi, che a compiacersi di sé me-
tlesimi, e disprezzalori di Eco, clie è figura della immortalità de' nomi, alla fine
si trasformano in fiori , cioè a dire , che se ne muoiono miseramente senza alcun
pregio , polche ninna cosa più di essi fiori è caduca e corruttibile. In Ganimede
fatto coppier di Giove , vicn compreso 11 segno di Aquario , il quale con larghissime ,
e copiosissime piogge dà da bere a tutto 11 mondo. PerCiparisso mutato In cipresso,
siamo avvcrliti a non porre con ismoderamento la nostra affezione alle cose mortali ,
itcciocchè poi mancandoci , non abbiamo a menar la vita sempre in lagrime e In
iloiori. ila (come accenna l'importanza della voce greca) non vuol dir altro che
Selva , ed è amato da Ercole , percioccliè Ercole come cacciatore di mostri , era
solito di frequentar le foreste. Alide infuriato prima , e poi divenuto pino per opera
<li Cibele , ci discopre quanto possa la rabbia della gelosia nelle donne attempate ,
quando con {sproporzionato maritaggio si ritrovano a giovane sposo congiunte. La
rappresentazione di Attenne ci dà ammaestramento quanto sia dannosa cosa il volere
irreverentcmentc , e con soverchia curiosità conoscere de' secreti divini più di quel
che si conviene : e quanto pericolo corra la gioventù di essere divorata dalie proprie
passioni , seguitando gli appetiti ferini.
ARGOHENTO.
Entra il g&rzon per dilettosa strada
Nel bel palagio infra delizie nove,
Seco divisa il messaggier di Giove,
IS)i con scene festive il tiene a bada.
L' umana lingua è quasi fren che regge
Velia ragion precipitosa il morso.
Timon, che è dato a regolar con legge
Delia nave dell* alma 11 dubbio corso.
Chiave che apre i pensier, man che correg-
Della mente gli errori . e del discorso. [ gè
Penna, e pennello, che con note vive,
E con vivi color dipinge e scrive.
L' ADONE.
7T
Istroneoto sonoro , or grati , or grsTi ,
Or di latte , or di mei sparge torrenti.
Son del suo dire in un fieri e soavi
Tuoni le voci, e fulmini gli accenti.
Accoppia In sé dell* api e gli aghi e i Tafi,
Atti a ferire, a raddolcir possenti.
Divin sttggei , che mentre esprime i detti ,
Imprime altrui negli animi 1 concetti.
Ha come spada , che difende , o fere ,
Se avrien , che hene , o male oprata sia ,
Secondo li divora* uso, in più maniere
Qualità cangia , e divlen buona , o ria.
E dal diritto suo fuor del dovere
In malvagio sermon torta travia.
Trafigge, ncclde, e del mordace dente
( Benché tenera e molle ) é più pungente.
Sebben però , qualor saetta , o tocca
Stampa sempre in altrui piaghe mortali ,
Non fa colpo maggior, che quando scocca
In petto giovenli melali strali.
Versa catene d*or faconda bocca,
Che molcendo, e traendo I sensi frali,
Tesson legame al cor dolce e tenace ,
Che Imprigiona e lusinga, e noce e piace.
Un meoano eloquente, un scaltro messo,
Paraninfo di cori innamorati ,
Che viene e toma, e patteggiando spesso
DeHe compre d' Amor tratta 1 mercati ,
Con le parole sue fa queir Istesso
Nei rosai petti e nei desir gelati ,
Che suol ne* ferri far la cote alpina ,
Che non ha tagUo, e le coltella afllna.
0 vi iìilmhii il ael, v' assorba Dite,
infernali imenei , sosai oratori ,
Corrieri infami, all'anime tradite
DI scellerati annunxi ambasdatorl ;
Che con ragioni esortatrici ardite
DI stimolare 1 semplicetti cori ,
Corrompendo i pensier con dolci ingannL
Qual ufiicio più vii fa maggior danni?
Qua! maraviglia , se del sommi eroi
L' interprete Immorul , 1* astuto araldo ,
Possente ad espugnar co* detti suol
Ogni voler più pertinace e saldo,
Sul fiore , o MV Adon , degli anni tuoi
Il tuo tenero cor rende si caldo ?
Virtù di quel ministro , il qual per prova
Nella casa d' Amor sempre si trova.
Somiglia Adone attonito villano
Uso in selvaggio e poverel ricetto ,
Se talora a mirar vien di lontano
Pompa real di cittadino tetto.
Somiglia il domator dell' Oceano
Quando d'alto stupore ingombro il petto.
Vide primiero In region remote
Meraviglie novelle e genti ignote.
Volge a tergo lo sguardo, e mira e spia
Se calle v' ha per rinvenir l' uscita.
Ma la porta superba , ond* entrò pria ,
Con sue tante ricchezze é già sparita ,
Né sa guado veder, né trovar via
Per Indietro tornar, che sia spedita;
E quasi verme di bei stami cinto ,
Va tessendo a sé stesso il labirinto.
Tosto che egli colà pose le piante ,
Ben d' Amor-prigioniero esser s'accorse.
Ma fra delizie si soavi e tante
Dalla cara catena 11 pie non torse;
Anzi spontaneo e volontario amante
AI ceppo il piede , al giogo il collo porse ;
E poiché ha di tal carcere ventura ,
Servaggio apprezza , e libertà non cura.
Non manca quivi a corteggiarlo accinta
Di festevoli Ninfe accorta schiera.
Né con piuma qual d' oro , e qual dipinta
Vago drappel di gioventute arciera;
Che al bel (anciul , da cui fu presa e vinta
La bella Dea, che in queir albergo impera.
Stanno In guisa d' ancelle e di sergenti ,
Diversi uffici a ministrare intenti.
Chi d' ambrosia gì* impingua II crln sottile.
Chi di rosa l' implica, e clii di persa.
Chi di pomposo e barbaro monile
La liella gola e candida attraversa.
Altri all' orecchie di lavor slmile
Gemma gli appende folgorante e tersa;
Talché tutto si vede Intorno Intorno
Di molli arnesi e femminili adomo.
Incantato dai vezzi , e tutto Inteso
A cose Adon si disusate e nove ,
Parte d' alto stupor che 1' ha sorpreso
Vinto , bocca non apre , occhio non move.
Parte sovra pcnsler, seco sospeso
Volge suo slato , e con cui siasi , e dove ;
E sparso intanto d' un gentil vermiglio
Baùo tien per vergogna a terra il cigUo»
78
BfABim.
Qui presente d' Atlante era il nipote.
Perchè non pur la sua natia CUleoe
Lascia talor, ma dall* eterne rote
i^er sdierzar con Amor spesso ne viene.
Questi al garson s' accosta « e si lo scote,
Cile aliar gii fa le luci alme e serene.
Favoleggiando poi dolce il consiglia,
K con modi piacevoli il ripiglia :
0 damigel, elie sotto umano velo
Di consorzio divin sei fatto degno.
Della tua sorte invidiata in cielo
Ecco eh' io teco a rallegrar mi vegno.
Così il tuo foco mai non senta gelo.
Come a curar non bai del patrio regno ,
Quando di sé lo scetiro, e del suo stato
La regina de' regi in man t' lia dato.
Ma perché muto veggi oti , e pensoso,
Sia peusier, sia rispetlo, o sia cordoglio,
(Consolar mesto, assecurar dubbioso.
Consigliar sconsiglialo oggi ti voglio.
Del bel per cui ne vai forte fastoso.
Ab non ti faccia insuperbire orgoglio.
Però che è fior caduco , e , se noi sai ,
Fugge , e fuggito poi , non toma mai.
E ti vo' raccontar, se non t* aggrava ,
Qò che addivenne al misero Narciso.
Narciso era un fauci ul , che innamorava
Tutte ie beile Ninfe di Ceflso.
La più bella di lor, che s' appellava
Eco per nome , ardea del suo bel viso ,
Ed adorando quel Bivio sembiante
Parea fatta idolatra , e non amante.
Era un tempo costei Ninfa faconda ,
E note sovra ogni altra ebbe eloquenti,
Ma da Giunon crucciosa ed iraconda
Le fur lasciati sol gli ultimi accenti.
Pur sebben la sua pena aspra e profonda
Distmgner non sapean tronchi lamenti,
Supplia, pace cliicdendo, ai gran martiri
Or con sguardi aoMMrosi , or con sospiri.
Ma r ingrato garzon chiuse le porte
Tien di pietade al suo mortai dolore.
Porta negli occhi e neiia man la morte.
Delle fere nemico , e più d'amore.
Arma crudo non men, che belio e forte,
D* asprezza il volto, e di fierezza li core.
Di sé si appaga, e lascia indubbio altrui.
Se grazia, o ferità prevaglia in lui.
Aaior, dlcean le verginelle — ■ ■ ■ ,
0 da questo sord' aspe Amor sciiemllo,
Dov' è r arco e la face, onde ti vanii ?
Perchè non ne rimane arso e ferito 7
Deh fa, signor, che con sospiri e pianti
Ami invaa non amato, e non gradito.
Come più tant* orgoglio ornai sopporti t
Vendica i propri scorni, e gii altrui torli.
A quei caldo pregar rorecchie pone [co
L'arcier contro il cui strai schermo vai po-
E il cacdator superbo un giorno scorse
Tutto soletto in solitario loco.
Stanco egli di seguir cinghiali ed orse.
Cerca riparo dal celeste foco.
Tace ogni augello al gran calorcbe esala.
Salvo la roca e stridula cicala.
Tra verdi coli! in guisa di teatro
Siede rustica vallee boschereccia,
Falce non osa qui , non osa aratro
Di franger gleba, odi tagliar corteccia*
Foiuicel di beli' ombre algente ed atro.
Inghirlandato di fiorila treccia.
Qui dal Sol si difende, e si traluce ,
Che al fondo cristallin l'occhio con duce.
Sulla sponda leial di questo fonte ,
Che i circostanti fior di perle asperge,
E fa limpido specchio al cavo monte.
Che lo copre dal Sol, quanto più s' erge.
Appoggia il petto e l' affannata fronte.
Le mani attoffa, e 1* arse labbra immerge.
E quivi Amor, mentr' egli a bers' inchina.
Vuoi che impari a schernir vhrtù divina.
Ferma nelle bell'onde il guardo intento
E la propria sembianza entro vi vede.
Sente di strano amor novo tormento
Per lei , che finta immagine non crede.
Abbraccia V ombra nel fugace argento,
E sospira e desia ciò che possiede.
Quel che cercando va, porta in sé stesso
Miser, nèpnò trovar quel che hada presto.
Corre por refrigerio ali' onda fresca,
Bla maggior quindi al corsele gli sorge.
Ivi sveglia la fiamma, accende l' esca.
Dove a temprar 1' arsura il pie lo scorge.
Arde, e perchè 1' ardor viepiù s' accresca,
La sua stessa beltà forza gli porge,
E nell' incendio d* una fredda stampa
Mentre il viso si bagna, il petto avvampa.
L'ADONE.
19
La coBCcmpIa e nlnti e tragge (ahi folio)
Da mentito aembianta affanno vero.
Egli amante, egli amato, or gela, or iMHe,
Fatto strale e l>erBaglio, arco ed arciere.
Invidia a quell'umor liquido e molle
La forma vaga e il simulacro altero,
E geloso del bene ond' egli è privo.
Suo rivai suila riva appella il rivo.
Hancaiido alAn lo spirto ali* Infelice,
Troppo a sé stesso di piacergli spiacque.
Depose al pie dell' onda ingannatrice
La «ita, e morto In carne, In fior rinacque.
L' onda, che già l' uccise, or gli è nutrice,
Perchè ogni suo vigor prende dair acque.
Tal fu il desti n del vaneggiati te e vago
duella sua vana immago.
E cosi feee il Qd del grave oltraggio
Della sprezzata Ninla alu vendetta.
Ma tu (credo ben io) se sarai saggio,
Abborrir non vorrai quel che diletta,
E sgombro il sen d' ogni rigor selvaggio,
Godrai V età fiorila e giovinetta.
Idolo d'una Dea , dal cui bei viso
Impara ad esser bello il paradiso.
Di quella Dea, percui strugger si sente
Lo Dio del foco in maggior foco li petto,
E da martcl più duro e più possente
Battere U cor, d' amore e di sospetto.
QueUa , che i danni deli' offesa gente
Vendica sol col mansueto aspetto.
Che se il folgore suo percote altrui ,
Un sol guardo di lei trafigge lui.
Di quella Dea, che può col seno igiuido
Vincer l' invino Dio d* armi guernito.
Lo qual non può si forte aver lo scudo.
Glie non ne resti il ferìtor ferito,
Nò di si salde tempre il ferro crudo.
Che tempri il mal da que' begli cecili uscito;
Quella che può bear 1* ahnc beate.
Beltà del cielo, e cicl d' ogni belute.
Giovane, il mondo in altra età qual ebbe
Amato mai da Deitadc alcuna,
E qual cotanto al Cielo in grazia crebbe.
Glie possa pareggiar la tua fortuna?
Non querli a te paragonar si debtw.
Che accese il cor della gelata Lama.
Non r akro, che in sui bel carro fiorito
Fu dalia bionda Aurora in elei rapito.
Mille di mila Dee , di mille Dei ,
Che quaggiù di lassù spiegare li voto.
Amori annoverar qui ti potrei ,
Ma lascio gli altri, e te ne scegUo un solo.
Oso di dir, che più feUee sei
Di quel che piacque al gran Rettor del polo.
Non so se ti sia nota , o forse oscura
Del troiano donzei 1* alta ventura.
Dal sovrano inleon rivolto a^ea
11 Motor delle stelle a terra il ciglio,
Quando mirò giù nella valle idea
Del re di Frigia il giovinetto figlio.
Mlrollo, e u' arse. Amor, che l' acoeodea^
L' armò di cuno rostro e curro artiglio.
Gli prestò l' ali , e gli destò vaghezza
Di rapir la veduta alta bellezza.
La maestà di un si sublime amomo
Bramoso d' involar cqrpo si bello.
Della ministra sua prese sembiante,
Cbè non degnò cangiarsi In altro augello;
Perocché tutto il popolo volante
Più magnanimo alcun non ha di quello*
Degno da che portò tanta beltate
D' aver di stelle in eie! l' ali gemmato»
Bello era, e non ancor gli uscla sul mento
L'ombra che aduggia il fior de'più begH att-
iva tendendo a rozze prede intento [ ni»
AI cervi erranti insidiosi inganni.
Ed ecco II predator, che in un momeaCo
Falcate l' unghie e dilauti 1 vanni ,
In alto 11 trasse , e per lo del sostenne
L' amato incaroo In sulle tese penne.
Mira da lungo stupido e deluso
Lo stttol dei seni il vago augel rapace.
Seguon latrando e rlsguardandQ Insuao
I cani la volante ombra fugace.
II volo obMia d' aito piacer confuso
Giove , e di gioia e di deslr si sface.
Gli occhi fiso volgendo e le parole,
Aquila fortunau , al suo bei Sole.
Fanciul, dlcea, che piagni ? a chepavnnti
C^jinglarcol cielo (ah semplicetto) i Itoschl 7
Con i' auree sfere e con le stelle ardenti
Le tane alpestri e gli antri ombrosi e lo*»
E con gii Dei benigni ed innocco li [schlt
Le fere armate sol d' ire e di toschi?
Fatto, mercè di lui che il tutto move,
DI rozio cacciaior, coppler di Giove?
80
MARINO.
Son Gloveistesso. Amor m'ha giunto a tale,
Non prestar fede alle mentUe piume.
Aquila Tatia son; ma che mi vale,
Se aquila ancor mi abbaglio a tanto lume?
Io quel, queir io, che col fulmiueo strale
Tonar sovra 1 giganti ho per costume ,
Si son pungenti i folgori che scocchi ,
Saettato son già da tuoi begli occhi.
Qual prò ti fia per balze e per caverne
Seguir de' mostri orribili la traccia ?
Vlentene meco alle delizie eterne ,
Maggior preda sia questa e miglior caccia.
E se avvien, che colà nelle superne
Piagge i ìmI membri esercitar ti piaccia,
Trarrai per le stellate ampie foreste
Dietro all' Orse del polo il Can celeste.
Lascia omai più di ricordar, rivolto
Alle selve, agli armenti , Ida, né Troia.
Sei celeste e felice ; avrai raccolto
Tra gii etenil conviti etema gioia.
E neir aspra staglon, quand' Austro sciolto
L* aria, la terra e il mar turba ed annoia.
Visitata dal Sol, lucida e beUa
Scintillerà la tua feconda stella.
. Così gli parla , e intanto al sommo regno,
Della gente Immortai patria serena.
Non però senza scorno, e senza sdegno
Della gelosa Dea, lo scorge e mena.
Dove del nobil grado il rende degno.
Che sempre in ogni prandio, In ogni cena
A mensa In cavo e lucido diamante
Porga II neture etemo al gran Tonante.
Ebe e Vulcan^ che poco dianzi quivi
Delia gran tazza il ministero avlcno
Già rIflHtati , e dell' ufficio privi
Cedono al novo avventurier terreno.
Ei rama si, che innanzi a Dive e Divi
Quando li sacro teatro è tutto pieno.
Ancor presente la ritrosa moglie ,
Da Ganimede suo mai non si scioglie.
Non gli reca il garzon giammai da bere.
Che pria noi baci il Re die in elei coman-
E trae da quel baciar maggior piacere [da.
Che dalla sua dolcissima bevanda.
Talvolta a studio, e senza sete avere
Per ribaciarlo sol, da ber dimanda, [toppa.
Poi gli urtai! braccio, o in qualche cosa in-
Spande li licore, o fa cader la coppa.
I Quando toma a portar V amato paggio
11 calice d' umor stillante e greve.
Rivolti in prima i cupid' occhi al raggio
De' bei lumi ridenti , egli 11 riceve ,
E col gusto Icggier fattone un saggio.
Il porge a lui, ma mentr'ei poscia il beve.
Di man gliel toglie, e le reliquie estreme
Cerca nel vaso, e beve e bacia insieme.
Ma che ? Tu sovra questo e sovra quanti
Più pregiati ne furo unqua tra noi ,
Darli bene a ragion titoli e vanti
Di avventuroso e fortunato puoi ,
Poiché il più bei dei sette lumi erranti
Hai potuto invagliir degli occhi tuoi,
E por te stesso in signoria di quella,
Che influisce ogul grazia, amica stella.
E però ti consiglio e ti ricordo.
Che di tanto favor ringrazi il Fato.
Non essere al tuo ben cieco , né sordo ,
Sappi gioir di si felice stato.
Né cagion lieve , o van deslrc ingordo
Partir ti faccia mai dal fianco amato;
Perché cose s'inconirauo sovente.
Onde quando non vale altri si pente.
La fanciullesca età tenera e molie
È quasi incauta e semplice fanciulla.
Lo cui desir precipitoso e folle
Corre a ciò che l' alletta e la trastulla.
Or plange,or ride, e mentre ondeggiae boi-
Suole Immenso dolor tragger di nulla, [le,
E procacciar" non senza gravi affanni,
Da leggieri accidenti eterni danni.
Troppo talvolta a vani oggetti Intenta
Quel che rileva più sprezza ed obblia,
E cosi pargoleggia e si lamenta
Se avvien che perda poi ciò che desia.
Un esempio n'avrai , se ti rammenta ,
Degno che a mente ognor certo ti sia.
Per cui l' alma anzi tempo usci divisa
D'una spoglia leggiadra, odi in che guisa.
Vezzoso ceno si nutriva In Cca,
Di cui più bei non fu daino , né damma ,
Sacro alla casta e boschereccia Dea ,
Più vivace e leggier, che vento, o fiamma.
Quando appena lasciato il nido avea.
D'una ca|)ra poppò l'ispida mamma.
Onde conforme all'alimento, ch'eblie,
j Qualità prese, e mansueto crebbe.
«:
y ADONE.
81
É canuto qiial cigno , e il pelo ha bianco
Più che latte rappreso, o neve alpina;
Sol di purpuree macchie il petto e il fianco
Sparso a guisa di rose in sulla brina.
Con le Ninre conversa, e talor anco
in udir chiamar Qnzia, egli s'inchina,
Pur come a riverir nome si degno
Umano ^irto 11 mova, umano ingegno.
Tra Fauni e Driadi li dì spazia e soggiorna
In aperta campagna , o in chiuso ovile ,
Che per fregiargli le ramose corna
Van delle pompe sue spogliando Aprile.
D* orol' orecchie , e d* or la fronte adorna ,
Gii circonda la gola aureo monile ,
Che un tal breve contien : Ninfe e pastori,
Di Diana sono io, ciascun m'onori.
\je Ninfe fontaniere e le montane
Nella stagion , che al cervo il corno casca,
Onde povero ed orbo ei ne rimane
Per più corsi di Sol pria che rinasca ,
Gli componeano in mille forme e strane
Sulla vedova fronte ombrosa frasca,
E con bell'arte il rifacean cornuto,
Quel che già per natura avea perduto.
Tra quanti il favorirò e 1* ebber caro
Fu Ciparisso, un pellegrin donzello.
Per cui languiva il gran signor di Claro,
Che non vide giammai viso più bello.
L'età con la bellezza iva di paro,
Che era degli anni ancor sol fior novello,
E del suo bel mattin 1* Alba amorosa
Le guance gli spargea di fresca rosa.
Questo fanclul , da' cui begli occhi acceso
Più che dai propri raggi ardeva Apollo ,
Sempre a seguirlo , a custodirlo inteso
in pregio V ebbe, e sovra ogni altro amollo.
Gli avea di propria man fatto ed appeso
DI squillette d'argento un serto al colio.
Perchè qualor da lunge il suon n* udiva
Lo potesse trovar se si smarriva.
Erra il giorno con lui , la sera riede
Là *ve d'erbe e di fior letto raccoglie.
Spesso io braccio gli corre,in grembo siede
E prende di sua man or acque , or foglie.
Orgoglioso ei ne va, che lo possiede,
Umll r altro ubbidisce alle sue voglie.
E con serico fren pronto e leggiero
SI lascia maneggiar come un destriero.
Era nel tempo delle bionde spiche.
Quando il pianeta fervido di Delo
I raggi a piombo in sulle piagge aprlclie
Non vibra no , ma fulmina dal cielo.
II bel garzon fra molte querce antiche.
Che tessean di folt' ombra un verde velo^
Dopo lungo cacciar stanco ne venne ,
E il domestico suo dietro gli tenne»
Or mentre il cervo pasce , ed egli porge
Riposo ai membri in mezzo alla foresta.
Erger vago faglan non lunge scorge
Fuor d'una macchia la purpurea testa.
Prende Tarco pian pian , dall' erba sorge,
E il miglior strai della faretra appresta.
Tende prima la corda, indi l'allenta,
E la canna ferrala innanzi avventa.
Dove r arder rinvia lo strai protervo.
Ma dove ei non vorrebbe, i vanni affretta.
Dopo quel cespo il suo diletto cervo
Erasl posto a ruminar l'erbetta.
Onde scagliato dal possente nervo ,
Il fianco inerme al misero saetta.
Pensati tu , se alla mortai ferita
Cade, e In vermiglio umor versa la viial
V accorre il suo signor, volgendo dritto
Verso il flebil muggito il guardo pio.
£ quando vede (ahi cacciatore afflitto)
In cambio dell' augel , quel die ferio >
E gemer sente il poverel trafitto ,
Che par gli voglia dir : Che t' lio fatt' lo?
Stupisce e tremale da gran doglia oppressa
Vorria passarsi il cor col dardo istesso.
Scende colà lo Dio chiomato e bionda
Dal suo carro lucente ed immortale ,
E gli dimostra con parlar facondo
Come quel che 1* affligge è picdol male.
Ma nessuna ragion , che porti al mondo,
A consolar lo sconsolato vale.
Del cadavere freddo il collo amato
Abbraccia e bacia, e vuol morirgli allato.
Sfoga con 1* innocente arco infelice
Il suo rabbioso e disperato sdegno.
Spezza r empie quadrella , ed ornai , dice.
Non suggerete voi sangue mcn degno.
Ma te del fiero colpo esecutrice
Mano ingrata e crudel , perchè sostegno?
Perchè, s* hai con lo strai commesso errore
Non l'emendi col ferro In questo core?
82
MARINO.
Poiché perfido io stesso e malaccorto
Di propria man d' ogni tesor m' lioprivo ,
E perduta ogni gioia ogni conforto,
Lieti oggetti e giocondi abljorro e schivo;
Fa , prego , o Ciei , senza il mio l)en , che è
ChMo Tra tanto dolor non resti vivo, [morto
Fa eh' io non senta almeno e che non miri,
Se non feretri e lagrime e sospiri.
Appena egli ha vigor d* esprimer questo,
Che la pelle gr indura, e 11 busto ingrossa.
Sorge piramidal tronco funesto,
Rozzo legno si fan le polpe e l' ossa, [sto
Verdeggia il crin frondoso, e quanto alre-
Totla da lui l'antica forma 6 scossa.
Funeral pianta e tragica diviene ,
E quanl'uom desiava, arbore ottiene.
Se un amante divin più che una fera
(Come ragion chiedea) curato avesse,
Forse non avrìa questi in tal maniera
Dato campo al desti n, che poi l'oppresse.
Or tu non fare , che occasion leggiera
T' involi a lei , che suo signor t' elesse ,
Perchè lontan da chi n' ha zelo e cura
Scompagnata beltà non va secura.
So che sovente per le selve errando ,
Dove strani animali hanno ricetto ,
Di girne ardito e intrepido cacciando
0 con spiedo , o con strai prendi diletto.
Deh non voler, tanto piacer lasciando,
Tra i perigli de* boschi entrar soletto.
Se al viver tuo troncar non vuoi le Ola ,
Sovreugati talor del caso d'Ila.
Era scudier del generoso Alcide
Ila , il vago figlìuol di Teodamante.
Più bei crin, più begli occhi il Sol non vide,
Più bel volto giammai , piò bel sembiante.
Con la tenera man l'armi omicide
Spesso stringea del bellicoso amante,
E dell' Immensa e smisurata clava
Fedelmente l' Incarco in sé portava.
Quando al fier Gerion, quando ad Anteo
Tolse il forte campion la vita e l'alma,
Quando dell' Idra e del leon nemeo ,
Del cinghiale e del tauro ebbe la palma, '
Fu sempre a parte d*ogni suo trofeo.
Né lasciar volse mal la cara salma ,
Seguendo pur con pronte voglie amiche
Dell* Invitto signor l'alte fatiche.
S'armaro intanto per portar dell'oro
La ricca preda i naviganti audaci ,
Del primo sprezzator d'Austro e di Coro
Quando a Coleo passò , fidi seguaci.
Vi andar di Leda i figli , andò con loro
Teseo , andovvl il cantor dei boschi traci ;
E fra gii altri giierrier dello stuol greco
Il gran figlio d* Almena, ed Ila seco.
Sorse di M isia da buon Tento scorta
Tra i verdi lidi la famosa naTc,
Dove ferma suU' ancora ritorta
Depose de' suol duci il peso grave.
Procaccia qui la gioventude accorta
Per l' amene campagne ombra soave.
Chi le mense apparecchia in sulle sponde.
Chi fa letto , o sedil d' erbe e di fronde.
Ila dal caldo e dalla sete adusto
Cerca ove empir di geiid'onda un vaso ,
Onde d* urna dorata il tergo onusto
Colà s' imbosca , ove lo porta II caso.
Crescer l'ombre fa già del folto arbusto
li Sol, die omai declina Inver l'Occaso;
Ed ei per tutto spia , se d'acqua sente
Alcuna scaturìgine cadente.
Ed ecco giunge, ove di musco e feloe
Tutta vestita, e d'edera selvaggia,
Pendente costa di scabrosa selce
Gran parte adombra dell' aprica spiaggia.
Quinci l' omo e la quercia e l' alno e l'elee
Scacciano il Sol, qualor più caldo Irraggia,
Spargendo intorno dalla chioma oscura
Opacata di fronde alta frescura.
Quasi cor della selva ,un fonte ombroso
Mormorando nei mezzo , il prato arvim ,
Ed offre al percgrin fresco riposo
Chiuso dal verde, alla stagione estt^a.
Dal sen profondo del suo fondo erboso
Spira spirto vltal d'aura lasciva ,
E porge all'erbe, agli arboscelH, al fiori
Per cento vene 1 nutritivi umori.
Sotto questa fontana a chiome sciolte
Sul bd fitto meriggio aveano usami
Le Napee del bel loco In cerchio aooolte
Vaghe carole esercitare in danza.
Come Ila in lor le luci ebl>e rivolte,
D' inflammarie tra l' acque ebbe possami.
Onde ne] viro e lucido eristalh)
Rotto nel mezzo tbbandoaaro il btHo;
L'
Come stella nel mar divelta cade
Dall' auurro aereN del cielo estivo,
O qua! strisciando per oblique strade
Fende il notturno vel raggio festivo ,
Cosi la rara e singoiar beltade
Rapida ingiù dentro quel gorgo vivo ,
Precipitando tra le chiare linfe
Trovoasi in luraccio alle gelate Ninfe.
ADONE. 83
So die il ben si dilTonde e si diletta
Comunicarsi altrui per sua natura.
Ma clii giunge a goder beltà perfetta
Non deve esca cercar di nova arsara.
Alma gentile In nobil laccio stretta
Di pubblico giardin frutto non cura.
Perchè volgare e prodiga belletza
Posseduta da moHl è vii ricchem.
Delle vezaose Dee 1* umida schiera
Consolandolo a prova, in sen l'asconde;
Drlope , Egeria , Nicea , Nisa , Neera
Gli asdugan gli occhi con le trecce blonde.
Ei la perduta libertà primiera
Piagnere eoi pianto amaro accresce 1* onde,
Ahi die disse ? ahi che fé* per doglia insano
Dei mostri intanto il doraaior tebano?
Lungo il Pontioo mar con ])iè veloce
Cerca e ricerca ogni riposto calie.
Tien la gran mazza nella man feroce ,
La libica faretra lia dalle spalle.
Ila, Ha tre volte ad alta voce.
Ila chiamò per la solinga vaile;
Né fuor die un mormorio debile e basso ,
Gli fu risposto dal profondo sasso.
Poscia che Indarno il suo ritorno attese,
Gemiti disperati al ciel disciolse ,
DI rabbiosi sospiri il bosco accese,
Delie stelle , d* Amor, di sé si dolse.
Tisi , poiché le vele ali' aura tese ,
Gl'incliti eroi sull'alta poppa accolse.
Erool restò con dolorosi stridi ,
Tapino «mante , ad assordare 1 lidi.
Fra tante istorie , eh' io ti narro e tante,
Un punto prindpal non vo' lacere.
Non esaere In amor foglia incostante ,
Che al primo soffio è facil a cadere.
Non essere alga in mar lieve e tremante.
Che pieghi or quinci or quindi il tuo volere.
Stabile ai venti , all'onde , in te raccogli
La fermezza del tronchi e degli scogli.
Vago è del bello , e di leggler s* accende
DI duo begli occhi un giovinetto core.
Agitato vacilla, or lascia , or prende
Quaal camaleonte ogni colore.
II pianeta volubile, che splende
Tra le fredd' ombre del notturno orrora ,
Tante forme non cangia incontro al Sole,
Quante egli In sèstaminr aempre neavole.
Cosa non é, che tanto un core irriti
Quando Amor da ragion vinto si sdegna.
Quanto 11 vedersi i suoi piacer rapiti
Da mano ingrata, e per cagion men degna.
Tu gli altrui dolci e lusinghieri inviti
Fuggir (se iiai semio) a più poter t' ingegna
Perché di te non faccia Citerea
Quel che d' Alide fece un'altra Dea.
Cibele degli Dd madre feconda
Fu d* Ati un tempo innamorata assai ,
E degna n'era ben V aria gioconda
Del viso , che avea bel come tu l' hai.
Avea bocca purpurea e chioma bionda,
E sotto oscure ciglia ardenti rai ,
Né delle prime lane ancor vestita
La guanda vermlglietu e colorita.
Poscia che degno il fé' , eh' egli saliase
Della scala d'Amor sul grado estremo.
Tu vedi ben (più volte ella gli disse)
Siccom' io sol per te languisco e gemo.
Non far torto allo strai che mi trafisse ,
Sol perchè troppo t* amo, io troppo lemo.
Alla giurata fé non far Inganno,
Se non vuoi che II favor ti tomi In damio.
No no, dtcea 11 garzon, beltà non veggio.
Che mi possa adescar nei lacci suoi.
Dal di che aveste in questo core il seggio.
Per altri occhi languir non seppi poi. [glo
Qualunque, ovunque siami esser non deg^
Altro giammai che vostro, altro che voL
Arderò, v* amerò (cosi prometto)
Finché avfò sangue in vena,anima In poli».
Non molto andò , che per ripeste vie
Vago di rifrigerio e di quiete,
Mentre nella più alta ora del die
Cercava umor per ammorzar la aett.
Stelle II guiderò Insidiose e rie
In certe solitudini scerete.
Dove ombraggio cadea gelido e isac*
Dal folto crlo d' un taciturno bo80«.
8i
MARINO.
Tra discoscese e solitarie piagge
Volge gran rupe al Sol le spalle alpine.
Ombran la fronte sua piante selvagge ,
Quasi dell' aspra testa ispido crine.
Per Toccliio di un canal distilla e tragge
Lagrime inargentate e cristalline.
Apre un antro le fauci a pie del fonte
Quasi gran gola, e fa la l)0cca al monte.
Quivi a seder Sangarida ritrova
Un' Amadriade assai vezzosa e bella.
L'avviso della Dea poco gli giova ,
La contempla furtivo , e non favella.
Scender si sente al cor dolcezza nova,
E gii lampeggia il cor com' una stella.
Or avvampa, or agghiaccia, e trema come
De* vicini arboscci treman le chiome.
Ali' ombra del suo bel tronco natio.
Che tempesta di fior le piove in grembo.
Steso sul verde margine del rio
I^ vaga Ninfa ha delia gonna il lembo.
Ed ogni altro pcnsier posto in obblìo ,
Coglie dal prato quel fiorilo nembo.
Dai prato, acni più che la man non prende
Con larghissima usura il guardo rende.
Mentre all' errante crin tenero freno
Di fior bianchi inanella , e di vermigli ,
Si specchia, e con l' umor chiaro e sereno
Par che tacitamente si consigli.
Ma co' fior dei bei viso e del l>el seno
Perdon le rose assai, perdono i gigli.
E 1 fiati della bocca avventurosa
Yincon l'odor del giglio e della rosa.
Ciò fatto, nelle pure onde tranquille
Poiché ha tre volte e quattro il volto im-
Per le labbra inaffiar di fresche stille [merso
Fa del concavo pugno un nappo terso.
Ahi che sugge ella umori , Ati faville ,
Quantunque abbiano in ciò fonte diverso.
Della mano e dagli occhi a poco a poco
Mentre eh' ella bev* acqua , ei beve foco.
Fuor del boschetto alfine il passo ei spin-
E dal cen tro del cor trasse un sospiro, [se.
Un sospir, che lo spirto In aura strinse >
E fu muto orator del suo raartiro.
L' una allor si riscosse, e l'altro tinse
La pura neve del color di Tiro.
Volea parlar, ma quasi ghiaccio al Sole
Venia meno la voce alle parole.
Alla leggiadra vergine dappresso
Si fé' pur sospirando, e pur gemendo
Con sì caldo desio nel volto espresso^
Che ne' sospiri suoi chiedea tacendo ,
Ma così riverente e sì dimesso.
Che ne* gemiti suoi tacca chiedendo ,
E spargea mille d' aurei strali armati
Fuor de' begli occhi spiritelli alati.
Tosto eh' a quella luce 11 volto volse ,
Arse di pari ardor la giovinetta.
Depose 1 fiori , ed ei quel fior si colse ,
Cli' ai seguaci d' Amor tanto diletta.
Quando in letto odorifero gli accolse
La fresca molle e rugiadosa erbetta ,
Ne susurrar, ne bisbigliar le fronde,
E dolce mormorio ne fu tra l' onde.
Ma la gelosa Dea, che il fallo ascolta
Di quel suo dislcal , che l' ha tradita ,
Tosto alle furie infuriala e stolta
Ricorre , e incontr' al giovine l' irrita.
Già di squallide serpi il crine involta
Vibra le faci sue d' Averno uscita,
E con foco e con tosco ecco che Aletto
Gli cocc il core , e gli flagella il petto.
Ferve d' insana ed arrabbiata voglia
Di tartaree fiammelle Atide acceso, [glia.
Spuma, freme, il pie scalza, il manto spo-
si lostrugge il velen che il cor gli ha preso.
La feconda radice , ond' uom germoglia,
E l'un e l'altro suo pendente peso.
Rei del suo mal , da gran furore Indutto
Miscr, di propria man si tronca in tutto.
Testimonio pietoso al caso tristo
Fu di Slnade allora il vicin colle,
Che d'ogn' Intorno rosseggiar fu visto
Del sangue del garzon rabbioso e folle.
Del sangue bel , che con la rupe misto
Tutto il sasso lasciò maccliiato e molle.
Onde Frigia dipinti ancor ritiene
I marmi suoi di preziose vene.
Per trarsi poscia a precipizio ascende
Ripida cima d'aspro monte alpino;
Ma mentre ingiù trabocca e in aria pende
Co' piedi in aito, e con la fronte al chino.
La Dea, che l' ama ancor, pietosa il prende.
L'affigge In terra, e lo trasforma In pino.
Ed or da quel di pria cangiato tanto
In tenace licor distilla il pianto.
Con queste fole e faToìette avea
Del sommo GIotc il messagger sagace
Persuaso ii garzon ; né qui pooea
Freno al garrir, novellator loquace.
Ma troncando ii cianciar, stese la Dea
La man di neve al foco suo vivace;
E panre 11 cor con un sospiro aprisse,
Mentre queste parole ella gli disse:
ADONE. 85
Sovra tutto li timor m'agghiaccia e coce
Della triforme Dea, eh' è donna anch' ella;
E sebben tanto incrudelì feroce
Nella misera sua già Ninfa, or stella,
( Lascio 11 suo loco al ver) corre pur voce ,
Che non fu sempre al mio figliuol rubella ,
E coprendo 11 piacer con la vergogna ,
Sa godere e tacer quando bisogna.
Adon cor mio, mio core , ornai serena
La mente ombrosa,e lascia ogni altra cura.
0 tre volte mio cor, deb, prego, affrena
Quel desio di cacciar, che a me ti fura.
Non far, se m* ami, che acquistata appena,
Perdano gli occhi miei tanta ventura.
Non voler dato a me, da me disgiunto
E ricca farmi , e povera In un punto.
Non sottopor de' boschi al duri oltraggi
Le delicate meminra e giorno e notte.
Lascia a' più rozzi cori e più selvaggi ,
Delle fere il commercio e delle grotte.
Che ti giova menar tra l' elei e i faggi
Spezzati i sonni e le vigilie rotte?
E In ozio travagliato e faticoso
Inquieta quiete > aspro riposo?
Che ti vai la faretra ognor di strali,
E di mostri la selva impoverire?
Delle Dive celesti ed immortali
Bastiti co' begli occhi 11 cor ferire,
Senza voler de' rigidi animali
Con tuo danno e mio duoi l'orme seguire.
Perchè di questo sen denno le selve,
E di me più felici esser le belve?
Soffrir dunque poss' io, che dalle braccia
Rapita (oiraè) mi sia tanta bellezza ,
Per darla a ui, che con l' artiglio straccia,
E col dente ferisce, e la disprezza?
0 crude fere, o maledetta caccia,
O ricetti d'orrore e di fierezza ,
Indegne di mirar luci sì pure.
Contumaci del Sol , foreste oscure.
Possiate sempre le rabbiose strida ,
E t furori sentir d' Euro baccante.
Fiero fulmine i rami a voi redda.
Sfrondi ilcrin,sllori i fior, spianti le piante.
Rigorosa secure In voi divida
Dall'amato arboscel 1* arbore amante ,
Siccome voi spietatamente 11 mio
Dividete da me , dolce desio.
Ma siasi pur, qual 1 mortali sciocchi
La fanno appunto e santa e casta ed alma.
Che fia, s' egli avverrà, che il sen le tocchi ,
Quello strai , che di me portò la palma?
Fiamma di questo cor, Sol di quest'occhi.
Vita della mia vita , alma deli' alma ,
Sappi, che un raggio sol de' tuoi sembianti
Può romper marmi e calcinar diamanti.
Risponde Adone : 0 caramente cara ,
Certo a me quanto cara , ingrata sei ,
Se creder puoi , che possa (ancorehè rara)
Altra beltà di me portar trofei,
il Sol degli occhi tuoi sol mi rischiara ,
Occhi più cari a me , che gli occhi miei.
Là si gira il mio fato e la mia sorte ,
Essi son la mia vita e la mia morte.
Benché tutto di luci il elei sia pieno ,
Solo il Sole è però , che il mondo alluma.
Non ha più face Amor per questo seno ,
Sarò quai sono al foco ed alla bruma;
Di sì dolce fontana esce il veleno ,
Che dolcissimamente mi consuma.
Giunga ii mio corso a riva o presto, o tardo.
Vivrò qual vivo, ed arderò com' ardo.
Ma se costume e naturale istinto.
Che di fere affrontar mi dà baldanza,
Dalla beltà , che m'ha legato e vinto,
Talor di desviarmi avrà possanza.
Non te ne caglia no, eh' a ciò son spinto
Sol dall' antica e dilettosa usanza.
Né sdegnar te ne dei , che chi ben ama
Il piacer del suo amor seconda e brama.
Non sia prodigo Amor, perehò talora
Suole il cibo abborrir sazio appetito.
Passa r uso in disprezzo, e spesso ancora
Frequenuto diietto è men gradito.
Né si aspettato e desiato fora
S' Aprii d'ogni staglon fusse fiorito.
Sempre quel eh' è vietato e quel eh* è raro.
Più n' Invoglia il destre, e più n' è caro.
86
MAMNO.
Non eh' io d' amarli o fastidi toosUnco
Possa a^er mai di te l' anima sgomiira;
Anzi quando il tuo Sol mi Terrà maneOf
Sarò qua] cid, cui fosca notte adomlira.
Sena' occhi in fronte e senza core al ianco,
Sena' alma un corpo e senza corpo nn' om-
Ma se questo è dcstin, porta il dovere,[t)ra.
Cile quel clic vuole U Gel , vogU volere.
Soggiunse allor Qprigna: Assai di questo
Il saggio Dio del Nilo oggi t' ha detto.
Ma per darti a veder più manifesto ,
Che non fuor di ragione è li mio sospetto ,
Vo'cbe tu miri 11 guiderdon funesto.
Che dà Diana a ciascun suo soggetto.
Molto move l'esempio, e per la vista
Maggior, che per V udir, fede s' acquista.
Qui tace, e poi di quella torta scala ,
Che di mezzo ài cortli gli archi distende,
Gli eburnei gradi , onde si monta e cala.
Preme, e col heU* Adone in alto ascende.
Qui per cento fenestre inmiensa sala
Di poliJto cristallo il giorno prende,
E in un bei quadro di mosaico terso
La figura eonlien dell' universa
Perquattro porte a* quattro venti esposte
S' entra, e tutte son d' or schietto e forbito.
Ha quattro mura, le cui ricche croste
Del fondo interior celano il sito.
Nelle facciate tra sé stesse opposte
L' ordin degli elementi è compartito.
Ed a ciascun nella sua propria sfera
Ogni pesce, ogni augello ed ogni fera*
In ogni spailo v' ha quel Dìa ritratto.
Che di queil' elemento ha sommo impero,
E ciascuno elemento è acuito e fatto
D* una materia somigliante al vero.
Vermiglio il foco è d'un rubino intatto,
Ceruleo l' aere è d' un lal&r sincero.
Di smeraldo ridente e verdeggianle
Fatu è la terra, e l'acqua è di dianvite.
Occupa M campo poi del pavimento
La reglon del Tartaro preiando,
Cbe afogUaml di gkto ha un partlmento
Fatto d'or ino, e dttauio In leoèat
E quivi In atto tal , che dà spavento,
Vedcsi II re del tenebroso mondo»
Seoo ha l'orride &ee4ll flegetote,
Cuiià pompa di serpi ombra atta frogie.
Nell'ampio tetto un del sereno è feto.
Opra maggior non lavorò Ciclopc
Appo tante e tal gemme, ond' è dIsUato,
Povero è l'indo e scorno ha l'Etiopo.
Tutto di smalto, in mezzo è di giachito.
Dove in forma di Sol raggia un plropo.
Di crisoliti intorno e di baiassi
Splendon di stelle invece, alti cempaMl.
Veder si può d* ogni Inmiera avicnle
11 fermo stato e il peregrino errore.
VI ha quel co' mostri suoi torto e serpento,
Cite tre cerchi contìen, cercltlo ma^slo^.
Vi ha r uno e 1* altro tropico hicento.
Che del lume e dell' ombra adegnan l'ore.
Vi ha gli altri duo, che girano congiunti
Co' duo fissi dell' orbe estremi punti
I Vi ha r eqnator la cui gran linea eguale
Tra le quattrocompagne in mezzoè poeta.
Di cui l' estreme due 1' una ali' australe,
L' altra al confin di Borea è troppo espooti.
Havvi degU alti Dei la via reale ,
Di spesse stelle e picciolo composta.
Lo cui candor,cÌie il cid per messo fonie.
Da Gemelli al Centauro il tratto
Nel centro della sala un vasto Allanto
Tutto d' un pezzo di diaspro fino
Sostien la volta, e ferma ambe le pianto
Sovra un gran piedistallo adamanAìno,
E sotto r alta cupola pesante
S tassi con tergo curvo e volto chino.
Tutto quel dei , che si rlidega in arco.
Appoggia a questo il ano grvroso incaieo.
La netto hitanto al rìmbooibar de* baci
Invida quasi hi cid fece ritomo t
E portata da lievi ore lugad,
E di tenebre armato uodae il giorno.
Il feretro del Sol con adlle toci
Le stelle amiche aceompagnaro intanw;
E 11 mondo pien di nebbie,e d'ombreUnto
Parca fatto eepolcro d lume eatinto.
Erano! cari amanti entrati appeat
L' un r altro a brtodo ta quella sala attori,
Quand' ecoo aprirsi una dorato aocnt,
Ch' emnhi al gtomo ÉUmnlnò la een.
Fora di luce e di or men rioca e
Se s' aprlsae, erad'io, la ^narto
Selve, sutne, palagi agli ocdil eSame
La corthia reai guMéa •'nperifr
L'ADOffE.
87
Spettacolo gentil Mercurio In questa
Presentar vuole al fortunato Adone.
Mercurio è qiiei,ehc {personaggi appresta,
Ed esercita e prova ogn* Istrione ;
E ciascun d' essi in lieta parte o mesta
Secondo T attitudine dispone.
Né seco già dì recitar consente
Turba T<4gar di mercenaria gente.
L'Invenzione, la favola, il poema,
E r ordine e 11 decoro e 1' armonia.
Della tragedia sua stendono il tema.
La facezia, l'arguzia e 1' energia.
L' eloquenza è V artefice suprema ,
Soprastante con lei la poesia.
Seco il numero, il metro e la misura
Si prendon della musica la cura.
Dansi alla coppia bella 1 seggi d' oro,
Donde quanto si sa tutto si sceme;
Ed ecco II primo uscir di tutti loro
Il portalor dell' ambasciate eterne ,
Che a spiegar Targonicnto in stil canoro
Mostra venir dalle magion superne,
E il soggetto proposto e persuaso
É d" Atteone il miserabll caso.
Ed Atteone al prologo succede,
Che ilcfl con archi e dardi e cani e corni,
E da mohi scudier cinto si vede
Di spiedo armati e ^nobilmente adorni;
E mentre eh' ei delle selvagge prede
Parte d* essi a spiar manda i soggiorni ,
E squadra i passi, ed ordina la traccia,
Vjon diverse ragion loda la cacda.
Ed ecco ad nn squillar d' avorio torto
Sbucar repente da cespugli e vepri
Di mansuete fere Adone ha scorto
PIÙ d' uno stuol tra mirti e tra ginepri ;
E dal palco sahar con gran diporto
Damme e camozze e cavriuoli e lepri,
E parte della Dea fuggirsi al lembo,
E parte a lui ricoverarsi in grembo.
Va poco stante si dilegua a volo
La cacda, e nova effigie II paleo prende,
Perchè librato in ira voluMl polo,
Sé stesso In so quel cardhie sospende.
Lo qtud in giro, e ben confitto ri suolo
Volges] agei'Qtaiente,or poggia,or scende^
E il nobil peso suo portando Intorno,
vIeM iMne a serrar corno con corno*
Come congiunti in un sol globo 11 mondo
Due diversi emisperi insieme lega ,
Per l' orizzonte, che dal sommo al fondo
La rota universal per mezzo sega ;
Così 1* ordigno, che si gira in tondo
Varj teatri in un teatro spiega ;
Se non che dove quel n' abbraccia duo.
Questo più ne contfcn nel cerchio suo.
Sicché qualunque volta un novo gioco
Agli occhi altrui rappresentar si vuole.
Fa mutar faccia in un istante al loco
L' orbiculare e spaziosa mole,
Ch' entro concaya vite a poco a poco
Senza strepito alcun mover si suole,
E con tanto artifizio or cala, or sorge.
Che V occhio spettator non se n' accorge.
Reggon r opra maggior varJ sostegni,
E correnti e pendenti ed asse e travi,
E di bronzo ben saldo armati legni ,
Dure catene e grossi ferri e gravi ,
E con argani mille e mille Ingegni
Del medesmo metallo e chiodi e chiavi,
E quest* ordine a quei si ben risponde.
Che nel numero lor non si confonde.
Ed or che per cacciar dal verde prato
Il tebano garzone il pie ritira.
Tosto che sul gran vertice forato
U ferrato baston mosso si gira ,
Cangia sito la scena, e l'apparato
In altro aspetto trasformar si mira ;
Ed al cader della primiera tela
Diirerenti apparenze altrui rivela.
Spelonche opache v* ha, foreste amene,
Piagge fresche, ombre fosche e chiari fon*
Vivi argenti colà sparge fppocrene, [ti.
Qui Parnaso bicorne erge due fronti.
Con le sue dotte e vergini Sirene
Discende Apollo da que' verdi monti,
Imitando quaggiù vaghe e leggiere
Le danze, che lassù fanno le sfere.
Ciascuno accorda all'organo, (^w tocca,
I passi e 1 salti In m, gli atti e le note,
E con la man , col piede e con la bocca
L'aurea vnpuntoelecorde eli suol perco-
Finito II ballo. In on nonMOto scocca. [t«
II auglstero delToecnlte rata,
E volgendosi n perno, a cui s* appoggia,
Rivesta H palco A nonSla foggia.
88
MARINO.
Dopo il primo intermedio un'altra volta
Videsi il bosco, e quivi Cinzia apparse»
Che venne stanca alla verd* ombra e folta
Della valle Gargafia a rinfrescarse;
E d' ogni spoglia sua discinta e sciolta,
Lavò le membra affaticate ed arse;
E tra le pure e cristalline linfe
Si stette a divisar con l' altre Ninfe.
Gira la scena, e in un balen girando
Di centauri gucrrier piena è la piazza ;
Chi d' acuto trasier la destra armando.
Chi d* asta lieve, e chi di grave mazza.
Salvo in braccio lo scudo, in armeggiando
Non han,che copra il resto, elmo, o coraz-
Grida la tromba In bellicosi carmi: [za.
Alla guerra, alla guerra, all'armi, all'armi !
Già par che con furor l'un l'altro assaglia.
Già già par che di sangue il suol si sparga.
Armonica e per arte è la battaglia.
Or s'intreccia, or fa testa, ed or s' allarga.
E mentre contra quel, questo si scaglia.
Fan cozzar clava a clava, e targa a targa.
E battendosi a tempo or tergo, or petto.
Fan di mezzo all' orror nascer diletto.
Mentre Adone al bel gioco è tutto intento
Amor pietoso a rinfrescarlo viene ,
E gli reca una d' oro, una d'argento
Coppe d' ambrosia e nettare ripiene.
Ei quanto basta al debito alimento
N' assaggia sol per ristorar le vene,
Gh' altr* esca, onde maggior gusto riceve.
Pasce con gli occhi, e per l' orecchie beve.
Neil' atto terzo in sul girevol fuso
La macchina versatile si volve,
E ritoma Atteon sparso e diffuso
Il volto di sudor tutto e di polve ;
Onde di dare al veltro ed al seguso
Alquanto di quiete alfin risolve.
Coglie le reti, e nell' ombrosa e fosca
Selva per riposar solo s'imbosca.
Or tra i confio di questo e dell' al tr' atto
Non men bel si frappon novo intervallo.
Ondeggiar vedi un mar, non so se fatto
DI zaffiro, o d' argento, o di cristallo,
B le sponde vestir tutte in un tratto
D* alga e di lìmo e d' ostro e di corallo,
E tremar l' onde con ceruleo moto,
E delfini guizzar per entro a nuoto.
E quinci e quindi per l' instabil campo
Spiegar turgide vele antenne alate.
Urtar gli sproni, e con rimbombo e vampo
Venir in pugna due possenti armate.
Di Giove intanto 11 colorato lampo
Listando il fosco elei di linee aurate.
Fa per l' aria vibrar con lunghe strisce
Mille lingue di fiamma oblique bisce.
Folgora li cielo, e folgoran le spade ;
Gonfiansl I' onde tempestose e nere.
Ed acqua e sangue per l' ondose strade
Piovon le nubi, e piovono le schiere.
Chi fugge il ferro, e poi nel foco cade,
Chi fugge il foco, e poi nell* acqua pere.
Chi di sangue e di Toco e d'acqua asperso.
More ucciso in un punto, arso e sommerso.
Tale è la guerra e la procella e il gelo.
Che agguagliato è quel eh* è da quel che
Ma in breve poi rasserenarsi il cielo [pare.
Vedi, e in un punto implacidirsi il mare,
Ed Iri il suo dipinto umido velo
Stender per l'aure rugiadose e chiare.
Spariscon le galee, svanisce il flutto,
Struggesi l' arco, e si dilegua il tutto.
Ciò fattOj il bel teatro ancor si chiude.
Poi si vede sgorgar vaga fontana ,
Dove tra molte sue seguaci ignude
Stassi Atteone a vagheggiar Diana :
Ed ella con le man leggiadre e crude
Gli toglie dopo il cor la forma umana.
Con pelo irsuto e con ramose corna
Il miser cacciator cen'o ri toma.
Nel fin di questo in un azzurro puro
All' Improvviso il elei si discolora,
E fregiando d' argento il campo oscuro ,
Con le stelle la Luna ecco vien fora.
Poi dando volta il negliittoso Arturo,
Col giorno a mano a man sorge l'Aurora.
Vero il Sol crederesti, e vera l' alba.
Che le nebbie rischiara e l'ombre inalba.
S'alzali palco di sotto a un tempo istesso,
E mezzo anfiteatro in giro spande.
Prospettiva superba appare in esso
Con ricca mensa e sontuosa e grande,
E vi ha de' sommi Dei tutto il consesso
Con tal pompa d'arnesi e di vivande.
Tanto tesor, tanto splendor disserra,
Che sembra appunto li elei calato in terra.
L* ADONE.
80
Concerto allor di musici concenti
Di tnsso incominciòf d' ako e da lato;
E concordi s' udir varj istromenti , [to.
Qual da man, qual da gamba, e qual da fia-
Ed acuti e veiocl e gravi e lenti
Alternar Tersi al pasteggiar beato,
E rispondersi insieme in molti cori
Mute di Ninfee sinfonie d'Amori.
La notte 11 sesto grado avea fornito
Della scala, onde poggia all' orixzonte,
Quando da cani e caccia tor seguito
Comparre il ccrvo,attraversando il monte.
Ma più non potè Adone istupidito
Sollevar gli occhi, o sostener la fronte.
Onde in grembo a colei, che gli è vicina,
Sovravvinto dal sonno, il capo inchina.
In quella guisa, che dal primo Sole
Tocco talor papavero vermìglio.
Piegar la testa sonnacchiosa suole ,
E tramortire infra la rosa e il giglio;
Abbassa in braccio a lei , che non si dole
Di tal incarcOf addormentato il ciglio :
Né certo aver potea questa, né quello
Peso più dolce, né guanclal più bello.
Questa fu la cagion, che non potco
Della tragica strage il fin sentire.
Né con che strazio doloroso e reo
Venne sbranato 11 giovane a morire.
Né d' Autonoe i lamenti e d' Aristeo,
Né dell' antico Cadmo i pianti udire.
Che la pietosa Dea, che In sen l'accolse»
InOno al novo dì destar noi volse.
Già richiamava i corridori alati
Al giogo, al morso 11 portator del lume,
E già desta dal suon de' freni aurati ,
E serena e ridente oltre il costume ,
La nutrice bellissima de' prati
Sorta era fuor delle purpuree piume
Ad allattar de' suoi celesti umori
L'erbe e le piante, e nelle piante i fiori.
Quando svcgliossl Adone, e si s'accorse.
Che già chiaro 1 balconi il Sol feriva.
Si terse 1 lumi col bel dito, e sorse
Da Mercurio Invitato e dalla Diva.
La bella Citerea la man gli porse,
E per la via, che nella corte usciva,
Menollo In un glardin , presso il cui verde
Degli Elisi beati il pregio perde.
90
MARINO.
CANTO SESTO.
IL GIARDINO DEL PIACERE.
▲ LLSGOaiA.
Sotto la figura del Giardino ci vien rappresentato il piacere. Nelle cinque porte
si sottintendono I cinque sentimenti del corpo. Nel cristallo , e nel zaffiro delle
prima porta si significa la materia dell* occhio , che è l'organo della vista. Nel cedro
della seconda il senso dell' odorato. Nella Tavoletta del pavone si dinota la maravl-
gliosa fabbrica del firmamento. Ama la colomba , perciocché siccome in eflelto
questi due uccelli ( secondo i naturali ] si amano insieme , cosi tutte le luci superiori
sono mosse e regolate dal divino amore. È trasformato da Giove, perchè dal
sommo artefice Iddio ebbe quello (come ogni altro cielo] la materia e la forma*
Fingesi servo d' Apollo , e da lui gli sono adornate le penne della varietà df tanti
occhi , per essere il Sole vivo fonte originale di tutta la luce , che poi si comunica
alle stelle. Ne* diversi oggetti , passatempi e trattenimenti piacevoli si adombrano
le voluttà sensuali.
ARGOMENTO.
Al Giardin del Piacer col giovinetto
Sen ya la Dea dell' amorosa luce.
Per le porte de' sensi indi il conduce
Di gioia io gioia all' ultimo diletto.
Anni il petto di gel chi vede Amore
Saettar foco e ferir l'alme a morte,
E della rocca fragile del core
Difenda pur le mal guardale porte ;
Né del crudele e perfido signore
V introduca giammai le fiere scorte,
Che insidiose a ciii non ben le serra.
Sotto vista di pace apportan guerra.
Chi da quest' empio e dalla carne infida
(>>ndur si lascia infra perigli errante ,
E qual cieco,che il can prende per guida.
Segue del senso le fallaci piante,
Se a vvicn poi eh' egli caggia,o che l'occida
Chi per torto sentjer io scorse avante ,
Non si lagni d'altrui , ma di so stesso ,
Che il fren d' ogni sua voglia In man gli
ha messo.
È ver che da sé sola a ciò non basta
Nostra natura inferma e indebolita ,
Quando anco il gran Dottor, V anima ca-
Dello spirto di Dio tromba gradita, [sta,
Per schermirsi da tal , che ne contrasta.
Ebbe mestler di sovrumana aita;
Né degli assalti suoi può fedel alma
Senza grazia divina acquistar palma.
Ma vuoisi ancor con studio e con fatica
Schivar quel dolce Invito, esca de' sensi.
Perché della domestica nemica
Sol con la fuga la vittoria ottlensi;
E chi fuggir non sa questa impudica
A rischio ve di precipizi Immensi,
Dove caduta poi l' anima sciocca
D' una in altra follia sempre trabocca.
L'ADONE.
91
Questi è la donna che importuna etenta
Adam per far che gusti esca Interdetta;
La meretrice che in prigion tormenta
Giuseppe il giusto, ed a peccar l'alletta.
Questa è colei che Sisara addormenta,
E per tradirlo sol seco 11 ricetta;
La disleal che pria lusinga e prega
U malcauto Sansone, e poi lo lega.
Questa è la Betsabea per cui s'inchina
11 buon re d'Israele ad opra indegna ,
Questa è di Salomon la concubina,
Che follemente idolatrar gl'insegna.
L'infame Circe , la proterva Alclna ,
L'Armida che sTiar l'alme s'ingegna;
La Vener che lontan dalla ragione
Al Giardln del Piacer conduce Adone.
Infiora 11 lembo di quel gran palagio
Spazioso giardin , roirabil orlo.
Miseria mai , né mai vi entrò disagio ,
Vi han delizie ed amori ozio e diporto.
Colà senza temer fato malvagio
Venere bella il bel fanciullo ha scorto,
Cangiando il elei con quel felice loco.
Che sembra il cielo, o cede al elei (fi poco.
Non pensar tu, che senza aito disegno
fiìsse volto Mercurio al bello Adone)
Fondata abbia Gprfgna entro il suo regno
Questa si vaga e florida magione ;
Che intelletto divln, celeste ingegno
Nulla a caso giammai forma, o dispone.
Misterioso il suo edificio tutto
A sembianza deli' uomo 6 qui costrutto.
Del corpo uman la nobile struttura
In sé medesma ha slnictria cotanta.
Che è regola infallibile e misura [ta.
Di quanto 11 ciel con l'ampio tetto amman-
Tal fra gli altri animali il fc' natura ,
Che solo siede, e sol dritto si pianta;
E come l'alma eccede ogni altra forma,
(k)si d' ogni altro corpo il corpo è norma.
Le meravigite che comprende e serra,
Non son possenti ad agguagliar parole.
Né nave in onda, nò palagio in terra,
Né teatro, né tempio é sotto il Sole, [ra
Névi ha macchina in pace,ordifno inguer-
Che non tragga il model da questa mole.
Trovano in sì perfetta architettura
11 compasso e lo squadro ogni figura.
Miracol grande. In cui con piena intera
Giove dei doni suoi versò 1* eccesso;
Della divinità sembianza vera,
Imagln viva e simulacro espresso.
Quasi In angusta mappa Immensa sfera.
Fu r universo epilogato in esso.
Tien sublime la fronte, alte le ciglia.
Sol per mirar quel ciel che l'assomiglia.
1^ distinto in tre parti il maggior mondo,
L' una è dei sommi Dei, che In alto stassl.
Delle sfere rotanti hanno 11 secondo
Loco le belle e ben disposte classi.
Ritien r ultimo sito e più profondo
La region degli clementi bassi.
E quest' altro minor che ha spirti e sensi.
Ben di proporzion seco conviensl.
Sostien la vece del sovran Motore
Nel capo eccelso la virtù, che Intende,
Stassi a guisa di Sol nel mezzo il core.
Lo qual per tutto il suo caler distende.
Il ventre nella sede inferiore
Qual corpo subiunar, varia vicende.
Così Ingoverno e nutrimento e vita
Questa casa animata è tripartita.
Son cinque corpi 11 cielo e gli elementi
E pur dei sensi li numero è si fatto.
L' orbe stellato di bel lumi ardenti
È della vista un naturai ritratto.
Son poi tra lor conformi e rispondenti
L'udito all' acre, ed alla terra n tatto.
Né par che meno in simpatia risponda
L* odorato alla fiamma, Il gusto all' onda.
Potea ben la divina Onnipotenza
Con queir istesso suo benigno zelo,
Con cui pose nell* uom tanta eccellenza
Donargli ancora Incorni itlbil velo ;
E di quel puro fior di quinta essenza ,
Onde non misto è fabbricato il cielo.
Come slmile al ciel la forma veste,
DI materia comporlo anco celeste.
Ma però eh* egli a specolare é nato,
E convien, eh' ogni specie in lui riluca,
E che al chiaro intelletto , ond' é dotato,
I fantasmi sensiblil conduca.
Non dovea d* altra tempra esser fonatto,
Che dell' dementar, benché caduca.
Per fardi quanto Intende e quanto sente«
Prima il senso capace e poi la mente.
02
MARINO.
Di lutto 11 bel lavor,clie con tant'arte
Orna dell* uomo il magistero immenso,
Sono 1 nervi istromenti , onde comparte
Lo spirto ai membri il movimentoe il sen-
Altri molli, altri duri, in ogni parte [so,
Ciascuno è sempre al proprio ufficio inten-
Kè può senz'essi alcuno atto eseguire [so,
La facoltà del moto, o del sentire.
Or tratti avante, e ne vedrai gli effetti,
E dirai, che a ragion Vener si mosse
A far che il loco sacro a' suoi diletti
Dell* esempio del tutto esempio fosse.
Qui tacette Cillenlo, e con tal detti
Dallo stupore il giovane riscosse ,
Che dell' orto gioioso era in quel punto
Già del primo sogliare entrato e giunto.
Neil' orto in cinque portici diviso
Dan cinque porte al peregrin 1* entrata,
E da un custode in su la soglia assiso
La porta d* ogni portico è guardata.
S'entra per ogni porta in paradiso
Laddove un giardinetto si dilata ,
Talché di spazio egual tra sé micini
Conlien un sol giardin cinque giardini.
Qnque giardin la dilettosa reggia
Nelle sue cinque torri inclusi abbraccia «
Sicché da* suoi balcon lunge vagheggia
Differente un giardin per ogni faccia ,
Gonfine un muro,ognÌ giardlnoombreggla.
Che stende linea in fuor di mille braccia.
Questo in quadro si chiudere in mezzo lassa
Porte, onde 1* un giardin nell* altro passa.
Giaacun canton de* quattro innanzi spor-
Una torre angolare in su la punta, [gè
E la quinta tra lor nel mezzo sorge
SI che oltre il muro la cornice spunta ;
E, come dissi, a dritto fil si scorge
Torre da torre egualmente disgiunta;
E con giusta misura arte leggiadra
Io non so come, ogni giardino inquadra.
Della porta dei portico primiero,
Che è di cristallo e di zaffir contesta,
Vivace e nobil giovane é 1* usclero.
Di diverso color sparso la vesta.
Un avoltolo in pugno ed un ceniero
Si tiene a pie da quella parte e questa ,
Un specchio ha innanzi, e nello scudo in-
La generosa, cite nel Sol s' affisa, [elsa
Ai due felici amanti immantinente
Feccsi incontro il giardinier cortese,
E con sembiante affabile e ridente
Adon raccolse e per la mano il prese.
Ben venga, disse, il vivo Sole ardente,
Che alla nostra reina il core accese.
Dritto fia ben, che degli alberghi nostri
Nulla si celi a lui, tutto si mostri.
Dimmi (al nunzio di Giove Adon convcr-
Dimmi, disse, ti prego, o cara scorta, [so)
Con 1* animai di vaghe macchie asperso
Che vuoi dir questa guardia e questa por-
Quel famelico augel, quel vetro terso, [ta?
E quel vario vestir clie cosa importa?
Suo stranio arnese e sua sembianza ignota
Io saprei voientier ciò che denota.
Risponde 1* altro : Le più degne e prime
Parti di tutta la sensi bil massa
L* occhio siccome principe sublime
In gloria eccede , in nobiltà trapassa ,
Che posto della rocca in su le cime
Ogni membro volgar sotto si lassa,
E dove li tutto regge e il tutto vede,
Tra la plebe de* sensi altero siede.
Slede eminente, e di ogni senso é duce,
E certo il gran Fattor tale il compose ,
Che é tra quelli il miglior, si per la luce ,
Che é tra le qualità più preziose,
SI per la tanta e tal, che ognor produce,
Varietà di colorate cose ,
Si per lo modo ancor spedito e presto
Dell' operazion , che intende a questo.
Perché senza intervallo, o mutar loco
Giunge in istante ogni lontano oggetto ,
Talché negli atti suoi si scosta poco
Dalla perfezion dell' intelletto ;
Onde se quel viepiù die vento, o foco
Rapido e vago, occhio dell* alma é detto.
Questo, che é di Natura opra si bella,
Intelletto del corpo anco si appella.
Perl* occhio passa sol, peri' occhio scen-
Qualunque Talma immagine riceve, [de
E di quanto ella vede e quanto intende
Quasi l'obbligo tutto ali* occhio deve.
Ù occhio, come ape suol che coglie e pren-
I più soavi fior leggiadra e lieve , [de
Scegliendo il bel della be\ik che scorge ,
Air interno censor l'arreca e porge.
L'ADONE.
93
Dalie fonti del cerebro natie,
Onde hanno i nervi origine e radice ,
Un soi principio per diverse vie
Di due stretti sentier due ilnee elice.
Quindi del tutto esploratori e spie
Traggono gii occhi ogni virtù motrice;
E quindi avvien (come per prova è noto)
Che move ambo in un punto un stesso
[moto.
Lubrico e di materia umida e molle
Questo membro divin formò Natura,
Perchè ciascuna Impression , che tolle ,
Possa in sé ritener sincera e pura.
Perchè volubil sia, donar gli voile
Orblcolare e sferica figura ;
Oltre che in forma tal pu6 meglio assai
Franger nel centro e rintuzxare 1 rai.
Gli spirU unisce alla pupilla » e spira
Dalla gemina sfera il raggio vivo,
Che in piramide aguzza, ovunque il gira
Si stende fuor del circolo visivo.
La specie in Unto In sé di quel che mira
Ritrae come suo l'ombra o specchio o rivo,
Così neli* occhio» mentre il guardo vago
Esce dalla potenza, entra T imago.
Oh quanto studlo,oh quanta industria mise
Qui l' eterno Maestro ; oh quante accoglie
Vene, arterie, membrane, e In quante gui-
Sottili aragne e dìlicale spoglie. [se
Per quanti obliqui muscoli divise
Passano e quinci e quindi e fila e foglie.
Quante corde diverse e quanll e quali
Versano rocchio ed angoli e canali.
Di tuniche e d' umori in vaij modi
Havvi contesto un lucido volume.
Ed uva e corno, e con più reti e noti
Vetro insieme congiunge, acqua ed albu-
Che son tutti però servi e custodi [me.
Del crisullo, onde sol procede il lume.
Qascun questo difende e questo aiuta,
Organo prlncipal della veduta.
L* immortai Provvide nza acciocché espo-
Sia meno ai danni dell' offese esterne, [sto
Gli ha dato in un ricovero riposto
Sotto Tarco del ciglio ime caverne.
Per siepi e propugnacoli vi ha posto
Palpebre infaticabili ed eterne.
Sol perchè il batter lor continuo e ratto
Dagli umani accidenti il serbi intatto.
Ed a guisa di Sole , acciocché aprisse
Emulo all'altro, al plcdol mondo il giorno,
Quai corona di raggi , anco vi affisse
Sottilissime sete intorno intorno.
Nel curvo globo 1* iride descrisse ,
Che ha dì smalti celesti un fregio adomo;
E temprati di limpidi zaffiri
Vi dipinse nel mezzo i sommi giri.
Questi dell* alma son balconi e porte,
Indici Adi , oracoli veraci ,
Delia dubbia ragion sicure scorte
E dell* oscura mente accese faci.
Son lingue del pensler pronte ed accorte,
E del muto desir messi loquaci ;
Geroglifici e libri, ove altri potè
De' secreti del cor legger le note.
Vivi specchi sereni , onde traspare
Quanto il cupo del petto in sé ristringe ,
E dove in guise manifeste e chiare
Ogni suo affetto V anima dipinge.
I ridenti piacer, le doglie amare
Vi scopre, or d' ira , or di pietà gli tinge ;
E (ciò che è più) visibilmente In essi
Son del foco d* Amor gì' incendi espressi.
E porcile il primo strai, che avventi l'arco
Di queir alato arcier» dagli occhi viene ,
Per questo II primo grado, il primo varco
Del Giardino d' Amor la vista ottiene.
Quinci potrai, gift d'ogni dubbio scarco,
II mistero , cred' io , comprender bene
Del ministro gentil , che guarda 11 vallo.
Degli augei , della fera e del cristallo.
Ciò detto, per incognito sentiero
Laddove altrui vestigio il suol non serba,
Ma serba il prato entro li suo grembo iute-
InUtto il fior, inviolata l'erba. [ro
Colà dentro lo scorge, ove al verziero
Fa corona il gran muro alta e superba ,
E di pietre sì lucide la tesse ,
Che tutto il bel Glardinsì specchia in esse.
Per lungo tratto a guisa di corona
Da ciascun fianco il bel Giardin si spande.
Dove in ogni staglon Flora e Pomona
Guidano danze e trecciano ghirlande.
11 muro prlncipal , che le imprigiona ,
Tetto ricopre a meraviglia grande,
Sostenuto da un ordhie leggiadro
i D' alte colonne e compartito in quadro.
94
MARINO.
Da quattro gallerie per quattro grate ,
Cbe cancel li han d' or fio, s' esce negli orti,
DoTC iMrendono ognor schiere beate
Di Ninfe e di pastor varj diporti,
E passando in piaceri un' aurea etate.
Fanno giochi tra lor di tante sorti.
Quante suol forse cclcbrarae appena
Nelle vigilie sue la beila Siena.
Forman parte di lor, sedendo sotto
Gran tribuna di fronde, un cerchio lieto,
E r un all' altro susurrando un motto
Dentro l'orecchie taciturno e cheto,
De' suoi chiusi pensier non Interrotto
Scopre a chi più gli piace ogni secreto.
Con questa invenzion chieste e concesse
Si patteggian d' Àjnor varie promesse.
Parte in gioco più strano e più diverso
Dispensano del di l'ore serene.
Nel molle grembo il capo in giù converso
Vaga donzella d' un garzon si tiene.
Qascun altro la man , eh' egli a traverso
Dopo il tergo rivolge, a batter viene ,
Né solleva ei giammai la testa china.
Sé chi battuto 1' ha non indovina.
Odesl di lontan scoppio di riso.
Quando per legge di colui die regna.
Di bella NinCa perdilrice il viso.
Che in foco avvampa, col carbon si segna.
Altri più dolci e con più saggio avviso
Trar dal trionfo suo spoglie s' ingegna.
Che con un bado in bocca, o su la gota
Vuol che il perduto pegno ella riscota.
Chi con le carte effigiate in mano
Prova quanto Fortuna in terra possa;
Chi le corna agitate in picdoi piano
Fa ribalzar delie volubll ossa;
Chi con maglio leggier nuinda lontano
L' eburnea palla ad otturar la fossa ;
Chi poiché dal cannel le sorti ha tratte,
Sul tavolier le tavole ribatte.
Van le vergini bella a schiera spvte
Scalze il pie, scinte il seno e adulte ilcrìae,
Rozza inooltura in lor, bdià sena' arie
Fa dell' aaime altrui maggior rapino.
Parte per l' erba va scherzando, e parla
Tra le linfe argentale e crisulhne»
Parte coglie viole ed amaranti
Per iarae dono ai fortunati amanti.
Quella danza tra' flor, questa incorona
Di rose il crine al iavorito amico.
Questi canta d' Amor, quegli ragiona
Con la sua donna in un boschetto aprico.
Alcun ve n' ha, che scritto In Elicona
Liegge amoroso alcun romanzo antico,
E i versi espone in guisa tal , che quasi
Sotto gii esempi altrui narra i suoi casi.
Altri nd cavrìol rapido e anello
Al vdooe levrler la lassa allenta.
Altri da' geti sdolto, e dal cappello
Contro la garza il girifalco avventa.
Altri più lieve e più minuto augello
Con più sottile insidia ingannar tenta ,
Tendendo, acdocché preso d vi rimagna.
Pania tenace , o dllkata aragnt.
Né vi manca però fra qoe' diletti
Chi nel margo palustre , ove si giace
Col cane assaglia , o con lo strai saetti
Anitra opima, o follga loquace;
Né chi con nasse e vangaiuole alletti
La trota pigra e li carplon fugace ;
Né chi tragga daH' acque a cento a cento.
Orate d* oro e cefali d* argento.
Mentre sotto quel del , che Soli , o piogge
Non tenie, arda quantunque, o geli l' anno.
Tra tali e tante feste In tante fogge
Le brigate piacevoli si stanno;
Adone e Citerea per l'ampie logge
Lastricate di gemme , intorno vanno
Mirando pur di quei dipinti chiostri
L' artificio smarrito a' giorni nostri.
Da tutti quattro I lati in ogni parte
Il muro a varie immagini é dipinto ,
Ciò che fav<oÌeggiar l' antiche carte
Degli amori odestl , In esso é finto.
Q' innamonti Dd ffiirabil arte [vinto.
Vi ombreggiò sì, che II ver dall'ombra è
E benché tutti muti abbian le lingue.
Il silenzio e il parlar vi si distingue.
Non mù già «orrottlbill colori ,
Che le lieile igurc han colorite.
Misture tali incognite a' pittori
Da madoa mortai non fur mai trite.
Son quinte essenze diimiciic e hoorl
Di gemme a lento foco hitenerite ,
Minerali stillati , le cui tempre
Mai nnnperdon vivezza, e duran sempre.
L'ADONE.
95
Se sa perfetu gniM, auur il fino
Avesse alcuno artefice moderno^
Ben vi ha tal, che porla col legno • il lino
Par al secol migliore ingiuria e achemo.
Del secondo miracolo d* Alpino
Quanto fora più chiaro il nome eterno)
Dico di lui , che con la man far suole
Quel die T altro facea con le parole.
Il ligustico Apello, il Paggi vanto
Sommo e splendor della città di Gianoi
Quanto di gloria accrescerebbe, oh quanto
Alle latiche della nobll mano.
Il mio Castel « che del conquisto santo
Fregia le carte ai gran Cantor toscano,
Lasceria forse de' suoi stwy illustri
Viepiù jalde memorie a mille lustri.
£ tu Michel , di Caravaggio onore,
Per cui dei ver più bella è la menaogna ,
Mentre che creator più che pittore.
Con angelica man gli fai vergogna.
E voi Spada e Valesio, il aii valore
Fa de' suoi figli insuperbir Bologna ;
E voi , per cui Mtlan pareggia Urbino,
Morraatone e Serrano e Procaccino.
E tu , cbe col pennel vinci gì' intagli ,
E i due vicini si fiunori e noti
Di Verona e Cader non pur agguagli
Palma , ma lor di man la palma scuoti.
E tu Baglion , che con la luce abbagli
DeU*ombre tue, ciie iian sensi e spirti e mo-
Con assai più lodate opre e pitture [ti
A^Tcste , onde arricchir l' età f utmv.
E voi Bronalno e Paaslgnan per cui
Il prodigio tebano Amo rivede.
Poiché gemino lume , e quasi dui
Novi Soli d*onor vi ammira e crede.
Caraccio a Febo caro, e tu con Ini
Rem, onde il maggior Reno all'altro cede,
Alcun non temeila che fusser poi
Cancellati dagli anni 1 lavor svoL
A conlempUr la loggia e la paretft
li porder del giardino Adeoe taivita ,
ìM mole poesie, d'istorie Mele
Immaginata tutta e colorita;
E del Cndul daii' arco e dalla rete,
I dolci eflètti ad on ad un gli addita.
Divisandogli a bocca or quelli, or qnntl
Furtivi «mori degU eroi celesti.
Vedi Giove , dlcea , là 've si aduna
Schiera dì verghielle ir con l'armento.
Vedi che scherza, e la superba Luna
Crolla del capo, e sfida a giostra il vento.
Tutto candido il pel , la fronte ha brma ,
Dov'in meisoblancheggia unsol d'argento.
Già auggir sembra,e sembra al suo mng^
Muggir ia valle intorno intomo e il ilio, [to
Alta Mnfa gentil, che varie appresta
Trecce di fiori alle sue trecce d'oro.
Si avvicina pian plano, e della vesta
Umll le bacia il vago lembo il toro.
Ella il veneggla e ìntesse all'aspra testa
Di catenate rose alto lavoro.
Ed egli inginocchion le terga abbassa
E dalla bella man palpar si lassa.
Sovra gli monta la doniella ardita ,
Quei prende alior per entro l'acque 11 corso
E si aen porta lei, che sbigottita
Volgeal a tergo e Invan chiede soccorso.
Cogliesi tutta, e tutta in so romita [so.
L'una man stende al corno e l'altra al dor-
Sul mar piovono I fior nel grembo accolti,
Scherzano 1 biondi crini all' aurtf sciolti.
Solca la giovinetta 11 salso regno
Sparsa il volto di neve, il cor di gelo.
Quasi stanco nocchiero II fragll legno,
li tauro è nave, e gli fa vela II velo.
Van guinando i delfini, e lieto segno
Fanno di fesu al gran Rettor del cielo.
Ridendo Amor superbamente il mira
Quasi per scherno, e perle corna il tira.
Le sconsolate e vedove coBpngne
In auo di pietà stanno In sol lido.
Additando la vergine che piagne,
Credula, ahi troppo, al predatore Infido.
Par che di lor, per poggi e per campagne
Europa, ove ne vai? risoni il grido.
Par che l'arena Intorno, e l'aura e l'onda
Europa, ove ne vai T mesta risponda.
Eecol vestito di eannte pinne
A bella donna intomo altrove il miri
Qnal di caistro, di meandro ai flnme,
Rotar volando in spaziosi girl,
E gorgogliar sovra il mortai costome
Canori pianti e mosld sospiri.
Temer del proprio folgore il baleno,
I Btonporre 11 s«o nido entro II bel 8W0.
96
MARINO.
Ecco d'anfitrlon prender la forma, {
E la casta moglier schernir si vede.
Ecco satiro poi pasce la torma
Con eorna in testa, e con caprigno piede.
Edo due volte in aquila trasforma
La spoglia, inteso a due leggiadre prede.
JEcfio converso in foco arde e sfavilla.
Ecco in grandine d' or si strugge e stilla.
Vedi lo scherni tor dell'aureo strale,
Lo iHo, che della luce è tesoriero,
A cui deirarli mediche non vale.
Né dell'erbe salubri aver l' impero,
SI che profonda al cor piaga mortale
Non porti alfin dallo sprezzato arderò.
Ecco gì' incende 11 cor d'ardente face
La bella di Penco figlia fugace.
Ed ecco mentre l'amorosa traccia
Segue anelante e giungerla si sforza.
Degli occhi amati e dell'amata faccia
Repentino rigor la luce ammorza.
Fansi radici i pie, rami le braccia.
Imprigiona 1 bei membri ispida scorza.
Gode egli almen le sue dorate e bionde
Chiome fregiar delle già chiome,or fronde.
Volgili poscia al vecchìarel Saturno,
Tutto voto di sangue e carco di anni,
Come invaghito di un bel viso eburno
In forma di destrier la moglie inganni.
Mira quel dal cappello e dal coturno.
Che ha nel coturno e nel cappello i vanni :
Quegli è il corricr di Giove e in terra scen-
di è della Ninfa maura amor l'accende, [de,
Pon mente là, dove la notte ha stese
L'ombre tacite intorno e il mondo Imbru-
Come per disfogar sue voglie accese, [na.
Le due disciolle treccie accolte in una.
Si reca in braccio placida e cortese
Al vago suo l'innamorata Luna,
E fra i poggi di Latmo al suo pastore
Addormenta le luci e sveglia il core.
Mira il selvaggio Dio non iunge molto
Che uscito fuor di una spelonca vecchia.
Di verdi salci e fresche canne avvolto
Le coma, i crini e l'una e l'altra orecchia,
Al elei leva le luci, e nel bel volto
Della candida Dea si affisa e specchia,
E par la preghi in sì pietosi modi.
Che vi scorgi il pensier, la voce n'odi.
L' argentata del elei luce sovrana
Deposta alfin la lusingata Diva,
Alle promesse della bianca lana
Dal suo chiaro balcon scender non schiva,
VediU (or chi dirà che sia Diana?)
Gol rozzo amante in solitaria riva,
E in vece di lassù guidar le stelle,
Sul frondoso liceo tonder l'agoeUe.
Poi vedi Endimion dall' altro lato
Quindi avvampar d' un amoroso sdegno,
E col capo e col dito il Nume amato
Di rampognar, di minacciar fa segno.
Perfida (par le dica in vista Irato) ,
Perfida, or che non celi 11 lume indegno ?
Perfida, avara e disleale amante.
Più volubil nel cor, che nel sembiante.
Della fiamma gentil che nel mar nacque.
Ecco poscia arde il mare, arde l' inferno.
Arder quel Dio si vede In mezzo 1* acque.
Che dell'acque e del mar volge il governo.
Arde per la beltà che sì gli piacque
Il tiranno crudei dell'odio etemo.
Strugge ardore amoroso il cor severo,
A quel signor che ha degli ardori impero.
Sì dice r un, l'altro gli sguardi e l'orme
Alle mura superbe intento gira,
E mentre queste ed altre illustri forme.
Di cui son tutte effigiate, ammira.
Sembra, nò sa s'ei veglia, oppur se dorme.
Statua animata, immagine che spira.
Anzi piuttosto un'insensata e fìnta
Tra figure spiranti ombra dipinta.
Non vi è dipinta di Ciprigna e Marte
L'istoria oscena troppo ed impudica.
Perchè il zoppo marito il fece ad arte.
Di cui fur quelle volle opra e fatica ;
E celar volse le vergogne in parte
Del fiero amante e della bella amica.
Per non rinnovellar l' onta del due,
E nelle gioie ior l'ingiurie sue.
Sotto quest' archi, in queste logge ombro-
Che volte han le facciate alla verdura, [se.
Onde il Glardin le chiome sue frondose
Può vagheggiar nelle lucenti mura,
Specolando l' immagini amorose
Stassene Adon dell' immortai pittura ,
Mentre colui del Sagittario cieco
Va passo passo ragionando seco.
L'ADONE.
07
Venere attor cod gli dice : 0 eaura
Delliia del ndo cor, dolce diletto,
Deh del begli occhi tuoi la luce chiara
Tanto ornai non occupi un finto oggetto,
Che de* suol raggfr usurpatrice avara
Parte a me neghi del bramato aspetto.
Lasciach'lo possa almeno il foco ond'ardo.
Sorbir con fl^i occhi e depredar col guardo.
Non dee la vista tua fermarsi in cose.
Che slen di te men peregrine e belle.
Vedi che fai dolenti e tenebrose
A disagio per te languirle stelle.
Non tener più le luci al Sole ascose ,
Le lud emule al Sol , del Sol gemelle.
Se pitture vuoi pur; vero e non finto
Mira te stesso In questo sen dipinto.
Qui tace, ed ecco per 1* erbosa chiostra
Da lor non lunge, emulator del prato,
Fa di sé stesso ambiziosa mostra
L' occhiuto augel di più color fregiato;
E del bel lembo che s* indora e inostra
Di fiori incorrottibili gemmato;
Dilettoso spettacolo a chi il mira.
Un più vago glardin dietro si tira.
Per ventura in quel punto appunto awen-
Cfae alle leggiadre sue spoglie diverse [ne
La Ì>eUa coppia si rivolse, e tenne
Per vaghezia le lud in lui converse.
Ond'^1 allor delle sue ricche penne
Il superbo gemmato in giro aperse.
Ed allargò, quasi corona altera.
De' suol tanti occhi la stellata sfera.
Di quest' augel pomposo e vaneggiante
(Disse Venere allor) parla ciascuno.
Dicon eh ' ei fa pastor, che in tal sembiante
Cangiò la forma, e cosi crede alcuno.
Che la giovenca dell' infido amante
A gnardar con cent' occhi li pose Giono ;
E che quantunque a vigilare accorto.
Fu da Mercurio addormentato e morto.
Contan che gii occhi, onde sen giva alte-
Nelie piume gli alHsse ancor Giunone; [ro.
Ed è voce voigar, che il suo primiero
Nome fusse Argo, il qual fu poi pavone.
Or della cosa io vo' narrarti il vero.
Diverso assai da questa opinione.
Gli umani ingegni quando più non sanno.
Favole tali ad inventar si danno.
Era questi un garzon superbo e vano.
Tutto di amblzion coimo la m«nte ;
Cameriero d' Apollo e cortigiano ^ -^
Che l'amò molto, e il favorì sovente. |pK)
Amor che anch'egli è pien di orgogllof nsa-
Ferlgli il cor con aureo strai pungtnte.
Facendo dai begli occhi usdr la plagi
Di una donzella mia vezzosa e vaga.
Colomba detta fu questa donzella.
La qual vedere ancor potrai qui forse.
Che fu pure in augel mutata anch'olla ;
Ma per altra cagion questo gli occorse.
Pavon si nominò, pavon si appella
Costui, che amando in folle audada sorse.
Sebbene altro di lui dice la fama,
Pavon chiamossi, ed or pavon si chiama.
Oltre che di bei drappi e vestimenti
Si dilettava assai per sua natura.
Per farsi grato a lei nel suol tormenti
Si abbetlla, si arricchiacoa mag^or cura.
Pompe, fogge, livree, fregi, ornamenti,
Variando ogni di fuor di misura,
Facea vedersi in sontuosa vesta [tesla.
Con gemme intorno e con piumaggi in
Con tutto ciò da lei sempre negletto
Senza speme languia tra pene e doglie.
Perchè discorde l'un dall'altro petto
Di qualità contraria avean le voglie.
Tutto era fasto e gloria il giovinetto
Nei pensieri, negli atti e nelle spoglie.
L'altra costumi avea dolci ed umili ,
Mansueti, piacevoli e gentili.
La servla, la seguia fuor di speranza
Con sospir caldi e con preghiere spesse :
E perchè, come pien d' aita arroganza.
Pensava di poter quanto volesse,
Ragionandole un di prese baldanza
Di farie troppo prodighe promesse.
Tutto gli ofl'rì ciò che bramasse al mondo
Dal sommo giro al baratro profondo.
Poiché tanto , diss'elia, osi e presumi.
Voglio accettar la tua cortese offerta,
E dd foco onde avvampi e ti consumi ,
Giovami di veder prova più certa.
Recami alquanti dei edesti lumi.
Se vuoi purché ad amarti io mi converta.
Se servigio vuoi far che mi contenti ,
Dette stelle del cido aver convienti.
S
«8
MARINO.
GrftBde impresa fla ben quel eh'ioti chieg-
NondUfctteateseardirBeivnif [gio
Poiché presso colui tieoi ti tuo seggio.
Ohe le raccende eoo gli aurati nL
Qualora scintillar lassù le Teggio
DI laau iaoe, io mi oompiatdo aand
E feramo alcuna in mano aTer di loro.
Sol per saper se son di foco o d'oro.
' 0 volesse fo^iglr con qncsta scasa
Quell'assalto taportuo che egli le diede,
O tose per mm esserne delosn
Esperiensa far della sua fede,
0 perchè pur la feannhia è sempre usa
Ingorda a desiar dò che ella>ede.
Ed IndiscreU altrui prega e comanda,
fi le cose Impossibili dimanda;
Basu, ch^cgli in TirtA di tal parole
Ogni suo sfono a cotant'opra accinse.
Aspettò incbè il dei ( siccome suole )
Di purpureo color l' alba dipinse ;
Ed egli usdto in compagnia del Sole,
Che la lampa minor sorgendo estinse.
Atte luci notturne e mattutine
Aooostossi per far l' alte rapine.
Su mio cor, dlcea seco^andianoe audaci
L'oro a rubar dd bel tesor edeste,
Che un raggio sol di due terrene foci
Val più che iosplendm* di tutte queste.
Di stender non temiam le man rapad
Nelle gemme che alctd fregia la veste,
Purdiè in cambio dd furto abWan poi qod-
Delle stelle e dd Sol più chiare stdie. [le
Orbe del lume e ddla scorta prive,
Fugglan le stelle in varie schiere accolte.
E siccome talor per V ombre estive
Quando Tarla è serena, awien più volte ;
Sbigotate, tremanti e fogi^tive
Per fretta nd fuggir ne cadeau molte.
Pavone allora U suo mantel distese.
Ed un groppo nd lembo alfin ne prese.
iiiove che vide il forsennato e sciocco
Giovane depredar l'auree fiammelle,
Sdegnossi forte^ e da grand' ira tocco
Gli trasformò repente abito e peile.
L'orgoglioso chnier divenne un flocco,
fi nella falda gli restar le stelle.
Febo die pietà n'ebbe, e l'amò tanto.
Per jempre poi gilde stampò nd mutD.
Del ddo r ambidosa imperatrice
Tosto che vide il non più visto augello ,
Che 11 pregio quasi to^ alla fenice,
Il voUibil suo carro ornò di quello.
Poi le penne gii svelse, e fu Inventrice
Di un istrumento insieme utile e bdlo ,
Onde die mense estive barn le sue serve
Gora ti' IntepMtar l' aura che ferve.
Ed io, che soglio ognorqoalunqne imago
Scacciar dagli orti miei difforme e trisu.
Di averlo ammesso qui godo emiappago.
Che graaiia il loco e nobiltà ne acquista.
Perchè natura In terra angd più vago
Non credo, che oflerir possa atta vista.
Né so cosa trorar fra quanti oggetti
Invaghiscano altrui, che più diletti.
Vedilo là, che a' più bd fior fa scorno,
E ben d' dtra pittura i chiostri onora.
Con quanta maestà rotando intorno
DI mlnbil ghirlanda il palco infiora?
Perchè crediam, che si d mostri adorno,
Se non per allettar chi t'Innamora 1
E per aprire dia beltà, che roille
Fiamme gli avventa deor, cento pupille ?
Or che far dee, dolcissimo ben mio.
Gentil petto, alto core e nobil voglia ?
Qual da si dolce universal desio
Anima sia, diesi ritragga o sdoglia?
Ma che mirar? ma che curar degg'fo
Del bel pavon la ben diphiu spoglia,
S'aprono agli occhi miei le tue belieaae
Altri fregi, dtre pompe, altre riochezie ?
Cosi ragiona, e seco 11 trae pian piano
Dove aU' altr* uscio il guardian V aspetu.
Che con bd fasci di fioretti in mano,
E varie ampolle di profumi dielta.
Garzon verde vestito, e non lontano
Esplorator della fiorita erlMtta,
Scaltro Seguso e d' odorato acato.
Tutto dovunque va cerca od finto.
Inestinguibilmente a pie gH bdle
Infuso un misto d'odorate cose.
Con sangue di colombe e con midolle
Di passere stemprò liquide rose,
E col puro storace e l'ambra molle
Il muschio dentro e l'doè vi pose.
Vi ha di Cirene II bdgidn naUo,
li dfo egiilo e il mastice di Chic.
L' ADONE.
99
Vista costui da lunga avea la bella
Coppia, elle agli orti suoi Torme volgea.
Onde subito a sé Zefflro appella.
Che in cunra valle e florida sedea.
0 geoltor della stagion novella ,
INce , vago forier di Citerea ,
Che OOQ volo lascivo e lieve fiato
Pamrggiintlft il mio cielo infiori il prato;
Non vedi tu la graziosa prole
Del gran Molor, cbe su le stelle regna ,
Come col vivo suo terreno S<rie
Le nostre case d' onorar si degna ?
Su su , studio a raceorla usar si vuole.
Tu tanta Dea d'accarezsar t'Ingegna.
Con la virtù, cbe da' tuoi semi avranno,
figU la Terra, e pargoleggi l' anno.
Quanto esalan di grato Itala e Pancata,
Quanto l' Idaspe di loatan ne spira.
Quanto ne accoglie giunto alla veccbiata
L* arabo augel nell' odorata pira ,
Tutto qui spargi , acciocché degno appaia
Di lei ciò cbe ella sente e ciò che mira.
Fu che animate di fiorita messe
Godan dd tuo £ivor le selci Istesse^
Tutto p^ questi plani e questi poggi
Prodigo il tuo tesor dìflondi e sdogli,
E qual rupe più sterile fa che oggi
Ai tuoi iecondi spiriti germogli;
Onde non che ella votentìer vi alloggi ,
Ma di ordirvi gbirlaode anco s'invogli,
E i nostri fior da quei celesti diti
Possano meritar di esser carpiti.
Scale a quel dir le piume a pUk colori
Tutto di finesco nettare sdUante
Della veuosa e leggiadretta Glori
Sorto dal seggio suo, l' alato amante ;
dori Nin£i de' prati e Dea de* fiori.
De' lidi canopei grata abitante.
Spargendo fior dalla purpurea scola
Sempre II segue costei , dovunque el vola.
La gooM , die la eopre , è tutta ordita
Di un drappo, cbesl cangia ad ora ad ora.
Dett' augel di Ciprigna 11 colio imita
Quando ai raggi del Sol si trascoioriL
Di dmB manto comparir vesdta
Suole agli occhi di Aprii la bella Flora.
1U fra F umide nuM II curvo ^lo
Spande alle prime ploggte Iride fai delo.
Volano a prova, e con discioiti lembi
Scorron del del le spaiioae strade.
Nubi accoglie quel elei , gravide i grembi
Di fitti unguenti e di ottime rugiade.
Onde r umor soave in puri nembi
Da quel placidi soffi espresso cade.
Cade suil' ertia , e fiocca in larga vena
Di aromatld odor pioggia serena.
Ciò fatto, d precursore, dia seguace
L' ali battendo rugiadose e molli.
Fan maritate con l' umor ferace
Le glebe partorir nuori rampolli.
Si allarga 1* aria in un seren vivace ,
E fioreggiano hitomo i campi e i colli.
Vedresti, ovunque vanno, in mille guise
Primavera spiei^r le sue divise.
Tornano al copular di due stagioni
I secchi dumi con stupor vermigli.
Sbucciano fuor de' gravidi bottoni
Ddle madri spinose 1 lieti figli.
Ricca la terra di celesti doni
Par che all'ottavo ciel si rassomigli.
Par che per vincer l' arte, abbia Natura
Applicato ogni studio alia pittura.
[scuro
Qud di splendor sanguigno e qual d'o-
Tingonsl 1 fiori in quelle piagge e In questo,
Qual di fin oro e qud di latte puro,
Qual di dolce ferrugine si veste.
Adone intanto nel secondo muro
Con r dtro di t)eltà mostro celeste
Per angusto sportd passa introdotto ,
Che è di cedro odorato ed incorrotto.
Blereurio hicomliiclò : Tra quante abbrac-
Maggior ddizieil cerchio della Luna [eia
Cosa non ha, di cui più si compiaccia
Venere e il figlio suo , che di quest' una ;
Né trov' ioche più vaglia , o che più faccia
Lusingamento , o tenerezza alcuna ,
Che la soavità de' molli odori ,
Molto possenti ad allettar gli amori.
Ostie crude!! e sacrifizi infausti ,
Miseri tori ed Innocenti agnelle ,
Offre la gente al Qd , tanto die esausti
Restan gli armeml ognor di questi eqnollc.
E sol per far salir d'empj olocausti
Un fumo abbominevole alle stelle ,
Aggiunto 1! foco alle svenate strozze ,
Arde agli eterni Dd littlme sozze.
100
MARINO.
E crede stolta ancor, che questi suoi
l)i sangue vii contaminati alurl
Abborriti lassù non sien da no!,
rhesiam pur sì pietosi, anzi sien cari.
Com' uopo abbian di pecore e di buoi
Cittadini del dei beati e chiari,
0 le dolcezze lor sempre immortali
l>eggian cangiar con immondizie tali.
Doni i più preziosi , 1 più graditi ,
Che possan farsi a quegli eccelsi Numi ,
Di naturai semplicità conditi
Son frutti e fiori , aromati e profumi.
Ma sovra quanti mal più reveritl
Rotano I raggi in elei celesti lumi,
Adon , la bella Dea , con cui tu vai ,
Di queste offerte si diletta assai.
E per questa caglon qui , dove torna
Ella per uso ad albergar talora,
Di tutto il bel, che l'Universo adoma ,
Scelse quanto diletta e quanto adora.
Or se è ver, che a colei che qui soggiorna,
Ed a tutu gli Del , che il Mondo adora,
Soglion tanto piacer gli odori sparsi ,
Quanto denno dagli uomini pregiarsi?
Ben tirato un profli nel mezzo appunto
Scolpi del volto uman la man divina,
Che quindi con le ciglia ambe è congiunto ,
E col labbro* sovran quinci confina.
K perchè di guardarlo abbia 1* assunto ,
D* osso concavo e curvo armò la spina ,
Che quai base il sostenta , e tutto li resto
Di molli cartilagini è contesto.
E perchè , se vlen pur sinistro caso
Una a turar delle finestre sue.
L'altra aperta rimanga, ed abbia il naso
Onde 1 flati esalar, ne formò due.
E posta In mezzo ali* uno e I* altro vaso
Terminatrlce una colonna fue
Tenera, ma non fral , si che per questa
I^e sue pioggie stillar possa la testa.
Ma benchèoltre 11 decoro e 1* ornamento.
Ed oltre ancor, che al respirare è buono ,
Vaglia a purgar del capo ogni escremento,
Pur r odorato è prlncIpal suo dono.
E consiste nel moto il sentimento
DI due mammelle, che da' lati sono,
E movon certi muscoli all' entraU,
De* quali un si ristringe « un si dilata.
Quindi si apre la porta e Io q>iragllo
Del senso Interno all' ultime radici ,
Laddove a guisa di forato vaglio
Una parte sovrasta alle narici.
L'altra è spugnosa , e con sottile intaglio
È destinata al necessari uffici ,
Che quai pomice , o fungo avendo i fori ,
Rompe l'aere alterato entro i suol pori.
E la spugna del cranio umida, e tale,
Che di ogni arida cosa assorbe I fiati ,
Traendo a sé la qualità reale
Degli oggetti soavi ed odorati;
Passa il caldo vapore , e In alto sale
Ai ventricoli suoi per due meati ,
Che non si serra mai, talché con esso
L'aere insieme e lo spirto han sempre in-
[gresso.
Ma tra risi e piacer frappor non degglo
Di severa dottrina al ti sermoni ,
Però che alla tua De? su 1 fianchi io veggio
Di pungente desio ervidl sproni ;
E dei mio dir que^ (o fiorito seggio
Soggiungerà la pr ova alle ragioni.
Senti auretta che spira. In coul guisa
L' arguto Dio co beli' Adon divisa.
De' fiorìU viali In lunglii tratti
Mirando van le prospettive ombrose,
Ne' cui margini a fii tirati e fatti
Miniere di rubini apron le rose.
Slan disposti ne* quadri i fiori inUtti
Con leggiadre piUure ed ingegnose,
E di forme diverse e color vari
Con mille odori abbagliano le nari.
Trecce di canne e reti , o gelosie
Alle ben larghe alee tesson le coste ,
E dagli erbai dividono le vie
Compassate a misura , e ben composte ,
Le cui fabbriche egregie e maestrie
La Dea dei loco addita al suo beli* oste,
Movendo seco per quei solo i passi ,
Fatto a mosaico di lucenti sassi.
Amor con meraviglie inusitate
Semplice qui conserva II suo diletto,
Perchè pon nelle piante innamorate
Ogni perfezion senza difetto;
E con foglie più spesse e più odorate.
Quando la rosa espone il M concetto,
0 candida , o purpurea, o damaschina ,
I Nascer fa solo il fior aeoia la spina.
L' ADONE.
101
Ciò che han di mplte 1 morbidi Sabei,
Gr Indi fecondi , o f^ì Arabi felici ,
Ciò cbe produr ne sanno i colli iblei ,
Le piagge ebalie, o rattiche pendici,
QiuuDto mai ne nutriste orti panche!,
Prati d'Inietto, e voi campi corici,
Con stella favorevole e benigna.
Tutto in quegli orti accumulò Ciprigna.
Yl suda il gatto etiope, e ben discosto
Lascia di sua virtù traccia per V aura.
Né vi manca per tutto odor compoeto
Di pasta Ispana, o di mistura maura.
Cassia, amaraco, amomo, aneto e costo,
E nardo e timo ogni egro cor restaura ,
Abrotano , serpillo ed elicriso ,
E citiso e.Blsimbro e fiordaliso.
HavvIU baccare rosso , In piaggia aprica
Nato a spedir le membra in lieve assalto.
Havvi la spina arabica e la spica ,
Che pia groppi di verghe estolle in alto.
D' Etiopia il balan qui si nutrica.
Colà di Siria il virtuoso asfalto.
Spunta mordace 11 cinnamomo altrove,
E la pontlca noce a pie gli piove.
Tra 1 più degni germofl^i 11 panaceo
Le sue foglie salubri Implica e mesce:
E il terebinto col dittamo ideo, .
Da cui medico umw distilla ed esce;
E col Ubico giunco il nabateo,
E d* India il biondo calamo vi cresce.
Chi può la serie annoverar di tante
Ignote al nostro ciel barbare piante?
Fumante 11 sacro Incenso erutta quivi
D* alito peregrio grati vapori.
Scioglie 11 balsamo pigro in dolci rivi
1 preiiosi e nobili sudori.
Stilla In tenere gomme e In pianti vivi
I suoi viscosi e non caduchi umori
Mirra, del beli* Adon ia madre Istessa ,
E il bel pianto raddoppia, or ch'ei si ap-
[pressa
Non poti far, che del materno stelo
Non compiangesse il figlio il caso acerbo.
Siati sempre, gli disse, amico li Cielo [bo.
Tronco che in mezzo al cor piantato io ser-
Le tue chiome non sfrondi orrido gelo.
Le tue braccia non spezzi austro superbo.
E quando ogni altra pianta 1 fregi perde,
In te verdeggi 11 fior, fiorisca 11 verde.
SI parla , ed ella la cangiata spoglia
Dal sommo crine alla radice estrema
Per la memoria dell* antica doglia
Tutta crollando allor, palpiu e trema.
Come abbracciar co* verdi rami il voglia,
Sé stessa inchina, e par languisca e gema,
E sparsi de' suol flebili licori
Falagrimargl' Innamorati fiori.
Ne' fior, ne' fiorì istessl Amore ha loco,
Ama il giglio, il ligustro e l'amaranto ,
E narciso e giacinto , aiace e croco ,
E con la bella clizia II vago acanto.
Arde la rosa di vermiglio foco ,
L' odor sospiro e la rugiada è pianto.
Ride la calta , e pallida ed esangue
Tinta d' Amor la violetta langue.
Ancor non eri , o MV Adone, estinto,
Ancor non eri in nuovo fior cangiato.
Chi diria , che di sangue , oimè , dipinto
Dei di te stesso in breve ornare il prato t
Presago già , benché confuso e vinto ,
Di un tanto onor, che gli destina il Fato,
Ciascun compagno tuo ti onora e cedo ,
T' ingemman tutti il pavimento al piede.
Havvi il vago tulippo. In cui par voglia
Quasi in gara con l' arte entrar Natura.
Qual d' un bel riccio d' or tesse la foglia ,
Che ai broccati di Persia il pregio fura;
Qual tinto d* una porpora germoglia.
Che degli ostri d' Arabia il vanto oscura.
Trapunto ad ago, oppur con spola intesto
Drappo non è , che si pareggi a questo.
Ma più d'ogni altro ambizioso 11 giglio
Qual re sublime , In maestà sorgea ,
E con scorno del bianco e del vermiglio
Io aito il gambo insuperbito ergea.
Dolce gli arrise , indi di Mirra al figlio
Segnollo a dito e il salutò ia Dea.
Salve, gli disse, o sacra , o regia , o degna
Del maggior Gallo e fortunata insegna.
TI vedrà con stupor 1* età novella
Chiara quanto temuta e gloriosa.
Ma quante volte di dorata e bella
Diverrai poi purpurea e sanguinosa?
Non sol negli orti miei convien che ancli'cl-
Ti ceda ornai la mia superba rosa, [ia
Ma fregiato di stelle anco 11 tuo stelo
Merita ben , che si trapianti in cielo.
102
MARINO.
Non so se vi era aocor la granadiglia ,
('.he a noi poscia mandò 1* indica piaggia ,
Di Natura portento e meraviglia ,
E ceda ogni altra pur stirpe selvaggia*
Al no piuttosto il mio pensler si appiglia ,
Né deve altro stimarne anima saggia ,
(ìl)è star non può , né dee puro e sincero
Tra l'ombre il Sol, con le menzogne li vero.
Disse alcun che a narrar le glorie e l'opre
Del sempiterno lor sommo Fattore
Le stelle , onde la notte 11 manto eopre ,
Son caratteri d' oro e di splendore.
Or miracol maggior la terra scopre,
Quasi bei fogli, apre le foglie un fiore ,
Fiore , anzi libro, ove Gesù trafitto
Con strane note il suo martirio ha scritto.
BenedicaU 11 Qelo , e chi lo scrisse,
0 sacro fior, cbe tanu gloria godi ;
E i fiori , In cui de' regi i nomi disse
Leggersi anUca Musa, or più non Iodi.
Chi vide mai, che in prato alcun fiorisse
Primavera di spine e lance e chiodi)
E che tra mostri alRedentornibelIl
PuUulaaaer co'fiori I suoi flagellit
In India no, ma nel giardln celesti
Portasti i primi semi a' tuoi natali
Tu, che del tuo grau re tragici e mesti
Spieghi In picclol teatro i funerali.
Nell'orto di Giudea , credo , nascesti
Da quei vermigli e tepidi canali.
Che gli olivi irrigaro , ov'egll esangue
Angosciose sudò stille di sangue.
Ahi qual pennello In te dolce e pietoso
Trattò la man del gran pittore eterno t
E con quai minio vivo e sanguinoso
Ogni suo strazio espresse ed ogni scher-
Di quai fregi mirabili pomposo [ no ?
Al Sol più caldo, al più gelato verno
Dentro le tue misteriose foglie
Spieghi 1* altrui salute e le sue doglie?
Qualor bagnato da* notturni geli
Con muta lingua e Ucltuma voce,
Aiui con liete lagrime riveH
De' tuoi fieri trofei I* istoria atroce,
E rappresenti ambizioso ai cieli
L* aspra memoria dell* orribii croce;
Per gran pietaie il tuo funesto riso
Dà materia di pianto al paradiso.
Vivi e cresci felici. Ove tn sta!
Sirio non latri ed AquHoo non strida,
Né di profano agricoltor giammai
Vii pie ti calchi , o falce empia t' liwkla.
Ma con chiar' onde e con sereni ni
Ti nutrisca la terra, Il del ti arrida.
Favonio ognop con la compagna Qori
Della beli* ombra tua gli odori adori.
Te sol r aurora in Oriente ammiri «
Tue pompe Invidii e tua beltà vagheggi.
In te si specchi , a te s'inchini e giri
Stupido II Sol da' suoi stellanti seggi.
Ma né questi , né quella al vanto aspiri ,
Che di luce , o color teeo gareggl ,
Che sol la rista tua può donar loro
Qual non ebber giammai, porpora ed oro.
Lagrimette e sospir caldi, vtvad
D'aure invece ti sieno , e di rugiade.
Angeli sien deidei l'api predad,
Cile rapiscan V umor che da te cade;
E mille in te stampando ardenti bad
Di devota dolcezza e di pletade.
Dal fid che ti dipinge amaro e grave
Traggano ai nostri alliinni il md soave.
Tutto al venir d'Adon par che ridenti
Rivesta li bel giardln novi colori.
Umili in atto intomo, e riverenti
Piegan la dma i rami , ergonla I fiorì.
Vezzose l'aure e Insinghleri i venti
Gli applaudon con susurrt adulatori.
Tutti a salutarlo iri son pronti
Gli auge! cantando, e mormorando i fonti.
Con l'interne del cor viscere allerte
Ogni germe vlilan fatto civile.
Gii fa devoto affettuose offerte
Di quanto ha di pregiato e di gentile.
Dovunque il volto gira, o II pie converte.
Presto si trova a oorteggiario Aprile.
Arand e cedri e mirti e gelsomini
Splran nobili odori e peregrini.
Qui di nobii pavon superba Imago
Il crespo bosso in ampio testo ordiva,
Che nel giro dd lembo altero e vago
Ordin di fiori Invece d'occhi apriva.
Quiri 11 lentlsco di terribll drago
L'efllgie ritraea vivace e viva,
E l'aura sibilando Intorno al mirto
Formava il fischio, e gì' Infondea lo spirto.
L'
Colà r edra lamoM intesti ad arte,
€lapace lana al aataral iogea,
Dove li lloor delle ragiade sparte
Ufficio aneor di nettare faeea.
(^on Terdl relè akroife, e Tenfl sarte
FabbricaTa ti tlmon nave, o galea,
Sa la eoi popfMi I vaghi augel caMaoti
L* eserdiin ademplan de' naviganti.
ADONE. tm
Quando la madre il catilvél ritrova^
Che al sonnol iuoil Inchina e i vanni piega «
Tosto pian pian pria che al svegli o nM>va,
Per r ali il prende « e con la benda il legiu
Amor ai desta, e tf campar fii prova,
E si scusa e lusinga e piange e prega.
Non l'ascolta Ciprigna, e sebben schena.
Simulando rigor, stringe la sfersa.
La Gioia lieta e la Delizia ricca ,
L*accareaza colei, costei l'accoglie.
La Diligenza I fior dal prato spicca ,
L* Indostria I più leggiadri in grembo to-
E la Fragranza i semplici lambicca , [glie ;
E la Soavità sparge le foglie;
L'Idolatria tien Pincenslero in mano.
La Superbia n'esala un fumo vano.
La Morbidezza languida e lascfra ,
I a Politezza delicata e monda ,
1^ Nobiltà, che d'ogni lezzo è schiva,
1^ Vanità , che d'ogni odore abbonda,
1^ Gentilezza affabile e festiva ,
La Venustà piace>'o1e e gioconda ,
E con r Ambizion gonfia di vento
II Lusso moOe e 11 barbaro Ornamento.
Venner «luestl fantasmi, ed a man piene
Sol bel riso d'Adon spruzzando stille
DI odorifere Knfe, entro le vene
Gl'infuser sottilissime faville.
Poi con tenaci e tenere catene,
Che ordite avean di mille fiorì e mille ,
Trasser legali 11 giovane e la D iva
Là dove all'Ozio in grembo Amor dormiva.
0 ftasse degli odor l'alta dolcezza.
La quale 11 trasse a quel beato loco,
Oppor che vinto alfln daUa stanchezza
Schermo cercasse dall' estivo foco ,
Quivi colui, che l'universo sprezza,
E dell* altrui languir si prende gioco.
Con un fastel di fior sotto la fronte ,
Erasi addormentato a pie d' un fonte*
La pesante faretra e TarcograTC
Sostien un mirto, e ne fa scherzo al vento.
L'ali non move già, che ferme l'ave
Tn sonno dolce, a luslngario intento.
Ma li sonno lieve e 11 venticel soave
Fan con moto talor lascivo e lento
Vaneggiar, tremolar, qnal onda in fiume,
1^ bionde chiome e le purpuree piume.
Tu piagni, gli dicea , ta cmdo a rio
Che di lagrime sol ti pasci e godi?
Eppur dianzi dormivi, eppor, cred'lo.
Sognavi ancor dormendo insidie e fipadL
Tu che tnrbl i riposi ai dorarir mio,
E m' inganni e schernisci In tanti BMdl ,
Tu che II sonno in lerrompi ai mesti amanti.
Dormivi forse al moriMmir del piaMlt
Così dice , e 11 minaccia , e da' bel nd
Folgora di dispetto un lampo rivo.
Ma il suo vezzoso Adon , che non sanni
Il bel Tolto veder se non giulivo.
Corre a placarla : Eh serenate ornai
Quel sembiante , le dice , Irato e scbiaSb
Vorrò veder se ad impetrar son buono
Dal vostro sdegno 11 suo perdono In
Come veduto n pasto In un momento
Mordace can , la rabbia acquetar suole ,
0 come Innanzi al più sereno vento
Si dìleguan le nubi, e riede il Solet
Cosi dell'ira ogni furore ha spento
Venere alle doldsslme parole.
Piace, risponde, a me, |x>ichè a te placa.
Per maggior guerra mia, dargli la pace.
Arbitro è II cenno toodei mio consiglio ,
Quanto puoi ueir amor, puoi nello sdeg^ao.
E che curar degg* io di deco figlio T
Tu sei il mio caro e prezioso pegno.
Porta Amor l'arco In man , tu nel bel dgllo i
Tende Amore il lacdaol, tu se* il ritegno i
Amore Ila n foco, e tn dal l'esca; Amora
Mi usci del seno, e tu mi stai nel core.
Ma sappi, anima mia, che quale 11 vedi.
Quel che or ti fa pietà, povero Infante,
Volge il mondo sossorra, e sotto t piedi
Ha con tutti 1 Celesti il gran Tonante.
Ben te ne accorgerai , se tu gli credi ,
Ma non gli creda alcuno accorto amante.
Scellerato , fellon , furia , non Dio ,
Sì partorito mai non l'avess'lo.
104
MARINO.
•Èdeco si, non perchè già gli strili
Se ferir vuol , «on reggia ove rivolga.
Che ascoso il cor nel petto dei mortali
Trovar ben sa , senza che il vel si sciolga.
Cieco el s'infinge sol negli altrui mali ,
Né gii cai che altri pianga , o che si dolga,
E cieco è sol, però che accieca altrui
Per dar la morte a chi si fida in lui.
Fiero accidente e rapido volere ,
Desio che Incbhiaa partorir nel belio;
Scende al cor per la vista, e vuol godere ;
Cerca il diletto, e sol si acqueta in quello.
Ma poiché lusingato ha col piacere.
Al più fidi e devoti è più rubello.
Gli altri affetti dell' alma appena entrato
Scaccia, e ai usurpa quel che non gli è dato.
Sotto la sua vittoriosa insegna
Piangon mille alme afltttte i propri torti.
Mansueto e feroce, ama e disdegna.
Prega e comanda, or pene,or dà conforti.
Leggi rompe, armi vince, e mentre regna.
Piega 1 saggi egualmente e sforza i forti.
Risse e paci compone, ordisce inganni ,
Sa far lieU i dolori « uUIi 1 danni.
Tenero come ortica, e come cera
È duro, umil fanciullo e fier gigante.
D disprezzo lo placa, e la preghiera
Più terribile il rende , e più arrogante.
Qual Proteo ha qualità varia e leggiera.
In tante forme si trasforma, e tante.
Ha I' entrata nei cor pronta e spedita,
Faticosa e dilllcile 1' uscita.
Ha faci e reti e lacci ed arco e dardi.
Quanto ha tutto è veleno, e tutto è foco.
Mostra viso benigno e dolci sguardi ,
Or salta , or vola , e non ha stabli loco.
Forma falsi sospir, detti bugiardi ,
Spesso si adira, e volge in pianto il gioco.
Quel che giova non cura,o quel che lice.
Né teme genltor, né genitrice.
La spada a Marte , e la saetta a Giove
Toglie di mano, e sì l' avventa e vibra.
Repentino e furtivo assalti move ,
Né con scarse misure 1 colpi libra.
Fa plaghe inevitabili , e laddove
Passa, attosca gli spirti in ogni fibra.
Va per tutto, e per tutto or cala, or poggia.
Ma sol nei cori, e non altrove alloggia.
Ciò che del mentltor 1' arte richiede.
Ciò che ai furti dell' alme oprar lilsogna.
Dallo Dio delie astuzie e delle prede
Nello studio Imparò della menaegna.
Non conoscer giustizia e romper fede.
Schernir pletade e non stimar vergogna.
Tutto apprese da lui ; né scaltro e destro
il discepol fu poi men dei maestro.
Conslglier disleal, guida fallace.
Chiunque il segue di tradir si vanta.
Astuto uccellator, mago sagace,
I sensi alletu, e gi' intelletti IncanU.
Indiscreto furor, tarlo mordace.
Rode la mente, e la ragion ne schianta.
Passion violenta, impeto cieco,
Tosto si sazia, e 11 pentimento ha seco.
Ceda del marTIrren la fera infida,
E del fiume d' Egitto il perfido angue.
Che forma ai danni altrui canto omicida,
E piagne l' uom, poiché gli ha tratto il san-
Questi toglie la vita, e par che rida, [gtic.
Ferisce a morte, e per pietà ne languc,
in gioconda prigion , di vita incerto
Tiene altrui preso, e mostra l'uscio aperto.
Non ebbe ii seco! mai moderno, o prisco
Mostro di lui più sozzo,o più difforme, [co.
Ma perdiè altri non fugga il laccio e il vis-
Non si mostra giammai nelle sue forme.
Medusa all' occhio, al guardo é basilisco.
Nel morso alla tarantola é conforme.
Ha rostro d' avvoltoio orrido e schifo,
ìfan di nibbio, unghia d'orso e pie di grifo.
Non giova a fargli scliermo arte o consiglio.
Poiché per vie non conosciute offende.
Fere , ma non fa piaga il crudo artiglio,
0 se pur piaga fa, sangue non rende.
Se rende sangue pur non é vermiglio.
Ma stillato per gli occhi in pianto scende ;
E così lascia in disusata guisa
Senza il corpo toccar 1' anima uccisa.
Chi non vide giammai serpe tra rose.
Mele tra spine, o sotto mei veleno ;
Chi vuol vedere 11 elei di nebbie ombrose
Cinto, quando é più chiaro e più sereno;
Venga a mirar costui, che tiene ascose
Le grazie in bocca e ]>ortail ferro In seno.
Lupo vorace In abito d' agnello.
Fera volante e corridore augello.
L'ADONE.
106
Lince privo di lume, Argo bendato,
Vecclilo laUante e pargoletto antico.
Ignorante erudito, ignudo armato.
Mutolo parlator, ricco mendico.
Dliettevole error, dolor bramato.
Ferita cruda di pietoso amico,
Pace guerriera e tempestosa calma;
La sente il cor, e non r intende V alma.
Volontaria follia, piaceTol male,
Stanco riposo, utilità nocente,
Disperato sperar, morir vitale.
Temerario timor, riso dolente ;
Un vetro duro, un adamante frale.
Un* arsura gelata, un gelo ardente.
Di discordie concordi abisso etemo,
Paradiso Infemal, celeste inferno.
Era a gran pena dal mio ventre al Sole
Questo seme di visi uscito fora,
Né il fianco a sostener la grave, mole
Della faretra avea ben fermo ancora,
Quando del ilero Ingegno, acerba prole,
Bhturò le perfidie innanzi V ora;
E sebben 1' ali ancor non gli eran nate,
Con la malisla avvantaggiò I* eute.
Iva alla scola, a quella scola, In cui
Virtù s' impara, ed onestà s' insegna ;
E piangea nell* andar, come colui ,
Che si fatte dottrine abborre e sdegna.
E come è stil de' coetanei sui ,
Perchè il digiuno a ristorar si vegna,
Pien di poma portava un picciol cesto,
€he dì fronde di palma era contesto.
Perchè non si smarrisse, o smarrii* anco
Fusse al tetti materni almen ridotto.
Sospeso 1^ avcT* io sul tergo manco
DI breve in forma un titolo costrutto*
Era>l afiisso un perganieno bianco.
Di minio e d* or delineato tutto,
E scritto vi era di mia propria mano :
QuesU è di Vener figlio e di Vulcano.
Poco Urdò, che di trovar gii avvenne
La Vigilanza, che attendea tra via.
CoQ r Importunità l' Audacia venne.
Poi la Consuetudine seguia.
Costoro in guisa tal, eh' ebbro divenne,
L' abbeverar del vin deUa FoUU.
Ebbro il tennero a bada, in sin che tutti
Del suo panier si dlvoraro i frutti.
Or dove altri donzelli hi varie guis5
De' primieri elementi ap)h-endean l' arte,
Il malvagio scolar giunto s* assise
Nella più degna ed onorata parte.
Quindi poi sorto, a recitar si mise
La lezion sulle vergate carte,
E quasi pur con indice, o puntale.
La tabella scorrea con 1' aureo strale.
Ma però che non ben del suo dettato
Seppe le note espor, con scorni ed onte
Ne fu battuto, ond' ei con 1' arco aurato
Al Senno precettor ruppe la fronte.
Cosi fuggissi, ed all' albergo usato
Non osando tornar, calò dal monte ,
E con la turba insana e fanciullesca
Venne in desio di esercitar la pesca.
E mancandogli corda, agli aurei crini
Svelle una ciocca, e lungo fll ne stende,
E questo immerso entro I zafllr marini
In vece d' asta, ad una freccia appende.
Gittan lo stame ancor gli altri Amorini,
Perde il tempo ciascuno, e nulla prende ;
Solo II mio figlio a strana preda Inteso
Traggo carco il lacciuol di ricco peso.
Guizzava appunto in quella istessariva,
Dove 1 dolci de' cor tiranni e ladri
Intendeano a pescar. Ninfa lasciva.
Cui pari altra non ebbe occhi leggiadri.
Mentre perle costei cogliendo giva
Dal cavo sen delie cerulee madri.
Vide folgoreggiar per entro 1' onda
Del pargoletto Dio la treccia bionda.
Alla luce dell' or che alletta e inganna,
SI accosta incauta, e vi s* involge e gira.
Tosto che sente Amor tremar la canna,
(k>n r alta degli altri a sé la tira.
Presa è la Ninfa, e di dolor si aflanna,
Giunge air arena, e si dibatte e spira.
Appena all' aura è'fuor dell' acque usdta.
Che In acquistando il Sol, perde la vita.
Tra questi indugi ecco la notte oscura.
Che imbruna il cielo e discolora il giorno.
Allor ramingo^ e pien d' alta paura
Vassl lagnando, e non sa far ritomo.
Ma pur riconosciuto alla scrittura,
È ricondotto al mio divin soggiorno.
Io per punirlo allor la verga prendo.
Ed ei si scusa, e supplica piangendo.
166
MARINO.
Pietà, diceami, aflrena V ira alquanto,
Pietà, madre, mercè, perdono, aiolo, [to,
Che anco staman, non senza affanno e pian-
Dal severo maestro lo fui battuto.
È fors' egli miracolo cotanto,
(ìlic sia per poco un fanciullin perduto ?
Anco in più ferma età, né meraviglia,
learde per sempre Cerere la figlia.
Se questa volta il rio flagel deponi,
Vo* cbe novo da me secreto Impari.
Insegnerottl, pur che mi perdoni,
A pescar cori, 1 qua! ti son si cari.
Sappi che non si fan tal peseagton!
Senza 1* esca dell' or nei nostri mari.
Pon r oro in cima pur degli ami tuoi,
E se ne scampa alcun, lattimi poi.
Nel mar d' Amor ciascun amante pesca
Per trarre un cor fugace al suo desio.
Ma però che de' cori è cibo ed esca
L' or, che del volgo già si è fatto Dio,
Qil vuol, che il suo lavor ben gli riesca.
Usi qiiest' arte, che ti scopro or io.
Qualor uom eh' ama, a bella preda intende.
Se l' esca non è d' or, l'amo non prende.
Con queste ciance, del suo fallo stolto
Campò la pena il lusinghier crudele.
Ma per altra follia non andò molto.
Che a me tornò con gemiti e querele.
Vassene in un querceto ombroso e folto
Nei giardini di Gnido a coglier mele,
E seco a depredar gli aurei fialonl
Van gU alati fratelli in più squadronL
E perchè li dolce dei llcor soavi
Orso, 0 mosca non è, che cotanto ami.
Cerca dei faggi opachi 1 tronchi cavi.
Spia del frassini annosi i verdi rami.
E nel pedal di un' elee ecco due favi
Vede coperti di pungenti essami.
Vulgo d'api ingegnere accolto in quella
Sta tusurrando a fabbricar la cella.
Chiama 1 compagni, e lor la cova addita.
Che la ruvida scorza in sé ricetta.
Corre dentro a ficcar la destra ardita.
Ma la ritira poi con maggior fretta.
Folle chi cani attizza, o vespe Irrita,
Che non si sdegnan mal senza vendetta.
Pecchia di acuta spina armata il morse.
Onde et forte griduMlo a me ricorae*
E della guancia impallidito 1' ostro.
Di timor, di dolor palpita e langue.
Madre, madre, mi dice, un plccol mostro,
(E mi scopre la man tinta di sangue]
Un, che quasi non ha dente, né rostro,
E sembra d' oro, e punge a guisa d'angue.
Minuto animaletto, alata serpe
Hammi il dito trafitto In quella sterpe.
Io, che il conosco, e so di che fier aghi
Si armi sovente, ancorché vada ignudo,
Mentre che 1 lumi rugiadosi e vaghi
Gli asciugo, e la ferita aspra gli chiudo.
Che di animai si piccolo t' impiaghi.
Rispondo, Il pungigllon rìgido e crudo.
Da pianger, figlio, o da stupir non hai.
E tu fanciullo ancor, die plaghe falt
L* Occasion, che è nel fuggir si presta.
Vide un giorno per l' aria Ir frettolosa.
Suora minor della Fortuna è questa,
E tien le chiavi d* ogni ricca cosa.
L* ali ha sul tergo, e di vagar non resta
Sempre andando e tornando e mai non po-
Lungo, diffuso e folto II crine ha, salvo [sa.
Verso la coppa ove è schiomato e calva
Perpoterla fermar l'occhio e fi pensiero
Molto attento ed accorto aver conviene,
Che animai non fu mal tanto leggiero,
E vuol gran senno a custodi ria bene.
Frutto di suo sudor non gode Intero
Chi la prende talor, né la ritiene.
Egli appostolla, e tante Insidie tese,
Cile mentre ella volava, alfin la prese.
Ma poiché al laccio suo la giunse e cobe,
E la chioma fugace ebbe distretta.
Di ientlsco una gabbia Intesser volse
Per tenervela poi chiusa e soggetta.
0 poco cauto, intanto ella si sciolse;
Cosi perde piacer chi tempo aspetta.
Mentre era intento a quei pensieri sdoocU,
Gli usd di mano, e gli svanì dagli occhi.
Quante da indi In poi colpe diversa
Da lui commesse lo qui trapasso e celo.
Taccio quando di neve II sen s' asperse,
E si stracciò di sulla fronte 11 velo.
Lassa, allor per mio mal le loci aperM,
Ailor fu r ardorsuo misto di gelo.
L* iniqua Gelosia, che il tolse in braccio,
GUsbeiKl6gllocchl,erattttffònel ghiaccio.
L'ADONE.
107
Fuggi tremando assiderato e molle,
Tutto stillante il sen pruine e brame.
Al cieco albergo, ove Io sdegno folle
Tìcn di torbida fiamma acceso lume.
E perocché appressar troppo si volle.
Riscaldando le membra, arse le piume,
Quindi tacito e mesto a casa venne
Con la fascia squarciala, e senza penne.
L'intolenaa e 1* ardir cootar noe voglio.
Quando «otto le piante onor si poae.
Al cui saggio ammonir crebbe in orgoglio
Con Ingiurie villane ed oltraggiose.
E perchè la Ragion, che In alto soglio
Slede regina a giudicar le cose,
CltoÙo al tribunal del suo governo.
Ricusando ubbidir la prese a scherno.
Anzi un regno per sé solo e diviso
A dispetto fondò della Ragione.
Volse anch' egli il suo inferno e il paradiso
In disprezzo di Giove e di Plutone.
Neil* un pose diletto e gioia e riso,
Ma beate suol far poche persone.
L'altro tutto colmò di fiamme ardenti»
Dove i dannati suoi stanno in tormenti*
Delle più chiare e più famose lodi
Del mio folletto bai qualche parte intesa -,
Ma del gran fascio di cotante frodi [sa.
Sappi, che quel eh' io narro, il men nonpe-
Dl sue prodezze intempestive or odi
Un' altra egregia e segnalala impresa.
La misera Speranza un giorno iNitte ,
Baila che lo nutrì dei proprio latte.
Indi da me scacciato, e In faeda tinto
Dei color della porpora e dei foco,
E dalla rabbia e dal fnror sospinto, [co,
Che Paccompagnau sempre in ciascun io-
Prese a giocar con l'Interesse, e vinto
L'arco perdette e le qoadrella in gioco.
Costui , che ogni valor spesso gli toglie ,
Vinsdo e trionfò delie sue spoglie.
Ma di nov'arco e di quadrella nove
Poiché arciera beltà 1* ebbe fornito,
Sen glo ventura a ricercare altrove
Insopportabilmente insuperbito.
E mentre inteso a far l'usate prove
Scorrea l' onda e l' arena, il monte e il lita
Tra i sepolcri di Menfi infausta sorte
Guldollo a caso ad incontrar la Morte.
Quel teschio scarno e nudo di capelli.
Quella rete di coste e di giunture.
Delie concave occhiaie 1 voti anelH ^
Del naso monco le caverne oscnte ,
Delle fauci sdentate i duo rastelli ,
Del ventre aperto Torride fessure.
Dei secchi stinchi le spolpate fusa ,
Amor mirar non seppe a bocca chìtisa.
Non si seppe tener che non ridesse
Tolto a schernirla, il garruletto audace»
Onde pugna crudel tralor successe,
VilNrando ella la falce, egli la face.
Ma si frappose, e quei furor ripresse
Componendogli insieme amica pMe«
E quella notte in un medesmo tetto
Abitanti coooerdi, el>ber ricetto.
Levati la dlraan , i' armi scambiando ,
L' un si prese dell' altro arco e quadrella.
Onde addivenne poi che saettando
Fero effetti contrari e questi e quella.
L' uno uccidendo, e l' altra Innamorando
Ancor serban qnest' uso ed egli ed ella.
Morte induce ad amar l'alme canute,
Amor tragge a morir la gioventute.
Aden, l>ena mia pena e caro affanno,
Luce degli occhi miei, fiamma del core.
Guardali pur da questo rio tiranno.
Che alfin non se ne trae se non dolore.
Così paria Ciprigna , e Intanto vanno
Fuor del boschetto, ove trovare Amore.
Amor si va le lagrime tergendo ,
E con occhio volpin ride piangendo.
108
MARINO.
CANTO SETTIMO.
LE DELIZIE.
ALLEGORIA.
L'argento della tersa porta ha proporzione con la materia dell* orecchio , siccome
l'avorio e il rubino delia quarta si confanno con quella delia lx>cca. Le due donne ,
clie nel senso dell'udito ritrova Adone , son la Poesia e la Musica. I versi epicurei
cantati dalla Lusinga , alludono alle dolci persuasioni di queste due divine facoltA ,
qualora divenute oscene meretrici , incitano altrui alla lascivia. Le Ninfe , ciie nei
senso del gusto dal mezzo in giù ritengono forma di viti , ed abbracciano, e vezzeg-
giano chi loro si accosta, son figura della Ebbrietà, la quale suol essere molto tra-
bocchevole agi* incentivi della libidine. U nascimento di Venere prodotta dalie spume
del mare , vuol dire, che la materia della genitura ( come dice il filosofo] è spumosa,
e Tumore del coito è salso. Il natale d* Amore , celebralo con festa ed applauso da
tutti gli animali , dà a conoscere la forza universale di questo efficacissimo affetto,
da cui riceve alterazione tutta quanta la natura. Pasquino figlio di Homo e della
Satira , che per farsi grato a Venere , le manda a presentare la descrizione del suo
adulterio, dimostra la pessima qualità degli uomini maledici , i quali eziandio quando
vogliono lodare, non sanno se non dir male. Vulcano, che fal>brica la rete artificiosa,
è ti calor naturale , che ordisce a Venere ed a Marte , cioè al desiderio deli' umano
congiungimento , un intricato ritegno di lascive e disoneste dilettazioni. Sono i
loro abbracciamenti discoperti dal Sole, simulacro della prudenza, perciocché
questa virtù col suo lume dimostra la bruttura di quell'atto indegno, e la fa co-
noscere e 8chemi«e da tutto il mondo.
ARGOMENTO.
Accenti di dolcissima armonia
Ascolta Adon tra saoni e balli e feste.
Si sMide a mensa con la Dea celeste,
E le lodi d'Amor canta Talia.
Musica e Poesia son due sorelle
Ristoratrici delle afflitte genti ,
De* rei pensler le torbide procelle
Con liete rime a serenar possenti.
Non ha di queste il mondo arti più belle,
0 più yilubri air affannate menti.
Né cor la Sclzia ha barbaro cotanto ,
Se non è tigre, a cui non piaccia il canto.
Suol talvolta però metro lascivo
L' alte bellezze lor render men vaghe,
E r onesto piacer fassi nocivo,
E divengon di Dee , tiranne e maghe.
Né fa rapido strai passando al vivo
Tinto di tosco, sì profonde piaghe.
Come 1 morbidi versi entro nel petti
Van per le orecchie a penetrar gli affetti.
Elle ingombrando il cor di cure Insane
Col dolce vln della lussuria molle.
Quasi del padre ebreo figlie profane,
L'infiamman si , che fervido ne bolle.
Instigaie da lor le voglie umane
A libertà licenziosa e folle ,
Dietro ai vani appetiti oltre li prescritto
Trascorron poi del lecito e del dritto.
Ma se alla forza ma^ca di queste
Incantatrici e perfide sirene
Ad aggiungere ancor per terza peste
Il calor della crapula si viene.
Che non può ? che non fa 7 quante funeste
Ulularo per lei tragiche scene ?
Toglie di seggio la Ragion ben spesso ,
I L' anima invola al cor, l' uomo a sé stesso.
L'ADONE.
109
Lupa vorace , Ingordo mostro infame ,
Lo cui cupo desir sempre sfavilla ,
Che sol per satollar l'avide brame
Brami collo di gru, ventre di scUla ,
Si che esca ornai bastante a tanta fame
La terra, o l' acqua non produce, o stilla,
E della gola tua divoratrice
Appena scampa l' unica fenice.
Dolce velen , che d'umor dolce e puro
Irrigando il palato inebbril l'alma,
Dal tuo lieto furor non fu securo
Chi pria ti espresse con la rossa palma.
Del tuo sommo poter, fra quanti furo
Oppressi mai , di cosi grave salma ,
Erode, Baldassarre ed Oloferne
Han lasciate tra noi memorie eteme.
Ma ^ iepiù di alcun altro Adone è quello,
Che ne fa chiara prova, espressa fede.
Eccolo là , che verso il terzo ostello
Con la madre di Amor rivolge il piede.
E il portinaio ad ospite si bello
Aperto il passo, e libero concede;
E per via angusta e flessuosa e torta
D' uno In altro piacer fassi sua scorta.
Slava costui eon pettine sonoro
Sollecitando armonico strumento.
Un cinghiale in disparte, un cervo, un toro
Teneano a quel sonar i* orecchio intento.
Ma deposta la lira al venir loro
Fé' sul cardin crocar l'uscio di argento.
Di argento èl' u8cÌo,e certe conche ha vote,
Che si odon tintinnar, quando si scote.
Della bella armonia (di Mhrra al figlio
Disse il figlio di Maia) è questi il duce;
Anch* ei della tua Dea servo e famiglio
Al piacer dell' udire altrui conduce.
Né fatto è sema provvido consiglio.
Che alberghi con amor chi amor produce ,
Poiché non è degli amorosi metri
Cosa in amor, che maggior graiia hnpetri.
Chi d'eburnea testudlne eloquente
Batter leggiadra man fila minute.
Sposando al dolce suon soavemente
Musica melodia di voci argute.
Sente talor, né penetrar si sente
Di quei numeri al cor l' alu vlrtute ,
Spirto ha ben dissonante, anima sorda,
Qie dai concento universal discorda.
Fé' quel senso Natura, acciò che sia
Di tal dolcezza al minlsterlo presto;
E benché entrar per la medesma via
Soglia ciascun nell' uomo abito onesto ,
Posciaché ogni arte e disciplina mia
Non ha varco nell' alma altro che questo.
Una é sol la caglon, vario l'effetto,
L' uno ha riguardo al prò, l' altro al diletlo.
Perché sempre la voce In alto monta ,
Però l'orecchia in alto anco fu messa,
E d' ambo i Iati , emula quasi, afilronta
Degli occhi li sito in una linea Istessa. [ta,
Né men certo é dell' occhio accorta epron-
Né minor che nell' occhio ha studio In essa.
In cui tanti son posti e ben dlstfaitl
Aquedottl , recessi e laberlntl.
Picciolo si, se pareggiarsi a quello
Donno d* altro animai vile e volgare ,
Ma più formarsi ed eccellenti e belle
Già non potean, né più perfette e rare.
Sempre aperta hani' entrata, e son gemel-
Per la necessità del loro affare. [ le.
Proprio moto non hanno , e fatte sono
Di un' asciutta sostanza acconcia ai suono.
11 suono oggetto é dell' udito, e mosso
Per lo meno dell' aere al senso viene.
Dall' estemo fragor rotto e percosso
L' aere del suon la qualità ritiene ;
Da cui l'aere vidn spinto e commosso.
Come in acqua talor mobile avviene ,
Porta ondeggiando di una In altra sfera
All' uscio interior l'aura leggiera.
Scorre là dove é poi tesa a quest' uso
Di sonora membrana arida tela;
Quivi si frange e purga, e quivi chiuso
Agitando sé slesso, entro si cela,
E tra quelle torture erra confuso
Finché ai senso comun quindi trapela ,
Della cui region passando al centro,
11 caratter del suon vi stampa dentro.
Concorrono a ciò far d'osso minuto
Ed incude e triangolo e martello,
E tutti son nei timpano battuto
Articolati , ed implicati a quello;
Ed a questa opra lor serve di aiuto
Non so s' io deggia dir corda, o capello ,
Sottil cosi , che si distingue appena
Se sia filo, o sia nervo, arteria, o vena.
no
MAKINO.
Vedi quanto impiegò l'amor superno
In un fragii composto ingegno ed arte
Sol per poter dei suo diletto etemo
Almen quaggiù comunicargli parte.
Ha sotto umane forme alma d'inferno [te.
Chi spreisa ingratoU ben eh' ei gli compar-
E qui fine al suo dir facondo e saggio
Pose degli alti Numi U gran messaggio.
Aprir sentissi Adone il cor nel petto,
E gU spirU brillar d'alu allegria,
Quando di tanti augel , che avean ricetto
In quell'albergo, ud) la sinfonia.
Quai vagabondo e libero, a diletto
Per le siepi e sugli arbori salia.
Qual , perchè troppo alzar non si potea ,
Intorno all' acque e sovra 1 fior pascea.
Uopo non ha, che industre man qui tessa
Di ben filato acciar gabbia, o voliera.
Acciocché degli augei la turba in essa
Senza poter fuggir stia prigioniera
Spaziosa uccelliera è l'aria istessa ,
Che fa lor sempre autunno e primavera.
Ed alla libertà d'ogni augelllno
Carcere volontario è il bel giardino.
Né rete, né cancel rinchiude o serba
11 pomposo fagian , l' umil pernice ,
11 verde parlator scioglie per l'erba
Lingua del sermon nostro imitatrice.
Vi ha di zaffiri e porpore superba
La sempiterna e slngolar fenice.
VI ha quel che in sé sospeso, eccelse strade
Tenta, e d'aure si nutre, e di rugiade.
L'aquila imperiale 11 Sol vagheggia.
Col rostro il petto il pelllcaa si fere, [già.
Va il picchio a scosse, e l'agfalron volteg-
La gru le sue falangi ordina in schiere.
Lo smeriglio e il terzuol seguon l'acceg*
L* oche In fila di sé fanno bandiere, [gta,
E la gaiza tra lor menando festa
Erge la coda , e l' upupa la cresta.
La colomba or nel nido a covo geme ,
Or bacia 11 caro maschio, or tutu sola
Rade l' aria con l' ali , or per 1* estremo
Cime di un arbosoel vota e ri voto ^
Or col pavone Innamorato Insieme
Ingemma al Sole la variabii gola ,
Del cui ricco monll 1* Iri fiorita
La corona del vago in parte Imita.
B le sovvien mentre dispiega l'ale
Della leggiadra sua prima sembianza;
E tra quei fior, da cai nacque il suo male,
Ancor di diportarsi ha per usanza.
Ed or di chi canglolla In forma tale
Rinnova più la misera membranza ,
Veggendo in compagnia del caro Adone
La bella Dea del suo dolor cagione.
La qual rivolta allora agli arboscelli.
Odi, gli dice, odi con quanti e quali
Motti amorosi, o fior di tutti i belli,
Spiegano 1 più sublimi II canto e FalL
Amor che alato é pur come gli augein ,
Pache senta ogni augel gli aorati strali.
Il tutto vince alfin questo tiranno^
E qui tacendo, ad ascoltar si stannob
Per far distinto al vago stnol che vola ,
Con lingua umana artic(^ar sermone ,
Maestro qui non si richiede, o scola,
Qud trovò poi la vanità d' Annone.
Ogni semplice accento era parola ,
Che parlando di Venere e di Adone,
In spedita favella alto dicea ,
Ecco con ridol suo la nostra Dea.
Chiusa tra I rami di una quercia antica.
Di sua verde maglon solinga cella.
La monlchetta del pastori amica
Seco invita a cantar la rondlnelia.
Orfano tronco in secca piaggia aprica
Di olmo tocco dal del to tortordla
Non cerca no, ma sopra verde pianta
Solitaria non sota, e vive e canta.
Saildlando garrisce, e poi si asconde
Il calderugio infra i più densi ramL
Seco alterna 11 canario, e gli risponde
Quasi di amor lodando I lacci e gli ami.
Recita versi 11 soHterio altronde ,
E par che il cacclator perfido chiami.
Fan la calandra e il verzelln tra loro,
E li capinero e il pettirosso no coro.
La meria nera e ilcalenzooi dorato
Odonsi altrove lusingar l'adito^
La plspoto il rigogolo ha sfidato.
Con r ortolan si é il beccafico unito.
Contrappunteggian poi dall'altro lato
Lo strillo e il raperin che sale al dllo.
Con questi la spemosaoU e 11 frusone,
E lo acriceiolo ancor vi al frappone.
L'ADONE.
Ili
Con rasatolo il hicfaerìn si lagna,
(^ol sagace fiinguel lo storno ingordo.
L' allodetta la passera accomiMigna ,
Il fanello fugace, U pigro tordo.
Straniero aogel di selva , o di montagna,
Non si Introduce In ai felice accordo.
Se (giudice la Dea) non porta In piin»
Di mule Tinti augel la q)Oglia opima.
Canta tra questi il musico pennuto,
L' augel, che piuma inargentata veste.
Quei die con canto mortalmente arguto,
Suol celebrar ressequie sue funeste:
Quel che con manto candido e canuto,
Nascose già l'adultero celeste.
Quando da bella donna e semplicetta
Fu la fiamma di Troia in sen concetta.
Del bianco collo li lungo tratto stende.
Apre il rostro canoro, e quindi tira
Fiato , che mentre inver le fauci ascende ,
Per obliquo canal passa, e si aggira.
Serpe la voce tremolante, e rende
Mormorio che languisce e che sospira ?
E 1 gemiti e i sosf^r profondi e gravi ,
Son ricercate fleblU e soavi.
Ma sovra ogni angellin vago e gentile.
Che più spieghi leggiadro il canto e II volo.
Versa il soo spirto tremulo e sottile
La sirena dei boschi , il rosignuolo ;
E tempra in gnisa il peregrino stile ,
Che par maestro dell'alato stuolo.
In mille fogge il soo cantar dlstlngne ,
E tiasforma una lingua in mille lingue^
Udir muaioo mostro (oh meraviglia)
Che ai ode ^, ma si dbceme appena,
Come or tronca la voce , or la ripiglia ,
Or la ferma, or la torce, or scema» or piena.
Or la mormora grave , or V assottiglia ,
Or fa di dolci groppi ampia catena ,
E sempre, o se la sparge, o se l' accoglie,
Con egual melodia la lega, e scioglie.
Oh che veaiose, oh che pieloae rime
Laadvetto cantor compone e detta.
Pria flebilmente il suo lamento esprfaBO,
Poi rompe In un aospir la canxonetta.
In tante mute or languido, or snbllmo
Varia stil , pansé affirena, e fughe afllpetta.
Che imita Insieme, e insieme In lui ii ammi-
Cetra , flaato. Unto, organo e lira, [ra
Fa della gola lusinghiera e dolce
Taior ben lunga articolata scala.
Quinci quell'armonia che l'aura noloe.
Ondeggiando per gradi, In alto esala,
E poiché alquanto si sostiene e folce.
Precipitosa a piombo alfin si cala.
Alzando a piena gorga indi lo scoppio,
Forma di trilli un contrappunto doppH».
Par ch'abbia entro le fauci e in ogni fibra
Rapida rota , o turbine veloce.
Sembra la lingua che si volge e vibra.
Spada di schermltor destro e leroceu
Sepiegaeincrespa,ose sospende e libra
In riposati numeri la voce.
Spirto il dirai del elei ,che In tanti modi
Figurato e trapunto il canto snodL
Chi crederà, che forse accoglier poasa
Animetta si plcclola cotante ?
E celar tra le vene e dentro V ossa
Tanta dolcezza un atomo sonante?
0 che altro sia , che la lieve aura me
Una voce pennuta, un suon volante?
E vestito di penne un vivo fiato.
Una piuma canora, un canto alato?
Mercurio allor, che con orecchie
Vide Adone ascoltar canto ti bello:
Deh che ti pare, a Ini rivolto disse.
Della divinità di questo augello?
Diresti mai , che tanta lena unisse
In si poca sostana un spiritello?
Un spiritei , che di armonia composto
Vive in A anguste viaceie nascosto.
Mirabil arte In ogni sua beli' opra
(Ciò negar non si può) mostra Natan ;
Ma quei pittor che ingegno e studio scopra
Viepiù che in grande. In picdola figura t
Nelle cose talor minime adopra
Diligenza maggiore, e maggior cm.
Quest'eccesso però sovra l'i
Di ogni altra suo miracolo si
Di qnd canto nel ver miraeolosD
Una istoria narrar bella ti voglio.
Caso In nn memorando e lacrimoso.
Da far languir di tenerezza nn aco^is.
Sfogava con le corde In suon pietoso
Un solitario asunte 11 suo oordoglia
Tacean le solvo, o dal notturno velo
Era occspato In ogni parto U cislOi
112
MARIIfO.
Mentre addolcia di amor l'amaro tosco
Golsaon, che il sonno istesso intento tenne
L'innamorato giovane, die al bosco
Per involarsi alla città, sen venne,
Senti dal nido sao frondoso e fosco
Questo querulo augel batter le penne,
E gemendo accostarsi, ed invaghito
Mormorar tra sé stesso il suono udito.
L' Infelice augeHin che sovra un faggio
Erasi desto a richiamare il giorno,
E dolcissimamente In suo linguaggio
Supplicava l'Aurora a far ritomo.
Interromper del bosco ermo e selvaggio
I secreti silenzi udì d' intomo,
E ferir l'aure d'angosciosi accenti
Del trafitto di amor gli alti lamenti.
Rapito allora , e provocato Insieme
Dal suon che parche a sé lo Inviti e chiami.
Dalle cime dell'arbore supreme
Scende pian plano In su 1 più bassi rami ;
E ripigliando le cadenze estreme.
Quasi ascoltarlo, ed emularlo brami ,
Tanto si appressa e vola e non si arresta ,
Che alfin viene a posargli In suUa testa.
Quei che le fila armoniche percote ,
Sente (né lascia l'opra) il lieve peso.
Anzi 11 tenor delle dolenti note
Più forte intanto ad Iterare ha preso.
E 11 miser rosignuol quanto più potè
Segue 11 suo stile, ad Imitarlo Inteso.
Quel canta , e nel cantar geme e A lagna ,
E questo 11 canto eli gemito accompagna.
E quivi l'un sul flebile stramehto
A raddoppiare 1 dolorosi versi ,
E l'altro a replicar tutto 11 lamento
Come pur del suo duol voglia dolersi ,
Tenean con l'alternar del bel concento
Tutti i lumi celesti a sé conversi ,
Ed allettavan pigre e taciturne
Viepiù dolce a dormir l'ore notturne.
Da principio colui sprezzò la pugna ,
E volse dell' augel prendersi gioco.
Lievemente a grattar prese con l' ugna
Le dolci linee , e poi fermossi un poco.
Aspetta che il passaggio al punto giugna
L'altro, e rinforza poi lo spirto fioco,
E di natura infatlcabll mostro
CIÒ che ei fa con la man rifa col rostro.
Quasi sdegnando 11 sonatore arguto
Dell' emulazion gH alti contrasti,
E che seco animai tanto minuto
Non che concorra , al paragon sovrasti ,
Comincia a ricercar sovra il liuto
Del più dlflldl tuon gli ultimi tasti;
E la linguetta garrala e faconda
Ostinata a cantar sempre 11 seconda.
Arrossisce il maestro, e a scorno prende.
Che vinto abbia a restar da si vii cosa.
Volge le chiavi, I nervi tira, e scende
Con passata maggior fino alla rosa.
Lo sfldator non cessa, anzi gii rende
Ogni replica sua più vigorosa ;
E secondo che V altro o cala , o cresce
Labirinti di voce implica e mesce.
Quel di stupore allor divenne un ghlacdo,
E disse irato : Io ti ho soflerto un pezzo.
0 che tu non farai questa ch'io faccio,
0 ch'Io vinto ti cedo, e il legno spezzo.
Recossl poscia II cavo arnese In braccio,
E come in esso a far gran prove avvezzo,
Con crome in fuga , e sincope a traverso
Pose ogni studio a variare il verso.
Senza alcuno intervallo e pigila, e lassa
La radice del manico, e la cima ,
E come il trae la fantasia si abbassa ,
Poi risorge in un punto , e si sublima ;
Talor trillando al canto acuto passa ,
E col dito maggior tocca la prima.
Talora ancor con gravità profonda
Fin dell' ottava In sul bordon si affonda,
Vola su per le corde or basso, or alto
Più che r Istesso augel la man spedita.
DI su , di giù con repentino salto
Van balenando le leggiere dita.
DI un fier conflitto e di un confuso assalto
Inlmitabihnente I moti Imita,
Ed agguaglia col suon del dolci carmi
1 bellicosi strepiti deli' armi.
Timpani e trombe e tutto dò che quando
Serra In campo le schiere, osserva Marte ,
I suoi turbini spessi accelerando.
Nella dotta sonata esprime l'arte;
E tuttavia moltiplica sonando
Le tempeste del groppi In ogni parte ;
E mentre el l' armonia cosi confonde .
II suo competltor nulla risponde.
V ADONE.
113
Poi tace, e vuol veder se Taugelletto
Gol canto il suon per pareggiarlo adegua.
Raccoglie quello ogni sua forza al petto ,
Né vuole in guerra tal pace, né tregua.
Ma come un debil corpo e pargoletto
Esser può mal , che un sì gran corso segua ?
Maestria tale ed artificio tanto
Semplice e naturai, non cape un canto.
Poiché molte e melt'ore ardita e franca
Pugnò del pari la canora coppia ,
Ecco H povero augel , che alfin si slanca ,
E laogue e sviene e infievolisce e scoppia.
Cosi qual face, che vacilla e manca ,
E maggior nel mancar luce raddoppia,
Dalla lingua, che mai ceder non volse,
li dilieato spirito si sciolse.
Le stelle poco diansi innamorate
Di quel soave e diletlevol canto.
Fuggir piangendo, e dalie logge aurate
Si affacciò l'alba, e venne il Sole intanto.
II musico gentil per gran pletate
L'estinto corpicciol lavò col pianto.
Ed accusò con lagrime e querele
Non men sé stesso , che 11 destin crudele.
Ed ammirando il generoso ingegno,
Fin negli aliti estremi invitto e forte ,
Nel cavo ventre del sonoro legno
D volse seppellir dopo la morte.
Né dar potea sepolcro unqua più degno
A si nobil cadavere la sorte.
Poi con le penne dell' augello istesso
Vi scrisse di sua man tutto il successo.
Ma chi fu che l' instrusse? il mastro vero
(Non so se il sai) fu di quest'arte Amore.
Egli Insegnò la musica primiero,
Ei fu de' dolci numeri l' autore ,
E del soave ordigno , e lusingiiiero
Volse le corde nominar dal core.
Oh che strana armonia dolce ed amara
Nella sua scola un cor ferito impara !
Dica costei che II sa, costei che il sente.
Di questa invenzion l'origin vera,
Fa, che l' Istesso Amor, eh* é qui presente,
Ti narri, onde l' apprese è In qual maniera.
Contan , che un di nella fucina ardente ,
Che d' Etna alluma la spelonca nera ,
Dove alternano 1 fabbri i colpi in terzo ,
V ingegnoso fanciullo entrò per scherzo.
Ed osservando de' martelli i suoni
Librati in suU' ancudini percosse ,
Le cui battute a tempo a tempo e i tuoni
Facean parer, che un bel concerto fosse ,
Le regole non note e le ragioni
Delie misure a specular si mosse ,
E con stupor del padre e de' ministri
Gl'Intervalli trovò de' bei registri.
Della prim* opra 11 semplice lavoro
Fu rozza alquanto e mal temprata cetra,
E da compor queir organo sonoro
La materia gli die l' aurea faretra.
Per fabbricarne le chiavette d' oro
Ruppe lo strai , che rompe anco la pietra.
L' arco proprio adoprò d'archetto In vece,
E della corda sua le corde fece.
Apollo 11 dotto Dio, meglio dl^osc
L'ordine poi de' tasti e de' concenti;
Ed io, che vago son di nove cose ,
Novi studj mostrai quindi alle genti ,
E in più forme leggiadre e dilettose
D' inventar m' ingegnai vaij strumenti ,
Onde certa e perfetta alfin ne nacque
La bella facoltà , che tanto piacque.
Place adascun, ma più eh' agli altri place
Agi' Inquieti e travagliati amanti ,
Né trova altro refugio ed altra pace
Un tormentato cor, che suoni e canti.
Egli è ben ver, che il suono é si efficace.
Che provoca talor sospiri e pianti ,
E I duo contrari estremi in guisa ha misti.
Che rallegra gli allegri, attrisU i tristi
Qui tacque II gran corrìer cheporta alato
In man io scettro , e di due serpi attorto ;
Perché mentre che Adone innamorato
Per r ameno glardin mena a diporto,
Venir non lunge per erboso prato
D'uomini e donne un bel drappello hascor-
E due Ninfe di vista assai giuliva [to.
Come capi guidar la comitiva.
Mostra Ignudo 11 bel seno una di queste,
E tremanti di latte ha le mammelle.
Verdeggiante ghirlanda , azzurra veste
Ed ali , onde talor vola alle stelle.
Trombe, cetre, sampogne, un stuol celeste
Di fanciulli le poru e di donzelle.
Nella destra sostien scettro d'alloro,
Stringe con l' altra man volume d' oro.
114
IH costei ia conqMgn ba di fioretti
Amorosi e leggiadri i crini aspersi «
Varia la gonna , in cui di vaij aspetti
E chiavi e note ha figurate , e versi.
Dietro io iranno ancor Ninfe e valletti
Misure e pesi ed organi diversi.
Musici libri, e con ballorie e canti
Di vermiglio licor vasi spumanti.
MARINO.
Bench'alloggino or qoile mie dHetie ,
Non son già queste le lor stanze osale.
Là nel mio ciel con altre giovinette
Abitao come Dee, sempre l>eato.
Se mal lassù venir ti si permette,
Ti mostrerò gii ailierghi , ove son nate.
Qui con Amore a trastullarsi intente
Dall'eterna maglon scendon sovente.
Soggiunse allor Mercurio : Ecco di due
Suore d' un parto Inclita coppia e degna ;
Degna non dico deli' orecchie tue,
Ma del gran re , che su le stelle regna»
La prima ha del divln neU' opre sue.
L'altra di secondaria anco s' ingegna «
K con stupore e con diletto immenso
V una attrae l' intelletto , e l' altra U senso.
Quella che innanzi alquanto a noi s'appres-
E più noMl rasscmbra agli occhi miei, [sa,
Scbben rìtrovatrice è per sé stessa,
E l'arte del crear trae dagli Del,
Con la cara gemella è si connessa,
€lie 1 ritmi apprende a misurar da lei,
E da lei, che le cede e le vien dietro.
Prende le fughe e le posate al metro»
Colei però, che accompagnar la suole,
Ha dell' aiuto suo bisogno anch' ella ,
Né sa spiegar, se si rallegra, o dolo,
Se non le pa^ion della sorella.
Da lei gli accenti impara e le parole ,
Da lei distlnu a scioglier la favella*
Senza lei fora un suon senza concetto,
Priva di grazia e povera d* afletto.
Per queste lor reciproche vicende [ro.
Sempre unite aml>edue ne andranno al pa-
E con quel lume , onde virtù rbplende ,
Risplenderan nel secolo più chiaro.
I primi raggi lor la Grecia attende ,
Cui promette ogni grazia il Cielo avaro ,
1^ Grecia, In cui per molti e molti lustri
Lia terranno In onor spiriti illustri.
Col tempo poi diverran glooo e preda
E delle genti barbare e degli anni ,
Colpa di Marte , a cui convien che ceda
Ogni arte egregia , e colpa de' tiranni.
Sola l' luila alfln fia che possieda
Qualche reliquia degli antichi danni ;
Ma la bella però luce primiera
Si smarrirà della scienza vera.
Vennero al vago Aden strette per mino
Tutte festa 11 sembiante , e foco 11 volto
Queste due Ideile, e con parlar umano.
Polche in schiera tra lor 1* ebbero aceolio.
Ne andare ove s' apri nel verde piano
Di lieta gente un largo cerchio e folto ,
Che inviundoio seco al bel soggiorno
Gli fé' corona , anzi teatro intorno*
Non so se vere, o vane, avean sembtauue
Tutti di damigelle e di garzoni.
Alternavan costor mute e mutanze,
Raddopplavan correnti e ripoloni,
Ijasclvamente alle festive Àuze
Dolci 1 canti accordando , ai canti 1 sbodI,
Cetre e salteri, e crotali e taballi
Ivan partendo In più partite I bailL
Forati bossi e concavi oricalchi,
E rauche pive e pifferi tremanti
Mostrano altrui , come II terreo si calchi
Regolando con legge i passi errantL
Per l'ampie logge e su I fioriti palchi
Miransi cori di felici amanti
Tagliar canari, esercitar gagliarde,
Menar pavane ed agitar nizzarde.
Precede lor la prima coppia , e questa
Con piante maestrevoli e kqsgiere,
Guidatrìce del ballo e della fesu
Carolando sen va fra quelle schiere ,
Sì gala In vista, e sovra pie si presta ,
Che forse al suon delle rotanti sfere
Soglion lassù men rapide e men btììt
Per le piazze del del danzar le stelle.
Dlcean tutti cantando : 0 Dea beata ,
0 bella universa! madre e nutrice ,
Con rtstessa Natura a un parto nata,
DI quanto nasce originai radice,
Peroni genera al mondo , e generata
Ogni stirpe mortai vive felice;
Felice teco a queste rive arrivi
Quella beltà, per cui felice vivi.
Al tuo cenno le Parche ubbidienti
Tiran le fila in varj suini ordite.
Dal tuo consiglio , in tua virtA cresoenti
Natura inpara a seminar le vite.
Per legge tua di sfere e d'elementi
Stansi le tempre In bel legame unite.
Se non spirasse il tuo spirto fecondo ,
1 nodi suoi rallenterebbe il mondo.
AD0I9K. 1I&
Tosto che In luce a poco a poeonsdo ,
Quel fantastico mostro all' iroproTrfso ,
Non sorse In pie , ma del suo fior natio
Restò tra l' erbe e tra le foglie assiso.
Occhio ha ridente , atto benigno e pio ,
Ha femminile e glovenlle il tìs^k
Veston le spalle e II aen penne stellate,
Fregian le gambe e i pie scaglie dorate.
Tu Del , tn Terra , e tu conseni e folcii
Fiori, erbe, piante , e nelle piante II frutto.
Tu crei, tu reggi , e tu ristori e moki
Uomini e fere , e 1* universo tutto ,
Che senza 1 doni tuoi giocondi e dolci
Solitario per sé fora, e distrotto;
Ma mentre stato varia , e stile alterna ,
La tua mercede; il suo caduco eterna*
Lumiera bella, che con luce lieta
Delie tenebre umane il fesco allumi ,
Da cui nasce gentil fiamma secreta,
Fiamma , ond' icori accendi e non consu-
D' ogni mortai benefatlor pianeta^ [mi;
Gloria immortai de' più benigni Numi,
Ch' altro non vuoi , che a prò di chi l'ot-
Godereil bello , e possedere il bene, [tiene
Commesura d'amor, virtù che innesti
Con saldi groppi di concordi amplessi
E le cose terrene e le celesU ,
E supponi al tuo fren gli abissi istessl ;
Per cui con fertll copula contesti
Vicendevol desio stringe due sessi ,
Sicché mentre l' un dona, e l' altro prende,
Il cambio del piacersi toglie e rende.
Con quest'Inno devoto, e questo canto
Venne la turba a venerar la Dea
Ballando sempre , e fatto pausa alquanto
Al concerto dolcissimo tacca.
<^n Mereurio ed Amore Adone intanto
bj con Venere altrove U pie movea,
Quando ecco a sé con non minor diletto
Novello il trasse, e disusato oggetto.
Un fiore^ un flore apre la buccia, e figlia,
Ed é suo parto un biondo crin disciolto ,
E dopo il crin con due serene ciglia
Ecco una fronte , con la fronte un volto ,
Al principio però non ben somiglia
Il mezzo e il fin , ma differente é molto.
Vedeal alla beltà, che quindi spunu.
Forma di stranio augelloesser coogiuata.
Serpentina la coda al ventre ha chiosa,
Lunau, e qual d'arpia , 1* mighla pungente.
Cela un amo tra' fiori , onde delusa
Tira rhicauta e semplicetta gente.
Ticn di nettare e mei la lingua infusa ,
Che persuade altml soavemente.
Cosi la bella fera I sensi alletta ,
Fera gentil , che la Lusinga é detta.
La Lusinga & costei. Lunge fuggite,
0 di falso piacer folli seguaci.
Non ha sfinge , o sirena o più mentite
Parolette e sembianze , o più sagaci.
Copron perfide Insidie , aspre ferite
Abbracciamenti adulatori e bacL
Vipera e scorpion , con arti hìfide
Baciando morde, ed abbracciando uccide.
La chioma intanto, che in bel nodi invol*
Stringon con ricche fasce auree catene, [tft
Dal career suo disprigionata e sciolta
Su per le membra a sviluppar si viene;
La qual può, tanto è lunga e tanto è folta.
Le laidezze del corpo adombrar bene;
Sicché sotto le crespe aurate e bionde
Tutu i difetti inferiori asconde.
Dell'altrui visu insidiosa e vaga
Ella o che non s'avvide, o che s'Infinse ,
Indi la voce incantatrice e maga
In note più che angeliche, distinse.
Note, in cui per far dolce incendio e piaga
Amor le faci e le quadrclla intinse.
Uscir dolce tremanti udiansi fuori
1 misurati numeri canorL
Tal forse Intenerir col dolce canto
Suol la bella Adriana 1 dnrt affetti,
E con la voce e con la vista Intanto
Gir per due strade a saettare I petti.
E in tal guisa Fiorinda udisti, o Manto,
Là nei teatri dei tuoi regj tetti ,
Di Arianna spiegar gli aspri martfarl ,
E trar da mille cor mille sospiri.
116
MiUllNO.
FermaroU corsoi fiumi, il toIo 1 venti, |
E gli augelleltl al suo cantar le penne.
Fuggi l'arbor di Dafni I bei concenti,
Qiè del canto d'Apollo a lei sovvenne.
Apollo istesso 1 corridori ardenti ,
Vinto d'alta doieexza , a fren ritenne.
E queste fur le lusinghiere e scorte
Vod , ove accolta In aura era la morte.
Voi clie sciienando gite anime liete ,
Per la stagioo ridente e giovenile.
Cogliete con man provvida, cogliete
Fresca la rosa in suU' aprir d'aprile.
Pria che quel foco che negli occhi avete.
Freddo ghiaccio divenga, e cener vile.
Pria che caggian le perle al dolce riso ,
E come è crespo 11 crin , sia crespo il viso.
Un lampo è la beltà, l'etade un'ombra,
Né sa fermar l' irreparabil fuga.
Tosto le pompe di natura Ingombra
Invida piuma , ingiuriosa ruga.
Rapido 11 tempo si dilegua e sgombra ,
Cangia il pel, gli occhi oscura, il sangue
asciuga.
Amor non men di lui veloci ha i vanni ,
Fugge coi 0or del volto il fior degli anuL
«De' lieti di la primavera è breve ,
Né si racquista mal gioia perduta.
Vien dopo il verde con pie tardo e greve
La penitenza squallida e canuta.
Dove spuntava il fior, fiocca la neve,
E colori e pensler trasforma e muta,
Sicch'uom freddo in amor quelle pruine.
Ch'ebbe dianzi nel core, ha poi nel crine.
Saggio colui ch'entro un bel seno accolto
Gode 11 frutto del ben che gli è concesso.
Ed oh stolto quel cor , né men che stolto
Crudo^nè men che altrui, crudo a sé stesso.
Cui quel piacer per propria colpa é tolto,
Che vien si raro , e si desia si spesso.
Anima In cui d' amor cura non regna ,
0 che non vive, o che é di vita indegna.
Qgno che canti , rosignuol che plori ,
Musa o sirena che di amor sospiri ,
Aura , o ruscel che mormori tra 1 fiori ,
Angel che mova il plettro, o del che giri,
Non di tanta dolcezza inebbrla i cori ,
Lega i sensi talor, pasce I desiri.
Con quanta, la mirabile armonia.
Per r orecchie al garzone il cor feria.
Sparse vive faville fai ogni vena
Gli avea già quella Insolita beltade ,
Quando un raggio di Sol toccolla appena.
Che la disfece in tenere rugiade.
0 diletto mortai , gioia terrena ,
Come pullula tosto, e tosto cade.
Vano piacer cbe gli animi trastulla ,
Nato di vanità , svanisce in nulla.
In questo mentre a più secreto soglie
Già s' apre Adon con la sua bella 11 varco.
Già di candido avorio uscio l'accoglie ,
Che ha di schietto rubin cornice ed arco.
Tien di frutti diversi, e fronde e foglie
Il ministro, cbe il guarda un cesto carco.
Fan de'sapori ond'egli ha '1 grembo onusto
Una sclmia ed un orso arbitro il gusto.
Questi guidando Adon di loggia in log-
In una selva sua fa che riesca. [già ,
Plangon quivi le fronde, e stillan pioggia
Di celeste iicor soaye e fresca.
Onde l'augel che tra i bel rami alloggia ,
In un tronco medesmo ha nido ed CMa ;
Ed alla cara sua prole felice
Quella pianta che é culla, anco é nutrice.
Con certa legge e sempre ugual misura
Qui tempra i giorni 11 gran rettor del lume.
Non vi alterna giammai tenor natura ,
Né con sue veci il Sol varia costume.
Ma fa con soavissima mistura
Gli ardori algenti e tepide le brume.
Sparsa il bel volto di sereno etemo
Ride la state, e si marita al verno.
In ogni tempo, e non arato, o culto,
Meraviglie il terreo produce e serba ,
E nel prato nutrisce , e nel virgulto
La matura stagion misu all'acerba;
Perché l'anno fanciullo insieme adulto
Dona il frutto alla planU , il fiore all'erba,
Talché congiunto 11 tenero al virile
Lussuria ottobre, e pargoleggia aprile.
Di fronde sempre tenere e novelle
L' orno, l' alno, la quercia 11 cielo ingom-
Piante sterili si, ma grandi e belle, [bra ;
Di frutto invece han la bellezza e l'ombra,
L'allor non più fugace, opache celle
Tesse di rami, e in guisa il prato adombra,
Che per dare agli amori albergo ed agio
Par voglia d'arboscel farsi palagio.
L' ADONE.
117
VI fan vaghe spalliere ombrosi e folli
Tra purpurei rosai verdi mirteti.
Quasi per mano strettile in danza accolti
Ginepri e faggi , e platani ed abeti
Si condensan coti , cbe ordiscon molti
l^aberinti e ricovri ermi e secreti;
Né Febo il crin, se non taior, vi asconde ,
Quando Tauraper scherso apre le fronde.
Trionfante la palma infra lo spesso
Popolo delle piante il capo estolle.
Piramide del boscbl , alto il cipresso
Signoreggia la valle , agguaglia 11 colle.
Umidetto d'amlnrosia U fico anch'esso
Mostra il suo frutto rugiadoso e molle,
Che piangendo si sta tra foglia e foglia
Chino la fronte , e lacero la spoglia.
Dalla madre ritorta e pampinosa
Pende la dolce e colorita figlia,
Parte fra 1 tralci e fra le foglie ascosa.
Parte dal Sole li nutrimento pigila.
Altra di color d*oro, altra di rosa.
Altra più bruna , ed altra più vermii^
Quale acerba ha la scorza, e qual matura,
Qual comincia pian piano a farsi oscura.
Scopre 11 punico stelo il bel tesoro
Degli aurei pomi di rossor dipinti.
Apre un dolce sorriso ai grani loro
Nel cavi alberghi in ordine distinti;
Onde fa scintillar dal guscio d*oro
Molli rubini e teneri giacinti ,
E quasi In plccol Iride commisti
Sardonici , baiassi ed ametisti.
Nutre U susin tra questi anco i suol parti,
Altri obliqui ne forma, altri ritondl,
Qual di stille di porpora consparti ,
Qual d*eban negri, e qual più ch'ambra
Men pigro il moro in sì beati parti [biondi.
Al verme serican serba le frondL
HavvI il mandorlo aprico, ed bav vi il pome.
Che trae diPersia 11 suolegnaggloe 11 nome.
All' opra naturai cultrice mano
Con Innesti ingegnosi aggiunse pregio ,
Indold r aspro , Incivili l' estrano ,
Ornò 11 natio di peregrino fregio.
Congiunto ai cornio suo minor germano
Fiammeggia 11 soavisshno drieglo ,
Nasce 1* uva dal sorbo, ed adotuto
Dall' arando purpureo è 11 cedro aurato.
Anzi virtù d'amor viepiù che d* arte ,
La men pura sostanza indi rimossa.
Perchè perfetta II frutto abbia ogni parte,
Fa che le polpe sue nascan senz' ossa ;
E tanto In lor di suo vigor comparte ,
Che ciascun di essi oltre misura Ingrossa,
Il pero , Il pruno prodigioso e II pesco
Vive In ogni stagion maturo e fresco.
Mostrando II cor fin ndle foglieesprwso
Preme 11 tronco fedel l'edra brancuta.
Stringe II marito e gli si appoggia appresso
La vite onde la viu è sostenuta.
Vibra nd gelo amor, nel vento Istesso
La face ardente , e la saetta acuta.
L' acque accese di amor baclan le sponde,
E dlsoorron di amor l' aure e le fronde.
Tra quel frondosi arbusti Adon sen varca,
E coi Numi compagni oltro cammina ,
Dove ogni pianta I verdi rami Inarca ,
Quasi voglia abbracciar chi si avvicina ;
E di frutti e di fior giammai non scarea,
E del bel peso prodiga s' Inchina.
Piove netur l' olivo e l' elee manna ,
Mele la querda e zucchero la canna.
Qui son di Bacco le feconde vigne,
Dove in pioggia stillante U vin si sugge.
Di candid' uve onusta , e di sanguigne
Quivi ogni vite si diffonde e strugge,
Le cui radici intorno irriga e dgne
Di puro mosto un fiumicel che fogge.
Scorro 11 mosto dall' uve e dalle foglie ,
E In vermiglio niscd tutto si accoglie.
Si accoglie In rivi 11 dolce umore, e In flu-
A poco a poco accumulato cresce, [me
E nutro a sé tra le purpuree spume
DI color, di sapor dmlle II pesce.
Folle chi questo e quel gustar presume.
Che per gran gioia di sé stesso n' esce.
Ride , e li suo riso è si possente e forte ,
Che la letizia alfin termina in morte.
Arbori estrani qui (se prestar fede
lice a tanto portento ) esser d scrive.
Spunta con torto e noderoso piede
Il tronco Inferior sovra le rive;
Ma dalla forca In su qud che d vede.
Ha forma e qualità di donne vive.
Son viticci le chiome , e 1 diti estremi
Figliano trdd , e gettano racemi.
118
MABINO.
DafiDe, oSirinsa tal forse ener (kbbe
in rì¥a di Ladone , o di Peaeo
Quandol' unaaTesamlia, e l'altra aocrel>-
Nova verdura ai boschi di Uoeo. [ lie
Fona io foriu si iatu a mirar ebbe
Sue figlie ii Po nel caao acerbo e reo
Quando a spegner le fiamme entro il suo
Sinistrando ii sentler venneFeConte. [fonte
fiotto le scom ruvide ed alpestre
Swtesi palpiur spirto selvafl^io.
SogUon ridendo aitmi porger le destre,
E si odon faveliar greco Unguaggio.
Ma die frullo si colga, o fior silvestre
Non sema allo dolor soffron T oltraggio.
Badan talor lusingatrid oscene ,
Ma dii gusu i lor bad ebbro diviene.
Con pampinod e teneri legami
Stringono ad oraad orqod fauno e questo
Che non polendo poi staccar dai rami
La parte genital , fanno un Innesto.
Fansi una specie Istessa , e di fogliami
Veston le bracda, e di vien sterpo il resto ;
Verdeggia il crine, e con le barbe in tem
Indivisibilmente il pie si allferra.
Quanti Àvoleggiò Numi profani
L'eude antica , han quivi i lor soggiond.
Lari , sileni , semicaprt e pani ,
La man di tirso, li crin di vite adorni^
Geiy salaci e rustici silvani.
Fauni saltanti e satiri bicorni ,
E di ferule verdi ombrosi i capi
Sonia Xrea , sema vel BaccU e PriapL
E Menadi e BaaaridI vi scerai [ce,
Ebbre pur sempre e sempre a bere accon-
Ghe intenteor di latini , or di falerni
A votar usee, ed asdugar bigonce,
EdagiUte dai furori katerni.
Rotando 1 membri in soase guisee sconce
Gdebran V orgie lor con queste o tali
FftgftMininft ftamnni <» haar^naH.
Or d' eUen si adornino e di pampino
I giovani e le vergini più tenere,
E gemina neU* anima si stampino
L' Immagine di Libero e di Venere.
Tutu ardano, si accendano , ed avvampino
Qual Semde , che al folgore fu cenere;
E canttaio a Copidine ed a Bromlo
Con numeri poetid nn encomio.
La oetera col crotalo e con 1* organo
Sui margini del pascolo odorifero,
U cembalo e la fistola si scorgano
Gol zufolo , col timpano e col piffero ;
E giubbilo festevole a lei porgano.
Che or Espero si nomina , or Lucifero ;
Ed empiano con musica, che crepiti ,
Quest' isola di fremiti e di strepiti.
1 satiri oon cantid e con frottole
Tracannino di nettare un diluvio.
Trabocddno di lagrima le dottole ,
Che stillano Posilipo e Vesuvia
Sion cariche di fesdne le grottole,
E versino doldssimo profluvio.
Tra frassini, tra platini e tra salici
Esprimansi del grappoli nd calici.
Ghi cupido è 41 SDggere T amabile
Del balsamo aromatico e del pevere,
Non mescoli il carbuncolo potabile
Gol rodano, con V adice, o còl leverc ;
Glie è perfido , sacrilego e dannabile,
E gocciola non merita di bevere
Ghit«mpera,chi intorbida, chi incorpora
Gol rivoli fi crisdito e la porpora.
Ma guardlnsl gli spiriti che fonano ,
Non facciano del cantaro dcun strazio ,
E l'anfore non rompano, che spumano ,
Già gravide di liquido topazio;
Ghè gli uomini ire in estasi costumano,
E si altera ogni stomaco che è sazio;
E il cerebro che fervido lussuria ,
Più d* Ercole con tanpeto si Infuria.
Mentr* elle ìrtn ood con canti e balli
Alternando evoè giulive e liete,
Intente tuttavia negi' hitervalli
Sgonfiando gli «tri , ad Inafliar la sete;
Pamando Adon di quelle amene valli
Nelle più chiuse viscere segrete ,
Trovò morbida mensa, ed apprestati
Erano hilonio al desco 1 seggi aurati.
Qui, bellissimo Adon , depor convleusi
(Rioomindò Gillenlo) ogni altra core.
Gol ristoro del dbo uopo è che pensi
Di risarcir, di rinforzar natura.
E poiché dascun già degli altri senM
In queste liete piagge ebbe pastura ,
VuoM il gusto appagar, però che tocca
M diletto la parte anco alla bocca.
L'ADONE.
119
La bocn è ver, dK dell' naian «mone
(Solo ifleio deU' nono) è aHuia prima.
GoBoellA aloyn dob sa apiegar ng^oiie.
Che per lei non si scopra, e Bons' caprlva.
Interprete divin , per oul si espone
Quan to nel pelto'altmi ruol che slosprian;
(E la ìfoce è di ciò Bsenana aooelia )
L'inteUetlo e H pensler di chi fiiveiia.
Ma serve ancora ad operar, che cresca
L' imtemo amor, né per ardor si estingua ;
A cui quando tahir cibo rinfresca
Fa credenxiera e giudice la lingua;
Né per la gola uni passa alcun' esca ,
Che M prima il sapor non si distingua.
Fatto il saggio che eli* ha d' ogni vivanda,
In deposito al ventre alfin la manda.
E perchè r uom che alle fatiche è lenlD,
Nelle operaaion mal non si stanchi,
E non pascendo il naturai talento ,
L' individuo mortai si strugga e manchi ;
Vuol chi tutto creò , che 1* alimento
Non sia sensa 11 piacer che lo rinfranchi ,
Onde questo con quel sempre congiunto
Abbiaa»tttrlrlo, e dUettado a un ponto.
Notasd mai da quante guardie e quali
Sia la Ihigua difesa e custodita ?
Perchè dai soffi gelidi bramali
Del nevoso aquilon non sia ferita;
Quasi di torri, o pur d'antemurali
Coronata è per tutto, e ben oMmitat
E perchè altro furor non ia combatta.
Sotto concavo tetto 11 corpo appiatta.
DaUe faud al palato in alto ascende ,
Quanto basta e eoavien, polputa e grossa.
Larga ha la base, e quanto più si stende,
Si aguzia In cima ed è spugnosa e rossa.
Ha la radice , onde deriva e pende ,
Forte, perchè aggirar megUo si possa.
Volubilmente si ripiega e vibra,
Musoelosa, nervosa esanaibn»
Dico coni, che il Fadtor sovrano
Cotale ad altro fin non lacostrusse.
Se non perchè del nutrimento umano,
Che dal gusto provien, stromento fosse;
Senza H qual uso, InutU fora e vano
Quuito di doke ai mondo egli produsse.
E questa del tuo cor fiamma immortale,
Sensa Cerere e Bacco è fredda e Dralc^
Coal parla H signor MV eloquensa ,
Indi per mano il vi|go Aden conduce
Là dove pompa di'nal credenza
Veste 1 self aggi orror di ricca inoe.
Con beB' arte lUsposto e diligenza
L' oro e l' elettro in ordine riluce.
Di materia miglior poi vi si squadra
Di altre vasella ancor serie leggiadra.
Ma duo fra gli altri di maggior misura
Di un Intero smeraldo Adon ne vide.
Gemma d' Amor, che cede , e non s'indura
Allo scarpello , e ool bel verde ride.
Non so se di ri m>bile scultura
Oggi alcun* opra il gran Bologna incide,
Che i bei rUievl e i diiicati intagli
Qui da Dedalo fotti , in parte agguagli.
In un dei vasi il simulacro altero
Della Diva del loco è sculto e finto.
Ma si sembiante è 11 emulato al vero.
Che l'esser dal parer quasi n'è vinto.
11 sanguigno concetto , e il suo prkniero
Fortunato natal vi appar distinto.
Miracolo a veder, come pria nacque
Genitrice di Amor, figlia dell' acque.
Saturno v'è, che al proprio padra tronca
L' oscene membra, e dalle in preda a Dori.
Dori le accoglie in cristallina conca ,
Fatta nutrice dei nascenti ardori.
Zeffiro v' è , che fuor di sua spelonca
Batte l' ali dipìnte a più colori ;
E del parto gentil ministro fido
Sospinge il fiotto leggiermente al lido.
Vedresti per lo liquido elemento
Nuotar la spuma gravida e feconda.
Poscia in oro cangiarsi il molle argento,
E farsi chioma Inanellata e bionda.
La bionda chioma incatenandoli vento
Serp^gia, e si rinerespa, emula all' onda.
Ecco spunta la fronte a poco a poco,
Giàraoque aduobegli occhi ardondl foco.
0 Bseraviglia , e trasforour si scorge
In bianche membra alfin la bianca spuma.
Nuovo Sol daU' Egeo si leva e sorge.
Che il mar tranquIUae l' aria hitomoallu-
Sol di beltà, chealtrui conforto porge, [ma
E dolcemente l'aninw consuma.
Così Venere bella al mondo nasce,
Unhel nicchio ha per cuna,alghe per fasce.
130
MARINO.
Mentre ool pie rosato e rugiadoso
li vertice del mar calla sublime «
E con r eburnea mtvdel flutto ondoso
Dair auree trecce il salso umor s' esprime ;
Gli abltator del pelago spumoso
Lasclan le case lor palustri ed Ime ,
E fan seguendo 11 lor ceruleo duce
Festivi ossequi all' amorosa luce.
Palemon d' un delfino il curvo tergo
Preme vessoso e pargoletto auriga,
E iMlestrando un fuggitivo mergo ,
Pende 1 solchi del mar per torta riga.
Quanti Tritoni lian sotto l' onde albergo !
Altri accoppiati In mansueta biga
Tiran pian pian la conca, ove ella nacque.
Altri per altro aflar travagllan l' acque.
Chi deli* obliquo corno a gonfie gote
Fa buccinar la rauca voce al cielo.
Cbl per sottraria al Sol , che la percole ,
Le stende Intorno al crìn serico velo.
Chi volteggiando con lascive rote
Le regge Innansl adamantino gelo ,
E perchè solo In sua belli s'appaghi ,
Ne fa lucido specchio agli occhi vaghi.
Né di schersar anch' elle Infra costoro
Del gran padre Nereo lasclan le figlie ,
Che accolte in lieto e sollaucvol coro
Cantano a suon di pettini e conchiglie ;
B porgendo le van succino ed oro ,
Candide perle e porpore vermiglie.
Si fatto stuol per l' umida campagna
La riceve , la guida e l' accompagna.
Nell'altro vaso, del suo figlio Amore
Il nascimento effigiato splende.
Già la vedi languir, mentre che l'ore
Vicine omal del dolce parto attende.
Nella bella suglon, quand'entra In flore
La terra, e novell' abito riprende.
Par che l'Alba oltre l' uso apra giocondo
Il primo di del più bel mese al mondo.
Sovra molli origlieri e verdi seggi
La beila Dea per partorir si posa.
Par che rida la riva, e che rosseggi
Presso II musco fiorito indica rosa.
Par che Tonda di Cipro appena ondeggi,
Danzano I pesci In su la sponda erbosa.
Con pacifiche arene ed acque chiare
Par senza flutto e senza moto il mare.
Per non farai Importuni i zeffiretti
A quelle dolcemente amara doglie ,
Stanzi a dormir, quasi in purpurei letti ,
De' vicini roseti infra le foglie.
Colgon r aura lascive odori eletti
Per irrigar le rugiadose spoglie.
Spoglie bagnate di celeste sangue,
Dove tanta beltà sospira e iangue.
Pria che gli occhi apra al Sol,le labbra al
Per le viscera anguste Amor sai tante,[latte,
Precorra l'ora impetuoso, e batte
li sen materno con feroci piante;
E del ventre divin le porte intatte
SI apra e prorompe Intempestivo Infante.
Senza mano ostetrice ecco vien fuori.
Ed ha fasce le fronde, e cuna 1 fiorì.
Fuor del candido grembo appena esposto.
Le guizza in braccÌo,lndi la stringe e tocca.
Pigolando vagisce, e corra tosto
Sull'urna manca a conficcar la bocca.
Stillan le Grazie il latte, ed è composto
DI mei, qual più soave Ibla mai fiocca.
Parte alternando ancor balia e mammelle.
Dalle tigri è lattato, e dalle agneUe.
Stame etemo al bambin le filatrici
DI ogni vita mortai tiran cantando.
Van mansuete in su quei campi aprici
Le fera più terrìbili baccando.
Tresca il leone, e con ruggiti amkl
11 vezzoso torci lecca scherzando.
E con l'unghia sonora e col nitrito.
Lieto applaude 11 destriero al suo vagito.
Bacia l' agnel con Innocente morso
Acceso II lupo d'amorosa fiamma.
La lepra li cane abbraccia, e l' ispid'orso
La giovenca si tien sotto la mamma.
L' aspra pantera in sul vergato dorso
Gode portar la semplicetta damma.
E toccara 11 dragon, benché pungente
Del nemico eiefuite ardisce il dente*
Mirasi Qterea, che gli amorosi
Scherzi ferini di mirar si appaga,
E ride, che animai tanto orgogliosi
Sentan per un fanciullo incendio e piaga.
Par che sol del cinghiai mirar non osi
Gioco, fesu, d piacer, quasi presaga.
Presaga, che per lui tronca una vita,
Ogni delizia sua le fta rapita.
L'ADONE.
121
Tal de' vasi è ti lavoro. Amor si appiglia
Alla maggior delle gemmate coppe,
Poscia di quello stuol che rassomiglia
Le Semidee che si caogiaro in pioppe.
Per farne scaturir pioggia vermìglia.
Ad una eoo lo strai svena le poppe,
E fa che dal bel sen per cento spilli
Odorato Ucor dentro vi stilli.
E tre volte ripiena, ad una ad una
Tutte forbille, e propinò ridendo.
Ne bebbeuna a Mercurio, a Venerona,
Una a colui che la distrugge ardendo.
Cosi a ciascun ne dedicò ciascuna.
La prima alla salute offri bevendo,
L* altro vaso di vin colmo e spumoso
Diede al piacere, e 1* ultimo al riposo.
Cento Ninfe leggiadre e cento amori.
Cento Fauni nell'opra abili e destri ,
Quinci e quindi portando e frutti e fiori
Son delia bella Imbandiglon maestri.
Qui con purpurea man Zefflro e Clori
Votan di gigli e rose ampj canestri.
Là Pomona e Vertunno han colmi e pieni
Dei lor doni maturi i cesti e 1 seni.
Natura delle cose è dispenslera,
L' Arte condisce quel ch'ella dispensa.
Versa Amaitea, che n* è la vivandiera,
Del ricco corno suo la copia immensa.
Ravvi le Grazie amorosette in schiera,
E loro ufficio è rassettar la mensa ,
E vigilante infra 1 ministri accorti
Il robusto custode bavvi degli orti.
Ogni sergente a prova, ed ogni serva
Le portate apparecchia e le vivande.
Altri di man d'Aracne e di Minerva
Su i tronchi, e per il suol cortine spande.
Altri le tazze, acciocché Bacco ferva,
Corona d'odorifere ghirlande.
Chi stende in su i tappeti I bianchi drappi,
Chi vi pon gli aurei piatti e gii aurei nappi»
Cosi per Ibla alla novella estate
Squadra di diligenti api si vede.
Che le lagrime dolci e delicate
Di Narciso e d' Aiace a sugger riede.
Poi nelle bianche celle edificate
Vanno a ripor le rugiadose prede.
Altra a comporre il favOfCd altra schiera
Studia dai mele a separar la cera.
E tutta in moto la famiglia, or vanno
Quei che curano il jasto, or fan ritorno.
Alcuni amori a venllkr vi. stanno
Con ali aperte, e sferzan l' aure intomo.
Le quattro figlie del fruttifer anno
Per fare in tutto il bel convito adomo,
Recan d'ogni stagion tributi eletti,
E son diverse d' abiti e d'aspetti.
Ingombra una di lor di fosco velo
La negra fronte e la nevosa testa.
DI condensato e cristallino gelo
Stringe l'umido crln fascia contesta.
Qual nubiioso e folgorante cielo
Minaccia il ciglio torbida tempesta.
Copre il rugoso sen neve canuta.
Calza il gelido pie grandine acuta.
Altra «pirando ognor secondo flato
Ride con giovenil faccia serena.
Un florito legame ed odorato
La sparsa chioma e rugiadosa affrena.
La sua vesta è cangiante, e variato
Iri di color tanti ha il velo appena.
Va di verde cappello il capo ombrosa.
Nel cui vago frontal s' apre una rosa.
L'altra che intorno al mlnisterio assiste,
Par che di sete e di calore avvampi.
Ispida il biondo crin d' aride ariste.
Tratta 11 dentato pettine dei campi.
Secche anelan le fauci , arsicce e triste
Fervonieguancle evibrangli occhi lampi.
Umida di sudor, di polve immonda
Odia sempre la spoglia ed ama 1* onda.
Circonda il capo all'ultima torella.
Che quasi calvo è poco men che tutto.
Un diadema d' intorta uva novella ,
Di cedri e pomi e pampini costruito.
Intessuta di foglie ha la gonnella ,
Di fronde il cinto, ed ogni groppo è fratto.
Stilla umori il crin raro, e riga intanto
DI piovosa grondala il verde manto.
Insieme con la Diva innamorata
Adone alla gran mensa II pie converse.
Amor paggio e scudier l'onda odorata
Sulle man bianche in fonte d'or gli asperse.
Anior scalco e coppier l' esca beata
In cava gemma, e il buon licor gli offerse.
Amor dei pasto ordinator ben scaltro
Pose a sedere un Sole a fronte all' altro
0
tu
MAMMa
SonUgUavan duo Sdi ed ella ed egli ,
Cui Don fiuser però nubi interposle;
E giau nei volli lor, come in due spegli ,
Lampeggiando a ferir le luci opposte.
Dava costei sovente, e rendea qaegU
Di fiamma e di splendor colpi e risposte,
£ con lucida eclisse, e senza oltraggio
S*ineontrava e rompea raggio con raggio.
Come Dio del piacer, placevol Nume ,
Che a soUaui ed a feste è sempre inteso,
Per mitigar di que* begli occhi il lume ,
E del Sole importuno il foco acceso;
Con due smaltate e gioiellate piume
Di bel pavon, che ira le mani ha preso,
L' aere agitando in lieve moto e lento
Tra i più fervidi ardor fabbrica il vento.
Mercurio è quei che mesce e che rifonde
I^eli' auree conche i pretiosi vini.
Amor rinfresca con le limpid* onde
L' idrie lueeati e 1 vasi cristailini.
L*unoe r altro gli terge, e poi gii asconde
Nel più denso rigor dei geli alpini ,
Le vicende scambiando or questoor quello
Nel servire or di coppa or di coltello.
Traboccan qui di liquid'oroe gravi
Di stillato ametisto, urne spumanti.
Tengon gemme capaci i ventri cavi
Dì rugiada vital colmi e brillanti.
Sangue giocondo e lagrime soavi.
Che non peste, versar l' uve pregnanti.
Onde di Cipro le feconde vili
Soglion dolce aggravar gli olmi mariti.
La bella Dea di nettare vermiglio
Rugiadoso cristallo in man si strinse ,
Libello, e con dolce atto e lieto ciglio
Nel bel rubino i bei rubini intìnse.
Poi di vergogna il sempHcetto'gigUo
Violando di rosa , il volto tinse ,
E r invitò, postogli il vaso innansi ,
Parte a gustar de' generosi avanzi.
Il bel garioo,che ingordamente assiso
Presso queir esca, onde la vita el prende,
Tutto dal vago e delicato viso
V altra spesso obbiiando, intento pende,
E con guardo a nutrir cupido e fiso
Men la bocca che gll4>cchi, avido intende,
V'immerge il labbro e vi sommerge 11 csre,
£ resta ebbro di vin, ma più d' amare.
Mentre son del gran pasto In sul più bri-
Ecco Momo arrivar quivi si \^d» , [lo,
Momo critico Nume , arco e flagello ,
Che gli uomini e gU Dei trafigge e ficde.
(aò eh' egli eerchi, e qual pensier novollo
Tratto r abbia dal cid Vener gH chiedf ;
E perchè v<^ntier scherza con esso.
Sei fa seder per ascoHarlo appreno,
Vo , rispose lo Dio , ira queste pianto
Della Satira mia tracciando I*onne,
Della Satira mia, che poco avante
Ha di me generato un parto informe ;
Parto nelle fattezze e nel serobiaAte
Si mostruoso, orribile e difforme ,
Che se non fusse il suo sottile ingegno,
Lo stimerei di mia progenie Indegno.
Ma la vivacità nrio figlio il mostra,
E lo spirto gentil, ch'Io scorgo in lui ,
E quel che è proprio della stirpe nostra,
La libertji del sindacare altrui ,
Onde meco del par contende e giostra.
Che pur sempre del vero amico fui ,
E mentir mai non voHI , e mal non seppi
Chiuder la lingua tra catene e ceppi.
La lingua sua viepiù che spada taglia ,
La penna sua viepiù che fiamma cocc.
Con acuta favella il ferro smaglia,
E con ardente stil fulmina e noce ,
Né contro 1 morsi suoi morso è che vaglia.
Né giova schermo incontro alla sua voce.
Indomito animale e stranio mostro, [stro.
Che altro non ha che 11 fiato e cherinchio-
Non ha piò, non ha stinchi ond' ei si rcg-
Ha r orecchie recise e il naso monco, [ga,
lo non so come scriva e vada e segga,
Ch' è storpiato, smembrato e zoppo e cìon-
Ma benché cosi rotto egli si vegga , [co.
Che del corpo gli resta appena il tronco,
Non pertanto 1* audacia in lui si scema.
Poiché sol della lingua il mondo trema.
Tal qual è senza piante e senza gambe.
Nei secoli futuri e nei presenti [he,
Delle man privo e delle braccia entram-
L' universo però fla che spaventi, [cambe,
Qual plaghe ei fiMCia, il saprà ben LI-
Che colto da' suol strali aspri e pungenti.
Di disperalo ìao€lo avvinto il collo.
Darà di propria man l'ultimo crolh).
L'ADONE.
1)3
Gran cose ha di costnt Febo lodovlno
Eprarlsle e predette agH altri Numi.
Pronosiieo che nome avrà Pasquino;
Correltor delle genti e del costumi.
Che per terror de' principi il destino
Gli darà d'eloquenza e mari e flaml ;
B che ioritarlo poi molti vorranno.
Ma non aenia periglio e sema danno.
nemico è della fìima e delta corte,
Lacera 1 nomi, e d* adular non usa ;
b ferir tutti è slmile alla morte ,
8^to lui riprendo , egli me stesso accusa,
Con dir che il mio dir mal none di sorte,
Chela malizia altrui resti confusa. [etemo
Che più? non che altri, il gran 'monarca
Nota,'punta,ripleca e prende a scherno.
1 fanduin rapiti e le donzelle
Non sol di rinfacciargli ardisce ed osa,
Ma pon nell'opre sue divine e belle
Anco la bocca, e blasma ogni sua cosa.
Trova degli elementi e delle stelle
Imperfetta la mole e difettosa.
Ogni parola impugna , emenda ogni atto,
' E si hefei talor di quanto ha fatto.
Dà menda al mar, ch'ha i venti e le tem-
Alla terra, che trema eche vacilla, [peste.
All'aria, che di nuvoli si veste.
Ed al foco , che fuma e che sfavilla.
Appone alla gran macchina celeste ,
Che maligne Influenze Infonde e stilla,
Che altra hice si move, altra sta fissa.
Che la Lunaèmaochlau, e 11 Sol sie clissa.
E non por di cohil che il tutto regge ,
Ma prende a mormorar della Natura.
Dice che altrui vii femmina dar legge
MoD dee, né dee del mondo aver la cura.
La detesta, la danna, e la corregge,
E il lavoro dell' nom tassa e censura.
Che non die, che non fé', sciocca maestra,
Al tergo nn occhio, al petto una finestra.
Per «foesto suo parlar libero e schietto
Giove dal del 1* ha discacciato a torto.
Gli fé' come al tuo sposo, e per dbpctto
Se non fosse tanim>rtal i* avrebbe morto.
Precipitato dal superno tetto.
Restò rotto e sci^eato e guasto e torto.
Ma perchè pur co' df til alimi fa gaent«
Poco meglio che in cielo è visto Ih terra.
Sulle sponde del Tebro, ov' egli meno
Gredeache il vizio eli mal regnar do\-esse.
Per dar legge al suo dir, che è senza freno,
Tra boutade e virtude albergo elesse.
Ma non cessò di vomitar veleno ,
Nò però più che altrove ei tacque In esse ;
Sebben malconcio, e senza un membro in-
Provò che l'odio a!fin nasce dal vero.[tcro
Se tu vedessi, o Dea, l' aspre ferite,
Che ha per tutte le membra hitomo sparte,
Diresii, che con Ercole ebbe lite,
0 che a guerra in steccato entrò con Marte.
Che o sien vere l'accuse, o sien mentile ,
Ogni grande abborrir suol la nostr' arte,
E perdendone alOn la soflerenza ,
Non voglion comportar tanta licenza.
Alcun ben ve ne fu, che se ne rise,
E di suo motteggiar poco gli calse,
Perocch' egli è faceto, e fn varie guise
Sa novelle compor veraci e false ;
Benché l' arguzie sue giammai divise
Non sien dalie punture amare e salse.
Lecca talor piacevolmente, e sclierza,
Nondimen sempre morde e sempre sferza.
Ma costoro ch'iodico, i quali in pace
Lo lascian pur gracchiar quanto egli vule,
Sappiendo per natura esser loquace,
E che pronte ha l'Ingiurie e le parole,
Che per rispetto, o per timor non tace ,
E che irritato più, più garrir suole,
Son pochi e rari, ed han sinceri i petti ,
Nò temon che altri scopra i lor difetti.
E certo io non so già, s' è lor conce so
GII encomj udir di adulator che applaude,
Perchè non deggian poi nel modo islesso
Il biasmo tollerar, come la laude.
E se ai malvagi è di operar permesso
Ogni male a lor grado, ed ogni fraudo,
Perchè non lice ancor con pari ardire
Come ad essi di fare, altrui di dire?
Io per me, bella Dea, perchè altri offeso
Si tenga dal mio dir, scoppiar non voglio:
Ma né turbarsi già chi n'é ripreso,
Né sentir ne dovria sdegno o cordoglio ;
Perché qualor,pur come foco acceso,
0 rasoio crudel, la lingua scioglio.
Con pietoso rigor di buon chirurgo
Arder mostro e ferir, ma sano e purgo.
124
MARINO.
Or essendo il meMhloo in terra e in cielo
Ver tal cagion perseguitato tanto,
Io, che pur Tamo con paterno lelo.
Supplico il Nume tuo cortese e santo.
Che appo la fonte dal gran re di Delo,
De' cigni tuoi già consacrata al canto,
Là dell* acque Immortali in sulla riva
Ti piaccia acconsen tir ,che alberghi e \ÌTa.
Solo in quell' isoletta amena e lieta,
Che d*ogni insidia è libera e secura.
Potrà vita menar franca e quieta,
E scrivere e cantar senza paura.
Ei sebben non è cigno, è tal poeta.
Che meritar bea può questa ventura
D'essere ascritto infra quei scelli e pochi.
Ma non sia chi l' attizzi, o chi il provochi.
S' egiiavvien che talor d' Ira s'inAannni,
Invettive e libelli usa per armi ,
lambì talor saetta ed epigrammi ,
Talor satire vibra ed altri carmi.
Stupir sovente insieme e rider fammi
Quando vien qualche verso a recitarmi
Contr' un che celebrar volse il Colombo,
E d* India In vece d' or riportò piombo.
Per Impetrar da te questa dimanda
Di essere ammesso in quel felice coro,
Una fatica sua bella ti manda.
Da cui scorger potrai se ha stil canoro,
E se egli degno è pur della ghirlanda.
Che altrui circonda il crin di verde alloro.
In questo libro, che qui meco ho lo.
Punge (fuor che le sola) ogni altro Dio.
Ogni altro Dio dalla sua penna è tocco,
Fuor che sol tu, cui sacra il bel presente.
Narra gli onor del tuo marito sciocco,
E qualche prova ancor di quel valente ,
Che deli* asta malgrado, e dello stocco
So die del cor t* è uscito e delia mente,
E se non che oggi ad altro Intenta sei ,
Leggerne almeno un saggio a te vorrei
Qual trastullo maggior (Ciprigna disse)
Dar ne potresti infra qnest' oij nostri ,
Che fame udir di lor quante ne scrisse,
Spirto sì arguto in suoi giocosi inchiostri?
Uual cosa, che ylà grata or ne venisse
Esser potea dell' open ohe mostri t
Ma per meglio «acoltar ciò che tu leggi ,
Ti vogllamdirUnpttto al nostri seggi.
Allor tra varia turba aaoultatrioe,
Assiso incontro ai duo beati amanti,
D* oro fregiato, l' orlo e la cornice.
Si pose Momo un bel volume avanti.
Le Vergogne del Qcio, il titol dice,
E diviso è li poema In molti canti ;
Ma fra molti un ne sceglie, indi le rime
In questa guisa incominciando, esprime :
Più volte al dolci lor furti amorosi
Ritornati eran già Venere e Marte,
Credendo a tutti gli occhi essere ascosi ,
Tanta avean nel celarsi industria ed arte.
Ma il Sol che i raggi acuti e luminosi
Manda per tutto, e passa In ogni parte.
Nella camera entrò, che in sé chiudea
Lo Dio più forte e la più bella Dea.
Veggendogli d* amor rapire il frutto
Seno a seno congiunto, e labbro a labro.
Tosto Vulcano a riferire il tutto
N* andò neil' antro affumigato e scabro.
Batter sentissi al caso indegno e brutto
Viepiù grave e più duro il torto fabro
Di quel di' egli adoprava in Mongibdlo,
Sull' incudin dd core altro martello.
Non fu già tanto il Sol col divin raggio
Mosso per zelo a palesar quell' onte,
Quanto per vendicar con tale oltraggio
La saetta che uccise il suo Fetonte,
Che quando al troppo ardito e poco saggio
Garzon eh' ei tanto amò, feri la fronte.
Non menche al figlio il corpo, al genitore
Trafisse di pietà l' anima e il core.
Poiché distintamente II modo e il loco
Dell' alta ingiuria sua da Febo Intese,
Nel petto ardente dello Dio del foco.
Foco di sdegno assai maggior s' accese.
Temprar nell' ira sua si seppe poco
Colui che tempra ogni più saldo arnese.
De' fulmini li maestro , all' Improvviso
Fulminato restò da qudl' avviso.
Vassen là dove del Qdopl ignudi
Alia fuchia il rozzo stuol travaglia.
Fa percosse sonar le ctwe incudi ,
Dà di pigilo alla lima e alla Unaglli,
E ponst a fabbricar con lunghi studi
Pleghevol rete di minuta maglia.
Di un infraigibii filo adamantino
La iflror^ l' artefice divino.
L' AD(»IE.
t}5
Di quel ItTor la maestria fabrile
Se sia diamante, o fil mal si argomenta.
Non men che forte, egli l' ordì sottile,
La fé' si molle e delicata e lenta,
Che di filar giammai stame simile
L'emula di Minerva indamo tenta;
E quantuique con man si tratti e tocchi,
InTlsIbU la trama è quasi agli occhi.
Con arte tale li magistero è fatto,
Gheancor ch'entrino i duo tra quei ritegni,
Purché non facdan sforzo in quanto al tat-
Nonsi dlscopriran gli occulti ingegni, [to.
Ma se Terran con Impeto a queir atto,
Che suol far cigolar d'intorno i legni.
Tosto che n letto s' agita e scompiglia.
La rete Kocca, e al talamo si appiglia.
Uscito poi della spelonca nera ,
Zoppiccando sen corre a porla in opra.
Nella stanza 1* acconcia In tal maniera,
Che impossihii sari che si discopra.
Nel sostegni di sotto alla lettiera,
Nelle trari del palco anco di sopra.
Per le cortine in giro ei la sospende,
E tra le piume la dispiega e stende.
Quando egli ha ben le ben conteste sete
Disposte faitomo in sì sagaci modi ,
Che discemere alcun delle scerete
Fila non può gì' insidiosi nodi;
Lascia 1* albergo, e della tesa rete
Dissimulando le nascoste frodi , [ta
Spia l*andar degli amanti , e 11 tempo aspet-
Della piaceTol sua strana vendetta.
Usò per affidargli astuzia e senno
Senza punto mostrar l'ira che V arse.
Fé' correr voce, eh' ei partla per Lenno,
E 11 grido ad arte per li del ne sparse.
Udita la novella, al prMno cenno
Nel loco usato vennero a trovarse,
E per farlo di Dio divenir bue.
Nel dolce arringo entrarono ambidue.
Sì tosto, che la cueda il peso grave
De' duo nudi campioni a premer viene.
Prima che ancor si sleno alla soave
Pugna amorosa apparecchiati bene.
La macchinata trappola la chiave
Volge, che porge il moto alle catene.
Fa il suo gioco l' ordigno, e Hi quei diletti
Rimangono i duo rei legati e stretti.
L' ordito intrico in guisa tal si strinse,
E sì forte d'Intorno attor gP Involse,
Che per scoter colui non se ne scinse,
Per dibatter costei non se ne sciolse.
Or polch'entrambo avviticchiati avvinse,
E in tale obbrobrio a suo voler gli colse,
Dell'agguato In cui stava, uscito il zoppo,
Prese la corda , ove atteneasi II groppo.
Della perfida rete 11 capo afferra ,
Indi dei chiuso albergo apre le porte,
Tira le coltre. Il padlgllon disserra,
E convoca del del tutta la corte,
E col re del guerrieri entrata in guerra
Scoprendo lor la dlsleal consorte
Avvinta di durissima catena ,
Fa delle proprie infamie oscena scena.
Deh venite a veder, se piò vedeste.
Altamente gridava, opre ma! tali.
L' eroe divino, il capitan celeste
Ditemi è quegli là, Divi immortali?
L' imprese sue terribili son queste?
Questi i trofei superbi e trionfali?
Ecco le palme gloriose e degne.
Le spoglie illustri e le onorate insegne.
Gran Padre, tu che l' universo reggi,
Vienne a mirar la tua pudica prole.
Così serba Imeneo le sacre leggi?
Tali ignominie li Cid permetter sole?
E che fa dunque Astrea negli alti seggi ,
Se punire i colpevoli non vole?
Son cose tollerabili ? sono atti
Degni di Deità scherzi sì fatti?
Ama la figlia tua questo soldato
Sano , gagliardo e di giocondo aspetto,
E perchè va pomposo e bene ornato,
Di giacersi con lui prende diietto.
Schiva il mio crin maiculto e rabbuffato,
Del mio pie diseguale odia il difetto,
L'arsicelo volto abborre, e con disprezzo
MI schernisce Ulor s' io l' accarezzo.
Se zoppo mi son io, tal qual mi sono,
Giove e Giunon, mi generaste voi;
E generato forse agile e buono.
Perchè dal elei preciplurmi poi ?
Se pur volevi, o gran ReMor del tuono,
Sotto giogo perpetuo accoppiar noi.
Non dovevi così prima andarmi,
0 non dofevi poi genero^nOi.
■
i •
126
MARINO.
La colpa non è mia dunque, se guasti
Del piede i nervi, e le giunture lio rotte.
Se roxzo e senxa pompe e senza fasti,
Tinta Ito la faccia di color di notte.
Tu sei, che oolaggiù mi confinasti,
Abitator delie sicane grotte :
Ma se ancor quivi io ti ministro e serro,
i\on meritai di trasformarmi in cervo.
Deve per questo la mia i>ella mogliei
Bella, ma poco onesta, poco fida.
Qualora a trarsi le sfrenate voglie
Cieco appetito la conduce e guida.
Punto eh* io metta il pie fuor delle soglie,
K da lei mi allontani e mi divida,
Puttaneggiando dentro il proprio tetto.
Disonorare il maritai mio letto )
Deve per tutto ciò negli altrui deschi
(^ibo cercarla meretrice infame.
Dovunque il figlio a satollar V adeschi
Dell' ingorda libidine le brame?
lo pure al par dei più robusti e freschi
Credo vivanda aver per la sua fame.
Che dove un membro è difettoso, e manca.
Altra parte supplisce intera e franca.
Ma non so se in tal gioco avverrà mal,
Ch* ella pio mi tradisca, e che mi offenda.
Cosi , perfida e rea , cosi farai
De' tuoi dolci trastulli amara emenda.
Finché la dote, ond' io stolto comprai
I.e mie proprie vergogne a me si renda.
Poi per comun quiete il Re superno
Vo' che faccia tra noi divoralo eterno.
Or mirate vi prego, alme divine.
Gli altrui congiunti ai vitupeij miei,
S' io fui ben cauto, e s* io fui buono alfin^e
Uccellatore e pescator di Dei.
Dite, se anch' io so far prede e rapine,
(k)me 1' empio figliuol sa di costei.
Veggasi chi di noi mastro più scaltro
Sia di reti e di lacci, o l' uno, o l' altro.
So che lieve è la pena, e che il mio torto
Viepiù palese in tal gastigo appare.
Ma le corna che ascose in grembo porto,
Vo' pormi in fronte manifeste e chiare,
Pur eh' io liceva almen questo conforto
Di far la festa pubblica e vulgare.
Voglio la parte aver del piacer mio,
E poiché ride ognmi, ridare anoh* io.
Mentr' ei cosi eficea, tittti coloro.
Che alla fav<^a bella eran presenti.
Il teatro del elei facean sonoro
Con lieti fischi e con faceti accenti,
E diccano additandogli fra loro
Di si novo spettacolo ridenti :
Ve' come il tardo alfln giunse il veloce,
Ve' come fu dai vii domo il feroce.
Oh quanti fur Del giovinetti, oh quanti.
Che inaviditi di si dolce oggetto.
In rimirando i duo cetesti aoianti.
Che staccar non potean petto da petto,
Viepiù d' invidia assai tra' circostanti.
Che di riso in quel punto ebber soggetto,
E per partecipar di quei legami.
Curato non avrian d' essere infami !
Recato avriansi a gran ventura molti
Spettatori del caso e testimoni.
Più volentieri alior, che esser discloiy.
Come lo Dio guerrier farsi prigioni.
Restar tra nodi si soavi involti
Voluto avrian,non ch'altri,! duo veccfaloni,
Titon dico, e Saturno, 1 freddi cori
Accesi anch' essi di amorosi ardori.
Pallade e Cinzia, verginelle schive,
Tenner gran pezzo in Iorio sguardo fiso,
Poi da cose si sozze e si lascive
Torsero in li, tinte di scorno II viso.
Giunon Diva maggior dell' altre Dive,
Non senza un gentilissimo sorriso.
Coprissi H ciglio con la man polita.
Ma giocava con l' occhio infra le dita.
Vergognosetta d* un ludibrio tanto
La Dea d' amor, che i membri alabastrini
Non avea da coprir velo, né manto,
Tenea bassa la fronte e gli occhi chbii.
Intorno al corpo Immacolato intanto
Sparsi i cancelli de' legami fini.
Graticolando le sembianze belle.
Diviso aveano un Soie In molte stelle.
Bravò lo Dio del ferro, e si contorse
Quando il forte lacciuoi prima annodoHo,
Romper coi suo valor credendo torse,
E stracciar quel viluppi ad un sol crollo;
Ma poiché prigioniero esser si accone.
Né poterne ritrar le braccia e li collo.
Anch' ei, benché di rabbia enfiato e pleao,
A pregar cominciò come Sileno.
L'ADONE.
in
Vulcaa yen tutuvia U rete chiufla^
Nò scioglie il nodo, uè nlienU il lacck^
Ole 1* inida mogiier cosi deinsa [eie.
Vuol, die ivlal drudosuA ai resti va bnc-^
Intercede dascuiuH ed ei ricusa
Di liberargli dai oeioao ioipaccuk
Pur del vecchio Nettun consente ai pregili
(^e ia coppia impudica aifin si sieghL
Dassl allo Dio die nelle piante ha V ale,
Cura d' aprir queir ingegnosa gabbia.
Ed ei non intraprende ufficio tale
Per cortesia, né per pietà chea' abbia;
Ma perchè dell' adultera inunortale,
Qie di vergogna e di dispetto arrabbia,
Sciogiienda il nodo^he ravvolge e chiude.
Spera palpar le beHc membra ignuda»
Oltre che d' acquistarsi ei fa disegno
L' arredo indissolubile e tenace.
Dico la rete, che con tanto Ingegno
Fu giji d* Etna tessuta aUa fornace.
Solo per poter poi con quei ritegno
Prender per V aria Qoride fugace,
Cloride beila, che volando suole
Precorrer V AU»a aUo spuntar dei Sole«
Scatenato il campion con la dUetla,
L' una piangea de* vergognosi inganni,
Minacciò 1' altro con crudel vendetta
Di ristorar d* un tanto affronto 1 danni.
Sorsero alfln confusi, e per la fretta
Insieme si scambiar 1* armi co* pannL
Questi il vago vestì, quelle 1' amica.
Marte la gonna e Yener la lorica.
Voiea r istoria del successo intero
Momo seguir, poiché fur colti in fallo,
E dir come di giovane guerriero
Fu trasformato Aiettrione in gaUo;
Qie del duce di Tracia essendo usciero,
Guemito d* anni e carco di metallo,
Qual fida spia, qual sentinella accorte»
Fu da lui posto a custodir la porta.
Ma perchè il sonno i 1 vi n8e,e non ben ten-
Perguardarsi dal Sol, la niente desta, [ne
Tal qual trovossi appunto, augd divenne,
Cuu lo sprone al tallon, con l' dmo in testa.
I ricchi arnesi si muterò in penne,
II superbo cimler cangiossi in cresta.
Ed or inegUo vegliando in altro manto,
Accusa il suo venir sempre col canto.
E questo, ed altro ancor legger vtiM,
Ma sdegnoso girò Venere ii gnardo,
E per bmeiario un nappo alialo aven,
E il colpia se a fuggir era più tardo.
Sfacciato detrattor, disse la Dea,
Cosi mi Ma U tuo figliuol bugiare»?
Cantile proprie e non 1* altra! vergogne,
Inventor di cahinnie e di menaogneu
Di ciò Mercurio, che con gii altri (atomo
S Lavalo ad ascoltar, si rise aM»lto,
E qnando la vàfà d* ira e di seomn
Più che foco sellalo accesa In volto t
Di qud sdvaggio e rustico soggiorna
Disviando 1' amico entro il pie folto.
Il sottrasse al furor dell' alu Diva,
Che ne fremea di rabUa e a' arreestvn.
Era quivi Talia fra V altre aaeelle
Pur come Citerea, nata di 6love,
Che le Grasie e le Muse avea sorelle.
Una ddle tre Dive e delle nove.
Più soave di lei tra queste, o quelle
0 la lingua, o la mano altra non mo? ìl
Talia Ninfa de' mirti e degli aKort,
Talia dotta a cantar teneri amori.
Costei d' avorio in corvo stromento
Recossi in braedo, e giunta innanil a loro
Degli aurei tasti in snon dbuesso e lento
Tutto pria ricercò l' ordin sonoro.
ludi con pieno, chiaro, alto concento
Scoccò dolce eanion dall' arco d' oro,
E fur pungenti si ma non mortali
Le note a chi 1' udi ferite e strali.
Saggia Talia, che in sul fiorir degli anni
Fosti de' mid pensier la cnra prima,
E meco 1 molli e giovenlii albaai
Non senza dtrui piaeer cantasti la rinn 9
Tu lo mio stile ddiile sn I vanni
Al elei solleva, onde i tuoi detti esprima.
Sveglia r ingegno, e con odeste alta
Mo\i al canto le voci, al snon le dita.
Amor è fiamn», che dal pria» evnro
Foco deriva, e hi gentil cor si apprenda,
E risciiiarando il torbido pensiero
Altrui sovente il desirvago incende)
E scorge per drittisdmo sentiero
L'animadgran princlpio,ond'ella scende;
Mostrandole quaggiù quella, che pria
Vide lassù, bellexsa e leggiadria.
128
MARINO.
Ilinor desk) di bel, virtù clie spira •
Sol doiceiia, piacer, conforto e pace.
Toglie ai cieco furor l' orgoglio e 1* ira,
Gli fa r armi cader, gelar la face.
Il forte, li fier, che il quinto cerchio aggira,
Alle forae d' Amor vinto soggiace.
Unico autor d' ogni leggiadro affetto.
Sommo ben, sommo bel, sommo diletto.
Ardon là nel beato alto soggiorno
Ancor d' etemo amor l' eleme menti.
Son catene d' amor queste che intomo
Stringon sì forte il elei, fasce lucenti.
E questi lumi che fan notte e giorno,
Son del lor fabbro Amor faville ardenti.
Foco d* Amore è quel che asciuga in cielo
Alla gelida Dea V umido velo.
Ama la terra il cielo, e il bel sembiante
Mostra ridente a lui, che 1* Innamora,
E sol per farsi cara al caro amaste
S'adoraa,Ìl sens*ingemma,il crin s'inQora.
I vapor dalle viscere, anelante
Quasi a lui sospirando, esala ognora.
1 rauchi suoni, i crolli impetuosi
Gemiti son d* amor, moti amorosi.
Né già r amato cielo ama lei meno
Che con mlH* occhi sempre la vagheggia.
A lei piagne piovoso, a lei sereno
Ride, e sospira a lei quando lampeg^a.
Irrlgator del suo fecondo seno.
In vicende d' amor seco gareggia,
E fa eh' ella poi gravida germogile [glie.
Piante e fior, frutti e fronde, erbette e fo-
Qual sì leggiero, o sì veloce l' ale
Spiega per l'ampio elei vago augelletto,
Cui dell'alato arder l'alato strale
Buon giunga e non punga insieme il petto?
Qual pesce gulzxa in freddo stagno? o quale
Cova de' fiumi II cristallino letto.
Cui non riscaldi Amor,ch' entro per 1* onde
Vivi del suo bel foco 1 semi asconde?
Nei mar, nel mare istesso, ove da Teti
Ebbe la bella madre umida cuna ,
Più che del pesca tor, d'Amor le reti
Han fona, e regna Amor più che Fortuna.
E perchè da* pittori , e da' poeti
Ignudo è finto e senza spoglia alcuna.
Se non perchè sott' acqua a nuoto scende,
E del suo foco 1 freddi Numi accende?
Segue il suo maschio per le vie profonde
La smisurata e ruvida balena.
Va dietro alla sua femmina per l'onde
Ondeggiando il delfin con cnrva schiena.
Qui con lìngua d'Amor muta risponde
All' angue lusinghier l' aspra murena.
Là con nodi d'amor saldi e tenaci
Porge una conca all' altra conca 1 baci.
Amano l'acque istesse. Ellesen vanno
Al fonte originai , che a sé le invita ;
E se al bei corso, che lasciar non sanno ,
È precisa la via plana e spedita.
Tal con fona amorosa Impeto fanno.
Che s'apron, rotti gli argini, l'uscita,
in seno il mar l' accoglie, e In lor trasfonde
Prodigamentell proprio nome e l'onde.
Ricetta il tortorel con la compagna
( Beli' esempio di fede) un ramo, un r.iilo.
E se i' un poi vlen men, l'altra si lagna,
E fere 11 ciel di doloroso strido.
La colomba gentil non si scompagna
Dal consorte giammai diletto e fido.
Coppia, In cui si mantien semplice e pura
L' Innocenza d' Amore e di Natura.
Teme li cigno d'Amor la face ardente
Viepiù che II foco dell' eterna sfera,
E più d'Amor l'arliglto aspro e pungente
Che dell' aquila rapida e guerriera.
L' aquila ancor del fulmine possente
Ministra e d'ogni augel reina altera.
Noi teme meno, anzi d'altrui predace
Fatta preda d'Amor, d'Amor si sfaco.
Il ficr leon con la leonza Invitta
Amor sol vince, ed al suo giogo allaccia.
Più dall' aurato strai geme trafitta
L' orsa crudel , che dallo spiede In caccia.
Fa vezzi al tigre suo la tigre afflitta ,
11 qual co' pie levati alto l' abbraccia.
Posa lldestrier non trova, e par che piene
Sol del foco del core abbia le vene.
Spira accesa d' Amor tosco amoroso
La vipera peggior di ogni altra biscia.
Ella per allettar l'aspe orgoglioso
D' oro si veste e incontro al Sol si liscia.
Corregli In grembo io scaldato sposo,
Seco insieme si stringe e seco striscia.
Son baci 1 morsi , e sì gi' irrita Amore ,
Che di piaceri' un morde, e l' altro more.
L'ADONE.
139
M tuo montoD non ]iin8e,a pie d' nn lau-
MenCr'ei pugna per lei staisi l'agnella, [ro
E per datigli al traTagUo alcun restauro ,
Se rtede vlndtor gli applaude anch* ella.
Arde 11 robusto e gloTinetto tauro
Per la glorenca sua Tetsosa e bella,'
E nel tronchi per lei l'armi ritorte
Aguaza e sfida il fler rivale a morte.
Non ch'altro, 1 tronchi stessi, i tronchi, i
Senton dolci d' Amor nodi e ferite, [tralci
Chi può dir come agli olmi e come al salci
L'edn sempre si abbarbichi e la Tlte t
E chi non sa che se con scuri , o falci
Da spietato boschier son disunite,
Lagriroando d' Amor cosi recise , •
Si lagnan della man che l' ha divise?
Fronda in ramo non vi ve, o ramo in pian-
Cui non sia dato entro la ruvld* alma [ ta
Sentir quella virtù feconda e santa ,
Che con nodo reciproco le Incalma.
Con sibili amorosi Amor si vanta
Far sospirare li frassino e la palma.
Baclansi 1 mirti, e con scamblevol groppo
Alno ad alno si qx>8a , e pioppo a pioppo.
Ma qual si dura , o gelida si trov»*
Cosa quaggiù che ferro agguagli, o pietra ?*
La pietra e il ferro ancor baclansi a prova,
Né dal rouo seguace ella si arretra.
Da viva pietra , ove altri 11 tratti e mova.
Vive d' amor faville il ferro spetra ;
E il ferro Istesso Intenerito e molle
In fudna d' Amor s'incende e bolle.
Se Amor dunque sostegno è di Natura,
Se Amore è pace di ogni nostra guerra ,
Se alle forse d' Amor forsa non dura.
Se le glorie d'Amor meta non serra.
Se la virtù dell' amorosa arsura
In elei regna, In abisso, in mare, in terra ;
Qual Ha, che non adori , alma gentile
Le catene d'Amor, l'arco e il focile?
Mentre la Musa In sili leggiadro e grave
Fea con maestra man guizsar le corde ,
E ne traea di melodia soave
Air armonico del tepor concorde;
Su per gli eburnei bischeri la chiave
Volgendo per temprar nervo discorde ,
Un per caso ne ruppe, e si le spiacque [que.
Che appese il plettro a un ramoscello,e lac-
CANTO OTTAVO-
I TRASTDLLL
ALLEGORIA.
n Piacere, che nel Giardino del Tatto su In compagnia della Lascivia, allude alla
scellerata opinione di coloro , che posero il sommo bene nei diietti sensuali. Adone
che si spoglia e lava , significa l' uomo , che datosi in preda alle carnalità , ed attuf-
fandosi dentro l'acque del senso, rimane ignudo e privo degli abiti buoni e virtuosi.
1 veui di Venere , che con esso lui si trastulla , vogliono inferire le lusinghe della
carne llcenslosa e sfacciata , la quale ama ed accarezza volentieri il diletto.
AaCOMENTO.
Perviene Adone tlle delisie estreme,
E prendendo tri lor dolce trastallo
L' innamorata Diva e il bel fanciullo,
Alla meta d* Amor giangono insieme.
Giovani amanti e donne innamorate.
In cui ferve d* Amor dolce desio.
Per voi scrivo, a voi parlo, or voi prestate
Fayorevoll orecchie al cantar mio.
Esser non può, che alla eanuu etate
Abbia punto a giovar quel che cant' lo.
Fugga di piacer lano esca soave
Bianco crin, crespa fronte e ciglio grave.
190
MARINO.
S|nuo la curva e debile veocMeiia,
Chf gelate ha le veae e 1* ossa vote.
Incapace dell' ultima d«lcesza
Abborre quel che conseguir non potè.
Uom non atto ad amar, disama e sprezza
Anco il tenor dell' amorose note ;
B il ben che di goder si vieta a lui,
Per invidia dannar suole In altrui,
Lunge, deh lunge, alme severe e schive
Dalla mia molle e lusinghiera Musa.
Da poesie si tenere e lascive
Incorrotta onestà vadane esclusa.
Ah non venga a blasmar quant' ella scrive
D' implacabii censor rigida accusa.
La coi calunnia con maligne emende
Le cose irreprensibiii riprende.
Di poema moral gravi concetti
Non speri udire Ipocrisia riirosa.
Che notando nel ben solo i difetti,
Suol cor la spina e rifiutar la rosa.
So che fra le delizie e fra I diletti
Degli scherzi innocenti, alma amorosa
Cautamente trattar saprà per gioco,
Senza incendio, o ferita n ferro e 11 foco.
Suggon r istesso fior nei prati 'Mei
Ape benigna e vipera crudele,
E secondo gì' istinti o buoni, o rei,
L'unain tosco II converte e T altra in mele.
Or se avverrà, che alcun dai versi miei
Concepisca veleno e tragga Tele,
Altri forse sarà rocn fìero ed empio,
Che raccolga da lor fruito d' esempio.
Sia modesto l'autor; cliè stenle carte
Men pudiche talor, curar non deve.
L' uso dei rezzi e II vaneggiar dell' arte
0 non è colpa , oppur la colpa è lieve.
Chi dalle rime mie d' Amor consparte
Vergogna miete, o scandalo riceve ;
Condanni, o scusi il giovenile errore,
Che se oscena è la penna, è casto il core.
Già sergenti ed ancelle avean levati
Dalle candide nappe 1 nappi d* oro,
In cui di cibi eletti e delicati
1 duo presi d' Amor preser ristoro ;
Onde poi eh' a versar flami odorati
Venne l' aureo bacln tra le man loro,
Sulh mensa volò lieta e florita
li bianco bisso ad asciugar le dita.
Attor dal seggio suo Venere aorta
Verso r nltlnia torre adduce Adone ;
Vìen tosto a disserrar l' aurata porta
L' ostier dell' amenissina magione.
Ignudo ha H manco braeclo,e l'unghia torta
y* affigge dentro, estringelo un falcone.
Le talpe, le testudini e V aragne
Son sempre di costui fide compagne.
Chiuso neir ampio e ben capace leno
È quel giardin, della maestra torre,
Degli altri assai più spazioso e pteno
Di quante seppe Amor gioie raccorre.
Un largo cerchio, e di l>eir ombre ameno
Viene un teatro sferico a comporre.
Ohe col gran cinto dell'eccelse mura
Protegge la gratissima verdura.
Adon va innanzi, e par che novo affetto
DI amorosa dolcezza 11 cor gji stringa.
Non fu mal d'atto molle osceno oggetto,
Che quivi agli occhi suoi non si dipinga.
Sembianti di lascivia e di diietto.
Simulacri di vezzo e di lusinga,
Trastulii, amori, o fermi H guardo, o girl.
Gli son sempre presenti, ovunque miri.
Sembra il felice e dilettoso loco
Pien d' angelica festa un paradiso.
Spira quivi il sospiro aure di foco.
Vaneggia il guardo e lussureggia II riso.
Corre a baciarsi con lo scherzo il gioco.
Stassi il diletto in grembo al vezzo assiso.
Scaccia lunge il piacer con una sferza
Le gravi cure e col trastullo scherza.
Chino la fronte e con lo sguardo a terra
L' amoroso pensler rode sé stesso.
Chiede conforto al duol,pace alla guerra,
li prego in atto supplice e dimesso.
Scopre negli occhi quel che li petto serra
Il cenno del desir tacito messo.
Sporge le labbra e V altrui labbra sugge
Il bacio, e nel baciar sé stesso strugge.
Sta l'adulazlon sovra le soglie
Del dolce albergo, e il peregrin vi guida.
La promessa l' invita, e in guardia II toglie;
La gioia l'accompagna, e par che rida.
La vanità ciascun che v'entra acooglie,
E la credenza ogni ritroeo aIBda.
La Hccheisa dì porpore vestita
Superbamente i suol tesor gii addita.
L'ADOtiS.
lat
Havri r osto, che langue e si riposa
Lento ed agiato, e in ogni passo siede.
Pigro e con fronte stupida e gravosa
Seguelo il sonno, e mal sostiensi in piede.
Ordir di giglio, incatenar di rosa
Fregi al suo crln la gioventù si vede.
Seco strette ha per mano in compagnia
Beiti, grazia, vaghezza e leggiadria.
Con i* ingordo desio ne vieo la speme
Perfida, adulatrice e lusingliiera.
Mascherati la faccia, errano insieme [ra.
L'accorto ingamio e la menzogna in schie-
Sparsa le chiome in sulla fronte estreme
Fuggendo va V occasion leggiera.
Baila per mezzo la letizia stolta.
Salta per tutto la iiceuza sciolta.
L' escae il focile io man, sfacciata putta,
Tien la lussuria, ed all' infamia applaude.
Baldanzosa i' infamia, ignuda tutta
Non apprezza e non cura onore, o laude.
Le serpi delta chioma orrida e brutta
Copre di vaghi fior V astuu fraudo ;
E il velen della lingua aspro ed atroce
Di dolce riso e mansueta voce.
Tremar Taudacia ai primi furti e starsi
Vedi smorto il pallor caro agii amanti.
Volan con lievi penne in aria sparsi
Gii spergiuri d'Amor vani e vaganti.
Con 1* Ire molli e facili a placarsi
Van le dubbie vigilie e i rozzi pianti ,
E le gioconde e placide paure ,
E le gioie interrotte e non secure*
Ride la terra qui, cantan gli augelli ,
Danzano 1 fiori e suonano le fronde,
Sospiran V aure e piangono i ruscelli ,
Ai pianti, ai canti, ai suoni eco risponde.
Aman le fere ancor tra gli arboscelli.
Amano i pcKl entro le gelid'onde.
Le pietre istesse e V ombre di quel loco.
Spirano spirti d' amoroso foco.
Addio, ti lascio, omai fin qui (di Giove
Disse là giunto il messagger sagace)
Per ignote contrade ed a te nove.
Averti scorto, o beli' Adon, mi place.
Eccoci alfine in sul confili, laddove
Ogni guerra d' Amor term'ma in pace*
DI quel senso gentil questa è la sede,
A cui sol di certezza ogni altro tede*
Ogni altro senso può ben di leggiere
Deluso esser talor da falsi oggetti ;
Questo sol no, lo qual sempre è dei vero
Fido ministro e padre del diletti.
Gli altri non possedendo li corpo intero^
Ma qualche parte sol, non son perfetti.
Questo con atto universal distende
Le sue forza per tutto, e lutto U prende.
Vorrei parlarne, e ti verrei solvendo
Più d' un dubbio sottii delle mie seoley
Ma tempo è da tacer, ch'io ben comprende
Che la maestra tua non vuol parole.
Io qui rimango ad Erse mia tessendo
Ghirlandelta di mirti e di viole.
Tu vanne e godi. Io so che in tanta gioie
Qualunque coBipagoia ti fora «noia.
Con un cenno cotal di ghigno astuto
Si rivolse a Ciprigna in questo dire ;
Poi smarrissi da lor, si che veduto
Non fu per più d' un dì fino ali' uscire.
Ma pria che desse V ultimo saluto
Ai duo focosi amanti in sul partire «
Dell'uno e l'altro in pegno di mercede
Giunse le destre, e gì' impalmò per fede.
Restar soletti in quell' orror frondoso
Poiché Mercurio dipartissi e tacque.
Rigava un fonie 11 vicin margo erboso.
In cui forte Natura si compiacque, [broso
L'acque inaffiano il bosco, e il bosso om»
Specchia sé stesso entro le limpid' aoqne.
Talché un giardino in duo giardhi distinto
Vi si vedea V un vero, e l'altro finto.
Porta da questo fonte umile e lento.
Per torto solco il picciol corno un rio.
Parrla vero cristallo e vero argento.
Se non se ne sentisse il mormorio.
D'oro ha l'arene, e quindi è sempre inteiUo
Di sua mano a raccorio il cieco Dio,
Onde fabbrica poi gU aurati strali ,
Strazio immorial de' miseri mortali.
In due rivi gemelli si dirama
L'amoroso ruscel, l' uno è di mele ,
Pien di quauu dolcezza il gusto brama.
L'altro corrompe il mei di tosco e fele.
Quel fel, quel tosco, onde armò già la fame
L' aspre saelte dell' arcier crudele.
Crudele arcier, che anco il materno seno
Infoilo d'amarlssimo veleno.
132
MARINO.
Dil relenoso e torbido compagno
Sen va diviso il flunilcel melato,
jOnde per canal d'or più d' un ligagno
Verga di belle lince il verde prato,
E sboccan tutte in un secreto bagno,
. ^b» nei centro dei bosco è fabbricato.
<4H cpiesto bagno morbido e soave
La^iiasclvia e il Piacer tengon la chiave.
Siede Éir uscio il Piacer di quell'albergo
Gm la Lascivia a trastullarsi inteso;
Giraon di varia piuma alato li tergo,
Ridepte il volto, e di faville acceso.
L'aurato scudo. Il colorato usbergo
CiaMli iiHl4inente ai pie disteso.
Torpe tra i fior pacifico gueitiero
L'elmo che una sirena ha per cimiero.
Curvo arpicordo dai vidni rami
Pende, e spesso dall'aura ha moto e spirto.
D'jsmubra tersa e sottile in biondi stami
Forcheggla il crine intortiglialo ed irto ,
Tutto impacciala di laccioli e d'ami ,
DI fresca rosa e di fiorito mirto.
Arco di bella e varia luce adomo
Gli fa diadema in testa, iride intorno.
Né di men bella, o men serena faccia
Mostrasi In grembo a lui la lusinghiera.
DI viti e d' edre I capei d'oro allaccia ,
DI canuti armellln guarda una schiera.
Un capro allato, e con la destra abbraccia
Il collo ad una libica pantera.
Regge con l'altra ad un troncon vicino
Ammiraglio lucente e cristallino.
Quivi al venir d' Adone e CIterea
Componendo del crin le ciocche' erranti ,
I dolcissimi folgori tergea
Delle luci umldette e sdntittantl.
Spesso a un nido di passere volgea ,
Ghesuli'arbor garrian,gii occhi incostanti,
E la succinta, anti discinta gonna
Scorciava più, che non conviensl adonna.
Ferirò llbeH'Adon di meraviglia
Quelle forme vezzose e lasf ivetie,
E con r alnu sospesa fai sulle ciglia
A contemplarle immobile ristette.
Ella d' un bel rossor tutta vermiglia,
Impadita da scherzi e iusinghelte.
Col suo drudi) per man, dall'erba sorse.
Ed al donaci, clie l' incontrava accone.
Vergata a liste d'or candida tela
DI solili seta e di filato argento
Vela le belle membra, e quasi vela
S| gonfia in onde e si dilata al vento.
E r interno soppanno apre e rivela
Tra i suoi voiazzl in cento giri e cento.
Crespa le rughe il lembo, e non ben chiude
L' estremità delle bellezze ignudo.
Dan' ali dell' orecchie ingiù pendente
Di due perle gemelle il peso porta.
Sostiene il peso di fin or lucente
Sferica verga in piccini orbe attorta.
DI smeraldi cader vezzo serpente
Si lascia al sen con negligenza accorta ;
Edella bianca man, che ad arte stende,
D' indiche fiamme il vivo latte accende.
Dell' estivo calòr, che mentre bolle.
Le infiamma il irolto di un incendio greve.
Schermo si fa d' uno stromento molle
DI piuma viepiù candida che neve ;
E per gonfiar di sua superbia folle
Con doppio vento il vano fasto e lieve,
V badi cristallo orientai commessi [si.
Duo specchi In mezzo, e si vagheggia in es-
Tese costei sue reti al vago Adone.
Ogni atto er' amo, ogni parola strale.
Rompea talor nel mezzo il suo sermone
Languidamente, e con dolcezza tale,
Che il diamante spezzar delia ragione
Potea, non che dei senso il vetro frale.
Parlava, e il suo parlar tronco e diviso
Fregiava or d' un sospiro, or d'un sorriso.
Se quanto di beltà nel volto mostri ,
Tanto di cortesia chiudi nel petto.
Che tal certo, diss' ella, agli occhi nostri
Argomenti di te porge l'aspetto ;
Venirti a sollazzar ne' chiusi chiostri
Non sdegnerai di quel beato tetto.
Nel tetto là, eh' io ti disegno a dito.
Come degno ne sei sarai servito.
Questi ( quei, se noi sai, che altrui conce-
Quel ben che può far gli uomini felici, [de,
Ognuno il cerca, ognuno il brama e chie-
Usan tutti per lui varj artifici.
Chi ritrovar nelle ricchezze il crede.
Chi nelle dignità, clil negli amici.
Ma raro il pie da questo albergo ei move
Né (fuorché nel mio grembo) abita altrove.
L'ADONE.
133
Del aozio Taso, ove ogni ma) sMoogHe,
Appena use), che fu chiamalo in cielo;
Ma gli oonvente. pria depof le spoglie,
Takbè ignudo v' andò seni* alcun vela
Scende dal del sovente In queste soglie ,
Dov'io gelosa agli occhi Indegni il celo.
Il celo altrui con ogni Industria ed arte,
Solo a qualche mio caro io ne fo parte.
Quando volò nell' immortai soggiorno,
Nacque nel mondo un temerario errore.
Del manto, eh* ei lasciò, si fece adomo
Un avversario suo detto Dolore.
Questi sen va con le sue vesti intomo ,
Sicché il somiglia ali* abito di fore;
Onde ciascun mortai preso all' inganno.
Invece del piacer segue l' affanno.
Io son poi sua compagna, lo son colei,
Che volgo in gioia ogni travaglio e duolo.
Da noi soli aver puoi , se saggio sei ,
Quel piacer de'placer,che al mondo è s(Ho.
De* suol seguaci e de* seguaci miei
È quasi fainumerablle lo stuolo;
Né tu del n^n felice esser di questi ,
Poiché giunger tant' oltre oggi potesti.
Qui lavarti conviene. A ciò t' invita
Il loco agiato e la stagion cocente.
Nòstra legge il richiede, e la fiorita
Tua bellezsa ed etade anco il consente.
Ma più quella beltà, che teco unita
Teco (o te fortunato) arde egualmente.
Non entra in questa casa, in questo bosco
Chi non vaneggia e non folleggia nosco.
A queste parolette Adon confuso
Nulla risponde, e taciturno stassi,
Che a tenerezte tante ancor non uso
TIen dimessa la fronte e gii occhi bassi.
Ma da più Ninfe é circondato e chiuso.
Che non voglion soffrir, che innansi passi.
Qnal dal bel fianco la faretra sdoglie,
Qual gli trae ladntura e qual le spoglie.
Ali' importuno stuol , che I* Incatena ,
Non sensa scorno il giovinetto cede ;
E salvo un lento vel, che il copre appena,
Nudo si trova dalla testa al piede.
Gira la vista alior lieta e serena
Alla sua Diva, e nuda anco la vede.
Che ogni sua parte più secreta e ghiusa
Confessa agli occhi, ed alla sefva accusa.
Elia tra 11 verde dell'ombrosa chiostra
Vergognosetta tratusl in disparte.
Sue guardinghe beilesie or cela,or mostra.
Fa di sé stessa in un rapina e parté#> «
Impallidisce, indi i pallori mostra.
Sembra caso ogni gesto, ed é tutt' ttft.
Giungon vaghesza ai vaghi membri fgB«dl
Consigliati disprezzi, incolti studi.- .
Copriala a prova ogniarbosoe! selvaggio
Con bracda di frondosa ombra conteste.
Perocché il Sol con curioso raggio
Spiar voiea quella beltà celeste.
Videsi di dolcezza ancora il faggio,
li faggio, onde pendean l'arco e la festb
Non posacndo capir quasi in sé stesso.
Far più germogli, e divenir più spesso.
Il groppo allor,cbe in sala fronte accolto
Stringea dei crine il lucido tesoro ,
Con la candida man tentato e sciolto
Sparse Ciprigna- in un diiuvio^d* oro ;
Onde a guisa d' un vel dorato e folto
Celando il bianco sen tra 1* onde loro.
In mille minutissimi ruscelli
Dal capo scaturir gii aurei capelli.
Celò il bel sen cott4* aureo vel, ma come
Appiattando la testa 11 cespo erboso,
Invan l' augel, che trae di Fasi II nome.
Crede tutto a chi il mira essersi ascoso;
Cosi sebben daile diffuse chiome
Fece all'altre bellesse on manto ombroso.
Scopriva Intanto Infraquell* ombre aurate
Sol nel Sol de' begli occhi ogni beliate.
Oltre che di quel Sol chiaro e sereno
Quella nube gentil non splendea manco.
Ella pur cerca or II leggiadro seno ,
Velarsi, or il bel tergo, or il bel fianco.
Ma le fila dell' or tenersi a freno
Suir avorio non san lubrico e bianco ;
E quel che di coprir la man si sforza.
Audace ventloel discopre a forza.
Vanno al gran bagno. Or daD'anfldie car-
Di Baia e Cuma 11 paragon si taccia, [te
In un quadro peifetto é con bdl' arte
Disposto, ed ogni fronte é cento braccia.
Di ben comodi alberghi in ogni parto
Qnto, e tre ne contlen per ogni faocia. "
Camere e logge in tripUcnta fila
Vi ainnno, ed ogni stanza ha la sua pila.
tu
MARINO.
In mezxo ali* edificio alto si scorge
Piantato di diaspro un gran pilastro,
Per le cui vene interne il fonte sorge.
Forate si da diligente mastro,
Che per dodici canne intorno porge
L* aeque in vasi d' acate e d' alabaslrob
E d' argento ogni canna assai ben tersa.
Come d* argento son 1* acque cbe versa.
Vansl r acque a versar, ma pigre e lente
In ampie concile. di forbiti sassi.
Sicché raccor si può I* umor cadente
Dal I*ordin primo de' balcon più bassL
Pigra dico sen va V onda lucente ,
E BOfe tardi i cristallini passi.
Che in si ricco canal mentre s'aggira
Le sue delixie aubiaiosa ammira*
E quindi poscia per occulta tromba
A sua propria magfon passa ciascuna ,
E traboccando con fragor rimbomba.
Tanto lucida più, quanto più bruna.
Rassembra ogni niaglonspelonca,o tomba.
Per la luce del Sol luce di Luna.
Pallido v' entra per anguste vie«
Tanto cbe non v' è notte, e noa v* è die.
11 portico, a cui 1* ondalo grembo piove,
Serie di curvi fornici sostiene.
Fregiano il muro interior, là dove
L* umido gorgo a scaricar si viene ,
Marmi dipinti in strane fogge e nove
Di belle macchie e di lucenti vene.
Luslngan d' ogni intorno i bei riposi
Covili opachi e molli seggi ombrosi.
Ma nulla opra mortai Tarte infinita
Della cava testudine pareggia,
Che di pietre mirabili arricchita
Splende e gemma plebea non vi lampeggia.
V ha quelche '1 elei e quel che 1* erba imita
V ha quel che emulo al foco arde e rosseg-
Siucchi non vi ha, ma di sotti 1 lavoro [già {
Smalli sol coloriti in lame d'oro»
Tra* bd coofin delle gemmate rive
Si serena traspar 1* onda raccolta ,
Che 1 non suoi fregi usur^ e in sé descrive
Tutti gU ODor della superba volta.
Non Unto forse in si beli' acque e vive
fidegaeria Ghiiia esser veduta e coita.
Forse in acque al belle il suo bel viso
Meglio amerla di vagheggiar Narciso*
Quloci4)eoso, addivien, che la loquace
Già Ninfa, clie per ini mula si taoqut»
Di abitar fatta voce or si compiace
Dov* ei di vaneggiar gii si compiacque.
Quivi de* detti estremi ombra seguicft
D* arco in arco lontaa fugge peri' acque ;
E qual d' Olimpia entro l' eccelsa mola.
Moltiplica risposte alle parolew
Venne allor l' una coppia, e l' altra scor-
De' bei lavacri al più vicin recesso i [ se
Né molto andò, che quindi uscir s'
D' accenti e baci un fremito
Adone a quella parte il passo tone
Tanto che per veder si fé' dappresso, [le»
Vide, e gli cadder gli occhi ùi fondo ai fon-
TanU vergogna gli gravò la fronte.
Su la sponda d' un letto ha quivi soorio
Libidinoso satiro e lascivo.
Che a bellissima Ninfa in braccio attorto
Il fior d'ogni piacer coglie furtivo^
Del bel tenero fianco al suo conforto
Palpa con una man l' avorio vivo. i[ sta ,
Con l' altra, che ad altr* opra intenta aoco-
Tenta parte più dolce e più riposta.
Tra' noderosi e nerboruti amplessi
Del robusto amator la giovinetta
Geme, e con ocelli languidi e dimessi
Dispettosa si mostra e sdegnosetta*
In viso invola ai baci ingordi e spessi ,
E nega il dolce, e più negando allettai
Ma mentre si sottragge, e gliel contende,
Nelle scaltre repulse 1 baci rende.
Riirosa a studio, e con sdoccheueaccor-
Svllupparsi da lui talor s'infinge, [le
E intanto tra le ruvide ritorte
Più s'incatena e più l' annoda e cinge.
In guisa tal, che non giammai più forte
Spranga legno con legno inchioda e strin-
Flora non so, non so se Frine, o Taide [gè.
Trovar mai seppe oscenità si laide.
Serpe nel petto glovenile e vago
L' alto piacer dell' Impudica vista ,
Che alle forze d' Amor tiranno e mago
Esser non può, che un debol cor resista ;
Anzi dall' esca della doke Imago
L' ineitato desio vigore acquista t
E stiiaolato al naturai suo corso.
Maraviglia ìu>n Ila, se rompe il morso.
L'AIKffiE.
116
E U saa Dea, che d'amorosi sodi
Ha stretto U core, a seguitarlo intenta,
Con detti arguti e con astuti modi
Por tra via motteggiando il punge e tenta.
Godi par (dicea seco) il frutto godi
De' tuoi dolci sospir, coppia wnienta ,
Sosptr ben sparai e lien versati pianti ,
FeUci ODori e più feiid anuntt
Sia Fortima per voi. Non so se tanto
Pia cortese per me clii m* imprigiona.
Coal favella ai suo bel Sole accanto ,
E sorride la Dea, mentre ragiona.
Facendo pur del destro braccio intanto
Al SBO fianco sinistro eburnea sona.
E gli colei , che gì' introdusse quivi ,
Spargea dal suo focil mille Uicentivi.
Come fianuoa per fiamma accresce foco,
Come face per face aggiunge lume ,
0 come geminato a poco a poco
Prende fora maggior fiume per fiume;
Cod il fanciullo all' inonesto gioco
Raddoppia Incendio, epar che si consume,
E tutto in preda alla lascivia Ingorda
Della modestia sua non si ricorda.
Già di sé stesso già fatto maggiore
Drizzar si sente al cor l'acuto strale,
Tanto di' ornai di quei focoso ardore
A sostener lo stimolo non vale;
Onde anelando 11 gran deslr, che il core
Con sollecito spron punge ed assale ,
E bramoso di farsi a pien felice.
Pur rivolto alla Dea , la bacia e dice :
io moro, lo moro, ohimè, se non mi dona
llpportuna pietà matura aita.
Se di me non vi cai , già si sprigiona,
Già pendente al suo fin corre la vita.
Ferve la fiamma, ed imminente e prona
L'anima già prorompe in su l'uscita.
Quella beltà, per cui convien eh' io mora.
Suscita con gli spini i mcmlNi ancora.
Tostodie a dolce guerra Amor protervo
MI venne oggi a sfidar con tanti vezzi ,
Tesi anch' io l' arco, ed or già temo il nervo
Per soverclilo rigor non mi si spezzi.
Non posso più, deli' umil vostro servo
Il troppo ardir non si schernisca, o sprezzi.
Che vorria pur (come veder potale)
Delia gloria toccar V ultime mele.
Cosi parlando, e della lieve spoglia.
La falda alquanto In languid' atto aperta,
L' impazienza dell' accesa voglia
Sena' alcun vel le dimostrò scoverta.
Soffri , disse ella allor, fioche ■'accaglia
Apparecchio miglior, la speme è certa.
Dalla Comodità , mia fida ancdfai ,
Data in breve ne fia stanza più bella.
Ritardato piacer ( portalo In pace)
Nelle dilazion cresce non poco.
Bastiti di saper, che mi disface
Di reciproco amor scambievol foco.
Teco in sull'ora della prima face
Mi avrai, ti giuro, in più secrtto Io€a.
Fa pur buon cor, tien la mia fede in pegao.
Tosto avverrà che In porto entri il tuo lo-
[gno.
Come a fiero talor veltro d'Irlanda
Buon cacciator, che infuriato II veda ,
Benché venga a passar dalla sua banda
Vicina assai la desiata preda ,
La libertà però, che gli dimanda ,
Non cosi tosto awieo , che gli conceda ;
Anzi fermo e tenace ad ogni crollo
Tira il cordoo, che gì' imprigiona 11 collo;
Cosi nemmen, per più scaldar l'aflietto
Nei diflicii goder l' amante accorta ,
Mentr'ei volea del suo maggior diletto
Con la chiave amorosa aprir la porta,
DI quel primo appetito al giovanetto
L' Unpeto aflrena e il bacia e il riconforta.
Poi con la bella man quindi il rimove ,
E r invita a girar le piante altrove.
Può da que' chiusi alberghi all'ampia corte
Libero nsdr per più d' un uscio il piode ;
E scritta delle stanze in su le porle
D' ogni lavanda la rirtù si vede.
Ciascun* acqua ha virtù di varia sorte ,
Come l' esperienza altmi la fede.
Qual >lgor, qual sapore In sé coategna
li tatto e il gusto espressamenie flasegnu
0 miracol gentil , vena che aoorrc
D' un sasso solo in varie urne stufante.
Come possa distinte in sé raccorrà
Doti diverse e qualità cotante.
Chi può di tutte 1 propri effetti esporrti
Qual più , qual meno è gelida, o fuonoCg^
Altra più lorbktetta, altia più chiara.
Altra dolce, altra salsa ed altra «aara.
tu
MARINO.
La tenpra di quell'onde, ove fu posta
La bella Dea con ridol suo gradito.
Del Tonte Insidioso era<eonipo8ta,
Gho congiunse a Salmace Ermafrodito ,
E in «è tenea proprietdl nascosta
Di rinfiammare 11 tepido appetito,
Oltre r erbe, che infuse erano in essa.
Dotate pur della vlrtute totessa.
Vi era il fallo e 11 satlrio in cui figura
Oscene forme il fiore e la radice.
La menta che salace è per natura ,
L'eruca degli amori irritatrice.
E fi era di altri semplici mistura.
Già di Lampsaco colti alla pendice.
Amor, ma dimmi tu , nel bel lavacro
Qual fu nudo a veder quel corpo sacro.
Non cosi belle con le chiome sparse
Quando alla prima ingiuria il mar soggiac-
Ai duci d'Argo vennero a mostrarse [que.
Le vessose Nereidi in meno air acque.
Tal mai non so, se la sua stella apparse
Qualor dall* Ocean più chiara nacque.
Pare 11 bel volto il Sol nascente , e pare
Il seno r alba, e quella conca il mare.
Simulacro di Ninfa inciso e fatto
Di qual marmo più terso In pregio saglia.
Posto in ricca fontana, obel ritratto
D* avorio fin , cui nobil fabbro intaglia ,
Somiglia appuntoalla bianchesza, air atto
Se non che il moto sol la disagguaglia ;
E la fan differir dal sasso scolto
L'oro del crin, la porpora del volto.
Al folgorar delle tremanti stelle
Arser gli umori algenti e cristallini ,
Ed avvampar d'Insolite fiammelle
L' umide pietre e 1 margini vicini.
Vedeanai accese entro le guance belle
Dolci fiamme di rose e di rubini ,
E nel bel sen per entro un mar di latte
Tremolando nuotar due poma Intatte.
Or qual fortuna in sulla fronte ammassa
L- ampio volume della treccia bionda.
Or qual cometa andar parte ne lassa
Dopo le terga ad indorar la sponda.
Aura talor che la scompiglia e squassa ,
Fa rincresparla,ed ondeggiar con i' onda.
Onde il crin rugiadoso e sparso al vento
Oro parca , che distillasse argento*
Parca battuta da beltà sì cara
Disfarsi di piacer I* onda amorosa ,
E bramava Indurarsi , e spesso avara
In sen la si cbiudea , quasi gdosa.
Ghiudeala, ma qual prò, se era si chiara.
Che mai teaeala al bell'Adone ascosa?
Però che tralucea nel molle gelo
Come suol gemma In vetro,o lampa In velo.
0 qual gli move al cor lascivo assalto
L'atto gentil, mentre si lava e terge.
Or nell'acque si attufla , or sorge In alto.
Or le vermiglie labbra entro v'immerge.
Or di quel molle e cristallino smalto
Con la man bianca il caro amante asperge,
Ora 11 sen se ne spruxsa , ed or la fronte ,
E fa d' alto piacer piangere 11 fonte.
Adone anch' egli dei leggiadri arnesi
Scinto, e pien di stupore e di diletto.
Sotto effigie gelata ha spirti accesi ,
Agghiacciando di fore, arde nel petto;
E mentre ha gli occhi al suo bel foco Intesi ,
Svelle dalle radici un sospi retto
Così profondo e fervido d'amore.
Che par che sospirar si voglia 11 core.
Ahi qual m'abbaglia, sospirando dice,
Folgore ardente e candido baleno ?
Qual vibrar veggio, spettator fdice ,
Fiamme 1 begli occhi, e nevi 11 bianco seno?
Forse del del, dell' acque abitatrice [no.
Fatta è quesf ahna, o questo è un del terre-
Traslato è In terra il del. Venga chi vole
In aquario quaggiù vedere il Sole.
Beltà, cred' lo, non vide In vai di Xanto
Paride tal nella medesma Diva;
Né d' amoroso foco arse cotanto
Quando mirò la malmirata Argiva ;
Qual io la veggio alletutrice , e quanto
Sento l'ahna stemprarmi In fiamma viva ;
Fiamma , di cui maggior non so se fussc
Quella che la sua patria arse e distrusse.
Dimmi , padre Nettun , se ti rimembra
Quand' ella usci delle tue salse spume ,
Dì, se vedesti nelle belle membra
Tanto splendore accolto e tanto lume?
Dimmi tu sol , quella beltà non sembra
Oggi maggior del solito costume ?
Maggior, che quando In cid fosti di lei
Invido testimonio agli altri Del?
L'ADONE.
Fosti meo fortunato Endlmione ,
Indegno di mirar quel eli* oggi io miro,
Quando a te scese dal sovran balcone
La bianca Dea dell'argentato giro.
Cedimi, cedi , o misero Atteone,
Che io per più degno oggetto ardo e sospi-
E diflèrente è ben la nostra sorte , [ro ;
Ch'Io ne traggo la tita, e tun' hai morte.
0 bellezza immortai, perchè nell'onde
Ti lavi tu, se son di te men pure?
L'acque alle macchie tue divengon monde,
E fansi belle con le tue brutture.
Deh poiché a si soavi , e sì seconde
Destinato son io gioie e venture.
Ch'io ti lavi e t'asciughi ancor consenti
Con vivi pianti e con sospiri ardenti.
E se è ver, che ne* fonti anco e ne' fiumi
Amoroso talor foco sfavilli.
Fa che come Aci in acqua lo mi consumi,
E come Alfeo mi liquefacela e stilli.
Forse raccolto tra cerulei Numi ,
IDrando I fondi miei chiari e tranquilli ,
Fla che neU^stagion contrarla al ghiaccio
La bella fiamma mia mi guizzi In braccio.
Cosi discorre, e intanto i freddi umori
PreodoB vigor dall'amorose faci.
Amor gli stringe, e stringel corpi e 1 cori
Con lacci indissolubili e tenaci.
Del nodo , che temprò que' fieri ardori ,
Fé' catene le braccia e groppi' 1 baci ;
E con la propria benda ai vaghi amanti
Forbì le membra gelide e stillanti.
Giunto era li Sol del gran viaggio al fine
Lasciando ai suo sparir smarriti I fiori.
Facean scorta ai silenzj ed alle brine
L'ombre volanti e i sonnacchiosi orrori.
Ghludea la notte in bruno velo il crine
Mendica de' suoi soliti splendori ,
Che la stella d'Amor, d'amore acoesa
In del non venne, ad altro ufficio intesa.
Cameretta riposta , ove consperse
Oiezzan l'aere d'alili soavi.
Al solleciti cori Amore asperse,
Amori' uscler, che ne volgea le chiavi.
Tutte Incrostate , e qual diamante terse
Vi ha di fino cristallo e mura e travi ,
Che con lusso superbo, ove altri miri ,
Son specchi agli occhi e mantici al deslri.
Talamo sparso di vapor sabeo '
Cortine ha qui di porpora di Tiro.
Quel che per Arianna e per Lieo
D'indiche spoglie le Baccanti ordirò,'
Quel che a Tetl le Ninfe ed a t^eleo
Fabbricar di corallo e di zaffiro ,
Povero fora al paragon del ietto.
Che è dalle Grule al lieti amanti eretto.
Splende il letto real di gemme adonio ,
E colonne ha di cedro e sponde d' oro.
Fanno le coltre all'Oriente scorno ,
Vincono gli origlieri ogni tesoro.
Purpurea tenda gli distende intorao
Fregiato un del di barbaro lavoro.
Biancheggiano fra gli ostri e fra 1 rubini
Morbidi bissi ed odorati lini.
Quattro strani sostegni ha ne' cantoni ,
Su le cui cime il padiglton s' appoggia.
Son fatti a guisa d' arbori a tronconi
D'oro e smeraldo in disusata foggia.
Qui quasi in verdi e concave prigioni ,
Stuoi d' augellini infra le fronde alloggia ,
Onde se alcun talor scote la pianta ,
Ode concerto angelico che canta.
Questo fu 11 porto, che tranquillo accolse
La nobll coppia dal dubbioso flutto.
Qui del sem(( d' Amor la messe colse.
Qui vendemmiò de' suoi sospiri il frutto.
Qui tramontando il Sol , Vener si tolse
D' Adon pio volte il bei possesso in tutto ;
E qui per uso ai tramontar di quello
Spuntava agii occhi suoi l' altro più bello.
Da che la queta, oscura umida madre
Del silenzio e del sonno i colli adombra,
Finché le bende tenebrose ed adre
Il raggio mattutin lacera e sgombra ,
DI qudle membra candide e leggiadre
Gode la Dea gli abbracciamenti all' ombra.
Senza luce curar, se non la cara
Luce , che le sue tenebre rischiara.
E dall' Orto ancor poi fin all' Occaso
Sei cova In grembo , e con le braccia infa-
Motte e di sempre è seco; e se per casofscia.
Di necessario affar talvolu il lascia.
Che fia brev' ora senza lei rimaso,
Sentesi sospirar con tanta ambascia ,
Che aver sembra nel cor la fiamma tutta ,
Che Troia acoese e Nongibdlo erutu.
138
MARINO.
Quando il rapido Sol per dritta verga
Poggiando a mezzo il del fende le piagge.
Là *ve de' monti le frondose terga
Tesson verde priglon d' ombre selvagge.
Per soggiornar dove il suo bene alberga
Solitaria sovente U pie rilragge,
E gode 0 lungo un Aume, o sotto un speco
Partir 1* ore ^ i pensieri e i detti seco*
E sempre in suo desir costante e salda
0 siede , o giace , o sclicrza il di con esso,
Concorde all' acque dell' ombrosa falda
Freme de' baci il mormorar sommesso.
Nò raggio d' altro Sol la fiede , o scalda,
Cile de' begli occld , in cui si specchia spes-
Nè sul meriggio estivo aura cocente , [ so ;
Se non sol quella de' sospir, mai sente.
Yassene poi per questa riva e quella
L' orme seguendo dell' amate piante.
Predatrice di fere ardila e bella.
Del caro predator compagna errante ,
E r arco in mano , al fianco le quadrella
Porta talor del fortunato amante ,
Talché ogni Fauno ed ogni Dea silvana
Gli crede. Apollo l' un , l' altra Diana.
Così qualor giovenca giovinetta
Sen va per campi solitari ed ermi.
Tenera si, che calpestar l'erbetta
Ancor non sa con pie securi e fermi.
Né curva in sfera ancor piena e perfetta
Della fronte lunata l novi germi,
Seguela, ovunque va, per la verdura
La torva madre, e la droonda e cura.
Fatta gelosa è si di quel bel volto.
Che teme Amor d'amor non se n'accenda.
Teme non Borea In turbine disdolto
Dalle nubi a rapirlo In terra scenda.
Teme non Giove in ricca pioggia accolto
\ sì rara bellezza insidie tenda.
Vorria poter cdar luci sì lielle
Alla visu del Sole e delle sielle.
Se si rischiara 11 mondo, o se s'Imbruna ,
Spieghi, 0 pieghi la Notte li fosco velo.
Dell' Aurora ha sospetto e della Luna,
Che a le i noi furi, e non sd porti in delo.
Odia, come rivai, l' Aura Importuna ;
Gli augelli, l trondii,! fior l'empion di gelo.
Ha quasi gdosia de' propri bad,
De' propri sguardi suoi troppo voraci.
Sotto le curve e spaziose spalle
D' un Incognito al Sol poggio frondoso.
Cinto da cupa e solitaria valle
Si appiatta iu cavo sasso antro uniscala.
Raro de' suol recessi il chiuso calle
Altri tentò , die il sonno, e che il riposo.
L' ombre sue sacre, i suoi riposti orrori
E fere reveriscono e paalod.
Questo, r arte imitando, avea Natnxa
Di rozzi fregi a meravìglia adorno.
L' avca con vaga e rustica pittura
Sparso di fronde e fior dentro e d'inlorao.
Gli fea d' appio e di felce un' ombn oscura
Schermo all' ingiurie dd cocente giorno*
Difendea l' edra Incontro al Sol l'entrata
DI cento liracda e cento branche <
Qui spesso ricovrar da' camp* aprid
La bellissima coppia avea costwne,
E in liet' ozio passar l' ore felid ,
Secura dall' ardor del maggior lane»
Eran de' sonni lor l' aure nutrid ,
Cortinaggi le fronde e l' erbe piuae.
Secretarle le valli , le montagne,
E l'erme solitudini compagnew
Incontro al biondo arder, che foigoraml
Dritto dall' arco d' or scoccava i raggi.
Scudo laccano al duo felid amanti
Con torte braccia i briarel sdvaggi»
Mossi dall' aure vane e vaneggianti ,
Con alterni susurri abeti e faggi
Pareano dire (e lìngua era ogni fronda)
Più ne notrisce Amor, che U Soie e l'onda.
Or quivi un di fra gli altri ecco die staacd
Tornar di caccia, ed anelante il vede, [co
L'or biondo e crespo,il terso avorio e bèan-
Tre volte e quattro a rasciugar gii rieile.
Gli fa catena delle braccia ai fianco, [de ;
Sei reca In gremixx^e In grembo all'erba aie-
E In vagheggiando lui , che l' Invaghisce,
Pur come aquila al Sol, gii occhi nutrisce.
Tien le lud alle lud amate e Me
Congiunte il seno al sen , il viso ai viso.
Divora e bee, qualora d bada, o ride.
Con la liocca e con l'occhio il i>ado e il ri*
Deh chi dagli occhi miei pur ti divìde [so.
0 non da' miei pensier giammai diviso ?
Qual altra esser può mai cura, die vaglia
A far, die dd mio duoi natta ti caglia.
L'ADONE.
189
Or mi av veggio ben io , che d' egual foco
((^iii creduto ravria?) meco non ardi ,
E che formi Ulor, siccome poco
Avvexao a ben amar, vezzi bugiardi*
Poiché posposto alla fatica il gioco.
Dalle tue cacce a me torni si tardi ;
E curi (come suole ogni fanciullo)
Più che tuu* altro, un pueril trastullo.
Cosi dicendo, col bel vel pian piano
Gli terge i molli e ferridi sudori ,
Vive rugiade, onde il bel viso umano
Riga i suoi freschi e mattutini fiori.
Poi degli aurei capei di propria mano
Coglie le fila, e ricompon (^ errori ;
E di lagrime il bagna, e mesce intanto
Tra perle di sudar perle di pianto.
Ed «gli a lei : Deh questi pianti asciuga,
Deh cessa ornai queste dolose note.
Pria seminar di neve, arar di ruga
Tu vedrai queste chiome e queste gote.
Che mai per altro amor sia posto In fuga
L* amor che dal mio cor fuggir non potè.
Se tu fiamma mia cara immortai sei ,
Immortali saran gì* incendj miei.
Per quella face, onde infiammato lo fui ,
Giuro e per quello strai che il cor m'offende.
Giuro per gfi occhi e per le chiome in cui
Lo strale indora Amor, la face accende;
Che Adon fia sempre tuo, uè mal d' altrui,
Tal è quel Sol» che agli occhi suoi risplen-
S' altro che il ver ti giuro, o bella mia, [de.
Di superbo dnghial preda mi sia.
Ed ellaalui : Se tu, ben mio, sapessi
Quanto sia dolce essere amato amando,
E quanto è duro, esperienza avessi ,
Lunge dall' amor suo girsene errando.
Di scambievcHe amor segni più espresai
Mi daresti talor meco posando,
E saremmo egualmente amanti amad
Tu coatentO) io felice, ambo beatL
È ver, che nulla il bel pensiero affrena.
Che sempre ali* occhio il caro oggetto ap-
In alme strette di leal catena [pressa.
So che per lontananza amor non cessa.
Dividale se può libica arena ,
Oceano profondo, alpe Inaocesaa ,
Pur lasciare il suo bene è peggio assai,
VM desiarlo, e non goderlo mal.
Godiamci^amiamci. Amor d'amor merce-
Degno cambio d'amore è solo amore, [de,
Fansi in virtù di un'amorosa fede
Due alme un' alma, eson due cori un core.
Cangia il cor, cangia l'alma albergo e sede.
In altrui vive. In sé medesma more.
Abita amor l'abbandonata salma,
E vece vi sostien di core e d'alma*
0 dolcezza ineffabile. Infinita ,
Soave piaga e dilettosa arsura.
Dove quasi fenice incenerita
Ha culla insieme il core, e sepoltura;
Onde da duo begli occhi afana ferita [ra,
Muor non morendo, e il suo morir noneo-
E trafitta d'amor sospira e langue
Senza duol, senza ferro e senza sangue.
Cosi dolce a morir l' anima Impara
Esca fatta all'arder, segno alio strale,
E sente in fiamma dolcemente amara
Per ferita mortai morte immortale*
Morte, che al cor salubre, ai sensi cara
Non è morte, anzi è vita, anzi è natale.
Amor che la saetta e che l' incende,
Per più farla morir, vita le rende.
Or se risponde il tuo volere al mio,
E son conformi i miei desiri ai tuoi ;
Se quanto aggrada a te, tanto bram'lo,
E quanto piace a me, tanto tu vuoi ;
Se è diviso in due petti un sol desio,
Ed è comune un' anima tra noi;
Se ti prendi il mio core, e il tuo mi dal ,
Perchè del corpi un corpo anco non lai?
i 0 dell' anima mia dolce favilla,
0 del mio cor dolcissimo martiro,
0 delle luci mie luce e pupilla,
0 mio vezzo, o mio bacio, o mio sospiro.
Volgimi quegli, onde ogni grazia stilla ,
Fonti di puro e tremulo zaffiro.
Porgimi quella, ove m'è dato in sorte
In coppa di rubino a ber la morte*
Quel begli occhi mi volgi. Occhi vIuU,
Occhi degli occhi miei specchi lucenti.
Occhi faretre ed archi , e degU strali
Intinti nei piacer fucine ardend.
Occhi dei elei d' amor stelle frtall,
E del Sol di beltà vivi orienti;
Stelle serene, la cui luce betta
i Può far perpetua eclisse alla mia stella.
140
MARINO.
Quella bocca mi porgi. 0 cara bocca.
Della reggia del riso uscio gemmato,
Siepe di rose, in cui saetta e snocea
Viperetta amorosa aral>o fiato.
Arca di perle, onde ogni ben tral)occa ,
Cameretta purpurea, antro odorato.
Ove rifugge, ove s'asconde Amore
Folcile ha rubato un'alma, ucciso un core.
Tace , ma qual fla stii che di ciascuna
Paroletta 11 tenore a plen distingua?
Certo indegna è di lor, se non queir una,
Che le forma si dolci , ogni altra lingua.
Si parìando, e mirando ebbra e digiuna
Pasce la sete sì« non che l'estingua;
Ami perchè più arda e si consumi ,
Bada le dolci labbra e i dolci lumi.
Bada, e dopo II badar mira e rimira
Le badate bdlene , or questi , or quella.
Ribada , e poi sospira e risospira
Le gustate dolcezxe or egli , or ella.
Vlvon due vite in una vita , e spira
Confusa in due favelle una favella.
Giungono 1 cori in sulle labbra estreme,
Corrono l'alme ad intrecciarsi insieme.
Di note ad ora ad or tronche e fugad
Risona l'antro cavernoso e scabro.
Dinuni, o Dea, dice V un, questi tuoi baci
Movon cosi dal cor, come dal labro?
Risponde 1* altra : Il cor ndle mordad
Labbra si bacia. Amor del bacio è fabro.
Il cor lo stilla , il labbro poi lo scocca ,
Il più ne gode l'alma. Il men la bocca.
Bad questi non son , ma di concorde
Amoroso desio loquaci messi ,
Parlan» tacendo In lor le lingue ingorde ,
Ed h«n gran sensi In tal sllentio espressi.
Son del mio cor,che II tuo badando morde,
Muti accenti 1 sospiri e 1 baci istessl.
Rispondonsl tra lor l' anime accese
Con voci sol da lor medesme intese.
Favella II bado, e del sospir, del guardo
( Vod anch' essi d' amor ) porta le palme ,
Perchè al centro del cor premendo 11 dardo
Sulla cima d' un labbro accoppia l' alme.
Che soave ristoro al foco , ond' ardo ,
Compor le bocche, alleggerir le salme?
Le bocche, che di nettare bramose
Han la sete e li llcor, son api e rose.
Qud bd vermiglio che le labbra Inostra,
Alcun dubbio non ha, che sangue sia.
Or se nel sangue sta l'anima nostra ,
Siccome I saggi pur vogllon che stia ,
Dunque qualor baciando entriamo In gio-
Bacia l' anima tua V anima mia , [stra
E mentre tu ribaci , ed lo ribacio ,
L'alma mia con la tua copula 11 bado.
Slede nel sommo dell'amate labbia.
Dove 11 fior degli spirti è tutto accolto ,
Come corpo animato In sé pur abbia ,
Il bado che dall'anima vien tolto.
Quivi non so d'amor qual dolce rabbia
L'uccide , e dove muor resta sepolto :
Ma lA dove ha sepolcro , ancora poi
Baci divini il suscitate voi.
Mentre a scontrar si va bocca con bocca,
Mentre a ferir si van baci con baci ,
SI profondo piacer l' anime tocca ,
Che apron l' ali a volar, quasi fugad ;
E di tanta che in lor dolcezsa fiocca ,
Essendo 1 cori angusti urne Incapad ,
Versanla per le labbra , e vanno In esse
Anelando a morir l'anime Istesse.
Treman gli spirti infra i più vivi ardori
Quando li bado a morir l'anima spinge.
Mutan bocca le lingue , e petto 1 cori ,
Spirto con spirto, e cor con cor si stringe.
Palpitan gli occhi , e delle guance 1 fiori
Amoroso pallor scolora e tinge ; •
E morendo talor gli amanti accorti
Ritardano II morir per far due morti.
Da te l'anima tua morendo fugge.
Io moribonda in sul baciar la prendo ;
E in quel vltal morir che ne distrugge ,
Mentre Ifi tua mi dai , la mia ti rendo ;
E chi mi mira sospirando , e sugge ,
Suggo, sospiro anch' io, miro morendo ;
E per morir quando ti bado, e miro ,
Vorrei che anima fosse ogni sospiro.
Fa dunque anima mia , l'altro le dice ,
Ch' io con vita Immortai cangi U morte.
Voli l'anima al cid sì che felice
Sia degli etemi Dei fatta consorte.
Fa eh' io viva, e eh' lo mora, e (sedò lice )
Fa eh' io riviva poi con miglior sorte.
Dolcemente languendo all' Istess'ora
Fa che io bocca lo ti viva , in sen ti mora.
L' ADONE.
141
Un albergo medesmo in quei dolci ostri
Unisca il mio desir col tuo desire.
Le nostr' anime, i cor, gli spirti nostri
Vadano Insieme a vivere e morire.
Ferito a un punto il ferltor si mostri ,
Pera la feritrice io sul ferire ;
Onde mentre eli' io moro e che tu mori.
Ravvivi il morir nostro i nostri ardori.
Sostien, diietta mia, che a mio diletto
Senaa cessar dalle tue labbra io penda.
Ma col labbro vermiglio 11 bianco petto
Avarixia di amor non mi difenda.
Né quei begli occhi al mio vorace affetto
Dispettoso rigor , prego, contenda.
Morendo io vivrò in te , tu in me vivrai ,
Cosi ti renderò quanto mi dai.
Se nulla è hi noi di nostro, e non v' ha loco
€osa, che possa tua dirsi , né mia;
Se 11 mio cor non è mio molto né poco ,
Come il tuo credo ancor che tuo non sia ;
Poicliè tu sei mia fiamma , io son tuo foco,
E dò che brama l'un l'altro desia;
Poiché di propria mano Amore ha fatto,
E fermato fra noi questo contratto.
Consenti pur eh' io ti ribaci e dammi ,
Ch'Io te, come tu me stringa ed abbracci.
Pungi , ferisci , uccidi e svenir fammi
Finché l'anima sudi, e li core agghiacci.
Te l' ardor mio, me la tua fiamma Infiammi,
E me teco e te meco un laccio allacci ,
Perpetuo moto abblan le lingue, e doppi
SIen delle braccia e delle labbra I groppi.
Per mesxo 1 fior delle tue labbra molli
Amor qual augellln vago e venoso
Con cento suoi fratei lascivi e folli
Vohi schersando, e vi tien l' arco ascoso.
Né vuol ch'io le mie fami Ivi satolli ,
Delle dokeise sue quasi geloso,
Che tosto ch'io per mitigar l'ardore
Ne colgo un bacio, ci mi trafigge II core.
Ma qualor da lui scampo, e là rifuggo,
Dove ha più di vermìglio il tuo bel viso.
Più dolce ambrosia ( o me beato) io suggo
Di quella che si gusta in paradiso.
Zcfllretto soave, ond'io mi struggo.
Sento spirar delie tue rose al riso.
Lo qual del foco , che II mio cor consuma,
Ventilando l' ardor, viepiù l'alluma.
No che baci non son questi eh' io prendo,
Son delia tlolce Arabia aure odorate,
D' una soavità eh' lo non intendo.
Più che di cinnamomo imbalsamate.
Son profumi d'Amor, ch'ei va traendo
Dall'incendio deli' alme innamorate.
Par che abbia in queste porpore ricetto
Quanto mele han Parnaso, Iblaed Imetto.
Felice me, che meritar potei
Quel dolce mal , che unto ben mi ha fatto.
Ma son ben folle ne' diletti miei.
Che bacio, e parlo in un medesmo tratto.
È si grande il piacer, che non vorrei
La mia bocca occupar,fuor ch'in quest'at-
E con la bocca istessa II cor si dole, [to.
Quando 1 baci dan luogo alle parole.
Ed lo, die' ella , che fruir mi vanto
Gloria Infinita In quel superni seggi,
Non provo colassù diletto tanto,
Che alla gioia presente si pareggi.
Prendi pur ciò che chiedi , e chiedi quanto
Di me ti place , a tuo piacer mi reggi.
Ecco a plcclole scosse a te, mio bene.
Sospirando e tremando. Il cor aen viene.
Deh nel core, o mio cor, omai m' avventa
Quella lingua d'Amor dolce saetta,
E in core di rubino aguzxar tenta
La punu , che a morir dolce mi alletta ;
E fa tanto che anch'Io morir mi senta.
Dei tuo dolce morir dolce vendetta.
Serpe sembri al ferir, che ben ascose
Stan sovente le serpi Infra le rose.
E se, perch'ella é velenosa e schiva,
Forse imitar la vipera si spiace ,
Movlhi almen , siccome suol lasciva
Coda gulzsat di rondine fugace.
Oppur qual fronda di novella oliva
Rincresparia t'insegni Amor sagace.
Vibrala sì , che la tua bocca arciera
Emula de' begli occhi, li cor mi fera.
Non sono, egli ripigila, or non son questi
GII occhi onde dotoi al cor strali mi scocchi?
GII occhi onde dolce 11 cor dlansi m'ardesti?
Begli occhi. E In questo dir le bacia gli occhi
Begli occhi, ella soggiunge, occhi celesti,
Cagion , che di dolcesxa il cor trabocchi.
Core, ond'io vivo senta cor; tesoro,
Ond' lo povera son ; vita , ond' io moro.
H2
SARINa
Allora H vago: Ami tu sol , tu lel
Quel oore, onde il mio cor vita riceve.
Cor mio.... Pur volea dir, quando colei
La parola in un bacio e II cor gli beve.
Elk per lui si strugge^ egli per lei ,
Come a raggio di Sol falda di neve.
Suonano I baci, e mal dal cavo speco
Forse a più dolce soon non rlspos' eco.
Fa un groppo allor dell* un e V altro core
Quel sommo del piacer, fin del desio.
Formano i petti in estasi d' Amore
Di profondi sospiri un mormorio.
Stillanai 1* alme in tepidetto umore,
Onurioie i sensi un dilettoso obblio.
Toman fredde le lingue e smorti I volli,
E vacillano i lumi ai. del travolti.
Tramortiscon di gloiaebbre e languenti
L' aninie stanche, al ciel d' Amor rapite.
Gì* Iterati sospiri, i rotti accenti,
Le dolcissime guerre e le ferite,
Narrar non so.Prescbe aure,onde correnti,
Voi che il miraste, e ben 1* udiste, il dite.
Voi secretari de* felici amori
Verdi mirti, alti pini, ombrosi allori.
Ma gi4 fugge la luce, e l' ombra riede,
E •' accosta a Marocco y Sole intanto.
Imbrunir d' Oriente II dei si vede.
Cangia in fosco la terra il verde manto.
Già cede al grillo la dcala, e cede
Il roslgnuoio alla civetta il canto,
Che garrisce le stelle, e dice oltraggio
Del bel pianeta al fuggitivo raggio.
CANTO NONO.
LA FONTANA D* APOLLO.
ALLEGORIA.
Nella persona di Fileno , nome derivato dall'amore, il poeta descrive sé stesso
con gran parte degli avvenimenti della sua vita. Fingesi pescatore per aver egli il
primo, almeno in quantità , composte in volgar lingua poesie marltttane. La Fontana
d'Apollo in Cipro altro non importa , che la copia ddia vena poetica , la quale oggidì
sovrabbonda per tutto, massime io materie liriche, ed amorose. L* armi intagliate in
essa son simulacri di nove famiglie d'alcuni principi prindpali d'Italia, prolettori
ddie muse italiane, cioè Savoia, Este , Gonzaga , Rovere, Farnese, Cotona, Orsino,
e predsamente Medici ; siccome l'insegna de' Gigli scolpita a pie d' Apollo istesso
rappresenta lo scudo della casa reale di Francia. La lite dei cigni esprime il con-
corso d'alcuni buono poeti toscani , che gareggiano nell* eccellenza , cioè il Petrarca,
Dante, il Boccaccio, il Bembo, il Casa, il Sannazzaro, il Tansilio, l'Ariosto, il
Tasso, ed il Guarini. Nei gufo, e nella pica si adombrano qualche poeta goffo mo-
derno , e qualche poetessa ignorante.
ARGOMENTO.
Vanno al fonte d* Apollo i Adi amanti.
Mirano l' armi de* più degni eroi.
Quivi in forma di cigni ascoltan poi
Do* loscani poeii i versi e i canti.
Oeelit,ln cui nutre Amor fiamma gentile,
Ond* loquest* alma in vital rogo accesi.
Volgete, prego, alla mia cetra umile
Mentre al canto l' accordo, i rai cortesi.
Voi mi deste l' indegno, e voi lo stile,
Da voi le carte a ben vergare appresi ;
E se V* ha sdlla di purgato inchiostro,
Prende sol qualltft dal nero vostro.
Voi siete i aacri fonti, ove per bere
Corro sovente, e gli arsi s]rirti immergo.
Sotto i begli archi delle ciglia altere
Più che all' ombra de' lauri, 1 fogli vergo ;
Che aver ben denno entro le vostre sfere
Poiché V' abita il Sol, le Muse albergo ;
E sento con favor pari alla pena
Donde nasce l' ardor, piover la vena.
L' AvOUE»
143
Albrì c(rtà, do¥e Piniiw b1 dcto
Erge in due corna le fromlofle cime,
Per coronarsi del piA verde stelo
Sudi a poggiar fier calle erto e mMne.
lo aol 4el ▼ostro altero orgoglio anelo
Sul aumte àlpestro a eottevar le rime,
K 19% dw il galderdOR de' miei ondori
Sia corona di «Irti e non d* allori.
Mio é ilmlo FelMS ed Aaor solo
Con r aroo istesao, onde gli strali d seooca,
Percbè la gloria si paraggi al duolo,
Della mia lira ancor le corde tooca.
Dall' ali del pensler, ciie spiega U volo
Là donde poi qual Icaro trabocca.
Anzi pur dalla sua svelse la penna,
Con cui scrivo talor quant' ei mi aoceona.
Se fossi un degli auge! saggi e canori,
Ch* oggi innanzi alla Dea vengono in lite,
E in quel vitali e virtuosi umori
Osassi d' attuflar le labbra ardite,
10 spererei non pur de* vostri onori
Note formar men basse, o più gradite.
Ha con stil forse, a cui par non rimbomba.
Cangiar Venere iu Marte, il pleltro in trom-
[ba.
E il duce canterei famoso e chiaro.
Che di giusto disdegno in guerra arsialo
Vendicò del Messia lo strazio amaro
Nel sacrficgo popolo ostinato ;
E canterei col Sulmonese al paro
11 Mondo in nove forme trasformato.
Ma poiché a rozzo stil non lice tanto,
Seguo d* Adone e di Qprigna il canto.
Ecco già dalla porta aurea del mondo
Dcfle fiamme minori 11 sommo duce
Coronato di raggi 11 capo biondo
Esce so 1 monti a pubblicar la luce.
Gli fa festa Natura, e dal fecondo
Grembo erbette la terra, e fior produce.
L'alba il corteggia e In queste parti, in
quelle
Gli fan per tutto 11 ciel piazza le stelle.
Mckè aniliedue di quel piacer dlrlno
Han dteto il desèo, ma noa satollo,
Sorgon col Sole, e prendono il cammino
Verso U Foste mlrablie d' Apollo.
GiungOB là dove chiaro e cristallino
Stagna na laglietto,in8Ìcme a bracciacollo.
Cinto d' un prato, che di fior novelli
Serbft in ogni slagion mensa agii augelU.
Stranio carro era qui dì gemme adorno
In sembianza di barca al lido avvinto.
Quel della bionda aurora , o quel del giorno
E di materia e di lavor ne 6 rinto. [no
Gran compassi ha di perle, e i chiodi ìntor-
Tutu son di diamante e di giacinto.
Il vaso tutto è d' una conca intera,
Che apre H capace ventre in mezza sfera.
Altra di questa mal forse Nereo
Non vMe opra maggior di meraviglia
0 nel ricco Oceano, o nell' Egeo
Dalla cerulea Tefi alla vermiglia.
Nacque dei fertilissimo Eritreo
(Prodigio di Natura ) unica figlia.
L'Arte! fregi ri aggiunsero l'orio eli giro
Le incoronò di orientai zaffiro.
Su basi di smeraldo e di rubino
Talamo ben guemito In mezzo stassi.
1 seggi intorno ha di topazio fino,
D* ametlsto indian le rote e gli assi. [ no
Due mostri il tramio; han d'uomo e di delfi-
Questi le membra ed ambo un misto fdssi.
Umana forma ha quella parte eh' esce
Dell' acque, il deretan termina in pesce.
Cosi talor vid* io pianta feconda
Quinci e quindi spiegar varia la chioma.
Se awien, che arte cultrice in lei confonda
L* nve natie con l' adottive poma ;
Che mescolando il pampino e la fronda
Curva le verdi braccia a doppia soma,
Onde congiunte in un vagheggia Autunno
Le ricchezze di Bacco e di Vertunno.
Una, r non saprei dir, se Ninfa, o Diva,
Dal trono, ov* è legato, il carro slega,
fi dritto, ov* è la coppia, Inver la riva
Le redine rivolge, e il corso piega.
Poi con favella affabile e fesdva
La ricca poppa ad aggravar lor prega.
Idrilta ha nome, e già la bella salma
Introdotta nei legno, il legno spalma.
Per la tranquilla e pladda peschiera
Ne vanno Insieme a tardo solco e lento.
Dove guizzano I pesci a schiera a schiera.
Quasi In del cristallln stelle d* argento.
Adon r amenità della costiera,
E della conca I fregi ammira Intento,
E la bella nocchiera invltatrtce
Mentre slede al tlmon, cosi gli dice :
J44
MARINO.
La macchina , signor, dov* entro or sei, |
Fu del fabbro di Lenno alto sudore.
Con questa in grazia venne e di costei ,
Che è la madre d'Amor, comprò I* amore.
Per trarla ai poco amabili imenei
Questa in dono le offerse in un col core.
Nettuno aggiunse ai preziosi doni
Vago poi di piacerle , i duo tritoni.
Né sol, come tu vedi , in acqua è nare ,
Ma carro, ov'eila il voglia, in aria e in terra.
Spinta talor da dolce aura soave
Per le piagge del mar trascorre ed erra.
Talor lasciando 1* elemento grave,
Quand'ella il volo al terzo ciel disserra,
Vi accoppia , e scioglie ai zelfiri benigni
I/e dipinte colombe , o i bianchi cigni.
Così ragiona, e intanto attorce estende
Contesti di fin or serici stami.
Onde ai figli dell* acque ordisce e tende
Minuti e sottilissimi legami. •
Ma mentre appresta il calamo , ed intende
Pescatrice leggiadra, a trattargli ami.
Amor con altro laccio , e con altr* esca
Di Ciprigna e d'Adon l'anime pesca.
In un scoglio approdò la navicella ,
Che quasi isola siede al lago in grembo.
Questo non osò mai ferir procella ,
Teme ogni austro appressarlo, ed ogni
Né sentir mai latrar fervida stella, [nembo.
Né d' algente pruina asperse il lembo ;
Ma sprezza , avvampi Sirio, o tremi Cauro,
L' inclemenza del Cancro e del Centauro.
Sporge la curva riva in fuor due braccia,
Eforma un semicircolo capace, [ghiaccia
Dove quando 11 ciel arde, e quando ag-
Sempre ha io stagno inalterabil pace.
Placido quivi , e con serena faccia
La Dea liella imitando, il vento tace,
E vi fan i' acque a prova , e gli arboscelli
Ai pesci padiglion, specchio agli augelii«
Fiorì e concile un sol margine confonde.
Erba e limo congiunge un sol confine.
Spiegano Taighe e spiegano le fronde
In un sito oomun il verde crine.
Tra smeraldi e zafflr 1* ombre con 1* onde
Scherzano gareggiando assai vicine ;
Ed han commercio in su le ripe estreme
Le verdi Dee con le cerulee iasieme.
Oh quante volte ailor che rosso e biondo
Ride in braccio alla vile il lieto Dio,
Dall'arenoso suo gelido fondo
La vezzosa Nerdda al lido uscio ;
E sotto il velo, onde ricopre il mondo ,
La madre del silenzio e dell' obblio.
Con pampini asciugando i membri molli
Rapi r uve mature ai dolci colli.
Quante cadder tra perle e tra coralli
I pomi che pendean poco lontani
E la vendemmia accolsero 1 cristalli ^
Gii di vivo rubin gravida i grani.
Spesso strisciando per gli ondosi calli
Sdrucciolaste nell'acque, o Del silvani.
Spesso, voi fauni, entro le chiare linfe
Correste ad abbracciar l' umide Ninfe.
Loco sovviemml aver veduto ancora
(Se non quanto è sul fiume ] appunto tale ,
Là dove trae la bella PoUdora
Dalla Dora , e dal Po nome Immortale,
Dell'augusto signor, che augusta onora
Delizia serenissima e reale;
E vi vidi sovente in ricche scene
Celebrar liete danze e liete cene.
Su per la riva 1 hiddl secreti
Del bel lago spiando Ignudi cori
Van di fanciulli lascivetil e lieti.
Anzi di lieti e lascivettl amori.
Chi fuor dell'onde trae con lacci e reti.
Chi con tremula canna il pesce fuori ,
Altri con lunghe fila e ferri adunchi ,
Altri con gabbie di contesti giunchi.
Qui venne a caricar V onda tranquilla
Del suo bel peso la barchetta estrana.
Qui scesero a veder quella, che stilla
Dotto licor, sì celebre fontana.
Vulcan divino artefice scolpilla ,
E vinse in essa ogni scultura umana.
Così grato esser volse al biondo Dio
Quando I celesti adulteri sooprio.
Febo poi tanto di sua grazia Infuse
In quel marmoreo e limpido lavacro.
Che la virtù poetica vi chiuse
Dei suo taroT meraviglioso e sacro ;
E in compagnia delle canore Muse,
DI cui tutto v'è scuito il ^simulacro I
Sovente visitandole, con esso
Suol le rive cangiar del bel Permesso.
L'ADONE.
145
L'onda intanto gorgoglia, ed ecco allora
Sirenetta leggiadra in alto s'erge,
E veduta colei, cui Cipro adora.
Un'altra volta poi si risomnierge.
La man carca di perle indi vien fora,
E 11 bel lido vicin tutto n'asperge;
Per le rapite all'ostriche native.
Vie maggior delle noci e dell'olive.
Disse la Dea : Se pur di perle mal
Pia , che avaro talento il cor ti tocchi ,
A tua voglia sbramar qui ben potrai
L' appetito volgar degli altri sciocchi.
Per me non ne chiegg' io ; ne han pur assai
La tua bocca ridente e i miei tristi occhL
E se nulla curiam fregi men beili ,
Restinsi cil>o ai miei lascivi augelli.
Sappi , che di ricchissime rugiade
L'india, l'Arabia, Eritra e Taprobana
Tanta copia non hanno , o Paro , oGade ,
0 d' austro il mare, o il mar di tramontana,
Quanta in queste felici alme contrade
Ne versa ognor del Giel grazia sovrana.
Poscia in minuti globi il Sol le indura ,
E son de' miei colombi esca e pastura.
Le perle, perchè son d'egual bianchezza.
Ama la schiera immacolata e bianca.
G»l quello splendor, quella finezza ,
Ch' ai lor primi natali in parte manca ,
Con doppia luce e con maggior bellezza
Nel lor ventre s* adempie, e si rinfranca ;
E le rimandan fuor con gli escrementi
Più perfette, più pure e più lucenti.
Il coro poi, eh' è d'adornarmi avvezzo,
Delle mie vaghe e ieggiadrette ancelle.
Per fabbricar pendente , o compor vezzo
Sceglie tra lor le più polite e belle.
Ed io più eh' altra una tal pompa apprezzo.
Perchè la stirpe lor vien dalie stelle ,
£del cielo e del mare hanno il colore,
Le dove nacque e dove regna Amore.
SI per il generoso alto concetto.
La cui primiera orìgine è celeste,
Si per la gran virtù dei beli' oggetto ,
Possente a confortar l'anime meste,
Si perchè lo splendor reca diletto,
Sogliomi compiacer forte di queste.
Queste diero la cuna al nascer mio,
Queste per barca e carro ancor vola' io.
Quando l'Aurorali suo purpureo velo
Lava con l' onda, che i fioretti avviva,
DI mattutino umor piove dal cielo
Picdola stilla in temperata riva ,
E condensata in rugiadoso gelo
L'accoglie in cavo sen conca lasciva.
Del cui seme gentil vien poi produtto,
Pari alla madre sua, candido frutto»
Quel soave licor, che avida beve,
È seme, onde tal prole al mondo nasce ,
Ed è latte in un punto, onde riceve
Virtù, che il parto suo nutrisca e pasce.
La propria q^ia delicata e lieve
L' avvolge quasi in argentate fasce ,
E con la puriti de' suol splendori
Vince dell' alba i luminosi albori.
Pregiasi molto In lor l'esser sincere,
E d'un candor di nulla macchia offeso.
Né la grossezza men, pur che leggiere
Non abbian pari alla misura 11 peso.
Quella forma è miglior, che con le sfere
Più si conforma ,onde ogni lume han preso ;
E quelle son tra lor le più lodate,
Che aoglion per natura esser forate.
Ma però che ogni bella e ricca cosa .
Con gran difficoltà sempre s' acquista ,
Questa si cara preda e preziosa \
Con la fatica e col periglio è mista.
Stassene parte entro 1* albergo ascosa
La perla, e parte esposta all' altrui vista.
Sull'orlo del covil che la ricetta,
Alla rapina il pescatore alletta.
L' ingordo peacator che aperte scorge
Le fauci alior della cerulea bocca ,
Stende la destra (ahi temerario) e sporge
Troppo a si nobil furto incauta e sciocca.
Perocché come prima ella si accorge,
Che man rapace il suo tesor le tocca.
Comprimendo gelosa il proprio guscio.
Della casa d'argento appanna l' uscio.
Con tanta forza l' affilato dente
Stringe in un punto la mordace conca ,
Che Unaglia, o coltel forte e tagliente
Men gagliardo, o men ratto afferra , o tron-
ResUn l'audaci dita immantinente [ca.
Recise del meschin nella spelonca.
Ben giusta pena allo sfrenato ardire
Del troppo avaro e cupido desire.
1
L4<
XAKINO.
Goslel però cbe n'ankdù l'areiw.
Tulle sa di tal ptsca e V arti e 1 modi^
E del pftsoe brandito apprese lia bene
Le scaltre iuaidie e V ingegnose frodi.
Quando il sasso tra' nicchi anetterYieiieY
Che aoa dell* altrui viscere cnstodi,
Onde passa securo entro la scoria
La sua neiiiiG« a divorar per forjca.
Quindi suole avvenir clie la conchigUa,
Nel eui grembo si cria la margarita.
Quando vede la man» che già la piglia.
Spesso li castor peiseguitaU) imitai
E della bianca sua lucida ligUa,
Cbe geneiata ha si, non partorita.
Fa prodiga a colei, di cui ragiono^
Di spontaneo voler Ubero dono.
K se saver vuol pur chi costei sia,
Gh* è destinata ad abitar qucst' accpie,
Figlia Al di Acbeioo,che in compagnia
Di due gemelle sue d' un parto nacque.
Ha da fortuna bigiuriosa e ria [que ;
lAeoppia a lei congiunta oppressa giac*
E eh' ella sol giungesse a queste sponde,
Fu graaia mia cbe signoreggio 1' onde.
Gli altri duo delTirren mostri guizxanti
Eran di qualità simili a questo,
Attrattivi negli alti e nei sembianti»
Donne il petto e la faccia, e coda il resto ;
Soavissimo rischio a' naviganti,
Deiovoeo piacer, scherzo funesto;
Il cui cantar ne' salsi ondosi regoi
Era morte ai nocchiere naufragio-ai legni.
Ma poiché ogni arte lor vinse e deluse
Di là passando il peiegrin sagace.
Quando con ceraimpenetrabii chiuse
Le caute orecchie all' armonia tenace,
D' ira arrabbiatele di dolor confuse
Le disperse del mar 1' onda rapace,
E ( salvo questa, che campò per sorte )
Per dlsperaxion si dier la morte.
Delle tre mezzo pesci e mezio dive
Quella, che in questo mar gittata venne.
Qui, come vedi^ immorlalraente vive ;
Ciò per pietà dal mio gran Nunse ottenne.
L' dire per varj lidi e varie rive
Gors^, uà so ben dir ciò cbe n' avvenne»
So ben* che una di lor dall' onde spinta
Presso Gttina e Ponuoi rimase estinta.
E trasportata a quella nobii sede.
Miglior cheln vita, in morte ebbe veolura.
Perchè de' Calci il popolo le diede
Il paradiso mio per sepoltura.
Dico il liete paese, ove si vede
Si di sé stessa inoanerar Natura ,
A cui cinto di colli il mar fa piazza.
Che a Nettuno è teatro, a Bacco è tazza.
Dall' ossa della vergine canora.
Che in quel terren ceiesCe ebbe 1* avello,
Spirto di melodia pullula ancora ,
Quasi d'antico onor germe novello.
Più d* una lira vi si sente ognora ,
E più d'un bianco mio musico augello;
E che sia vero , un de' suol figli ascolta,
A cbe dolce canzon la lingua ha sciolta.
Volgesi a quella parte, ond' esce ti canto
Adone , e vede un pescator sul lito.
Di semplice duaggio ha gonna e manto.
Ed ha di polpo un eapperon sdruscito.
Ampio cappel, che si ripiega alquanto.
Gli adombra il crin, di sottil paglia ordito .
Tiene a pie la cistella, in man la canna,
Con cui dell' acque H popolmuto inganna.
Lilla, dlcea, che si fastosa e lieta
Ognor nevai del mio tormento acerbo,
Deh Vienne ali'ombra,or ch'il maggior pi»-
Scalda li ieon feroce e *1 can superbo, [lieta
Qua Vienne, ove leggiadra e mansueta
Un' anguilla domestica ti serbo ,
Che di limo si nutre entro un forame
Di questoscoglio,e non ha 8plne,o squame.
Più bel non vide, o più vezzoso pesce
Del Mincio mai la celebrata pesca.
Spesso qualora il mar si gonfia e cresce
Salta dal fondo in su la riva fresca.
Va per l' erba serpendo, e tant' olir* esce ,
Che V leu fin nel mio grembo a prender Fe-
Di fin oro all'orecchie ha due pendenti [sca;
E^mi vomita in man perle lucenti.
Ha lunga coda e larga testa e grossa,
Bocca aperta e viscosa ed ampie terga.
La schiena è di color tra bruna e rossa,
D'auree macchie smaltata a verga a verga.
Si dibatte per 1* acqua e per la fòssa ,
Né pur In pace un sol momento alberga.
Lubrica scorre, entra per tutto e guizza ,
E se la tocca alcun , tosto si drizza.
L'AimiE.
m
Tua sari, « Taeceltl e m ti pìwe»
fkpom tkprant* ti dtopiecail» «ii^ogno,
Dtl tw» >Wal» «itr» F «mot Tlvace
!• (tt «ito nano ImprigloiMr I» t^glliK
Oh di qucsf» animai Yiepift fagaee ,
Più dura al arto pregar di ^esto scoglio,
Vieai a maprar 4eii tieni an doppio^ ardo*
E M il pesce— inai prenditi il cere, [re.
CMeAi a Vcaert Adon, cM flia coiol ,
Che A ben col caacir 1^ aure lu»lnga.
È de' ooslH, rieponèr. Anrar di hil
Non aTr^BHlclil pM fon* arda, «strìnga.
Fileno ha moie, e dail^ Insidie altrui
È qui gfcioia a menar flta salinga.
Nacque cali neHa felice terrai,
pia la aorta Sireaa la granilo serra.
ila se li cai pie oltre Inleader forse
Di eoa fortune, aadSanne w* egli scassi.
Casi aea glr«, ed al quando a' accorse
Ver lui drtsaa» la bella coppia i paesi ,
Di counta bella siapido sorse
Per faverMa, da que* roaii sassi ;
Ma cao«aR gli aeeennò r amica Dea,
Che di Ui aott parflaas, ore sedea.
Per roBpcr ,dtee,o^per tarbar non tegno
I tuoi dolci riposi , o I bel lavori.
Sai ben, cheqvando def allo patrio regno
Prcadeni la prima a celebrar gH onori ,
Io diadi f&m al tua allbnnato ingegno ,
Sva^laiidoia a cantar teneri amori ;
(Ma il none imnonale ancor per tutto
SertaB di LMIa un rarena e H flutto.
Del foco tancoB Mormorio sonoro
Farà U mar, dov' lo nacqui , eterna fede;
E come Apollo ti dond l' allora.
Cosi Taiga Nettano or ti concede.
Lodanti I nwtl pesci, e la di loro
Fai dileMaaa e roiontarie prede ;
Ami con aaarisrtme rapine
Prendi i' anfana umana e le dltliie*
VattaMKo caator, la nobH arte
Quanto pia gradirei del tuo concento.
Sa t diletti e 1 dolor spiegassi In carte.
Che par eastai , non piA sentiti ^lo sento;
Per costai, che è di ■» la miglior parte,
Amaro mia plaeer, dolce tormento ,
Maaandeli' alma alia, rlla mia vera,
Ami dft fwiu firn anima Inlank
Deb, la ne prego, casi il €lelseeando
Sentire, e benigno al tualdeslrslmaatrt ,
Fa neUr t^ ftiiani udire al aModo
La balla isaorto dagT Inoend} nostrk
So , che se quest* arder lieto e giacanèa
Sarbmaierto al tuoi ^tail Inchloairl ,
Pasaarà t' onda escara e chiara fla
Non sema gloria tua, la flimma mliir
Farò, se cM farai, per te celai
Langair, per cai languioci , amantt amam t
E quaado ti ao<lo, onde fegato tal,
Varr* poacia a broncar Parca spinati,
Nel felice drappel de^ cigni ailel
Ti porrò, candid' ombra, ahna beata,
Ddve Y EtemiUi , che sempre vlre.
Nel libro sno T altrui memoria tcifre.
IHsponde, o degna Dea delti beluie,
Imperatrice d*ogaÌ nobii polio>.
Canterò , scrìverò, se voi ari dato
Vena corriapondeate al bel aaggcito.
Da voi viemmi lo stile, e voi lerata
Sovra sé stesso il debHe inielletto,
Petelìè la cetra mia rauca e discorde
Si ha de' lacci d'Amor fatte le corde.
Queate cor, chesl strugge apocoapaeo
Languendo di dolcissima ferita.
La mercè vostra, in ogni tempo e loco.
Sarà fonte d' amor piò che di vita;
Somministrando ai soo celeste foco
Nelle pene beato, esca in#aila.
Con tal piacer per la beltà che adoro ,
Sperando vivo, e sospiranila moro.
Nacque nel nascer mio, né llach' estimo
Manchi per volger d'anni arder SI caro.
Quelle catene , ond' io son preso e cinto,
Insieme con le fasce mi legano.
Quei lini stessi, in eh' lo fui prhna avvinto,
La piaga dei mio petto anco fasciaro.
Lavato appena dai materno bagno ,
Fui lavato dai pianto, onde mi lagno.
Amor fa mio maestro, appresi amandò
A scrìver poscia ed a cantar d' Amore.
Di due furori acceso, arsi penando ,
L'un mi scaldò la mente e V altro 11 core ;
L'uno Insegnommi a lagrlmar cantando.
L'altro a far le mie higrìme canore.
Amor fé' con la doglia amaro II pianto ,
Febo con l'armonia soave il canto.
148
MARINO.
Negar non voglio , né negar poss' io,
Che ai dolci studj , agli onorati alTanni ,
Che rapiscono i nomi al cieco obblio,
E fanno al tempo ingordo etemi inganni.
Fatale elezlon 1* animo mio
Non Inclinasse assai fin da' prim' anni.
In qualunque martlr grave e molesto,
Refugio unqua non ebbi altro che questo.
Ma da questa di vezil arte nutrice
Ecco le spoglie alfin che altri riporta ,
Ecco qual frutto vien di tal radice.
Un guamel di zigrin , l' amo e la sporta.
Trofei del nostro secolo infelice ,
In cui di gloria ogni favilla è morta.
L'età del ferro è scorsa, e sol di questa
La vilissima ruggine ne resta.
Tempo fu , che ai cullor de' sacri rami
Favorevoli fur molto I pianeti.
Or sol regnano In terra avare fami ,
E copia grande d' uomini indiscreti,
De'quai se alcuno è pur eh' Il canto n'a-
Ama le poesie, non 1 poeti ; [mi ,
Né ila poca mercé , quand' egli applaude
Premiando talor laude con laude.
Di me non parlo, e se pur canto, o scrivo,
D' Amor, non di Fortuna io mi lamento ,
Che non in tutto di ricchezze é privo
Chi trae la vita povero e contento.
In tale stato voleniler mi vivo.
Bastami sol , che d' oro ho lo strumento.
Lo stromento, eh' io sono (a quell* alloro
Vedilo là sospeso) é di fin oro.
Ha di gigli dorati Intorno i fregi ,
Ed ha gemmato II manico e le chiavi.
Dono t>en degno del gran re de' regi ,
Rege , amor de' soggetti , onor degli avi.
Si non indegni di cantar suoi pregi
Fussero i versi miei poco soavi ,
Com' egli é tale infra gli eroi maggiori ,
Qual é.ll suo giglio infra i più bassi fiori.
Ma questo é il men se non che il vulgo a cui
Fosco vel d'ignoranza 1 lumi appanna.
Prendendo a scherno 1 bei sudori altrui ,
Nel conoscere il meglio erra e s'inganna.
E sebben io tra que' miglior non fui ,
Sovente òhi più vai biasma e condanna.
Niser, di colpi tali ognor fu segno
Il mio battuto e travagliato ingegno.
Più d'una volta il genltor severo.
In cui d'oro bollian desiri ardenti.
Stringendo il morso del paterno impero.
Studio inutìl , mi disse , a che pur tenti?
Ed a forza piegò l'alto pensiero
A vender fole al garruli clienti ,
Dettando a questi supplicanti e quelli
Nel rauco foro 1 queruli libelli.
Ma perché potè in noi Natura assai ,
La lusinga del Genio in me prevalse,
E la toga deposta , altrui lasciai
Parole tte smaltir mendaci e false.
Né dubbj testi interpetrar curai ,
Né discordi accordar chiose mi calse.
Quella stimando sol perfetta legge.
Che de' sensi sfrenati H fren corregge.
Legge omal più non v' lia la qual per dritto
Punisca il fallo , o ricompensi il merta.
Sembra quanto é fin qui deciso e scritto
D' opinion confuse abisso incerto.
Dalle calunnie il litigante aflUtto
Somiglia in vasto mar legno inesperto.
Reggono il tutto con affetto ingordo
Passion cieca ed interesse sordo.
La rota eletta a terminar le liti
Qual nuova d' Ission rota si volve ,
E con giri perpetui ed infiniti
Trallien l' altrui ragion , né la risolve.
Pu r que' lunghi intervalli alfin spediti, [ve.
Spesso il buon si condanna e il reos'assol*
Deiroro,al cui guadagno é il mondo inteso,
La bilancia d' Astrea trabocca il peso.
Tenneml pur assai la patria l)elia
Dentro i confin delle native soglie ,
Dico Napoli mia , che la sorella
Della Sirena tua sepolta accoglie.
Ma perché l'uom nell'età sua novella
È pronto a variar pensieri e voglie,
Vago desio mi spinse e mi dispose
A cercar nove terre e nove cose.
Mossemi ancor con fabi allettamenti
La persuasion della speranza.
Ed al sacro splendor degli ostri ardenti
Mi trasse plen di glovenil baldanza ,
Sicché all'altrice delle chiare genti
Chiesi mercé di riposata stanza ,
Credendo Amor vi soggiornasse , come
Par che prometta il suo fallace nome.
L'ADONE.
Purte colà dei più liet' anni io spesi ,
E dei colli famosi all'ombra yìssì,
E sotto stelle nobili e cortesi
Or l'altrui lodi , or le mie pene scrissi.
Stelle, i cai raggi d'alu gloria accesi
Yinceano i maggior lumi in cielo affissi ,
Ma rinfluense lor per tutto sparse
Ad ogni altro benigne « a me fur scarse.
Vidi la corte, e nella corte io vidi
Promesse lunghe e guiderdoni avari ,
Favori ingiusti e palrocinj infidi ,
Speranze dolci e pentimenti amari ,
Sorrìsi traditor, vezzi omicidi.
Ed acquisti dubbiosi e danni chiari,
E voti vani ed idoli bugiardi ,
Onde il male è securo e il ben vien tardi.
Ma come può vero diletto, o come
Vera quiete altrui donar la corte ?
Le die la cortesia del proprio nome
Solo il principio, il fine ha dalla morte.
Io volsi dunque pria che cangiar chiome.
Terra e cielo cangiar, per cangiar sorte.
Ma lung'ora però del loco in cui
Rlcovrar mi dovessi, in dubbio fui.
Sperai di tanti danni alcun ristoro
Trovar laddove ogni valor soggiorna ,
Nella città che il nome ebbe dal toro ,
Siccome il fiume suo n'ebbe le coma.
Venni alla Dora , che di feriti oro
(Come il titol risona) i campi adorna ,
Ma in prìgion dolorosa , ove mi scorse ,
Lasso, che in vece d*or, ferro mi porse.
Di quel signor, che generoso e giusto
Regna colà dell' Alpe alle radici.
Non mi dogi* io ; così pur sempre Augusto
Goda ai valor dovuti , anni felici.
Sol del Destino accuso 11 torto ingiusto,
E il finto amor de' disleali amici.
Per la cui scelleraggine si vede
Laddove nasce il Po, morir la fede.
Venne sospinta da livor maligno
Ancor quivi l'invidia a saettarmi,
Che sua ragion con scellerato ordigno
Difender volse , e disputar con l' armi ;
E rispondendo col focli sanguigno,
E col tuon delle palle al suon dei carmi ,
Mosse l' ingiurie a vendicar non gravi
Delle penne innocenti i ferri cavi.
ÌA9
Mi assalse insidiosa, e come avante
Lingua vibrò di fiele e di veleno.
Cosi poi vomitò foco sonante
Per la bocca d'un fulmine terreno.
Con la canna forata e folgorante
Tentò ferirmi e lacerarmi li seno ,
Come la fama mi trafisse e come
Mi lacerò con le parole il nome.
Non meritava un lieve scherzo e vano
Di arguti risi e di faceti versi.
Che altri dovesse armar l' iniqua mano
Di si perfidi artigli e sì perversi ,
E scoccar contro me colpo villano ,
Che inerme 11 fianco alia percossa offersi.
Che non fa, che non osa ira e furore
D'animo disperato e traditore?
Pensò forse il fellon quando m' offese
Per atto tal di migliorar ventura,
E con la voce del ferrato arnese
Di acquistar grido appo l'età futura.
Sperò coi lampo che la polve accese ,
Di rischiarar la sua memoria oscura ^
E fatto dalla rabbia audace e forte
Si volse immortalar con la mia morte*
Girò l'infausta chiave, e le sue strane
Volgendo in tomo e spaventose rote «
Abbassar fé' la testa al fiero cane.
Che in bocca tien la formidabll cote,
Sicché toccò le macchine inumane,
Ondeawanipa il balen,che altrui percolo,
E con fragore orribile e rlmbomlx)
Avventò contro me globi di piombo.
Ma fusse pur del Ciel grazia seconda.
Che innocenza e bontà sovente aita ,
0 pur virtù di quella sacra fronda,
Che dal folgore mai non è ferita;
Fra gli ozj di quest' antro e di quest' onda.
Fui riserbato a più tranquilla vita.
Forse come amator di sua bell'arte,
Campommi Apollo da Vulcano e Marte.
Quindi l'Alpi varcando, il bei paese
Giund a veder della contrada franca .
Dove 1 gran gigli d'oro ombra cortese
Prestaro un tempo alla mia vita stanca.
La virtù vidi e la beltà francese ;
V'abbonda onor, né cortesia vi manca.
Terren sì d'ogni ben ricco e fecondo ,
Ch' io non so dir se sia provincia o mondo.
IM
MABlNa
MaperoedièH fuvorwioie tn gran parte
Di quei petti gverrtorl eiaer tiranao,
E le penne paelflche « le carte
Con aace e spade oonvensar ooo savie ,
E tra gU seoppf e timpani éi Marie
I concenti 4' Aowr voce aon haiin».
Questo seogUe rwnito e quetio Udo
Feci de* nftei peosler refuglo e nido.
Qui mi vino a me stesso, e in quest'arena
Cile cosa sia fetidtà coropreado,
E4}ai purgando la mia rosza Tena,
Da* tuoi candidi cigni il casto appraado.
Con cui sfogar dei cor la doiee pena
La peseatrice mia m'ode rìdendo.
Vena pavera certo od infeconda ,
Ma schietta e naturai con»^ è qaeslf onda.
Cosi vlmo ti rigor del ler Destina,
Con cui ?era viete sempre combatte.
Di Pausilfppo « Nésida « Pioppiao
Risardsoo le perdite che ho fatte.
U puro Aagno e il bel fonte vidna ,
Le lar rive iorìte e l'oade hitatte {ma,
Son miaeorteemia reggia ; altro non bra-
che T «ita e l'acqua e la canauodae l'ama.
Dan ehe anelante a vani acquisti aspira,
E In cose frali ogni suo studio ha messo.
Fa qual turbo , o paleo , che mentre gira ,
La sepeitura fabbrica a sé stesso ,
E dopo molte rote alin si mira
Avere al molo il predpltlo appresso.
Che vai tanto sudar, genie inquieta.
Se angusta fossa alle fatiche è metal
11 meglio è dunque In questa vita breve
Procacciar contro Marte alena riparo,
E poiché II cofpo incenerir pur deve ,
Rendere almeno il nome etemo e chiara.
GM da Fortuna rea torto riceve
Specchisi io me,che a dlsprezsarla imparo;
Sol beato è cM gode in ore liete
ÌVa 1 modesti piacer bella quiete.
Tlrtùnan menche Amordi sé s* appaga,
Dice ta Dea , cbe intenta II parlar ode,
Siccame amor sol con amor si paga ,
OoA virtà sol di virtù si gode.
Altro premio , altro presso ed altra paga
Non richiede , né vuol , che onoree lode.
Ella é mercé , a mercé sola a sé stessa.
Così dteendo, al bel fonte si appressa.
Noli' isalalla un ptoeoi pian Hloiida
Da siepe é dato di fin ora éleila.
Che col metalo prertaos e bionda
Difende il pratioel die vi Ci letta.
E dlgermiadorKerì fecanda
A'aranatiche piante hawi nn basehatla,
Che Imi con 1* ombre lor frondose a spesse
il laoa iosuperhir di réoea
Uà Paraasetto d*hnmortal verdara
Nel «eaira^d pracd fa piataa amhreaa.
In mezao al cai quadrangola a misara
La p&aau della fabbrica si posa.
Permansi a conlenq>tar Taita struttura
La vaga e li vago in sulla spoada erbosa ,
E van miranda 1 peregrini intagli ,
Cui unita é sotio liSoie opra che agguagli.
DI terrena scuUor scarpdli Indnairi
Formar non saprìen mal si bella laata;
E bea lece moli' anni e aMlti lustri
Al tre giganil etiid sudar la fìronie*
Nave dtt marmo fin figure Hfamtri [manta.
Cerchiano un sasso, e ilsasso assembrava
E quel monte ha due dme , a tn sulle dma
Alato carridor la aampa imprime;
Deh perdonili HCid si grave falla, ^
Per cui men caro li buon Hcor si tiene,
Zoppa fabbricator dd bel cavallo ,
Che ne venne ad aprir novo Ippocreaa.
Bastar ben ti dovea, che II sua cristallo
Scaturisse Elicona tal larghe vene,
Sensa far di quell'acque elette e rare
L'uso a pochi concesso, ornai volgare.
Quanti da Indi hi qua dd nome ladogni
Poeti il chiaro stmlio han fatto vilet [gnl
Quanti con labbra Immonde andad Inge*
Vanno a contaminar l'onda gemile t
Naa si turbi 11 bd coro e non si sdegni ,
Se venale e plebeo divien la stile.
Poiché dd mondo ogni contrada quasi
Di CabaUhd abbonda e di Parnasi.
£ si ben finto 11 sappador destriero ,
Che allo spuntar del giorno in orlenie
1 corsieri del Sd credendol vero
RtaighiaiKlo gli annitrirono sovenle.
Piove dd sasso in un diluvio intero
La piena hi pHa concava e lucenta,
E ta pila, che accoglie in sé la pioggia ,
Delle Muse su gli omeri s'appoggia.
L'ADME.
Ui
Hi lo ftmmento mio diinina Uosa,
Ed a ciaaciM rtroieto In ogni parte
L' onda canora fai cavo plenbo diitiaa,
Per molle canne i* anfana eonparle.
Strangolata gorgeglla , Indi diiiisa
Volge macchine e rote ordite ai arie,
E con tenor di melodia mentita
Della man, deUa liocca il suono imita»
Sta aotio r oml>ra delia cava pletn,
Cbe sottogiaoe al volator Pegaso ,
n bel signor deUa oormtta cetra ,
11 gran retlor di Pindo e di Parnaso.
In testa il lauro, al Aanoo lia la larstra,
E versa V acqua in più capace vaso.
L* acqua, che d*alto vien lucida e tena.
Per r annonico plettro in giù riversa.
Intorno al labl»ro spasiose e grande
DeUa conca , die copre U re di Delo,
S* intesse il fonte da tutte Je bande
Di traslucido argento mi aottH vielo ,
E in tal guisa il suo giro allarga e spande,
Che vien quasi a formar coppa di gelo ,
In guisa tal , die a chi per ber s'appressa.
Tazza faisieme elievandaèraeqna ialessa.
Piar che quel oMaro Tdo Inargentalo ,
Che di liquidi stami ordì Nalnra ,
Abbia r Arie tessiuo e lavoralo
Per guardar dalla polve onda si pura;
0 sia per asdogar forse Alale
L' acqua, cbe in sostener quella scuUun
Le Dee del tempo e dell*obbUo nemiche
Stillan, quasi sudor delle fatiche.
Volgon le Muse, V nna aU* altra opposte
Le spaile al Ionie , od alio stagno il viso.
E in diverse attitudini composte
Fanno corona ali* armentier d' Anfriso.
In pie levate, e in vago ordin disposte
Grondan perle dal crin, brine dal viso ,
E scalze e mezzo Ignude accolte in cerchio
Detta gran conca reggono il covercbio.
Dalla conca più alta albi più bassa «
Che in bacino maggior Tacque rlceUa,
Ddle beir onde 11 predplzio pasm.
La qiial pur le riceve e le rigetta.
Nel cerchio inferior cader le lassa,
Dove r aoqua divisa a bere alletta.
In quattro fonti piccioli è divisa.
Ed ogni fonte lia la sua statua faidea.
Quattro le statue aon : laGlorla tamia.
La Fama In aHm parte faidse staime ,
La Virtù quindi, e qulnd la Fortuna
Vaghi al vago lavor termini fanno;
E in cima a tre aeagllon pesta daecmm,
Che agiate air aknri sete adito danne ,
L' aequa fai vaso mfaMr vem e ripone
0 per urna , o per tromba, o per I
Chi può dir pd , siccome ediena, e in
Guise si varia la voloMl venat [qnante
Or per torto sentier serpendo ermnie
Tesse di bd meandri ampia catena t
Or con dirotta aspergine «altanie
Bagna lambendo li del i'enra serena;
E poidiè quanto pnò «* tnalza e poggia ,
Sparge 1* aocoHo nembo in lieta pioggia.
Phnrutad ringorgaeainaneonde [to,
L'acqua, e In cnpocanalenppresm atqnsn-
Singhioica d , cbe il mormorio delPonde
Sembra di rosignnd gemilo e ptenle.
Poi per secreto vie slioccando altronde,
Esce con fona tal , «on fnror tanto,
Che d diafioeca ta argentata spuma ,
E somiglia a veder candléa plimiaii
MeravIfHa tdor, mcntn s'etlsile.
Arco stampa nel cid sindie ad id.
Trasformard V umor llqnide e molle,
Volto in raggi , In eemete , In steNe II mfeL
Miri qui sgorgar gMi, eruttar bolle.
Là girelle rotar con cento girl ,
Spuntar rampolli e pnUtdar zampItH,
Eguizd esprazd epispineM espIBi.
Nello opaclo , che l' orlo a eerdiiar viene
Tra cornice e cornice d maggior Taae,
Havvl un fregio di ecndl , il q«ial contiene
L'insegne In sé delle più chiare cane ,
E di cigni scherzami « di Sirene
Varie treeee ogni scudo ha ndta base ,
Che distendendo van su I biancM menni
L'ali e le code, e fan cartiglio alTeanl.
Posto è in td guisa faMnme alla bell'«pra
L' ordtai ddl' armi pi* feoMise d monde,
Cbe delle Unse , che sten lor di sopra,
Reggen l' incarco, compartite in tondo.
Come r una eostenga e l' altra eopfi,
SontB lor in lid cambio eppoggieepon-
Ogni starna nnescudo ha sono il piede [do.
E in ogd scudo un aimbolo d vede.
152
MARINO.
Per distinguer i' imprese il fabro egregio |
I>eU* ornamento nobile e sublime ,
Misctii di più color, ma d' egual pregio
Scelse e poli con ingegnose lime.
Talché d' ogni divisa il vario Trcgio
Le differenze in color vario esprime ,
E con pietre diverse In un commesse
E scultura e pittura accoppia in esse.
Vedi marmi colà vivi e spiranti.
Disse al suo beli* Adon Venere allora ,
Son famiglie d' eroi , de' cui sembianti
Virtù si pregia e poesia s' onora.
Hanno molto a girar gii anni rotanti
Pria che abbian vita, e non son nati anco-
Mosso Vulcan da spirito presago , [ ra.
Innansi tempo ne adombrò l' imago.
Tu dei saper, che sotto il cicl secondo
U giro di quel fuso adamantino ,
Che la Necessità rivolge a tondo.
Mossa però dal gran Motor divino ,
La serie delle cose al basso mondo
Muta immutabil sempre alto destino ,
E fra queste vicende anco le lingue
L' una nasce di lor, l' altra s' estingue.
La dotta cetra argiva udrassi pria
Sul Gefiso spiegar melati accenti,
E trarre alla dolcissima armonia
Del mare orientai sospesi i venti.
Privilegio fatai di questa fia
Di sacre cose inebbriar le menti,
Sollevando ai secreti alti misteri
De' Numi eterni i nobili pensieri.
Moverà non men dolce il Tebro poi
Sulle corde latine 11 plettro d' oro ,
Onde dai cigni miei nei poggi suoi
Fia trapiantato il trionfale alloro.
Grave e ben atto a celebrare eroi
Sarà del Lazio il pettine canoro ,
Ed a sonar con bellicosi carmi
Di guerrieri e di duci imprese ed armi.
Succederà la tosca lira a queste ,
DI queste assai più delicata e pura ,
Che di tutti gli onor si adorna e veste ,
Onde r altre arricchirò arte e natura.
Intenerito dal cantar celeste
L' Arno al corso porrà freno e misura ,
E dai versi allettato e trattenuto
Porterà tardo al mare il suo tributo.
Questa con vaghi metri e dolci note ,
E con numeri molli accolti in rima
Fia che per propria e singolar sua dote
Meglio che altra non fa, gli amori esprima.
Or alle tosche Muse (ancorché ignote )
Fu il nobil fonte dedicato In prima,
Né certo edificar si dovean cose
Nel paese d' Amor, fuorché amorose.
Ma perché é ver, che delle Muse afflìtte
Sono Invidia e Fortuna emule antiche,
Uopo d'alte difese e d'armi Invitte,
Avran contro si perfide nemiche.
Le case dunque che qui son descritte,
Sosterran l'onorate altrui fatiche;
E questi fien tra i princìpi più degni ,
Che daran fida aita ai sacri Ingegni.
Beato mondo allor, mondo beato ,
Cui tanto amico Clel gloria destina!
Beatissima Italia , a cui fia dato
Per cosior risarcir l'alta mina,
E tornar trionfante al primo stato
Delle Provincie universal regina !
Si dice, e della schiera Ivi scolpita
Le generose immagini gii addita.
Ferma, dicea , la vista in quella parte,
Dove 11 bianco corsier sul rosso splende.
Questo , sebben feroce , il fiero Marte
Ama , e foco guerrier nel petto accende.
Talor d'Apollo a viepiù placid'arte
Inerme ancora e mansueto intende ;
Onde aprendo la vena a novi fonti
Fia che^iovo Pegaso , il del sormonti.
Sappi , che fra que'mostri, onde s'adorna
Del sommo clel la lucida testura.
Oltre il Pegaso, altro destrier soggiorna ,
Adombrato però di luce oscura.
Pur di segno minor maggior ritorna
Sol per esser di questo ombra e figura ;
E le sue fosche e tenebrose stelle
Tempo verrà, che saran chiare e belle.
Né speri alcun giammai con sprone o verga
Domarlo a forza , o maneggiarlo in corso.
Con dura sella premergli le terga ,
0 con tenace fren stringergli il morso.
Spirito in lui sì generoso alberga.
Che intollerante ha di vii soma il dorso.
Chi crede averlo o soggiogato , o vinto,
Con fatai precipizio a terra é spinto.
Pur deposto taior l'Impeto audace,
Gbe avrà di sangue ostil versati rivi ,
Chiuderà Giano, ed aprirà la Pace,
Ed ai cipressi innesterà gli olivi.
Germoglieran dai cenere , che giace
I>e' cadaveri morti 1 lauri vivi ,
E diverran sol per lodarlo allora
L*AlpÌ Parnaso, e Caballin la Dora.
ADONE. 151
Ben s'agguaglian tra lor, se non che quella
I cigni d'oltraggiar prende diletto.
Ma da questa ch'io dico, aquila bella
^vran gii augei canori esca e ricetto.
E se allr' aquila in elei conversa in stella
D' una cetera soia adorna il petto ,
QuesU ne avrà fra 1* altre in terra due
Possenti ad eternar le glorie sue.
Dal chiaro armento di Sassonia uscito
Carco ne andrà di scettri e di diademi ;
Neppur la bella Italia ai fier nitrito.
Ma fia che l'Asia sbigottisca e tremi.
Poi di spoglie e trofei tutto arricchito
Verrà delia mia Cipro al lidi estremi.
Ma che? fiero destlu, perfido Trace!
E qui scioglie un sospiro, e pensa e tace«
Tu vedi, segue poi , l'aquila bianca.
Che divide dell'aria i campi immensi ,
E le nubi trascende , e lieve e franca
Su i propri vanni in maestà sostiensi.
Quella In opre d' onor giammai non slanca
L'insegna iìa de' gloriosi Estensi,
Il cui volo magnanimo e reale
Per vie dritte e sublimi aprirà l'ale.
Non tanto le verrà la bella Insegna
Per la divina origine d'Ettorre,
Quanto perchè con lei fla che convegna
L'inclita augella, che viitate abborre.
Quella però , che ogni bassezza sdegna ,
Assai presso alle sfere 11 ciel trascorre.
Questa dal vulgo allontanando I passi
Non sia che a vii pensier 1* animo abbassi .
Quella la spoglia dell' antiche piume
Dentro puro ruscei ringìovlniu,
Di rinnovar sé stessa ha per costume
A molti e molti secoli dì vita.
Questa purgata entro il castailo fiume ,
Quasi fenice del bel rogo uscita ,
Verrà l' ire del Tempo a curar poco ,
Fatta immortai dall' acque, e non dal foco.
E come quella ognor con guardo fiso
Avvezzar alla luce I figli suole.
In quel modo , che a' rai del tuo bel viso
Anch' lo sempre mi volgo, o mio bel Sole ;
Cosi da questa con accorto avviso
Imparerà la generosa prole
Di Febo amica , ed a' suoi raggi Uitesa
Di celeste splendor mostrarsi accesa.
Vedi quell'altre poi quattro seguenti ,
Emule della prima, aquile nere.
Per accennar, che a tutti quattro i venti
Hanno il volo a spiegar dell' ali altere.
A semplici colombe ed innocenti
Non saran queste ingiuriose e fiere.
Ma spirti avran di guerreggiar sol vaghi
Con nibbi ed avoltoi, vipere e draghi.
Rapì cangiato In queste forme istesse
Il mio gran genitor vago garzone ,
Benché , cred' io , se te veduto avesse ,
Preposto avrebbe a Ganimede Adone.
Ma se costume è naturale in esse
Satollar di rapine il curvo unghione.
Queste pronte a donar, non a rapire ,
Sol di prede di cori avran desire.
Predice a queste l'indovina Manto
Il favor tutto dell' aonle Dive.
Per questo Mincio con etemo vanto
Popolate di cigni avrà le rive.
Mormorando concorde al nobll canto
De' suol Gonzaghi le memorie vive, [do.
Che vivran sempre in più d' un stil facon-
fi non morran finché non more il mondo.
Sotto r ali di queste 11 maggior cigno.
Che darà vita al mio Troian pietoso.
Da mollir, da spezzar duro macigno
Formerà canto In ogni età famoso.
E già da queste ancor destro e benigno
Giunto in Italia a procacciar riposo.
Ebbe Io stesso Enea presagio e segno
Di felice vittoria e lieto regno.
Mira quel tronco, acuì di fronde aurate
Fanno pomposo il crin germi felici.
È la quercia d' Urbin , che in altra etate
Tali e tante aprirà rami e radici ,
Che poiclì' avrà di spoglie assai pregiate
Arricchiti di Roma I colli aprici ,
In riva porterà del bel Metauro
Con suoi frutti lucenti un secol d'auro.
tft4
XARfnO.
Questa pfù eh* altra pianta, hrf gar f mi-
Denn» del fecondlsaliiio EHeona. [de
Di questa Apollo alle sue cUome bionde
Di lauro InTeee , intesserà ooroita.
Al memorio delle soart fronde
Il suono Invidiar potrà Dodona.
Ayranno all' ombra sua tranqfuillo e fido
I miei candidi angei ricoTfo e nido.
LA teRa scorza) che seccar non potè
Ardor d'estate, né rigor di verno,
Porterà al clH con mrlie Incise note
De* suoi cfHari cultori il nome etemo,
n ceppo aAtier, che fulmine non scote ,
Prendendo d*Aquilon l' ingfurie aschemo,
Seispre maggiore acquisterà TermezEa,
Come H nel mio cor la tua bellezza.
Or colà Tolgi gn occhi al sei giacinti ,
Nel cui lieto oendeo appunto miri
Queli' azzurro sereno, onde son finii
Delle tue incl 1 lucidi zaffiri.
Sì cliiaro è quel color, che gli lia dipinti,
Che s* egli avvien, che in essi il guardo giri,
Non sali pensier che dubbio alterna ed er-
Dirsesieniffgn in cÌelo,o stelle In terra, [ra
Gigli celesti e fortonatl , oh quale
Seme d' alte speranze in voi s'accoglie!
Qual d* odori di gloria aura immortale
Trarrà la Fama dalle vostre foglie!
E qnant' api da voi porteran 1* ale
Rlccbe di ricche e preziose spoglie ,
Onde illustre lavor Ila poi costrutto,
Ch' empierà di dolcezza 11 mondo tutto !
Voi piantati e nutriti hique* begli orti ,
Dove non son da bruma 1 fiori offesi ,
Darete per sottrarle agli altrui torti
Alle sante sorelle ombre cortesi.
Per voi non men magnanimi cheford,
Gresceran tanto in pregio I gran Farnesi,
Che a qual finale più celebre e più chiaro
La palma osorperan la Parma e il Taro.
Qoella colonna , 11 cui candor lucente
Del suo seno assomiglia 11 bd candore ,
Sostegno Ha della Virtù cadente,
Stabii come la fede è nel mio core.
E se tra le colonne In occidente
La gran lampa del Sol tramonta e more,
Da questa invitta e salda ad ogni cnrilo
RHuoeerà con la sna Inoe Apollo.
Qnante ToUe qnand* io (folle di* lo n* e-
Di Gradivo 1* amor gradhr solia, [ra !)
Questa , dioeami , la mia reggia «Itera ,
Questa de* mieU trionfi fi trono ali.
Osari e Mecenati in Ivnga schiera
Per lei rinnoverà la città mia ;
Né Agli mai tra' svoi famosi e cMari
La gran lupa latina atra pie cari.
L* altro scudo vMn, che fior travom
DI tre strisele vermigtie il Manco tuatlra,
E di rose purpuree il campo terso
(Simile al volto tuo) fregialo moclmt
DI stirpe fia , splendor dell' iinlvono ,
Pompa del Tebro, e meravlgla noatm ,
A cui , come a miglior fra le ariglloH ,
Ben converrassi il fior degli aUri fiori.
Fior, cAw 4el sangue mio superilo vai.
Fior, pupilla d* Amor, tesor di Maggio,
Tu de* prati di Pindo onor sarai.
Né dei d* ombra, o di Sol temeroltragglo.
Quella, ch'onora U ciel romano, e aal
Non tuffa in tort>id' onda il chiara raggio;
De' fregi tuoi , non più di stelle InleMe
Porterà le ghiiiande orsa celestie.
Eeeo dei gran Tonante, ecoo poi nero
Un altro egregio imperiale aiigfilob
DeiDorìa, a cui di Dori il salso impero
Destinato è dal Qd, lo sondo è quello.
Fido mtadstro del gran Olove Ibero
Arderà, ferirà io suiol rnixllo,
Slcooae tu oo« tuoi pungenti agOM«di
I rttrasl d'Amor ferisci ed ardL
NoahaqMBloa librar dei dolo in lerra
II tripartito folgoro vermigiio.
Ma deU' altro inrenaL^cheinnovagaem
Fia temprato di bronzo, armar V arUgilio.
Quanto il lembo del mar drcooda € aann
Tremerà tutto, e correrà periglio.
Solo U verde arboscd , non che feiMo,
Fia difeso da questo e enslodMo.
progenie , eh* lo ti contee «oitro
Aquila peregrina aiaerà H volo.
Che imporporata del più iucld' ostro
Le hnme penne, andrt da polo a pelo.
Progenie degna di famoso Inchiostro ,
Del mondo onor, non di Ugerìa solo.
Degna più eh* altra assai del favor alo ,
Che darà legge id mar, dorè nacqu' io.
L'ABOME»
116
Ma deb poD aMiue atte purpuree prfle,
Di que* Medici iUuslri anse MvnMM,
Per cui (se il cliiaro antifeder bm iaile)
Le piagbe antiolie ba da saldar Toecana.
Da Fortuna battuu , «1 ciel faraUe
Balxar Yirtà sow' ogni gl«rla unawL
Con esse al giooo dell* liistabU Serte
Vinoeraane i ter duei Iniklia e Marta.
Palle d'alto valor fulminatrki*
Onde tempesta uscir deve si fatta «
Cbe de' rul)eUi eserciti neoiid
Fia cbe ogiri Xora, ogni riparo abballa.
Per cui non ael de' Barbari Inrelicl
La superbia cadrà rotta e dia£atta.
Ma dello scoppio il gran rlmbtaibo ealo
Tutto de' vizi «uerrtrà lo alnalo.
Sono i bei globi steiU al eelesU ,
E slmulacri^leUe sfere eterne;
E ben parie conferme ln^uelleei»qiiesli
(Tranne sol uno} il Monero ai aoeme.
A dinotar, cbe i^ eaaraU gesti
Tutte quante a'ba li del ro4e
Volgeranno prapiaie amico inose.
Solo csolofo Sayirno» infensi»
Fiorir l'aiti piA beife, a ifecMannl
Allor d* Amo «edrani te tonbftd' aeqoe;
E risoiier te Inoa, a r fefrancaiil
DnH' Italico anor, «b'eaUnu flao«aa8
E BMlU biitipi a nobil vaio aiaani
SuU' ili 4ll cabli, cbe da flMoaaqna«
E con «Mmì canoentl addokir I* anra
Dielin ai cancor di ficaiftee e Lai
UbeUa
Ondai*
Quasi bi
E ne' pia
DeU'dftì
Oqual,
Nascer di
ai sceoH kiatMa
la
ée*
al ano peMier a-
cplAprofeMtt
tnttas*!
lo, comsdal kisiri,
tal «GBMfU HtanMI
Vaiger di dal, firn di masi « d'an^
M aacoi trista bi tenebra aapalta
SpMtar va Sale a ristarara I itemiL
Sol,cbaa«iàaaldldsnMil tattaclliaiUd
Ma il cor aen»ra vM Ira i regi alteaL
parteL
Nan ia«iai«bedi<pieatatnplft bel man-
Alma copra pMeagi^, a pM pudica, [to
Ma dette lodi aue basti soltanto.
Uopo noni, cb'to più 4H dò ti Aa, [ta
Chè-qnalpraprioella siasi e come e^nan-
Vinca di pregte agni memoria anttea.
In parte, oVte condur ti vogMo tn breve,
fiaserM l'aochia tao giudice deva.
Goal gli «ee, ed sNa beBa ti bella
f^ parote hnerroaape in tiÉ mantelli
Deh dtanmi, o fida mia, cbeacndoè^wHa,
LoqualpaslononèoongNallH In setolerà.
Ma nella base sta, die fa scabeUo
Al gran MatordeUa plA cblara fferat
In queir asiar, cbe al ctel par ai soarigH,
Glie Yogtton dir qae' tre dorati glgHt
HeUa casa di Fnnda è bdlvtea,
E tal loca aragion Vaicaa te dtede.
Però cbe appunto a ^pielte ittcai
Fia di Febo, riq)aode, alberga a
E siccoaw dai annuii « divlm
Sursi sote in disparte HI si
Cosi d'ogai «-alar ricca e
Se n' andrà rinoalar daT altra
M(tea« ben, cèa deritaHa agglm^
Questa sate atawiiera OMve al lre«l,
Ch'aUragtanmsai^ViitÉacaldi «ponga,
Non Ila ohe i cl«al aaai cotanto appretJL
Troppa fera a cantar te aerte lunga.
Che ne «sdrà, ée'gteriasi regi,
E aenaa aansanrar ai fetta staaia
Eaata par tntU ad lllttMrarte no aria.
Gaam tntta ndcar racoalte asM
DeH'akva membra te vlrtndl
Cad «atta H dgmv, di e
BMoarrftlnaède'sudf
Né men materia a 4«d pM
Bar* dacelebrar ano giartea
Che preadaa'bdaiidar,cbei
Stilter vadnm ddle pi* detm feaml.
Con amn iftrt aacar, tegaia e atretta
Ten* Fartnaa ambite e aagaaae.
Stadi* rnaa a Vkt* sena a aaggetia,
Faralla a suo fevar tonar castante.
E il vagite alato, ohe can tanta fralia
Fugge,efuggtudafaHipeMcaSdlaBmate,
Percbè ^ anod aaai aan ae ae parti,
(k)n groppi auhiiat A taaadc farti.
156
MARINO.
Oltre il buon zelo e la giustizia, a cui
Dritto è elle Gallla ogn^tperanza appoggi,
Fiache tfn* gigli d*or sol per costui
Delle Muse toscane il coro alloggi.
11 Tago e il Gange Irriglienin per lui.
Invece del Gastalio, i sacri poggi ,
Onde per fecondar l'arido alloro [d'oro.
L'acque, ch'or son d'argento, allor fien
Nasci, nasci, o Luigi ! Amica stella
Quant'onor, quanto pregio a te promette!
Vibri pur quanto sa cruda e rubella
L'altrui perfidia in te lance e saette.
Taccio l'altre tue glorie, e passo a quella,
Che le Muse da te non fian neglette.
De' dolci studj, e della sacra schiera
Te rettore e tutore il mondo spera.
Cresci, cresci, o Luigi, inclita prole
D* alme eccelse e reali e giuste e pie.
Il tuo gran nome, ove l'altrui non suole
Si spargerà per disusate vie;
E dove sorge e dove cade il Sole
E dove nasce e dove more il die.
La Fama li porterà leggera e scarca,
E romperà le forbici alla Parca.
Tra molte e molte cetre, onde rimbomba
De' tool vanti immortali il chiaro grido,
Dal Sebeto traslala odo una tromba
Della tua Senna al fortunato Udo.
Questa trar ti potrà d'oscura tomba,
E darti infra le stelle etemo nido.
Oh' empiendo II ciel d' infaiicabil suono
Sarà lira al concento e squilla al tuono.
E sebben chi la suona e chi la tocca
Sosterrà di fortuna oltraggi e scherni;
Quando 1* invidia altrui maligna e sciocca
Pia che In hii sparga I suol veleni interni ;
Mentre avrà spirto in petto e fiato in l)oc-
Non però cesserà, che non ti eterni; [ca.
Di te narrando meraviglie tante.
Che ne suoni Parnaso e tremi Atlante.
Allor Venere tace, e dove folta
Stendon la verde chioma allori e faggi ,
Mille intorno al bel fonte, e mille ascolta
Poeti alati e musici selvaggi ,
Che con rime amorose a volta a volta»
E con Infaticabili passaggi.
Intrecciando sen van per la verdura,
Di lasciva armonia dolce mistura.
Il vago stuol de' litiganti augelli.
Per riportar de' primi onori il fiuto,
Innanzi a Qterea tra gli arboscelli
Cominciò gareggiando alto contrasto.
E concenti formò si novi e belli ,
Che a pareggiarli lo col mio stU non basto.
Giurò Venere istessain ciel avvezza.
Che le sfere non han tanta dolcezza.
0 perchè assai piacesse a questa Diva
Il canto, che In sul fine è più solenne,
0 perchè monda, e di sozzure schiva
Amasse II bel candor di quelle penne ;
Gregge di bianchi cigni ella nutriva
Neil' isoletta, ove quel giorno venne ,
Cile ambiziosi allor deUe sue lodi
A cantar si sfidaro in mille modi.
Infiniti , da strani ermi confini ,
Guerrier facondi e musici campioni,
E domestici a prova e peregrini
Vi concorsero Insieme a far tenzoni.
Tra' frondosi s'udir mirti vicini
Vibrar accenti e saettar canzoni ,
E della pugna lor, che fu concento,
Fu steccato la selva e tromba il vento.
Varj di voce e nello stll diversi.
Tutti però del par leggiadri e vaghi,
E tutti alla gentil coppia conversi
Cantao come Amor arda e come impiaghi.
Cantan molti il futuro, e forman versi
Dell'opre altrui fatidici e presaghi,
Che quel che ivi si bee furor divino.
Sveglia ne' petti lor spirto indovino.
Stiamo ad udir ( la Dea di Pafo disse)
Degli alati cantor le dolci gare.
Tener l' orecchie attentamente affisse
SI dennoa quell' insolito cantare.
Perchè si belle ed onorate risse
Saranno in altra età famose e chiare,
Gli augelli autor di si soavi canti
Son di sacri poeti ombre volanti.
L'anime di costor, poiché disciolte
Son da' legami del corporeo velo, [volte
Passano In cigni , e che in tal forma In-
Vivan poi sempre, ha stabilito il Cielo.
E tra questi mirteti In pace accolte
Le fa beale 11 gran rettor di Delo,
Là dove ognor, siccome fer già quando
Tenner corpo mortai, vivon cantando.
L'ADONE.
15T
Molte ve n* ha che ancor rinchiuse e strette
Nonson tra' sensi , e queste pur son tali,
A cantar qui per mia delizia elette
Finché in career terreno implicfaln 1' ali.
Adone il canto ad ascoltar si stette
Di que' felici spiriti immortali,
Che già Tenlan con tocI invece d'armi,
Nel Terde agone al paragon de' carmi.
Fu benigno favor, grazia cortese
Di lei, che è de' suol lumi unico Sole,
E miracol del Qe! , che Adone intese
Di quel linguaggio i sensi e le parole ,
E ben distinto ogni concetto apprese
Espresso fuor delle canore gole.
Nella scuola d' Amor che non s' apprende,
Se 11 parlar degli augelli anco s' intende?
Eran tra questi augei i' ombra d' Orfeo,
Che fé' de' versi suoi seguace il bosco.
Pindaro v' era, ed eravi Museo,
E Teocrito v' era, e v' era Mosco.
EravI Anacreonte, eravi Alceo,
E Safo aito splendor del secol fosco.
Che non portò di quanti io qui ne scrìvo ,
Luce minore ali' idioma argivo.
V era Io sluol di quei Latini primi.
Che In amoroso stil meglio cantaro.
Gallo, Orazio, Catullo, alme sublimi,
Tibulio,AccÌo,Properzio e Tucca e Varo,
Ed Ovidio, di cui non è chi stimi
Che aitro cigno d* Amor volasse al paro.
V era la schiera poi de' più moderni
Dell' italica lingua onori eterni.
8 sebben gii altri che le bianche piume
Per le piagge spiegar di Roma e d' Argo,
Fur ior maestri, ond' ebber spirto e lume,
Mercè, che a quelli il Clel ne fu più largo.
Questi però che di Parnaso il Nume
Gli ha destinati a posseder quel margo ,
Cantano soli alla gran Dea presenti;
Tacciono gli altri ad ascoltare intenti.
Aristofane tu, che ornasti tanto
Là nei greci teatri il socco d' oro,
Tu, che d' Interpetrar ti desti vanto
U ragionar del popolo canoro,
E In acena 11 novo inespiicabii canto
Spiegar sapesti e le favelle loro,
Tanta or dal biondo Dio mercè m' impetra,
Che distinguerlo insegni alla mia cettdu
Un w ne fu che sovra un verde lauro
Fece col suo cantar Laura Immortale ,
Ed illustrò dai BatfMano al Mauì^
Quei foco , che d' Apollo il fé' rivale ;
Dicendo pur che alle qùadrella d' auro
Cede la forza del fulmineo strale ,
Poiché neir arbor sacra al Clel diletta,
Dove Giove non potè , Amor saetta.
Altro il cui volo pareggiar non lice ,
Ben suli' ali leggier tre mondi canta ,
E la beltà beata, e Beatrice,
Che da terra il rapisce esalta e vanta.
Un suo victn con stil non men felice
Seco s' accorda in un istessa pianta ,
Perchè Gertaldo ammiri, e il mondo scerna
La sua flamma e la fama a un punto eterna.
Hawi poi d' Adria ancor canoro mostro.
Purpureo cigno e nobile e gentile ,
Che la lingua ha di latte e 11 manto d'ostro.
Rossa la piuma e candido Io stile.
Apre non lunge augel d' Etruria il rostro
(Salvo il capo eh' è verde) a lui simile ,
Appellando il suo amor sul verde stelo.
Scoglio in mar,selce In terra,angelo In cielo
Accompagna costor soavemente
11 sonator delia sincera avena ,
Che le Muse calar fece sovente
Di Mergeliina alla nativa arena.
Le cui dolci seguir note si sente
Anco un aitro figliuol della Sirena ,
Che con qual arte 1 rami a spogliar vegna
Lo sfrondator della vendemmia Insegna.
Donne insieme ed eroi , guerre ed amori
Quel che nacque in sul Po, cantar s'udia,
Immortalando di Ruggier gli onori
Con pura vena , e semplice armonia ;
Edi dolcezza inebbriava 1 cori,
I circostanti tronchi inteneria.
Arder facea d' amor le pietre e l' onde ,
Sospirar i' aure e lagrimar le fronde.
Testor di rime eccelse e numerose
Di Partenope un figlio a lui successe,
E prese a celebrar l' Armi pietose ,
Liberatrici delle mura oppresse ;
E i suoi pensier si vivamente espose ,
1 versi suoi sì nobilmente espresse ,
Che fé' del nome di Goffredo e Guelfo
Sonar Cipro non sol» ma Delo e Delfo.
1&8
MAEINO.
Né tu con voce meo gradita e cara
Favoleggiando U canto tuo sciogliesti.
Dico a te cIk di gloria oggi sì chiara
Il tuo fido pastore adorni e vestL
Seguir voleanoe della nobil gara
Dubbia ancor la vittoria era tra questi,
Quand'ccco fuor 4' un cavernoso tufo
Sbucar dilTorme e raiibuffàto un gufo.
Oh quanto, ob quanto meglio* Inlame
Ritorneresti all'inalici grotte, [augello.
Nunzio d'infausti aagurj, al Sol rubeUo,
E dell'ombre compagno e della notte]
Non diacnrbar l'angeUco drappello.
Vanne tra cave piante e mnra rotte
A celar quella tua fronte cornuta.
Quegli occhi biecU e quella iMria irsuta.
Da qual profonda e tenebrosa buca
Nottula temeraria al giorno uscisti?
Tonu là dove Sol mai non riluca
Tra foschi orrori e lagrimosi e tristi ;
Tu trionfi cantar d'invitto duca?
Tu di mondi novelli eccelsi acquisti 7
Tu dell' Invidia rea figlio maligno
Di pipistrel vuoi trasformarti incigno?
Cosi parla all'augel malvagio e brutto
La Dea, sdegnando un sili sk rauco udire,
E i chiari onor del domator del futlo,
Dov' ella ebbe il natal, tanto avviiireu
Splace del cigni al condatoro lutto '
ÌA, villana sdoecbezsa e il folle ardite.
Che r alle lodi ad abbassar ai metta
Del colombo a lei sacro una cltetla.
Mentre a garrir s'appresta, afioondoln atto
Che della nobil turba il gioco accresce,
E scole l'ali e In un meénmo tratto
Gli urii tra i canti amblsioso ei bmoc;
Loquacissima pica 11 fnntraffatfn
Uccellato uooeUone a sfidar esce,
E eoastfilll importanl hi roial carmi [mL
Dassl anch' eUaa gnochiar d'aoMMi e d'a»*
Macho? Bon prima a balbettar ai mise
Quel «no, canlo non già, atrepito eatrid».
Che idto levami fai mile e miilo 9uiaa
Infra i volanti aacoltatari na gridi».
Ed empiè il, che Ckana «e rise,
Quasi di lesu popalaro II lido.
Taflqna aiane,ofnggk om man rlfehk>«
Dd w^éeii aagd Civaia « fischio.
Non è gran fatto, che l' audacia atoHa
Di questa gassa, che si mal borbotta,
L'adunanca genUi, die è qui raccolta»
Disse Venere bella, abbia Interrotta.
Già volse in altra forma un' altra volta
Con la sclilera pugnar famosa e dotta;
Ma con 1' altre Pieridi confuse
Vergogna accrebbe a sé, gloria alle Muse.
Amor, che vede di quel canlo lieto
La madre intesa aUa piaoevol guerra.
Volando intanto, ov' è il vicin mirteto^
Insidiosa chiave asconde e serra;
Volge anelletlo picdolo e secreto,
E con gagliardo pie balte la terra.
Ed ecco d' acqua un repentino vela,
t^ fa pelago al snolo e nube ai òelou
Appena ti piede 11 pavimento tooea,
E l'ordigno volubile ai move.
Che il fonte tradhor subito scocca
Saette d' acqua Inaspettate e nove,
E prorompe in più scberil e mentre fiocea
Tempesta par quando è sereno e fim9.
Spicciano l'onde ed avventate In allo
Movono a chi noi sa furtivo assalto.
Come qualora a Roma il Cesto glemo
Del suo ooflHno pastor riporta l'anno.
Le iusette voLanli a adlle Inloma
Col flrmanmnto a gareggiar aan vannn.
Ma ne riedoa poi vtele, e nel ritoma
Lucido pracipisio a terra fanno»
E fanno le cadenti auree fiamnsidia
Un dUuvio di folgori e di olellet
Cosi U bel fonte hi pia fonU si
Se non quanto diverso è l'eleamnlni
Questo gioco bagnò, quel talor
E l' una piccia è d' or, l' altra d'
Alcun non sa di lor come gnardarta
Da quei ftiror che assale a tradirne nin
Altrui penegue, e qnantn pie lo
Do/nom crede salvani. Ivi l'aiiiw.
Ahi cmdo AaMr, versar f<
Arte non è, che In pur ora I
Avvesao già per soUli
Le tue fiammeaapmssar di
E non ti beau ognor dai nostri
Lagrìmosi atlllar insoelil e asari*
Ma spesso vuoi che |^' infelici
L'ABOm.
159
Fugge la Dea di mille rivi e mille
Bagnati il sen col suo bel foco in braccio ;
E queste^ dice a lui, gelide stille,
Che m*han tutta di fuor sparsa di ghiaccio,
Tosto rasciugherò con le faTllle,
DI quel sospiri, ond'io per te mi sfaccio.
Va poi seco in disparte, e cosi lassa
In penoso piacer 1* ore trapassa.
Già tramontar volea la maggior stella,
E del giorno avansava ancora poco,
Quando col beli' Adon Venere bella
Partì da quel delizioso loco.
Dlnaai, dolce mio ben, gli sogginns'cHa,
Al primi lampi del diurno foco
Ne Terrai meco a visitare insieme
Del regni miei le meraviglie estreme.
E il mio carro Immortal vo* che U pwU
Sul sereni del del campi IncenU,
A più vaghi gUnUai, a più b^gU orti»
Dove Jasiaoe di iori ha stdte ardenti,
U^fm é'iMorrolllMIi diporti,
Pmkk beau Mlé Mela gntL
Non deve a te mia gloria essere avosa,
Cke dBRBa e boB dd del cewKe coia.
Quivi data per me ti fia licenza
Di contemplar con mortali occhi impuri
Quante d*alta bel^ somma eccellenza
Donne avran mal nei secoli futuri ; [za,
Benché m'ingombri li cor qualche temen-
E vo% chela tua fé me n'assicuri,
Non alcuna di lor, mentre la miri,
A me ti tolga, ed al suo amor ti tiri.
Sebben la Dea d' amor cosi dicea.
Non n' era la cagion solo il diletto,
Ma perchè desviarlo indi volea.
Non senza aver di Marte alto sospetto,
Sapendo ben, che la sua stella rea
n risguardava con maligno aspetto,
E temea non le fusse all' improvviso
Dentro le braccia un di colto ed uccisou
Sorgea la notte lntaata,e 1' oaiÌM« mtn
Portava incomo, e 1 pigri sogni in leaaw
ÌMT immortali sue luoeati Cera
Tatto li campo celeste era già ptoo ;
E di quelle steiMti e iraghe scWcm
Per le piagge del del puro e sereao.
La caedalrice Dea, che fogge fl glorao.
Li orme aegola con wgOBilato corao.
ICO
MARINO.
CANTO DECIMO.
LE MARAVIGLIE.
ALLEGORIA.
Che Adone sotto la condotta di Mercurio e di Venere salga in cielo, ci disegna,
che con la favorevole costellazione di questi due pianeti può 1* intelletto umano solle-
varsi alle più alte speculazioni , eziandio delie cose celesti. La grotta della Natura ,
posta nel cielo della Luna con tutte V altre circostanze , allude ali* antica opinione
che stimava in quel cerchio ritrovarsi 1* idee di tutte le cose. Ed essendo ella
cosi prossima al mondo elementare , madre dell' umidità , e concorrente Insieme col
Soie alla generazione , meritamente le si attribuisce la giurisdizione sopra le cose
naturali. L* isola dei Sogni , che nel medesimo luogo si finge , esprìme il dominio e
la forza che ha quel pianeta sopra l' ombre notcume e sopra 11 cerebro ornano. La
casa dell'Arte situata nella sfera di Mercurio, e lo studio delle varie scienze, la
biblioteca dei libri segnalati , l' officina dei primi inventori deHe cose , fi mappamondo
dove si scorgono tutti gli accidenti dell' universo , ed in particolare le moderne guerre
delia Francia e dell' Italia, sono per darci ad intendere la qualità di quella stella,
potentissima (quando è ben disposta ] ad inclinare gli uomini alla virtù e ad operare
effetti mirabili in coloro che sotto le nascono.
ARGOMENTO.
Di sfera in sfera coìassli salita
Veoere con Adone in ciel sen vieno.
A cui Mercurio poi quanto contiene
Il maggior mondo in piccol mondo addita.
Musa, tu che del dei per torti calli
Infaticabilmente il corso roti,
E mentre de' volubili crìsUIli
Qual veloce e qual pigro accordi 1 moti,
Con armonico piede in lieti balli
I>ell' Olimpo stellante il suol percoli,
Onde di quel concento il suon si forma.
Che è del nostro cantar misura e norma;
Tu, divina virtù, mente immortale.
Scorgi l'audace ingegno, Urania saggia.
Che oltre i propri confin si leva e sale
A spaziar per la celeste piaggia.
Aura di tuo favor mi regga l'ale
Per si alto sentier sicch' io non caggia.
Movi la penna mia, tu che 11 ciel movi,
E detta a novo stll concetti novi.
Tifi prlmier per l' acque alzò l' antenne.
Con la cetra sotterra Orfeo discese.
Spiegò per l'aure I>edalo le penne.
Prometeo al cerchio ardente 11 volo stese.
Ben conforme all' ardir la pena venne
Per cosi stolte e temerarie imprese.
Ma più troppo ha di rischio e di spavento
La strada inaccessibile eh' io tento.
Tento insolite vie, dal nostro senso
E dal nostro intelletto assai lontane.
Onde qualor di sollevarvi io penso
0 di questo, o di quel le voglie insane;
Quasi debil potenza a lume Immenso,
Che abbacinata in cecità rimane, [pò
L' uno abbagliato, e l' altro infermo ezop-
Si stanca al sommo e si confonde al troppo.
ADONE.
161
E se par, che noi Tinca e noi soTerchl
L' infinito splendor, talTolta aTviene,
E che 11 pensier t1 poggi e che ricerchi
Del non trito cinunln le vie serene.
Immaginando quei superni cerchi,
Non sa, se non trovar forme terrene.
50 hen, che senxa te toccar si vieta •
A al tardo carsor sì eccelsa meta.
Tu, che di Beatrice 11 dotto amante
GU rapisti lassù di scanno in scanno,
E il felice scrittor, che d'Agramante
Immortalò Talta mina e 11 danno,
Guidasti si, che sul destrier volante
Seppe condunrl 11 paladin britanno.
Passar per grazia, or anco a me concedi
Del tuo gran tempio alle scerete sedi.
Già per gli ampj del elei spazj sereni
Dinanzi al Sol Lucifero fuggiva,
E quei scotendo 1 suoi gemmati freni
L' uscio purpureo al novo giorno apriva.
Fendean le nebbie a guisa di baleni
Anelando 1 destrier di fiamma viva,
E vedeansi pian pian nel venir loro
Ceder l'ombre notturne al fiati d' oro»
Dalle stalle di Cipro, ove si pasce
Gran famiglia d'auge! semplici e molli,
Sei ne scelse In tre coppie e in auree fasce
Ai tlmon del bel carro Amor legolli.
Torcer lor vedi Incontr'al dì, che nasce.
Le vezzose cervici e i vaghi colli,
E le smaltate e colorite gole
Tutte abbellirsi e variarsi al Sole.
Vengon gemendo, e con giocondi passi
Movon citati al bei viaggio il piede,
Al bei viaggio, ove apprestando vassi
Venere con colui che il cor le diede.
Al governo del fren Mercurio stassi,
E del corso sublime arbitro siede;
Sovra la princIpal poppa lunata
Posa la beila coppia innamorata.
Sdolser d'un lancio le colombe a volo
Legate al giogo d'or, l'ali d' argento.
51 aprirò i cieli e serenossi 11 polo,
Sparver le nubi ed acqiietossi il vento.
DI canori augelletti un lungo stuolo
Le secondò con musico concento,
E sparser mille passere lascive
Di garriti d'amor vod festive.
Qneile innocenti e candide augellette.
Da' cui rostri si apprende amore e pace.
Non temon già, d* amor ministre elette,
Lo smerlo Ingordo, o 11 peregrio rapace.
Con lor l'aquila scherza, altre saette
Nel cor, che nell* arti|lÌo aver le place.
I più fieri dintorno augel grifagni
Son di nemici lor fatti compagni.
Precorre, e segue il carro ampia falange
(Parte il circonda) di valletti arcieri.
Ed altri a consolar l' Alba che piange.
Col venir delia Dea volan leggieri.
Altri al Sol, che rotando esce di Gange,
Perchè sgombri la via, van messaggierl.
Ciascuno 11 primo alle fugaci stelle
Procura di annunziar l'alte novelle.
0 fu, che in novo e disusato modo
Saggia scorta mi guidi a quel gran regno,
Disse a Mercurio Adone, ove non odo.
Che altri di pervenir fusse mai degno,
Pria eh' io giunga lassù, solvimi un nodo.
Che forte implica II mio dubbioso inge-
È fors' egli corporeo ancora il cielo [gno,
Poiché può ricettar corporeo velo?
Se corpo ha il ciel,dunque materia tiene,
Se egli è material, dunque è composto ;
Se composto mei dai, ne segue bene
Che è dei contrari alle discordie esposto ;
Se soggiace ai contrari, ancor conviene
Che alla corruzion sia sottoposto.
Eppur del elei parlando, udito ho sempre,
Ch'egli abbia incorrottlbill le tempre.
Tace, e in tal suono ai detti apre la via
II dotto timonicr del carro aurato :
Negar non vo', che corpo il ciel non sia
Di palpabii materia edificato,
Cile far col moto suo quell'armonia
Non potrebbe, ch'el fa, mentre è girato.
É tutto corporal ciò che si move, [il dove.
E ciò che ha, li qual e li quanto, il donde e
Ma sappi, che non sempre è da Natura
La materia a tal fin temprata e mista,
Perciiè abbia a generar cotal mistura.
Quel che perde mutando in quel che acqui-
Ma perchè quantità prenda e figura, [sta ;
E del corpo alla forma ella sussista ;
Né di material quanto è prodotto
Dee necessariamente esser corrotto.
J62
MARINA
Malaria dar questa materia suole
Al discorso mortai, cbe soveaie erra.
Chi fabbricata la celeste mole
Di foco e fumo tien, obi d* aoqua e terra.
Se arrìvassero al ver ai fatte fole.
Sarebbe quivi una perpetua guerra.
Così di quel cbe V uom nou sa vedere.
Favoleggiando va miUe ctaimere.
La materia del ciel, sebbeu sublima
Sovra l' altre il suo grado iu eminenza.
Non però dalla vostra altra si stima;
Nulla tra gr individui lia differcnaa.
Ogni materia parte è della prima,
Sol la forma si varia e noa l' essenza.
Varietà tra le sue parti appare.
Secondo cbe elle sou più dense, o rare.
Bastiti di saper, cbe peregrina
Inqiressione in sé mai non riceva
La perfetta natura adamantina
Di quel corpo lassù Jubrico e lieve.
Paragonarsi (ancorcbè pura e fina)
Qualttdi d* elemento a lei non deve.
Un fiore scelto, una sostanza quinta,
Da cui di pregio ogni materia è vinta.
La sua figura è circolare e tonda.
Periferia continua, e senza punto.
Termin non ba, ma aipazio egual circonda;
Il principio col fin sempre bacoagbmlo.
Linea, cbeappien d'ogni ecccUenza al»-
Alla divinità simile appunto, [bonda,
E la divina Eterni tade imita.
Perpetua, iiidÀssoluiMle, infinita.
Or a questa del ciel materia eterna
L'anima, cbe l'informa, è sempre unita.
Questa è quella virtù santa e superna.
Spirto, cbe le dà moto e le dà vita.
Senza lei, cbe la volge e la governa,
Fora sua nobiltà troppo avvilita.
Miglior foran del ciel le pietre istesse,
Se la forma motrice ei non avesse;.
Questa con lena ognor possente e franca
Della macchina sua reggendo il pondo,
Le rote mai di moderar non manca
Di quel grand' orinol, cbe gira a tondo.
Per questa in guisa tal, che non ai stanca.
L'organo immenso, onde tia misiin H
Con sonora vertigine ai volve, [mondo,
Né si discorda mai, aè si dissolve.
' Cosi diflea di Giove il
Né lasoiava d'andar, pcvch'ei pBSÌBwr
De' campi intanto, ov'haGtenonelmpem,
Lasciate avea le regioo pin haaae,
E già verso U piéotftivoa più h
Elemento drizzava il lodd';
La cui sfera immortai mai sempre aacett
Passò sensa periglio e senza ofieat.
Varcalo il pnns ed innocente fisco,
Cile alla gettda Dea la faccia airings,
L'etra sormonta, «d a più aobU looo
Già presso al primo del prende la
E il suo corpo InooBtraBdo a poco
Cbe par specchio ben terso «
In queste note il favellar ^Istiafne
li maestro dell'arti e delie Iin«ne :
Adon, so che saper di questo gira
Brami i secreti, ove sbm qnasi s'aeri,
Con tanta atsenzion mirar li mAro
Nel vollo della Dea, madre dei mori;
Che aebben tu mi taci il tao deshm^
E la dimanda tua non mi palesi.
Ti veggio in frooSe o^l pensior
Più che se per parlar fosse dlotinito.
Questo, acuì slam vicini, è della!
L' orbe,che imbianca il ciel con suoi spioft-
Candida guida della Noue bruna, [4orl|
Occliio de' ciechi e tenebrosi orrori.
Genera le rugiade, i nembi aduna.
Ed è ministra de' fecondi umori.
Dagli altrui raggi illuminata splende.
Dal Sol toglie la luce, al Sol la rende.
Di questo corpo la grandezza \'era^
Minor sempre è del Sol, nèmai l'adombra,
Cbe delia terra a misurarla intera
La trentesima parte appena ingombra.
Ma se s'accosta alla terrena sCera, [bra,
Egual gli sembra, e gli può far qualch'on^
Sol per un sol momento allorsi vede
Vincer il Sol, d'ogni altro tempo cede.
Ha varie forme, e molti aspetti o molti,
Or è tonda, or bicorne, or piena, or scornai
E sempre tien nel Sol gli occhi rìvoUl,
Cbe la peroote dalla parte estrema.
Onde semprealmen può l' un de' due volri
Partecipar di sua lieità suprenuu
Fa ciascun mese il suo periodo kitero,
E circondando il del, cangia emiqpoKU
L'ABONG.
163
1 a voi più dw gU «Ufi or-
Suol soprai Tostfi corpi aver gran fona, [bi
Jtama è de' tenti, e Aea di inall« norM,
Ella sol gli prodnee, ella gli aansorta.
Quanlo,« padre Oeean, nel grembo assor-
Quanto la te vive sotto dura teoria, [lil,
E il noto istcnt taocaagiande usanca
Altera al atte» tno stalo e sem^Umaa.
ft friuioc il Éor, la pianta e la radloe,
11 mare, il fome, iltoaM e Tonda e 11 pe-
PrcDdoa da questa ogni \\nk notriee, [wt,
E H moto aaeor, qvaad* ella manca o ere-
fio! cerebro ella è sol goveniatrice, [see.
Di qnamo il ventre chiude e quanto n'e-
E tutto ci6, che in tè parte ritiene [tee,
ir BBida ifoalità, eon lei eoaviene.
Oata, BOB dieo tol Satnroo, o Gioire
DM BM»do iaferior propina, o fella,
Ma qnal altra o che posa, o che si move,
StaUl non versa, o vagalMBda stella.
Che BOB patri per lei : quante il dd piove
lainenae iagglb, teendon per qudla.
Per quella chiara laa^iada d' argento,
Che è deironfaftt antturBe altoamaoiento.
Cadete awlea, che gM B bel sembiante
CoUtritn e disposto fai boono aspetto,
Anemchè variabile e vagante,
Partorisee talor fdioe cCRetco.
Ma Fortuna non mal, fnor die ineottanle.
Speri chinaqne a lei nasce soggetto,
Qm eoo perpetuo ernor Ha che lo splaga
Faor di patria a nwoar vita ramiaga.
€oB più dilato ancor hmes sermoac
Il Meo dtvin voiea seguire.
Quando a messo il discorso II bd garsoae
La favella fl^i traaoa e prende a dire :
D* naa eosa a spiar Palta cagione
Caldo ari move e feniido desire.
Cosa, che da die pria rocchio la scorte.
Sempre ha la aeafee mia tenuu In forse.
DTalcBBe ombrose nuicchie fanpreasa io
Della triforme Dea la guancia para, [veggio
Dimmi fl perchè; tra mille dubb} oadeg-
Né so trovarne opialoB secora. [gfo,
Qual immoado contagia, lo ti richieggio,
Di hmtte stampe il vago volto sseara?
Cod ragloaa, e 1' altro uà* altra vdU
La parafai rtpigiia, e dice : Ascolta.
Poidiè cotanto addentro intender ^noi.
Ai bel quesito soddisfar prometto.
Ifo di dò la ragion ti dirà poi
L* occhio vie meglio assai , die V intdletto.
Non mancan già filosofl tra voi ,
Che notato hanno in lei questo difetto.
Studia clascm d* investigario a prova,
Ma chi si apponga al ver raro si trova.
Afferma alam, che d* altra cosa densa
Sia tra Febo e Febea corpo framesso,
La qual dello splendor, eh* ei le dispensa.
In parte ad occupar venga il reflesso.
Il che se fosse por, come altri pensa.
Non sempre il volto suo fora l' Istesso,
Né sempre la vedrìa chi In lei si aflisa
In tra loco macchiata, e d' una guisa.
Havff chi crede, che per esser tanto
Cinzia vicina agli elementi vostri.
Della natura dementare alquanto
Coovlen pur die partecipe si mostri.
Cosi la gloria Immacolata e il vanto.
Cerca contaminar de' regni nostri ,
Come cosa dd del sincera e schietta
Possa di vii mistura essere Infetta.
Altri vi fu, che esser qnd globo disse
Qaasi opaco cristal, che il piombo hadle-
E che col suo reverbero venisse [tro,
V ombra ddle montagne a farlo tetro.
Ma qual sì terso mai fu, che ferisse
Per cotanta distanza, acchiio, o vetroY
E qnal vasta cerniera in specchio giunge
L' Iramagfaie a mirar così da lunge?
^ Egli è dunque da dir, che più secreta
Colà s* asconda, ed esplorata invano
Altra cagion, die penetrar si vieta
Air ardimento dell' ingegno umano.
Or io ti fo saper, che quel pianeta
Non è, com' altri vuoi, polito e piano,
Ma ne' recesd suoi profondi e cupi
Ha non men che la terra e valile rupi.
La superficie sua mal conosdtita
Dico, che è par come la terra Istessa,
Aspra, Ineguale e tumida e scrignota.
Concava fai parte, in parie ancor convessa.
Quivi veder potrai ( ma la vednU
Noi può raSgurar, se non s* appretta ) ^
Altri mari , altri fiumi ed altri fonti,
Città, regni, Provincie e piani e monti.
164
MARINO.
E questo è quel, che sa laggiù parere
Nel bel viso di Trlvia i segni foschi, [dere
Benché altre macchie, che or non puoi ve-
Vo' che entro ancor vi scorga e vi conoschi ,
Che son più spesse e più minute e nere,
E son pur scogli e colli e campi e boschi.
Son nel più puro delle bianche gote,
Ma da terra affissarle occhio non potè.
Tempo verrà, che senza impedimento
Queste sue note ancor fien note e chiare,
Mercè di un ammirabile stromento,
Per cui ciò che è lontan , vicino appare;
E con un occhio chiuso e 1* altro intento
Speculando ciascun Torbe lunare.
Scorciar potrà lunghissimi Intervalli
Per un picciol cannone e due cristalli.
Del telescopio a questa etate ignoto
Per te Oa , Galileo , 1* opra composta ,
L'opra,che al senso altrui, benché remoto
Fatto molto maggior V oggetto accosta.
Tu solo osservator d' ogni suo moto ,
E di qualunque ha in lei parte nascosta,
Potrai , senza che vel nulla le chiuda ,
Novello Endlmion , mirarla ignuda.
E col medesmo occhiai non solo in lei
Vedrai dappresso ogni atomo distinto ,
Ma Giove ancor sotto gii auspicj miei
Scorgerai d'altri lumi intorno cinto ,
Onde lassù dell'Arno 1 Semidei
Il nome lasceran sculto e dipinto.
Che Giulio a Cosmo ceda allor fla giusto,
E dal Medici tuo sia vinto Augusto.
Aprendo il sen dell' Ocean profondo ,
Ma non senza periglio e senza guerra ,
11 ligure Argonauta al basso mondo
Scoprirà novo cielo , e nova terra.
Tu del elei , non del mar Tifi secondo ,
Quanto gira spiando, e quanto serra
Senza alcun rischio , ad ogni gente ascose
Scoprirai nove luci e nove cose.
Ben del tu molto al ciel, che ti discopra
L'invenzion dell'organo celeste,
Ma viepiù il cielo alla tua nobil opra.
Che le bellezze sue fa manifeste.
Degna é l'immagin tua, che sia là sopra
Tra 1 lumi accolta , onde si fregia e veste,
E delle tue lunette il vetro frale
Tra gli eterni zafflr resti immortale.
Non prima no , che delle stelle Istease
Estingua il cielo 1 luminosi rat,
Esser dee lo splendor, che al crin ti teast
Onorata corona , estinto mai.
Chiara la gloria tua vivrà con esse,
E tu per fama in lor chiaro vivrai ,
E con lingue di luce ardenti e belle
Favelleran di te sempre le stelle.
Non avea ben quel ragionar fornito
Il secretarlo de' celesti Numi ,
Quando il carro immortai vide salito
Sovra il lume minor de' due gran lumi.
Trovossi Adone, in altro mondo uscito.
In altri prati , In altri boschi e fiumL
Quindi arrivò per non segnato calle
Presso un speco riposto in chiusa valle.
Circonda la spelonca erma e remota
Verdeggiante le squame , angue custode.
Angue, che attorce in flessuosa rota
Sue parti estreme e sé medesmo rode.
Donna canuta il crln , crespa la gota.
Del cui sembiante il del s'allegra e gode.
Dell'antro venerabile e divino
Siede sul limitare adamantino.
Pendonle ognor da queste membra e
Mille pargoleggiando alme volanti,[queUe
E tutta piena Inlorno è di mammelle.
Onde allattando va turba d' infanti.
Misurator de* cieli e delle stelle,
E cancellier de'suol decreti santi.
Le leggi , al cui sol cenno il tutto vive ,
Ne' gran fasti del Fato un veglio scrive.
Calvo é il veglio e rugoso, e spande al
Della barba prolissa il bianco pelo, [petto
Severo in vista e di robusto aspetto ,
E grande si , che quasi adombra 11 cielo.
È tutto ignudo e senza vesta, eccetto
Quanto il ricopre un varlabil velo.
Agii sembra nel corso, ha 1 pie calzati,
Ed a guisa di augel , gli omeri alati.
Tien divisa in due vetri in sulla schiena
Lucida ampolla , onde traspar di fore
Sempre agitata e prigioniera arena,
Nunzia verace delle rapld' ore.
A filo a filo per angusta vena
Trapassa e riede al suo continuo errore,
E mentre ognor si volge e sorge e cade ,
Segna gli spazj dell' umana etade.
L'ADONE.
Di serri e serre, ad ubbidirgli avvezza
Moltitudine intorno ba reverente.
Di quella maestà, che il tutto q>rezza,
Provvida esecutrice e diligente.
Mostrava Adon desio d*aver contezza
Qnal si fusse quel loco e quella gente ;
Onde cosi di quei secreti immensi
n suo oonducitor gli aperse i sensi.
Sacra a colei, che gli ordini fatali
Ministra ai mondo,èqoesu grotta annosa.
Non solo impenetrabile al mortali,
Agli occhi umani ed alle menti ascosa ,
Sicché alzarvi giammai la vista, oTali
Intelletto non può, sguardo non osa ;
Ma gì' Interni recessi anco di lei
Quasi appena spiar sanno gli Del.
Natura unlversal madre feconda
È la donna , che assisa Ivi si mostra.
In quella cava ha sua magion profonda ,
Occulto albergo e solitaria chiostra.
Giusto è, che ognun di voi le corrisponda,
Vuoisi onorar qua! genitrice vostra ;
E ben le devi tu , come creato [grato.
Più bel d'ogni altro. Adone, esser più
Qoell'uom antico ch'alle spaile hai vanni,
È quei , che ogni mortai cosa consuma ,
Domator di monarchi e di tiranni.
Con cui non è chi contrastar presuma.
Parlo del Tempo dlspensier degli anni ,
Che scorre il elei con sì spedita piuma ,
E si presto sen fugge e si leggiero,
Che è tardo a seguitarlo anco il pensiero.
Con r ali, che si grandi ha sulle terga ,
Vola tanto che il Sol l' adegua appena.
Sola però l'Eterniti, che alberga
Sovra le stelle , il giunge e l'incatena.
La penna ancor, che dotte carte verga,
Passa il suo volo, e 11 suo furore affrena.
Così (chi il crederebbe?) un fragll foglio
Può di chi tutto può vincer l' orgoglio.
DI duro acciaio ha temperati I denti ,
Infrangibili , eterni , adamantini.
Delie torri superbe ed eminenti
Rode e rompe con questi 1 sassi alpini ;
Del gran teatri i porfidi lucenti ,
Degli eccelsi colossi i marmi fini.
Divorator del tutto, alfin risolve
Le pMt sald« materie in trita polve.
165
DI sua forma non so se t* accorgesti ,
Che non è mal l'istessa alla veduta.
Faccia ed età di tre maniere ha questi ,
L'acerba , la virile e la canuta.
Tu vedi ben , come sembiante e gesti
Varia sovente e d'or in or si muta.
L'effigie, che pur or n'offerse Innanzi,
Altra ne sembra , e non è più qual dianal.
Vedigli assiso ai piedi un potentato.
Da cui tutte le cose han vita e morte ,
Con un gran libro , le cui carte è dato
Volger (com'ella vuol) solo alla Sorte.
A questo Nume, che si appella Fato,
Detta quant'el determina In sua corte.
Quegli lo scrive, ed ordina al governo.
Primavera ed autunno , estate e inverno.
Comandan questi al secolo e palese
Gli fan ciò che far dee di punto In punto.
Il sccol poi che ha le sue voglie intese ,
Al lustro impon che l' eseguisca appunto.
Il lustro all' anno, e l'anno al mese, II mese
Al giorno^ll giorno airora,e l'ora al punto.
Così dlspon gii affari , e con tal legge
Signoreggia I mortali e il mondo regge.
Vedi que'duo,i'un giovinetto adomo.
Candido e biondo e con serene ciglia.
L'altra femmina ebruna,e vanno intorno,
E si tengono in mezzo una lor figlia.
Son color, se noi sai, la Notte e 11 Giorno,
E l'Aurora è tra lor bianca e vermiglia.
Or mira quelle tre , che tutto han pieno
DI gomitoli d'accia 11 lembo e 11 seno.
Quelle le Parche son , per cui laggiuso
È filata la vita a tutti voi.
Nel suo volto guardar sempre han per uso,
Tutte dipendon sol dai cenni suoi.
Quella tien la conocchia e questa il fuso,
L'altra torce lo stame e II tronca poi.
Vedi la Verità figlia del vecchio , [chio.
Che innanzi agli occhi gli sostien lo spec-
Quanto In terra si fa, là dentro el mira,
E dell'altrui follie nota gli esempi.
Vede l' umana ambizion che aspira
In mille modi a fargli oltraggi e scempi.
Crede fiaccargli alcun la forza e l' Ira
Ergendo statue e fabbricando tempi.
Altri contro gii drizza archi e trofei ,
Piramidi, obelischi e mausolei.
166
BiAUMO.
Ride egli allora , e si sei prende a gioeo, |
Scorgendo quanto Tuom s'inganna ed erra
E poiché in piedi ha pur tenute un poco
Quelle macchine altere ^ alfin le atterra.
Dalle in preda deli* acqua , ovver deifeco.
Or le dona alla peste , ora alla guerra*
Le sparge in fumo in quella guisa oin que-
Sicché vestigioalcun non ve ne resta, [sta
E di ci6 la ministra èsoiquell' una.
Che è deca e d' un deliin sui dorso siede,
CalTa da tergo e il crine in fronte aduna.
Alata e tien sovra una palla il piede«
Guarda se la conosci, è la Fortuna,
Che al paterno terreu passar ti diede.
Mira quanti tesor dissipa al vento,
Mitre, scettri, corone , oro ed argento.
Quattro donne reali a pie le miri,
E son le monarchie deli' universo.
D' or coronata è quella degli Assiri,
D* argento 1* altra, che ha V impero perso ;
La Grecia appresso con men ricchi giri
Porta cerchiato il crin di rame terso.
L' ultima, che di ferro orna la cliioma,
È la guerriera e bellicosa Roma.
Ma ciò che vai, se il tutto è un sogno bre-
Stolto colui, che in vanità si fida, [ve?
Dritto è ben, che d' un ben, che perir deve,
L' un filosofo pianga e l' altro rida.
Sola virtù del Tempo avaro e lieve
Può V ingorda sprezzar rabbia omicida.
Tutto li resto il crudel, mentre che fugge,
E rapace e vorace, invola e strugge.
Guarda suli' uscio pur della caverna,
E vedrai due gran donne assise quivi,
E quinci e quindi dalla foce in tema»,
Di qualità contraria uscir duo rivi.
Siede l' una da destra e luce eterna
Le fregia il volto di bei raggi vivi,
Ridente in vista e di un aspetto santo.
In maa lo scettro ed ha stellato il manto.
È la Felicità, de' cui vestigi
Cerca ciascun, né sa trovar la traccia.
Ma da larve deluso e da prestigi
Di quella iav«ce, la Biiseria abbraccia^
Stanno molte donzelle a' suoi servigi ,
D' ocdiio giocondo e di piacevol faccia^,
Vita, abl)ondanza, e bea contente e liete
Festa, gioia, allegria, pace a quiete^
Liiago HaaaptècaslbBipld' ondaevlfa
Mormorando sen va soafcaente.
li destro iuaited, da cui àtriva.
Di letizia immMrtal vena conrcate.
Ella un laaibicco la man sovra la rifs
Colmo dell' acqua tien di quel torfcttta,
E (come vedi ben) fuor éella boote
In terra le dlsiUiaa gooda ai
A poco a poco isgiè Tersa il dilcttov
Perdiè altri noa pad forno intieroacipilsto.
Scarso è 1' mbmo conforto ed tfl^>effett•,
E qualche parte insè seaipre ha # irisloi
Quelbeaciie qui nd dei èpwoetdiietlo.
Piove laggiù eootaoiinailo e misto,
Pcroccliè pria che caggia, el si coafoada
Con quell'altro niscdchf aaiafe ha l'onée.
L'altro niscel, che mea paryilooditeo
Passa da manca, è lutto di veleoo^
Viepiù che fid, viepiù che assenrio lairfs
E sol pianti e sciagure accoglie ia atno.
Vedi cold, che il vaso, onde volam
Le compagne d*Astrea, tolto a' In ptaaos
E con prodiga mam sovra i nonaii
Sparge quanti mai fur malori e maH.
Pandora è quella ; il boMolo di Giove
Folle audacia ad aprir le persaase.
Fuggì lo stuol delle Virtudi altrove.
Le Disgrazie reslaro In fondo d vaac.
Sol la Speranza ia cima all' orlo, doto
Sempre accompagna i miseri, rianae ;
Ed è quella colà vestila a verde.
Che in dd non entra,eaell'eBtrar d peida^
Or vedi come fuor deli' aotpia bocca
Dell' urna rea,eheogni difetto aseoode,.
In larga Tena scaturisce e fiocca
Il sozzo umor di quelle perfld' oo^ku
Dell'altro fiume, onde piacer trabocca.
Questo in copia maggior 1* acqua dift>nd&
Percliè in quel nido di tonoeati e gmi
Sempre l' amaro è più che II dolce i
Vedi Morte, Penuria e Guerra e Pesta,
Vecchiezza e Povertà con bassa fronte.
Pena, Angoeda, Fatica, alDltte e meMB
Figlie appo lei d' Avemo e d' Acheroote.
Ve' r empia logratitudine tra qucaia.
Prima d' ogni altro md radice e ionie.
E tutte uscito son del laBOi lamoodo
i Per iiUiBataff,pcrinfotlafeiLnHMìdow
L'ADONE.
167
NoaU ■Mravigliar,dieUbiiiil t doglie
In quello priBO citi biceian dimoia.
Perchè la Diva, onde tteno voto ei foglio,
È di ogni morlM» e di ogni mil signora.
In lei dominio e potestà s' accoglie
Kaofra i corpi e sof ra V alme ancora.
Ma se di ogni bruttura inii|ua e feUa
Vuoi la schiuma veder, folgitl a quelia.
Si disse, e gli mostre mostro diiibrme
Con orecchie di Mida e man di Cecco.
Al duol Tolti parca Giano bUorme,
Alla aresu Piìapo, ai ventre Bacco.
La gola ai lupo avea forma confonne,
ArtigU avoa d' arpia, anne di ciacco.
Era iena alla voce e volpe al tratd,
Scorpione alla coda e stania agH altK
alla guida Adoa, di che natura
Fussa Iwstf a si strana, e di che sorte,
Ed ialese da lui, che era figura
Vera od idea della moderna corte.
Firtrato orrendo dell' età futura,
FlageLdel mondo, assai peggior che Morte,
Dell* Ertami infernali aborto espresso,
Vomito deif tatfemo, inferno istesso.
Ma di questa, dlcea, meglio è tacerne.
Polche ogni pronto stil vi fora soppo.
Ben mille lingue e mille penne eteme
In mia vece di lei parleran troppo.
Ifira in qnel tribunal, dove si sceme
DI gente Intorno adulatrice un groppo.
Donna con torve loci e lunghe orecchie.
Che da' fianchi si tien due bratte vecchie.
L' Autorità drannlca dipigne
Quella saperba e barbara sembiansa,
E l'assistenti sue sciocche e maligne
Son la Soepiaione e l' Ignoransa. [ gne.
Labbra lia verdi e spumati ci e man sangui-
Mostra rigor, furor, fasto, arroganza.
Porgo la destra ad una donna ignuda,
DI cui non è la più perversa e cruda.
Questa tutta di sdegno, accesa e tinta,
E di dispetto e di fastidio è piena ;
E da turba cnidel tirata e spinta
Giovinetta gentil dietro si mena,
Che Funa el' altra mano al tergo avvinta
Poeta di dura e rigida catena,
aiBaiilU n viso e pallidetta alquanto,
Ed ha bianca H gonna e bianco II manto.
La Calunnia («dei^che al trono angusto
Per man la tregge e par d* astio si roda.
Beila la fìiccia ha si, ma dietro al busto
Le si attorce di serpe orrida coda.
L' altra condotta nel giudizio ingiusto,
A cui ie braccia Indegno ferro annoda,
È r incorrotta e candida Innocenza,
Sovraffatta talor dall' Insolenza.
Il Livor l'è dfncontra, il quale approva
La felsa accusa, e la risguarda in torto.
Aconito inferoal nel petto cova,
E di squallido bosso ha N viso smorto,
Simile ad uom, che afflitto ancor si trova
Da lungo morbo, onde guari di corto.
Coppia d'ancelle alla Calunnia applaude.
Testimoni malvagi. Insidia e Fraudo.
Segue costoro addotorata, e piange
Di tal perfidia II torto e la menzogna
La Penitenza, che si affligge ed ange
Presso la Verità, che la rampogna.
E si squarcia la vesta, e il crin si frange,
E di duci si dispera, o di vergogna,
E col ffagei di una spinosa verga
Si batte li corpo, e macera le terga.
Oimè, non stiam pia qui, lasciam per Dio
Di questi mostri abbominandi il nido.
Tacqnesi, e lungo un tortuoso rio
Quindi svinilo il saggio duce e fido.
D^ un' oscura isoletta A don scoprio
Non molto Innge, ancor incerto, il lido.
L'aria avea d'ogn' Intorno opaca e bruna
Qual fosca notte in nubilosa Luna.
Giace in mezzo d'un fiume, il qual si roco
Dilaga 1* acque sue placide e chete,
E va si lento e mormora si poco.
Che provoca In altrui sonno e quiete.
Ecco, Mercurio allor soggiunse. Il loco.
Dove discorro il sonnacchioso Lete,
Da cui la verga mia forte e possente
Prende virtù d* addormentar la gente.
L' isola d* ogni parte abbraccia e chiude,
, Come scorger ben puoi, l' onda letale.
Sembra oziosa e Hvida palude.
Onde caligin densa in alto sale.
Vedi quante in queir acque anime ignudo
Vanno a lavarsi ed a tullhrvi I* ale
Pria che le copra il corrottibii velo,
Per obbilar ciò che han veduto in cielo.
10$
MARINO.
Vedine molte, che a bagnar le pinne
Vengon pur nelle pigre onde infelici,
E perdon pur dentro il medesmo fiume
La conoscenza de* cortesi amici.
Son gr ingrati color che lian per costume
Dimenticar favori e benefici,
E scriyer nelle foglie e dare ai venti
Gli obblighi, le promesse e 1 giuramenti.
Altre ne vedi ancor quassù dal mondo
Salire ad or ad or macchiate e brutte.
Le quai non pur di quel licore immondo
Corrono a ber, ma vi s' immergon tutte.
Genti son quelle , che da basso fondo
Son per fortuna ad alto grado addutte.
Dove ciascun divien si smemorato ,
Che più non gli sovvien del primo stato.
Oh dei terreni onor perfida usanza ,
Con cui l'obblio di subito si beve.
Onde con repentina empia mutanza
Viensi l'uomo a scordar di quanto deve!
E non solo d* altrui la rimembranza
In lui s'offusca e si smarrisce in breve.
Ma si del tutto ogni memoria ha spenta ,
Che di sé stesso pur non si rammenta.
Il paese dei Sogni è questo, a cui
Pervenuti noi siamo a roano a mano.
Vedi che appunto nei sembianti sui
Simile al sogno , ha non so che del vano ,
Che apparisce e sparisce agli occhi altrui,
E visibile appena è di lonuno.
Qui da Giove scacciato ii Sonno nero,
Contumace del elei, fondò l'impero.
Ma per poter varcar V onda soave
Sarà buon , che alcun legno or si prepari.
Ed ecco allora in pargoletta nave
Strania ciurma apparir di marinari.
Itatone e Tarassio il remo grave ,
E Plulocle e Morfeo movean dei pari ;
Era il vecchio Fantasio 11 galeotto.
Al mestier del timone esperto e dotto.
Presero un porto, ove d'elettro puro,
Airaugel vigilante un tempio è sacro.
Quindi scolpito sta l' Èrebo oscuro,
Quinci d' Ecate l>ella il simulacro.
In suir entrar, pria che si passi al muro,
V* ha di duo fonti un gemino lavacro ;
Che fan cadendo un mormorio secreto;
Pannicchia è detto T un , r altro Negreto.
Fa cerchio alla citti selva frondosa ,
Che di grato ristoro al corpo lasso.
La mandragora stupida e gravosa,
E il papavero v' ha col capo basso.
L'orso tra questi languido riposa,
E riposanvi all' ombra il ghiro e il tasso.
Né d'abitar quei rami osano augelli ,
Fuor che nottole e gufi e pipistrelli.
D' un irl a più color case e contrade
Stansl tra lumi tenebrosi occulte.
Quattro porte maestre ha la cittade ,
Due di terra e di ferro incise e scuUe ,
Le quai rispondon per diritte strade
Della Pigrizia alle campagne inculte;
E per queste sovente o falsi , o veri
Escono i sogni spaventosi e fieri.
Dell'altre due ciascuna il fiume guarda,
L' una é d* avorio e si disserra allora,
Ch'é nel suo centro la stagion più tarda.
L'altra di corno e s'apre in sull' aurora.
Per quel la a schernir l'uom turba bugiarda
D'ingannatrici immagini vien fora.
Da questa soglion trar l'anime vaghe
Visioni del ver spesso presaghe.
La bella coppia entrò per l'usdo ebumo,
E fur quell'ombre da' suoi raggi rotte.
11 suo palagio ombroso e taciturno
Nella piazza maggior tenea la Notte.
Dall'altra parte di vapor notturno
Velato e chiuso tra profonde grotte
L'albergo ancor del Sonno si vedea.
Che sovra un letto d'ebano giacca.
Oh di quante fantastiche bugie
Mostruose apparenze intomo vanno!
Sogni schivi del Sol, nemici al die.
Fabbri d' illusion, padri d' Inganno.
Minotauri, Centauri , Idre ed Arpie,
E Gcrioni e Briarel vi stanno.
Chi Sirena, chi Sfinge al corpo sembra.
Chi di Ciclopo e chi di Fauno iia membra.
Chi par bertuccia ed é quai bue cornuto.
Chi tutto é capo e il capo poi sena* occhi.
Altri han com'hanno 1 mergi il l>ecco acuto.
Altri la barba a guisa degli alocchi.
Altri con faccia umana é si orecchiuto ,
Cile convien eh' ogni orecchia il terren toc-
Altri ha pie d'oca e di falcone artiglio, [cbL
L' occhio nel ventre e nel bellico il ciglio.
L'ADONE.
I(»
Vedresti effigie angelica e sembiante ,
Poi si termina il piede in piedistallo.
Visi di can con trombe d'elefante.
Colli di gru con teste di cavallo,
Busti di nano e braccia di gigante ,
Ali di parpaglion , creste di gallo ;
Con code di pafoa grifi e pegasi ,
Fusi per gambe e pifferi per nasi.
Alcun di ior, quasi spalmato legno ,
Vola a vela per 1* aure e scorre a nuoto ,
Ma di due rote ha sotto un altro ingegno ,
Onde corre qoal carro e varia moto.
Con un mantice alcun di vento pregno
Gonfia e sgonfia sofliando il corpo voto ,
E tanti fiati accumula nell'epa,
Cbe come rospo ai fin ne scoppia e crepa.
E questi ed altri ancor più contrafatti
Ve n' ila, piccioli e grandi, interi e mozzi.
Quasi vive grottesche, o spirti astratti,
Sclierxi dttl caso e del pensiero abbozzi.
Palle alle spoglie , alle fattezze , agli atU
Son lieti e vaghi e parte immondi e sozzi.
Molti al gesto, al vestir vili e plebei,
MolU di regi in abito e di Dei.
Tra gli altri Adon vi riconobt>e quello.
Che in Qpro già, quand'el tra'fior dormiva
Rappresentogli II simulacro bello
Della sua bella ed amorosa Diva.
E già quel pigro e luslngliler drappello
Dietro alla Notte, cbe volando usciva.
Gli s'accostava in millo forme intorno
Per gravargli le ciglia , o torgii il giorno.
Ma il suo dottor si se n' accorse e presto
Gli fé* le luci alzar stupide e basse.
Vener sorrìse ed ei poscia che desto
L'ebbe, non volse più che ivi indugiasse,
Ma mostrandogli a dito or quello , or que-
Air altra riva un' altra volta il trasse, [sto.
Dimandatalo Adon dì molte cose.
Ed a molte dimande egli rispose.
E giunta a mezzo di suo corso omai
L' umida Notte aU' Occaii scendea ,
E con tremanti e pallldeltl ral
Più d' un lume dal ciel seco cadoa.
Cinto di folte stelie e più cbe mai
Chiaro il pianeu inargentato ardea ,
Vagheggiandorcon occhio intento e vago
In fresca valle addormentato il vago.
Deh perdonimi il ver, se altrui par forse,
Ch* io qui del del la dlgnitate offenda ,
Poiché laddove Tempo unqua non corse,
L'ore non spiegan mai notturna benda.
Faccini , perchè cosi quel che non scorse
Il senso mal , 1* intendimento Intenda «
Non sapendo trovar fuor di natura
Agli spazj celesti altra misura.
In questo meno il condottier superao
Le sei vaghe corsiere al éarro aggiunse.
Fece entrarvi gli amanti ed al governo
Assiso poly ver l'altro ciel le' punse ,^
Ed al bel tetto del suo albergo eterno.
In poche ore rotando , appresso giunse.
Intanto il parlalor facondo e saggio
La noia alieggeria del gran viaggio.
Eccoci , gli diceva , eceocl a vista
Della mia stella, cbe più su si gira ,
Candida no , ma variata e mista
Di un tal li vor, che al pÌomt>o alquanto tira ;
Picciola si , cbe quasi appena è vista ,
E talor sembra estinta a chi la mira,
E nelle notti più serene e chiare
Dell' anno sol per pochi mesi appare.
Questo gli avvien non sol perchè minore
Dell'altre erranti e delle fisse è molto,
Ma però che da luce assai maggiore
Gii è spesso il lume ineccllssato e tolto.
Sotto i raggi del Sole li suo splendore
Nasconde si, che vi riman sepolto,
E tra que' lampi, onde si copre e vtla.
Quasi in lucida nebbia , altrui si cela.
Ma dall' essere al Sol tanto vicina
Maggior forza e vigor prende sovente ,
Come ancor questa del tuo cor relna
Per l'islessa cagione è più possente.
Seco e coi Sole in compagnia cammina,
Seco la rota sua compie egualmente.
Benché tra noi sia gran disuguaglianza ,
Che assai di lume e di i>eltà mi avanza.
La qualità di sua natura é bene
Mutabile, volubile. Inquieta.
Si varia ognor, né mai fermezza tiene ,
Or Infausta, or seconda, or trista, or lieta.
Ma quesU tanta in^tabiltà le viene
Dalla conglunzlon d' altro pianeta ,
Perch* lo son tal, cbe negli effetti miei
I Buon co' buoni mi mostro, e reo eo*rei.
8
170
MANNO.
Masoon per la virtù di queste luce
Laminosi inteUetU , ingegni acuti.
Senno altrui dona ed nomini produce
Gnvtù agli affari e neil* Industrie astuti.
¥age desio di nuove cose induce ,
E d* Incognite al mondo arti e virtuti.
Per lei sol chiaro e celebre evenne
Delle lingue lo studio e delle penne.
S quando questa tua dolce lumiera
Vi applica il raggio suo lieto e benigno.
Quel fortunato, al cui natale impera,
Riesce In terra il pia famoso cigno.
Cosilo IHo della seconda sfera
Parla al vago figUuol del re Ciprigno,
E tattavla, mentre cosi gli conte
Le proprie doti, il patrio del sormonu.
Afean r aureo timon per la via torta
Driuano già le mattutine ancelle.
Già su I confln della dorata porte
GIMMO era il Sole e fea sparir le stelle ;
La cui leggiadra messaggiera e scorte
Sgoabrando intanto queste nubi e quelle.
Per le piagge spargea chiare ed ombrose
DaHa terra e del del rugiade e rose.
Qamdo vi giunse e con la coppia scese
Som le soglie dd lucente chiostro.
Coma fu dentro Adon,vide un paese [stro;
Con più bel giorno e pia bel del, che il no-
Pol dietro alle sue scorte H cammin prese
Per un ampio sentier, che gli fu mostro;
E in un gran pian si ritrovaro adagio, 1
Nd cui messo sorgea nobil palagio.
Pdagio, che al modello, alla figura
Quad d' anfiteatro avea sembianza.
Ogni edificio^ ogni artifizio oscura.
Ogni lavoro, ogni ricchezza avanza.
Viste nel primo giro hai di Natura,
Dlise ClBenio, la scerete sterna.
Or ecco, o beir Adon , sd giuntoin parte,
Pove r albergo ancor vedrai deU' Arte.
Dell'Arte emnlasua la casa è questa.
Eccola là, se di vederia brami.
DI gemme in fil tirate è la sua veste,
IVapunte di ricchisdmi ricami.
Mira di che bei fregi orna la testa.
Come r intreccia de* più^erdi rami.
'Di atromentl e di macchine ancor vedi
QimI e quanto si lien cumulo a' piedi.
Mira penne e peHKHh,« Alfa qiAntl
Vi Ila scarpelli emarteHi^ amb edloeiKll,
Boiinl e ffaie, cirdni e quadranti,
Subbie spole, a«hi e lud e ^Mde e Aiiél.
Cosi diceagll e procedendo avanti.
La gran maestra tfalasdè noi stadi,
E riverente e con cortese inchino
UmiUossi aimeaaaggier divino.
Dal divin messigglero Mon condutto
La porte enurò delia celeste mole.
Di diammite ogni muro avea costrutto.
Che lampeggiando «Miarbagliava II Sole;
E r immense cortike era per tutto
intorniato di divd'se scole,
E molte donne in catttdra wilMiti
Vedeansi quivi amaMesifar le gentL
Queste d* etete, o di bellena «guati.
Mercurio ripigliò, \erginl dette
Sono ancelle dell' Arte, e liberali.
Perocché r oom fan libera, «>n deae.
Fonti Inesausti, «racoll iHmotteli
Dd saper vero e non som pNl die sette.
Fidate guidesillustratHcl sante
Del senso cieco e deli' ingegno errante.
Colei eh' è prima e tien In man le chia\ i
Ddla sublime e spaziosa ^Ofta,
Di tutte le aKre facoltà più gravi
Agli anni rozzi è fondamento e scorta.
Qudia> che con ragion t)elle e soavi
Loda, biasma, difende, accusa, esorta,
È la dilette mia, chet)alia1)0cea
Mentre che versa 11 md, !*• aariuo aceicca.
Ve' r altra poi con la faretra alato.
Sottile arciera a saettere intente,
Cile bene acuti ognor dall' arco aurato
Di strali invece i sillogismi avvente.
Passa ogni petto d' aspri dubbj armato,
Nega, prova, conferma ed argemenu.
Scioglie, dichiara, e ddle oose vere
Distingue il falso, dfln eonchiude e fere.
Vedi quell' altre ancor quattro donzelle
Di sembiante e di volto dqoanto oscure.
Tutte d' un parto sol naoquer gemette ,
E iraltenped e mmieri e misure.
L' una contemplatricc è delle scelte,
E suol vattdnar cose future;
Vedi che ha in man la sferas e dd pianeti
I Si dilette di espor gli aia secreti.
L'AMNE.
171
L* altra,' che eon la pertict di^egBa
E triangoli e tondi e cttbl e ^adri,
Gonlioeeepuati UTerinostrand<siii9egna
Righe e piombi adoprar, compassi e «({na-
La tcna di sua man figura e segna {dri.
Tadire egregie e calcoli leggiadri.
Sottrae la aooima, la radice trova,
Moltiplica il partito, e fa la prova.
Instrolsce a oompor V «Itima suora
fi ftighe e pansé e sincope e battute ,
E temprar note all' armonia sonora
Or lente e gravi, or rapide ed acute.
Aitreve(teme non men sagge ancora
Olire queste potrai fin qui vedute,
]lenebèlesette,ch' io t* ho eonte emostre,
Slen le prime a purgar le menti vostre.
Eccoahre dne sorelle, e del Disegno,
E della Simmetria pregiate figlie.
L' ima con bei colori in tela, o in legno
Sa di nulla formar gran meraviglie.
L' altra, che neli' industria e neil' ingegno
Non ha (trattane lei) chi la somigUe,
Sa dar coi (erro al sasso anima vera.
Al metallo, allo stucco ed alla cera.
Eccoti ancol* col mappamondo avante,
E con la carta un' altra giovinetta,
Che scnprendo i paesi e quali e quante
Regioni ha la terra, allrui diletta.
Sentente poi religiose e sante
Damigella celeste altrove detta.
Di Dio discorre, e dell' eterna vita
Ai discepoli suoi la strada addita.
Mira oolà quella matrona augusta.
Che per Ioga e per laurea è veneranda.
fila Legge cKil, che santa e giusta
Sol'oooe oneste e lecite comanda.
Qnella,cbe porge d' altrui febbre adusta
Amara e salutifera bevanda,
È di ogni morbo uman medicatrice,
Che sua virtù non chiude erba, o,radlce.
Gdarda or colei, che spiriti divini
Splra^ aebben fattezae alquanto ha brutte,
E par,ohe ognun r oneri,ognun I* Inchini,
Qnal madre universai dell* altre tutte.
Quella è Sofia, che rabbuflaU i crini ,
•Magre, e con guance pallide e distrutte,
£00 scalai piedi e con squarciati panni,
Pur di dotti scotarì empie gQ scanni.
Aélone, passione, atto e potenn,
Qualità, quantità mostra In ogni ente.
Genera e specie, proprio e dllTerania,
Relazione, sostania ed accidente.
Con qual legge Natura e Provldenn
Crea le cose, e corrompe alternamente ,
La materia, la forma, il tempo. Il moto.
Dichiara e il sito e Tinfinito e 11 voto.
Tlen due donne da' fianchi . Unacfae«iede
Sovra quel sasso ben quadrato e sodo,
È la Dottrina, che a chiunque II chiede
DI ogni difficoltà disciogiie 11* nodo.
L'altra che con la libbra in man si vede
Pesarle cose, ed ha il martello e il chiodo,
È la Ragion, che con accorto Ingegno
A nessun crede, e vuol da tutti 11 pegno.
Ma queir altra colà, che ha si leggiere
Le penne, è Dea del mondo, ansi tiranna.
DI fallace cristallo ha due visiere,
Che rocchio illude, e il buon giudldo ap-
E le fa guatar torto e travedere, [panna
Slcch' altrui spesso e sé mcdesma inganna.
Di un tal cangiacolor la spoglia ha mista.
Che r apparenze oghor muta alla vista.
Né di tanti color gemmanti e bello
Suol r augel di Giunon rotar te piume.
Né di tanti arricchir l' ali novelle
Quel del Sole In Arabia ha per costume,
Né di tanti fiorir vcgglonsi quelle
Dell' alato figliuol del tod bel Nume,
DI quante eli* ha le sue varie e diverse
Verdi, bianche, vermiglie e rance e perse.
Opinion s' appella, e molte ha seco
Ministre infami e meretrìci infide,
Larve, che uscite del tartareo speco
Vengon dell' alme incaute a farsi gifidc ,
Ed é ior capo un giovinetto cieco,
Gli' Errore ha nome , e lusingando ride.
D* un licore incantato Inebbriai sensi i
E lui seguendo a precipizio viehsl.
Mira intorno astrolabi ed almanacchi,
Trappole, lime sorde e grimaldelli,
Gabbie, bolge, giornee, bossoli e sacchi,
Ijibirinti , archipendoli e livelli,
Dadi, carte, pallon, tavole e scaoòhi,
E sonagli e carrucole e succhielli,
Naspl, arcolai, vetticchi e orlooll,
Lambicchi, bocce ,' mantici e crogiuoli.
172
MARINO.
Mira pieni di vento otri e vesslche,
E di gonAo sapon turgide palle.
Torri di fumo, pampini d' ortiche,
Fiori di zucclie e piume verdi e gialle,
Aragni, scarabei, grilli, formiche,
Vespe, zanxare, lucciole e farfalle,
Topi, gatti, bigatti e cento UH
Stravaganze d* ordigni e d' animali.
Tutte queste, che vedi e d'altri estrani
Fantasmi ancor prodigiose schiere ,
Sono i capricci degi' ingegni umani ,
Fantasie , frenesie pazze e chimere.
V ha molini e palei mobili e vani.
Girelle, argani e rote in più maniere.
Altri forma han di pesci, altri d'uccelli,
VarJ , siccome son varj i cenelli.
Or mira ali* ombra della sacra pianta
Fregiala il crin dell* onorate foglie
I^ Poesia, che mentre scrive e canta.
Il fiore di ogni scienza insieme accoglie.
La Favola è con lei, che orna ed ammanta
Le vaghe membra di pompose spoglie.
L* accompagna l* Istoria ignuda donna ,
Senza vel , senza fregio e sonza gonna.
Vedi la Gloria, che qual Sol risplende ,
Vedi 1* Applauso poi , vedi la Lode ,
Vedi i'Onor, che a coronarla intende
Di luce eterna , onde trionfa e gode.
Ma vedi ancor coppia di furie orrende ,
Che di rabbia per lei tutta si rode.
La persegue 1* Invidia empia e crudele ,
Che ha le vipere in mano, in bocca il fiele*
La maligna Censura ognor Tè dietro,
E quant* ella compone, emenda e tassa.
Col vaglio ogni suo accento,ogni suo metro
Crivella e poi per la trafila il passa, [tro.
Posticci bagli ocelli in fronte e son di ve-
Or se gii affigge , or il ripone e lassa.
Nola con questi gli altrui lievi errori ,
Né scorge intanto i suoi molto maggiori.
Ciò detto , di diaspri e di alabastri
Gli mostra un arsenal capace e grande ,
Che so>r' alte colonne e gran pilastri,
Le sue volte lucenti appoggia e spande.
Turba v* ha dentro di diversi mastri ,
Ingegner d* opre illustri e memorande.
Qui di lavori ancor non mai più visti
Sogglornan, dice, i più famosi artisti.
DI quanto mai fu ritrovato in terra ,
0 si ritroverà degno di stima ,
0 sia cosa da pace, o sia da guerra.
Qui ne fu l'esemplar gran tempo prima.
Qui pria per lunghi secoli si serra
Ignoto ad ogni gente , ad ogni clima ,
Poi si pubblica al mondo e si produce
Ali* umana notizia ed alla luce.
Vedi Prometeo figlio di lapeto ,
Cile di spirto celeste il fango informa.
E vedi Cadmo autor dell' alfabeto,
Da cui prendon le lingue ordine e norma.
Vedi il Sirncusan , che il gran secreto
Trova, ond' un picciol cielo ha moto e for-
Eli Tarentin, che la colomba imita, [ma,
E il grand' Alberto, che al metal di vita.
Ecco Tubai primo inventor de' suoni ,
Il Tebano Anfione e il Trace Orfeo.
Ecco con altre corde ed altri tuoni
Lino , lopa , Tamhra e Timoteo.
Ecco con nove armoniche ragioni
Il mirabil Terpandro e il buon Tirteo ,
Fabbri di nove lire e nove cetre ,
Animatori d' arbori e di pietre.
Mira Tesibio , e mira Anassimene
Su la mostra segnar V ore correnti.
Mira Pirode poi , cbe dalie vene
Trae della selce le scintille ardenti.
Anacarsi è colui , mira che tiene
In mano il folle e dà misura ai venti.
Mira alquanto più in là metter in uso
Esculapio lo specchio , e Giostro il fuso.
E Gige v' ha, che la pittura inventa ,
Ed havvi col pennello Apoilodoro ,
E Corebo è con lor, che rappresenta
Della plastica industre il bel lavoro ,
E Dedal , che agguagliar non si contenta
(k>n sue penne nel volo e Borea e Coro ;
Ma macchinando va d' asse e di legni
Ingegnoso architetto alti disegni.
Epimcnide , Eurialo , Iperbio e Dosso
Templi e palagi ancor fondano a prova ,
E Trasone erge il muro, e cava il fosso
Danao, che il primo pozzo in terra trova.
Navi superbe edifica Minosso ,
Tifi il timon , con cui l' affreni e mova.
Beliorofonte è tra costor eh' io narro ,
Ed Erìtonio co' cavalli e 11 carro.
L'ADONE.
178
Guarda Aristeo cod quanto ulii fatica
Bel mei , del latte alia cultura intende.
Tritolemo a' mortai mostra la spica ,
Bige r aratro, clie la terra fende.
Preto alio scudo , Midia alla lorica
Travaglia, Etolo li dardo a lanciar prende.
Sdte pon V arco In opra e la saetta ,
L' asU Tlrren, Pantasilea V accetta.
HavTl poi mille fabbricati e fatti
Da Gretensi , da Siri e da Fenld ,
Mossi da rote impetuose e tratti
Altri arnesi guerrieri , altri artifici.
Vedi arpagoni e scorpioni e gatti ,
Macchine di cittadi espugnatrici ,
E da couar con torri e con pareti
Catapulte , l>ali8te ed arietL
Bertoldo vedi là , nato in sul Reno,
Gbe per strage del mondo e per mina
L* irreparabil fulmine terreno
Fonde , temprato ali* Infernal fucina.
Quegli è Giovanni (oh fortunato appieno!)
Che le stampe introduce in Argentina ;
E ben gli dee Magonza eterna gloria ,
Come eterna egli fa l' altrui memoria.
Gosi parlando per eccelse scale
Sovr* aureo palco si trovar saliti ,
E quindi entraro in galleria reale ,
Che volumi accogliea quasi infiniti.
Eran con l)ella serie in cento sale
Riposti in ricchi armari e compartiti ,
Legati in gemme , ed ogni classe loro
Distinguea la cornice in linee d' oro.
Ceda Atene famosa , a cui già Serse
Rapi gli archivj d* ogni antico scritto ,
Che poi dal buon Seleuco all' armi perse
Ritolti , in Grecia fer nuovo tragitto.
Né da' suoi Tolomei d' opre diverse
Cumulato Museo celebri Egitto.
Né di tal libri in qncst' etate, e tanti
Urbin si pregi , o il Vatican si vanti.
Molti n' eran vergati In molle cera ,
Molti in sottili e candide membrane.
Parte in fronde di palma e parte n* era
Di piomlH) in lame ben polite e piane.
In Caldeo ve n' avea scritta una schiera ,
Altri in lettre fenicie e soriane ,
Altri- In egizj slml)oli e figure ,
Altri in note furtive e cifre oscure.
Questo è l'erario , In cui si fa conserva,
Seguì Mercurio , de' più scelti inchiostri.
Di quanti mal scrittor Febo e Minerva
Sapran meglio imitar tra' saggi vostri.
I nomi, a cui non noce età proterva.
Vedi a carattcr d' or scritti ne* rostri.
Qui stan le lor fatiche e qui son state
Pria che composte sieno e che sien nate.
Quanti d' illustri e celebrati autori
Si smarrlscon per caso empio e sinistro
Degni di vita e nobili sudori ,
Ed or Nettuno, or n' ò Vulcan ministro?
Or qui di tutti quel ricchi tesori ,
Glie si perdon laggiù , si tien registro ;
Sacre memorie ed involate agli anni ,
Che traman morte agli onorati affanni.
La libreria del dotto Stagirìta,
Che il fior contien d' ogni scrittura eletta.
Di cui Teofrasto in sul!' uscir di viu
Lascerà successore , è qui perfetta.
D' Empedocle, Plttagora ed Archita
Vi ha le dottrine, e qualunque altra setta,
Di Talele , Democrito e Solone,
Parmenide, Anassagora e Zenone.
Petronio vi ha, di cui gran parte astofle
Torbido Lete in nebbie oscure e cieche.
Di Tacito vi son l'ultime prose,
Tutte di Livio le bramate Deche ,
La Medea di Nasone , ed altre cose
De' Latini miglior , non men che greche.
Cornelio Gallo con Lucrezio Caro ,
Ennio ed Accio e Pacuvio e Tucca e Varo.
D' Andronico e di Nevio I drammi lieti,
Di Cecillo e Licinio anco vi stanno ,
E dì Pubblio Terenzio i più faceti [no.
Sali, che alle salse acque in preda andran-
E non pur d' altri istorici e poeti
Le disperse reliquie albergo v' hanno.
Ma gli oracoli ancor delle ^bille,
Scampati dai furor delie faville.
Tacque, e volgendo Adon l'occhio in dis*
Vide gran quantità di libri sciolti , [parte
Che avean malconce e lacere le carte ,
Tutti sossopra in un gran mucchio accolti.
Giacean negletti al suol , la maggior parte
Rosi dal tarlo, e nella polve Involti.
Or perchè, disse, esposti a tanto danno
Dal beli' ordine questi esclusi stanno?
174
MARUta
E perchè» sema OBor, seiin oraameiiM
Di coverta V .0 di oaitro io qui gli troTo?
Un fea gli aUri gltlato al pavimenlo
Ne veggo ìk fra Druslano e Borro,
Che ( se eroder si deve ali* argomento )
Porta un titolo-illustre : Il Mondo Novo.
Ma si logoro par, s' lo beo dlscemo^
Che ({«afilUnioado vecchio è plùmodemo.
Di scusa certo e di pietà son degni ,
Sorrìdendo V interpeire rìspose.
Quei , che d* ogni valor poveri ingegni
Si*Bfonan d'emular l*opre famose;
Che ingordigia d*onor no» ha ritegni
Nelle cupide. menti ambiilose ,
E^ quando allo volar ne vegglon uno ,
A quel segno arrivar vorria dascnno.
Non mica a tutti è di toccar conoesso*
Della gloria iramarial la cima alpina.
Chi volar vuol sena' ali» accoppia spesso
All' audace salita alta ruina.
Ma quanlUiM|ue avvenir soglia l'Istesso
Quasi In ogni beli* arte e disciplina,
Non si vede però maggior tracollo ,
Che di chi segae indegnaoMnte ApoUo.
DiaCroa* chiarì scrittor di Smimae Manto,
Per Otti sempre vivranno I duci e ranni.
Tentando lavan di pareggiargli al canto ,
Più d* uno arroterà lo stile e i carmi.
Oh quanti poi, con quanto studio e quanto
DeU^itallco stuoi di veder panni
Tracciar con poca lode i due migliori ,
Che in sul Po canteran guerre ed amoril
Glie di poemi in quella lingua cresca
Numerosa farragine e di rime.
La fiacil troppo invenzion tedesca [me.
N*è «agion, che per prezzo li tutto Impri-
Ma se alcuna sarà, che mal riesca ,
L'opra.» ohe tu dicesti è tra le prime.
Cosi figliano i monti e il topo nasce ,
Ma poi nato eh' egli è si more in fasce.
Poioliè al Catti parti un breve lume
Vistoappenahan laggiù nel vostro mondo,
Il vecehiarel dalie veloci piume ,
Quel che vedesti già ncir altro tondo.
Qui ridurie in un monte ha per costume
Per seppellirle in tenebroso fondo.
AlfiB le porta ad attuflar nel rio.
Che copre il tutto di perpetuo obbllo.
Ma plùooa dimorlam, che poiché a quanti
Ti ho scorta eterni e luminosi mondi^
Converrà.4 che altra ancor ti manlfisati
Dei secreti del Fato alti e profondi^
E vie molto maggior, che non vedesti.
Maraviglie vedrai, se mi seoondi.
Qui tacque e in ricca leggiate spaslosa
Il condusse a mlrar-mirabU
Vasio.edUsio d'ingegnosa* sfera
Reggea, quMi gran mappa» un piedestallo,
Che si appoggiava ad una basa intera
Tutu Intagliata dei miglior metallo..
Era d' ampleiza assai ben grande, ed era
Fabbricata d'acciaio e di criatailo*.
La cerchiavan per tutto In molli giri
Fasce di lucidissimi zaffirit
Forma avea d* un gran pomoorisploiidti
Più che lucente e ben polito apocchios
E d'aurei seggi intomo iniomo avea
Per risguardaria un comodo appaaeccète*
Quivi , Bwntre che intento Adon teneg
L'occhio alla palla, ai suo parlar i'oieo»
Mercurio seco e con la Dea s* aOae, [cbÌ0,
Indi da capa a ragionar si mlae.
Quesu, dieea, sovramortal fattori.
La qual confonde ogni crealo Ingegno,
Opra mirabil è, ma di Natura»
E di divfai Maestro alto disegno.
L'artefice di tauu architetbira^
Che d'ogni altro artificio eccede II segna,
Fu questa mia dei gran Fattor sovrano
(Benché imperfètta) imllalrìce'
Sudò molto la man, né T intelletto.
Poco in si nobil macchina sofcrse,
E lungo tempo inabile architetto
Sue fatiche e suoi studj invan diqienat
Ma quei, ch'é sol tra noi fabbro perfetto,
Del bel lavor l' invenzion m'aperse,
E il secreto mi fé' liscile e lieve
Di raccorrò il gran mondo io spazio bnerei
E che sia ver, rivolgi a questa mia
AdamaaUiia fabbrica le ciglia.
Dì se vedesti , o se esser può , che aia
Istromcnlo maggior di meraviglia 7
Composta é con tani'arte e maestria.
Che al globo universal si rassomiglia.
Mirar nel cerchio puoi limpido e terso
Quanto l'orbe contien dell' universow
L'AIMML
1T5
Fiinvwdl «iMirvne un delo angusto
Fin WfttB lik^JhMiQ tMBpo aUnib concaio,
Dov^ 01 lerma, or cU v«por4 onusto
L*aoi« ye^rasfti e U tuono e U lampo es-
B tener moto jragoUilo • giualo [praiio ,
IaìiAm^ I)m eoa r altre aioUe appNaao,
E em perpetno error per Talta molo
DI fera Uì f«r# Ir tra le afero 11 8ole.
Ma. <loiire un tal miracoleal tofiae^
O chi aenno ebbe mal tanto profondo,
Che compilar, oonpeodlar «ap«aie
La gran rota del lutto In pioeiol tondo)
Al magta^ro mio aol al conoeaie
Fare un vero model del maggior mondo,
Lo 4|nal del mondo insieme elementare,
(Non ekeaol del celeste) è 1* esemplare.
Onde di quante eo^e o buone , o ree
Passate ba il mondo in qualslTogUa etade^
E di quonte passar poscia ne dee
Per quante ba colagglù terra e contrade ;
Qui son le prime originarie idee*,
Dovo asorger si può ciò che vi accade.
Rilqoa tutto In questo vetno pura
Gol passato.ell presente, anco 11 futuro.
Vedi 14 amm ftnlde e 1* algenU ,
E dove bollo e dovo aggbiaccia 1* anno ,
Vedi conqual misura agU elementi
Tutti i oorpi celeatt io giro vanno.
Vedi il «entier, laddow i duo lucenti
Paaseggieri del del difetto fannob
Vedi oQme velo^ il moto gira
Del del , che ogni altro del dietro si tira.
Eo«o I tropici poi^ quindi dlsceml
Volgersi il Conerò e quinci il Capricorno,
Dove aggoagUan del pari I corsi alterni
La nottjB al sonno, alla vigilia il giorno.
Ecco i colori, uniti ai poli eterni,
Chesemprs il del van disoorrendo intomo.
Ecco con dnquo linee I paralelli ,
E nel bel mezao 11 princIpal tra quelli.
Ecfioti là sotto il pia bamo delo
Il foco, obe sempr' arde e mal non erra.
Mira dell'acque II trasparente gelo,
Che il gran vaso dd mar nd ventre serra.
Mira dell'aria molle il sotiil velo,
Mira scabros^i e ruvida la terra,
JìftM librata ne| sqo pioprio pondo,
Quasi centro dd dd , base del mondo.
Rlmlsa, e vi vedrò! distinti, e oUari
Boscbi , colli , pianure e valli e monti.
Vedrai scogli ed avene, isole e mari,
E laghi e fiumi e rusedietti e fonti;
Provincie e regni , e di costumi vari
Centi diverse e d'abiti « di fronti.
Vedrd con peli e squamme e ponnee rostH
E fere e pesci ed augelletti e mostri.
Vedi la pane, ove l'Aurora al Tauro
Il capo indora e 1* oriente alluma.
Vedi l'altra, ove lava d vecchio BMuro
Il pie di sasso PalRrlcana spuma.
Vedi là dove sputa li fiero Gauro
Sulle bolse rlfee gelida bruma.
Vedi ove il negro con la negra gente
Suda sotto l'ardor dell'asse ardente.
Ecco le rupi , onde traboeca D NNo,
Che la patria e U natd si ben nasconde.
Ecco 1* Eufrate che por dritto filo
Le due gran ragion parte con i' onde.
L'Indo è colà, che per antico stilo
Fa di tempeste d'or rieclie le sponde.
Queir è il terren, laddove slersa e seopa
Le sue Jertili piagge il mar d'. Europa.
Vuol r Arabie veder per te femoio»
La Petrea, la Deserta e la FeHcel
Eccoti il loco appunto ove t'espose
La trasformata già tua genitrice.
Ve' le rive di Cipro , amblsloae
DI una tanta belleasa abitatrice.
Conosd il prato, ove perdesti U corei
È quello il tetto, ove t^aeoolse Amore.
Grande èli teatro e nd suol spasj inimend
Chi langoe in pena e chi gidsoe in gioco.
Ma per non ti stancar la mente e 1 semi
In cose.omai. Che ti rilevan poco.
Tanto sol mostrerò, quanto appartiend
Alla bell'esca dei tuo ddce foco.
Sd pur, che protettrice è questa Dea
Della stirpe di Dardano e d' Bneoi
Le diede sovra Paliade e Giunone
Paride già delle bdlesze II vanto.
Benché tragico n'ebbe il guiderdone,
E corser sangue 11 Simoenta e 11 Xanto.
Questa ( ma non già sola ) è la cagione ,
Ch'ella il seme troiano ami cotanto.
MlroUa In questo dir Mercurio e rlse^
L'.dtra arrosd col rimembrar d'Anchlse.
176
MARINO.
Or mentre, seguì poi , del cavo fianco
Usdto del destrler, che Insidie chiude,
Stuol di greci guerrieri il Frigio stanco
Assai con armi impetuose e crude ,
Sotto la scorta del buon duce franco
RlcoTra alla meotica palude
Una gran parie di reliquie tIvc ;
Esuli , peregrine e fuggitive.
Taccio il corso fatai di queste genti,
E de* suoi varj casi il lungo giro;
Per quanti fortunevoli accidenti
In Germania passar con Marcomiro;
Come di Marcomiro 1 discendenti
Nel gallico terreo si stabilirò ,
Dappoiché Ferramondo al mondo venne,
Che dello scettro il primo onor vi tenne.
Né fia d*uopo additarti ad uno ad uno
Di quest'ampia miniera 1 gran monarchi,
E le pabne e le spoglie e di ciascuno
L' eccelse imprese e gli onorati incarchi.
La folta selva degli eroi , che aduno
Consenti pur ciie brevemente io varchi ,
E scelga sol del numero eh* io dico ,
Col degno figlio il valoroso Enrico.
Volgi la vista ove il mio dito accenna,
E la Lega vedrai V insegne sciorre ,
E quasi armata ed animata Ardenna,
Tre foreste di lance in un raccorre.
Ma d'altra parte il paladin di Senna
Vedile pochi e scelti a fronte opporre.
Vedi con quanto ardire oltre Garona
Fa le truppe marciar contro Perona.
Montagna , che del elei tocchi i confini ,
Selva d'antiche e condensate piante.
Fiume che d'alia rupe in giù ruini.
Tempesta in nembo rapido e sonante ,
Neve indurata in freddi gioghi alpini ,
Fiamma eh' Euro alle stelle erga fumante,
Mar, cielo, inferno all'animosa spada
Forano fgevol guado e piana strada.
Gucrrler,destricrialterra,armi,stendardi
Spezza e sprezzando gli urti^ apre le strade.
Nembi di sassi, grandini di dardi.
Turbini d'asie, fulmini di spade
PiovongU sopra ed ei dei più gagliardi
Sostiep gl'incontri, agl'impeti non cade,
Nò stanco posa , né ferito langue ,
Fatto scoglio di ferro in mar di sangue.
Tutto del sangue ostll molle e vermiglio
Abbatte, implaga, uccide, ovunque tocchi.
Vedll vibrando a prova il ferro e U ciglio ,
Ferir col brando e spaventar con gli occhi.
Se altri taior nell'orrido scompiglio
SI rivolge a mirar qual colpi e1 scocchi.
Dai guardo è pria, che dalla spada ucciso,
E chi Aigge la man non campa 11 viso.
Chi gli contenderà l'alto diadema.
Se un oste tal d' ogni poter disarma?
Né sol dappresso il Rodano ne trema ,
Ma fa da lunge impallidir la Parma.
Ecco del Tago la speranza estrema.
Il signor degli Allobrogi che s'arma.
Ecco che in prova al paragon concorre
Con riulico Achille il gallo Ettorre.
Odi Parigi 1 fieri tuoni, e vedi
Quanti l'irata man fulmini avventa?
Dell ciie pensiloh che fai? perchè non cedi?
Già co' giganti suoi Flegra paventa.
Stendi , stendi le palme e pietà chiedi,
E r auree chiavi al regio pie presenta.
Stolta sci ben se altro pensier ti move;
Così si vince sol l'Ira di Giove.
Vedilo entrar nelle famose mura,
Ed occupar le mal difese porte.
Van con la fuga cieca e mal secun
Declinando il furor del braccio forte ,
L' ignobil pianto e la plebea paura ;
Chi non fugge da lui segue la morte.
Battuto dal timor cade il consiglio,
E l' ordine confuso è dal periglio.
Eccolo atfin, eh' è con applauso eletto
De' Galli alteri a governare il freno ,
Né studia quivi con tiranno affetto
Beni usurpati accumularsi in seno.
Con larga man , con gioviale aspetto
Versa d' oro, ov'è d'uopo, il grembo pieno,
E d'or in or regnando, altrui più scopre
Generosi pensier, magnanim' opre.
Non vi ha più loco ambizione Ingorda,
Non più stolto furor, discordia fiera.
Non vi iia prudenza cieca , o pietà sorda ,
Pace e giustizia in quell' impero Impera.
Sa far, sì ben ie repugnanze accorda ,
Autunno germogliar di primavera.
Mentre fra gii aurei gigli a Senna In riva
Pianta dopo la palma anco l' oliva.
L' ADONE.
177
Vi rtù quanto è maggi or,tanto è più spes-
Deil' iiìTìdia maligna esposta ai danni, [so
La qual suol quasi a lei far queU' istesso,
Che U tarlo ai legni e la tignuola ai panni.
Qual ombra,clie va sempre al corpo appres-
ila perseguita ognor con vaTj affanni, [so,
Ma son gli oltraggi suol ,cbe offendon poco,
Lime del ferro e mantici del foco.
Mira li fior de* migliori, al cui gran lume
L* altrui sciocco livor divien farfalla,
Mercè di quel valor, che per costume
Quanto si affonda più , più sorge a galla ;
Malgrado di chi nocergli presume.
Al pesi è palma , alle percosse è paHa ;
Onde di novo onor doppiando luce
È fatto inclito re d* inclita duce.
I>el guerrler forte, i cui gran pregiesalto
Fia tale e tanta la sublime altezza ,
Che come Olimpo oltra le nubi in allo
Non teme i venti e i fulmini disprezza.
Così d'invidia , oppur d'insidia assalto
Danneggiar non potrà tanta grandezza ;
Anzi ogni offesa ed ogni ingiuria loro
Sari soffio alia fiamma e fiamma all'oro.
Se non eh* io veggio di furor d* inferno
Di una furia terrena 11 petto acceso ,
E punto dalle vipere d'Avemo
Un cor malvagio a perfid'opra inteso.
Non vedi là , come colui , che a scherno
Prese eserciti armati , a terra ha steso
Mosso da folle e temeraria mano.
Con un colpo crudel ferro villano?
Quando all'atte speranze in scn concette
Tenendo il mondo già tutto converso.
Cinto d'armi forbite e genti elette
Spaventa il Moro ed atterrisce 11 Perso ,
E gli appresta Fortuna e gli promette
Lo scettro universal dell'universo.
Pria che egli vada a trionfar d' altrui ,
Yien Morte Iniqua a trionfar di lui.
Vansi le Virtù tutte a seppellire
Nel sepolcro che chiude 11 Sol de' Franchi,
Salvo la Fama, che non vuol morire ,
Perchè alle glorie sue vita non manchi ;
E come al caso orribile a ridire
1 suoi tant* occhi lagrimando ha stanchi.
Cosi per farlo ancor sempre Immortale
SI apparecchia a stancar le lingue e l' ale.
Ma che ? Se da colei, che vince II tutto,
È vinto alfine li sempre invitto Enrico ,
L'alto onor de'Borbon quasi distrutto
In parte a ristorar vien Lodovico ,
Che da si degno stipite produtto ,
Aggiunge gloria al gran lignaggio antico,
E sotto l' ombra del materno stelo
Alza felice i verdi rami al cielo.
Or mi volgo colà , dove Balena
SmalU di gigli 1 fortunaU lidi.
Veggio superbo il mar che s'Incorona
Di gemme e d'or, qual mai più ricco il vidi.
Già già l'arena sua tutta risona
Di lieti bombi e di festivi gridi.
Veggio per l'onde placide e tranquille
Sfavillar lampi e lampeggiar faville.
Né r Indico Oceano orientale
Tante aduna nel sen barbare spoglie :
Né lo stellato ciel cumulo tale
Di bellezze e di lumi in fronte accoglie.
Oh spettacol gentil , pompa reale.
Oh ben nato consorte, oh degna moglie l
Qual concorso di regi e di reine
Scende a felicitar l' acque marine !
Risguarda in mezzoal fiume ov' io ti mostro
Vedrai colonne eburnee , aurei sostegni
Con un gran sovracìel di ludd' ostro
Far ricca tenda a un'isola di legni , [atro
Che fianco a fianco aggiunti e rostro a ro-
Porgono il nobil cambio al duo gran regni.
Mentre prendono e dan Spagna a Parigi
Lisabetta a Filippo, Anna a Luigi.
Ma vedi opporsi agi' imenei felici
Suddite al Gallo e ribellanti schiere,
E coprir di Guascogna 1 campi aprici
Quasi dense boscaglie , armi guerriere.
Quinci e quindi avversarie e protettrici
Spiegan Guisa e Gondè bande e bandiere.
Ma del figlio d' Enrico il novo Enrico
SI mostra si , non è però nemico.
L'uno è colui, che sotto ha quel destriero
Baio di pelo, iialiau di razza;
Di tre vaghi aironi orna il cimiero,
E di croci vermiglie elmo e corazza.
Benché misto di bigio abbia il crin nero , *
Gli agi abbandona, ed esce armatoli piai**
E carco In un d'esperienza e d'anni', [ca;.
Torna di Marte ai già dismessi affanni. «
•%
ITS
MAMKO.
L'albro èqvci pie )0DUn,clie lacanpagna
Scorre, di ferro e d'or grave loceote.
È 99ÌxtPàt degli arni , e i'accompagiHi
Piera e di BOTiCà cupida gente.
Ha nello scado i gigli, e di Brettagna
Caftalca ufecro un corridor poaseote,
E tien dal fianco attraversala al tergo
Una banda. d'azzurro in MU'usbeigo,
Già già nMBeroinmenso i ngombrtli pia-
Di tende armate e di tralMccbe tese, [ut
Piagne disfatte il misero XqwAtm»
E. le messi e le meli al bel paese.
Già tinto ilglglio d'or di saogne umano,
Glie è pure ( ahi ferlià ) sangue francese ,
SeniimiqcKl fior, cIm del soo re trafitto
Nelle fioflie purpuree il nome ha scritto.
Gallia inMiee. aM qnai s'appiglia, ahi
Nelle Tìscere tue morbo intestino ! [quale
Rode il tuo seii profondo intemo male
DI domestico tosco e ottadìno.
Pugnan diseordi umori in corpo frale
Si ch'Io preveggio il tuo morir Ticine;
Ed al tuo scampo ogni opra, ogni arte^ va-
Se medica pietà non ti risana. [i
^•noolàmentc alla gran domia d* Arno
Gonqual valor la sua ragion difende.
Né con peno treroaiiAe, o viso ecarno
Fm tante cure sue posa mal premie.
Vorreftibe (e il lenta ben, ma il tenta indar-
Senaa ferroestirpar le teste orrende, [no)
Le teste di quell' idra empia ed immonda ,
Di veleno infcmal sempre feconda.
Cile non fe per troncarle ? ecco pospone
Allepubblkhe cose il ben privato,
Ed air impeto ostll la vita espone
Per salvar dei gran pegno il dubbio stato.
Ad accordo venir por si dispone ,
E sospende tra 1* ire il braccio armato.
Purché 11 furor s* acqncti e cessi quella
D'orgoglio Insano aquilonar procella.
Un quamiovffln la gran tempesta scorge,
Che l'aria offusca, eli mar conturba e me-
E ch^ r onda ter ri l>ile più sorge , [sce,
E che il remo Implacabile più cresce.
Al ben -nido tlmon la destra porge,
Drlataal ni polo , e di caomrin non esce.
Or con forza reggendo, or con ingegno
Traenti flotU li travagliato legno, «w
Fissa dritto colà meco lo
Dove l'ampia rivief» U paaso
Quhi campeggia M gran campion^oiointo
Covtro oul-noasi den torre, né àernu
E par che dica Intrepido e gagltandA,
Chi la pace ricusa, abl»la la goem.
E con prodezza alla baktaaia egnle
Dell' avversario i miglior forti
L'esenoiloreai canto pao^nrode
Di gentied' arml,«nons' allontatOSlMC
Per eseguir quanto glovevoi cvede,
0 necessario «ila corona frana.
0 senza eeeatpio Incompimiiil fedel
Quando ai casi opportuni ogniatoominri
Sol qucoti a par deite piò forti
Mostra petto, costante, almai
Fa gran legate di cavalU e fanti;
Che può contro costor l'oste nenUea?
Gente miglior non vide il Sol tra quanti
CI user spada giammai , vestir lorkau
Non sanno hi guerra Indomiti e ooslaati
0 temer risciiio^ o ricusar fatica
Usi in ogni staglon con l'armi grevi
Bere i sudori e calpestar le novi.
Oh qual fervor di Marte, oh qualgià toooi
Al re crescente 11 cor (ooo d* ardite !
Brama di gir tra* folgori, che ttooca
Più d'un cavo metallo, a sfogar l'Iie.
Ma dappoiché non pnò là dove fiocca
La tempesta del sangue^ in pugna wcIub,
Vassene o caccia esercitanido, o giosta.
Che una effigie di guerra ahnengU'
Cosi leon dalla mammella iffautn
Uso ancora « poppar cibi novali ,
Tosto die r unghia ai pie sente cresci ula,
Alla bocca k zanne, al collo I velli-,
Già la rupe natia sdegna erlfinta.
La tana angusta e le vivande Imbellii
Già segue là tra le cornate squadre
Per le getule selve il biondo padre.
Ma quel la Dea [eh* altroché Dea non dote
Dirsi colei , die a divin'opre aspira)
Smorza intantoqncl foco enon l'è greve
Per la comtm salute il placar 1* Ira.
I congiurati principi riceve ,
E r accampato esercito ritira ,
Ed al popol fellone e contumace
Perdonando 11 fallir, dona la pvce;
Mffifè il*4stio |Mriva(o «nepr bollire
De' duci istes;»! gV ai^inij inquieti ,
E in strettii lega amiQfjtinaU ordire
Di nov^llfs congiure occmUq reti.
Ecco 1* ai:corto re viene a scoprir»
Di quel trajuato i taciti secreti ^
E 44* sospetti d*ogiM oltraggio indegno
Cop la prigione altrui libera U regno.
ADONI. no
Veder puoi di Torin V Invitto duce.
Cui BOB ba Aoma , o Macedonia eguale ,
Che carriaggi e salmerie conduce
Con varie sovra lor macciiine e scale.
Su lo spuntar delia diurna luce
A Trioo arriva, e la gran porta assale.
Vedi stuol piemontese e savoiardo
Quivi attaccar l' espugnator pcttardo.
PoicbèM pansier dnl maephiiiato dmiir
Vano riesce e d* ogni effetio voto ,
Del capo afflilo le reliquie vanno'
Qual polve sparsa alio spirar di Noto.
Ma per iK>ve cagion pur anco fanno
Novo tra lor sediaioso moto ;
Eppur eoA oove forze e genti noie
I^ regia arvaia a' danoi lor si move.
Fuor dii*maUi>Ri impeij intanto uaelto
Passa il re novo a possedere il trono ,
Da cui pfia caiei^rant^ e poi pentito
Chi pur diami l' offese, oaien perdono.
Richiamala è Virtù , Marte sbandito
Per qtfeli' alio Aonxei , di coi ragiono ;
L' alto donnei^ ahe aostener non pavé
Con sÀ teaera man scettro sì grave.
n Tamigi, il Daottfaio Jl Boti , ti Bono
L* ama , il lene, l' ammira eneo da lunge,
Anzi fin nett' italico terreno
A dar le leggi noi gran nome giunge.
E se fMir éi sodome espresso appiano
Un degno eaenHilo alcun desio ti pungo,
Risguaréa in riva al Po, come si lace
Arbitro della guerra e della pace.
Io dico, ove tra M Po, che non lontano
Nasce, aia Dora e il Tanaro risiede
Il bel paese, al cui fecondo piano
La montagna del fono 11 nome diede.
Vedrai Savola con armala mano.
Che due cose in un piMMo a Mantoa chiede,
U pegno dcHa pieciola nipote ,
E de' conAn la patlagglatn dote.
VodldlfiadaM 11 succasaof, che viene
In campo a por le s«e ragioni anticJM ,
E pecche V «oa nega e l'akra tiene ,
Case unite in amor tornan nemiobe.
Forse nutrisci , o Mincio, entro le vene
Il seme ancor delle gneniere spftdw.
Poiché veggio dal aen deHa tua terra
Pullular tuttavia gorml> di gnerra 1
Ecco rotto il raatel , passato il porne,
Non però senza sangue e senza morti ,
Le genti alloggia all' alta rocca a fronte.
Prende i quartier più vantaggiosi e forti,
Manda la valle ad appianar col monto ,
I picconieri e i manovali accorti ,
Mette i passi a spedir scoscesi e scabri
Con vanghe e zappe e guasudori e fabrì.
Fa con gaMMe e trincee steccar dlntomo
De' miglior posti i più spcufI siU ,
Col sembiante real vergogna e scorno
Accresce ai. vUi , ed animo agli arditi.
Par fiamma, o lampo, or parte, or la ritoi^
Cercando ove conforti , ed ove alti , [no
Mentre il cannon, che fulminando scoppia
Nel riveUin la batteria raddoppia.
Ed egM in no co' generosi Hgtt
Studia, come talor meglio ai batta ,
Sempre occupando Infra i maggior perigli
La prima ontrau e l' ultima ritratta.
Convien, ohe pur di ceder si consigli
La terra alAn per non restar dislalta ,
Ed apre ai vindtor, che l'assecura
Dalla preda , dal ferro e dall' arsura.
[quista ;
Monoalvo a un tempo espugna anco e co»»
Machi pnèqui vietar die non si rubet
Va li tutto a sacco. 0 qual confuaao mista
Scorgo di fuaao e pólve oscura nube !
E se pari l' udir fusse alla vieta.
Risonar v'udirei timpani e tube.
Rendersi i difensor già veder parml ,
Salve le vite con gli arnesi e l' armi.
Pur nell'Aite madesma Alba èaoiiNresa,
Eppur dalie rapino oppressa langna.
II miser citiadin non te dMesa
Per doglia atttlo e per pausa asaogue.
Va il soldato , ove II trae fra r ire accesa
Fame d' or, sete d' or più che di sai^gue.
Suscita F oro, cb^è sotlanra accoko ,
E seppelliate poi cbi r ha sapollo.
ISO
MARINO.
Di buoD presidio il gran guerrier fornisce
Le prese piazze ed ecco il cam pò ha mosso.
Nova milizia assolda , e ingagliardisce
Di gente elvezia e valesana il grosso.
Ecco della citlà , che impaludisce
Là tra i I Belbo e la Nizza , li muro ha scosso.
Ecco a difesa del signor di Manto
Il vicino Spagnol moversi intanto.
Per reverenza dell* insegne ibere
Toglie a Nizza l' assedio, e si ritragge ;
Quindi van di cavalli armate schiere
D' Incisa e d* Acqui a disertar le piagge.
Tragedia miserabile a vedere
Le eulte vigne divenir selvagge,
E dal furor dei foco e delle spade
Abbattuti i viltaggi, aree le biade.
Trema Casale; a temprar armi intesi
Sudano 1 fabbri alle fucine ardenti.
L*acciarmancaatant* uopo,ondeson presi
Mille dagli ozj lor ferri innocenti.
Rozzi non solo e villarecci arnesi,
Ma cittadini artefici stromenti
Forma cangiano ed uso e far ne vedi
Elmiescudi, aste ed azze e spade e spiedi.
Il vomere già curvo, or fatto acuto,
A Bellona donato, a Cerer tolto.
Su la sonante incudine battuto,
D' aratore in guerrier vedi rivolto.
L' antico agrlcoltor rastro forcuto.
Nei fango e nella ruggine sepolto,
Vestendo di splendor la viltà prima,
Ringiovenisce al foco ed alia lima.
Intanto e quinci e quindi ecco spediti
Vanno, e vengono ognor corrieri emessi,
Che il buon re, eh* io dicea, vuol che sopiti
Sieno i contrasti , e la gran pugna cessi ;
Ed acciocché gii alftir di tante liti
In non sospetta man restin rimessi,
Ai deputati imperiali e regj
Fa consegnar della vittoria i pregj.
S* induce alfin. capitolati i patti,
L' eroe dell* Alpi a disarmar la destra,
E dei defflnitor de' gran contratti
Tra le mani il deposito sequestra.
Ma qual rio sacrilegio è che non tratti
L' empia discordia d* ogni mal maestra?
Ecco da capo al rinno\'ar dell' anno
Novi interessi a nove risse il tranno.
Tornano a scorrer l'armi ove ancor stassi
La prateria sì desolata e rasa.
Che n6 stillano pianto e sangue i sassi,
Poiché fabbrica in pie non v* é rimasa.
Né resta agii abiUnti afflitti e^sst
Villa» borgo, poder, castello, o casa.
Già s* appresta la guerra, e già la tromba
Altri chiama alla gloria, altri alla tomba.
Colui eh* è primo e la divisa ha nera
E suir usbergo brun bianca la croce,
(Ben il conosco alla sembianza altera)
È Carlo , il cor magnanimo e feroce.
Di corno in corno e d'una In altra schiera
Il volo impenna ai corrìdor veloce.
Per tutto a tutti assiste e il suo valore
Intellelto é del campo, anima e core.
Spoglia di grosso e malcurato panno ,
Lacerata da lance e da quadrella ,
L* armi gli copre e fregio altro non hanno,
Né vuol tanto valor vesta più bella.
Spada, splendido don del re britanoo,'
Cinge, né v'ha ricchezza eguale a quella.
Ricca , ma più talor suo pregio accresce ,
Che i rubintra i diamanti il sangue mesce.
Mira colà , dove distende e aporge
Asti verso Aquilon V antiche mura.
Poco lunge di fuor vedrai che sorge
Un picciol colle in mezzo alia pianura.
Quindi (fuor che la testa) armato el scorge
Le classi tutte, e il suo poter misura.
Quindi del campo in general rassegna
Rivede ogni guerrier, nota ogn' insegna.
Quasi pastor, che le lanose gregge
Con la provvida verga a pasco adduca,
Con leggiadre ordinanze altrui dà legge
li coraggioso, il bellicoso duca.
Per mostrar quivi a chi l'afirena e regge
Come di ferro e di valor riluca,
Spiega ogni stuol vessilli e gonfaloni ,
Gonfia stendardi e sventola pennoni.
Quanto d' Insubria il bel confln circonda
Fin sotto le ligustiche pendici ,
Quanto di Sesia e Bormia Irriga l'onda,
Voto riman di turbe abitatrici.
Quei , che nella vallea cupa e profonda
Soggioman del Monviso alle radici,
Vengonvi , e di Provenza e di Narbona
Quei elle bevon Durenza, Isara e Sona.
L* ADONE.
181
Mi pur d* Augusta solo e di Lucerna
Le valli inculte e le montagne algenti,
E dagli aspri cantoni Agauno e Berna
Mandanvi copia di robuste genti ;
Ma giù dall' Alpi , OTe mai sempre verna,
Y'inondan quasi rapidi torrenti ,
Per le vie di Bernardo e di Gebenna
Quei che lasciano ancor Llgeri e Senna.
Un che con armi d*or va seco al paro ,
È TAldlghiera, U marescial temuto,
Che sotto giogo di pesante acciaro
Doma il corpo rugoso e li crln canuto.
Ecco di Damian l' eccidio amaro ,
Da' due franchi guerrier preso e battuto ,
Ed ecco d*Alba la seconda scossa.
Chi fia, che impeto tanto affrenar possa?
Poo mente a quel clmier che con tre cime
Di bianca piuma si rincrespa al vento.
È di Vittorio « il prìncipe sublime.
Del Piemoute alta speme, alto ornamento.
Ben l'interno valor negli atti esprìme.
Ha di latte 11 destrìcr, l'armi d'argento,
E d' un aureo monil, che al petto scende.
Groppo misterioso al collo appende.
Vedi con quanto ardire e In che fier atto
Inaspettato a Messeran s'accampa,
E giunto a Cravacor, quasi m un tratto
Di mina mortai segni vi stampa.
Già questo e quel, poiché del giusto patto
Non fur contenti, in vive fiamme avvampa.
Già d' ambedue con esterminio duro
Splanato è 11 forte e smantellato il muro.
Vuoi veder un, che nato a grandi imprese^
D'emular il gran padre s' affatica ?
Mira Tommaso , Il giovane cortese ,
Che tinta di sanguigno ha la lorìca,
E il cuoio dei leon sovra l'arnese
Porta, dell'avo Alcide insegna antica.
DI seta ha i velli e con sottil lavoro
Mostra il ceffo d' argento e l' unghie d' oro.
Vedilo in dubbia e perigliosa mischia
Passar tra mille picche e mille spade.
Già dal volante fulmine, che fischia ,
Trafitto il corridor sotto gli cade.
Ma ne' casi maggior viepiù s'arrischia
Quel cor, che col valor vince l'etade ,
E pien d'ardir più generoso ed alto,
Pieso novo destrìer, toma all' assalto.
Miralo poi, mentre il maggior fratello
Con gran guasto di morti e di prigioni
Rompe il soccorso e 11 capitan di quello
Uccide , che confuso è tra' pedoni ;
Della cavalleria giunto al drappello
Torre 1 regj stendardi a due campioni ,
Indi mandargli per eterno esempio
D'alta prodezza ad appiccar nel tempio.
Solo 11 gran Filiberto altrove Intanto
Dubbioso spettator, stassl in disparte.
Ma il buon Maurizio con purpureo manto
Regge li paterno scettro in altra parte,
E r alte leggi dei governo santo
Con giusta lance ai popoli comparte.
Talor pio cacciatore ai fidi cani
Del devoto Amedeo dispensa 1 pani.
Oh se mai prenderà , Tifi celeste,
Il gran timon della beata nave ,
Da quai scogli secura , a quai tempeste
Sottratta, correrà calma soave!
Già la vegg' io per quelle rive e queste
Portar, nov' Argo, di gran merci grave ,
Scorta da divin Zefliro secondo ,
li vello d'oro a vestir d'oro il mondo.
Ma vedi or come freme e come ferve
Contro costoro il fior d' Italia tutta.
Genti all'Iberno tributarie, o serve,
Gioventù ben armata , e meglio instrulta.
Ben a tante e si fiere armi e caterve ,
SI oppon r inclito Estense e le ributta.
Aifln pur all'esercito, che passa.
Libero il cammin cede e il varco lassa.
Passan l' ardite schiere e. di Milano
Il prefetto maggior tra' suoi l'accoglie.
Eccolo là sovra un corrente Ispano ,
Che l'insegne reali all'aura scioglie.
Il baston general di capitano
Tlen nella destra e veste oscure spoglie.
Mira poi come in un feroci e vaghi
S'arman dall'altro lato 1 gran Gonzaghi.
Quei ch'ha d'un verde scuro a fiocco a fioc-
La sopravesta, è di Niverse il pregio, [co
Vedi un ch'ha d'or lo scudo e d'orlo stocco.
Quegli è Vincenzo il giovinetto egregio.
L'altro, che splende di lucente cocco,
E in sembiante ne viene augusto e regio,
Riposato nel gesto e venerando ,
Quegli, alo ben Gomprendo,è Ferdinando.
i8;t
MARIMO.
LomUì belatudj e prende «guerra icdii-
Dai UranquUH pentier cura diversa, [to
Maoto die il Aor dei lucid' ostri ba tinto.
Fa ricca pompa all'armatura tersa.
Groppo di gemme lo cima li tiene avvinto
Sicciiè r omero e il petto gU attraversa ;
Ma pur Taeeiar con argentala luee
Sotto k fina porpora traluce.
Vedi il Toledo, che VerceUi affronu,
GIÀ r Ila di stretto assedio inceronata.
La dttA tutta alle difese pronta
Sta Mille nuira e snUe torri armata.
Vedi lo scalaUNT, che su vi monte»
E il cittadino a custodir 1* entrata;
Ma poiché assai resiste e si difende,
Per difetto di polve alfin si rende.
In queeto mesce il capitano alpino
Di far gualdane e correrie non resta.
Filiaiano ed Annone -e il Monferrlno
Con mille piaghe in mUle guise Infesta.
Oltre M frutto perduto , il contadtaio
Forza è clie paghi or<|uella4agtÌa or questa.
Gorre V altrui Uoensa , ove l' alletta
Deslre o <tt guadagno , o di vendetta.
Corf divisa, e deli' istorie Ignote
Svela il fosco tener lo Dio d' Egitto,
Quando nel terso aceiar, tra le cui rote
Quanto creò Natura è circoscritto,
Adone in parti alquanto indi remote
Volgesi e vede un non minor conflitto.
Dove la gente In gran diluvio inonda,
E difhiso In torrenti il sangue abbonda.
Onde rivolto al messagger volante :
Della bella facondia arguto padre ,
Disse, o mmilo divin , tu che sai tante
Meraviglie formar novo e leggiadre ,
L' allra guerra , die fan quhidl distante
L*aItrech*altrovelo veggio annate squadre
Fammi conio onde awien polche ancor qui-
Parri43ombattaeoorraHsangaelnrlvi. [vi
lo H dM , risponde , altra cagione.
Ausarla In un 4empo a guerreggiar sespln-
Gon ta donna real del gran leone , [gè
Ghe per Adria guardar la s|)ada stringe.
Né pur del eangue di pift d* un squadrone
La terra solasi colora e tinge ,
Ma il mare Istasssto non men fiera-assalto
Rosasggia ancor di sanguinoso smalto.
Se gola hai di vederlo, or meeo
Dritto le luci , 04-* le l' affiso e gim.
Egli girolle , e in disusata guisa
Vide ondeggiar lo sferico zaffiro.
Già di Anfitrite a mano a man rawian
1 vasti alberghi entro l'angusto giro,
E di gran selve di spalmati legni
Popolati rimira i salsi regnL
Dalle rive adriatiche e dal povto
Di Parlenope bella, alate travi
Già del Cerro mordace il dente tono
Spiccano, onuste di metalli cavi
Già quinci e quindi a para par i^ è scorto
Un naviglio compor di molte navi ,
Le cui veloci e volatrici antenne
Per non segnate vie baiton le peana.
Volan per l' alto e de' cerulei ebloatri
Arano i molli solchi i curvi abeti.
Rompon co' remi e co' taglienti rostri
Delle prore ferrate il scn di TeCl«
I fieri armenti dei marini mostri
Fuggono spaventati al lor secreti.
Sotto f ombra degli arbori che adnaa [na.
Quest'armatae queil' altra, Il mar s*hnlini-
Appena omeri quasi ha II mar bastanti
II peso a sostener di tanti pini.
Appena il vento Istesso a gonfiar land
Può co* fiati supplir, candidi Hnl.
Fugaci Olimpi e vagabondi Atìantl,
Alpi correnti e mobili Appennini
Paion, svelti da terra e sparsi a nuoto,
I gran vascelli alla grossezza , al mote.
Veder fra Unti affanni In taau guerra
La vergin bella a Giterea dispiacque.
La vergin beNa , che s'annida e aem
Tra i lucenti cristalli , ov* efia nacque ;
Ond' hanno insieme H mar lite e la terra,
L' una gii offre le rive e l'altro 1' «eque.
Pugnan con bcUe ed ambiziose gara
Per averta tra lor la terra e U
Ecco che gorghi già di foco e polve
Vomita il bronzo concavo e forato.
Scoccando si , che i legni apre e dissolve,
Gon fiero bombo il fulmine piombata
Nebbia d' orror caliginoso invoKe
E mare e ciel da questo e da quel lato.
Sembra ogni canna ( tante fiamme spira)
La gola di Tlfeo, <fuando si adira.
L' ABONE.
183
Già vieMi adafferrar poppa con poppa,
Già sproo oon sprone inpetuoso coua ,
Già vota il foso e il fil, che Ckilo aggroppa
DI miUe Tltea do puofo Atropo mona, [{la,
Spada in spada, asta in asla urtando intop-
L'acqaa ^à ae divien squallida e sozza ,
E del tMOgne conuui tinta, somiglta
Del gcan solfo Eritreo r<»da vennlgtta.
L* una dasenelP altra avventa e scaglia
Pregni d'occulto ardor gioM e Toluml ,
Oade, neotre più stretta è la battaglia,
Incendio repentki vie» che s* allmni.
Scoppiali le cave palle e fan che saglia
Tufho aUe^oèdle di lavìUe e fumi.
Tra 11 bituBM e la pece e il-nitro e il zolfo
Chi sbalta il del, dil sdrucciola nel golfo.
flnm ValBano e momorando rogge,
E trai niggM svoi vibra la lingaa.
GiMile iBlomo e castella arde e distrugge,
Né sa Nettuno oaiai» come 1* estingua.
L*e8ca del sangue , cbc divora e sugge,
AlàMoulo gli porge, onde s* impingoa.
VliMe , trionfa e con la man rapaoe
Depreda H tutto Imperioso e «face.
loèmi mille piramidi vedresti
Solfar la iamma dagli ondori campi ,
Alzar le |Nmle, ed a ^el venti e questi
CrollariecorBae scaturirne i lampi.
Tra sì fieri spettacoli e funesti [pi.
Par che la fiamma ondeggi e Tonda avvam-
par che tomi alla lite , onde pria nacque.
Fatto abisso di foco, il ciel dell* acque.
L* eccelse poppe e le merlate rocche
Son cangiate in feretri e fatte tombe.
Con rauche voci e con tremende bocche
Romoreggian tamburi e stridon trombe.
Lanciansi 1 dardi e votansi le cocche,
Vlbransi V aste e rotansl le frombe ;
Chi muor trafitto e chi malvivo langue,
Solcan laceri busti il proprio sangue.
Tremendi casi , la spietata zuffa
Mesce di ferro In un , d* acqua e di foco.
Chi nel fondo del pelago s*attuffa.
Chi del sale spumante è fatto gioco.
Chi galleggia risorto e il flutto sbuffa ,
Chi tenta risalir, ma gli vai poco ,
Che ricade ferito, ed a versare
Vien di tepido sangue un mar nel mare.
Strepito di minacce e di quer^.
Di percosse e di seoppj 1 lidi assorda.
Altri con man delle squarciate vale
S* atlien sospeso in aria a qualche eorda.
Ma giuBlo dall' arsura empia e crudele
Vassi a precipitar nelToRda ingorda, <
Onde con strana e miserabli sorte
Prova quattro elementi in una morte.
Or quando pia cmdel Mìe la gnerra,
E va baccando la Discordia stoica ,
Quando di qua di là Tonda e la terra
Tutta è nel sangue e neH* orrom imroHai
Ecco del fier Bifronte il tempio aerra
Colui dM anco il serrò ia prian volta.
Placa gH animi alteri , e fa ohe cada
L* ira dal cori e datta man la spada.
E por fennar con sempre stabil chiodo
La pace die è gran tempio ita la eoif^lo,
Cristina bella in sacrosanto nodo
Stringe del re del monti al maggior figlio.
Vedrassi il groppo , onde si gloria HodOii
Insieme ioeateaar ia palma e il giglio.
E ta di gigli allor, non più di rose
Tesserai , Dea d' anmr , trecce aasoreae.
Già d* età, già di senno, egià eresdttia
Tanto è di forze 11 giovinetto Augusto,
Che ottioB del pari amabNe e tenwlo
Vanto di bu«no e titolo di ginata.
Ma T orgoglio dei principi abbattuto
Sorge ancor più superbo e più robusto ,
E il bel regno da lor stracciato a brani
Rassomiglia Atteon tra i propri cani.
Movesi ali* armi , e ne va seco armato
Enrico, il primo fior del regio seme.
Quei, che pur dianzi andò, quasi sdegnato,
Co* men fedeli a collegarsi insieme.
Sdegno fu, ma fu lieve; or che allo stato
Del gran cugino alto periglio ei teme ,
Gli sovvien quanto è d* uopo in tanta im-
Di consiglio, d'aiuto e di difesa, [presa
Va con poche armi ad assalir la fronte
Dei nemici dispersi , e li sorprende.
Non vedi Can , che volontarie e pronte
Gli disserra le porte egli si rende?
Vedi di Sei nei sanguinoso ponte
Quante squadre nibelle a terra stende.
Poi per domar la scellerata setta
Ver T estrema Biame 11 campo affretta.
1S4
MARINO.
Cede lo sfono , € 1* impeto nemico ,
Ingombra Navarrin terrore e gelo.
Già v'entra, e nell'entrarTi 11 re cbModlco,
Non men che di valor s'arma di zelo.
Rende al dìstrulU altari il culto antico.
A sé stesso V onor, la gloria al Qelo.
Ogni passo è vittoria, ovunque ei vada,
E vince senza sangue e senza spada.
Qual uom che pigro e sonnacchioso dorme
Giace col corpo in sulle piume molli ,
Con l'alma del peosler seguendo l'orme,
Varca fiumi e foreste e piani e coUi ;
Tal rivolgendo Adon gli occhi alle forme.
Della cui vista ancor non son satolli ,
Non sa se vede , o pargli di vedere
Tra lumi ed ombre immagini e chimere.
Mentre eh' el pur dei simulacri accolti
Nei mondo cristallin l' opre rimira.
Del silenzio in tal guisa 1 nodi ha sciolti
L'alto inventor della celeste lira.
Sappi , che dietro a molti corsi e molti
Del gran pianeta che il quart' orbe gira ,
Pria che abbia effetto il ver staranno ascose
Le qui tante da te vedute cose.
Ma quei successi , che a ncor chiude il Fato,
T' ho voluto mostrar, come presenti ,
Acciocché miri alcun fatto onorato
Delle più degne e gloriose genti.
Fin qui Giove permette, e non m*é dato
Più fn là scoprirti dei futuri eventi.
Or tempo é da fornir l'opra che resta.
Vedi il Sol , che nel mar china la testa.
Vedi che armata di argentati lampi
Per le campagne del suo ciel serene
La ètella inferlor, che omai degli ampi
Spazj dell* orizzonte il mezzo tiene,
Mentre dell'aria negli aperti campi
A combatter col dì la notte viene ,
Prende a schierar delle guerriere ardenti
I numerosi eserciti lucenti.
Lungo troppo 11 cammino, e breve è l'ora.
Onde convien sollecitare il passo.
Per poter, raccorciata ogni dimora.
Tornar per l'orme nostre al mondo basso.
Perocché II suo bel lume ha già l'Aurora
Due volte acceso , ed altrettante casso
Da che partimmo, e qui ( fuor che a felice
Gente immortale) il troppo star non lice.
Cosi Mercurio ; e l' altro allor dintorno
Dove r occhio il traea , volgendo II piede.
Le ricche logge dell'albergo adorno.
Di parte in parte a contemplar si diede.
E da che prese a tramontare 11 giorno ,
Che ivi air ombra però giammai non cede.
Non seppe mal da tal vista levarse
Finché l'altr'alba in oriente apparse.
L'ADONE.
18&
CANTO UNDEGIMO
LE BELLEZZE.
ALLEGORIA.
Perla luce die circonda le ombre delle donne belle, s* intende la Bellezza, la
qual da* platonici fu detta raggio di Dio. Nella Fama che seguita la reina Maria
de' Medici , e parla delle sue grandezze, si comprende che la lode va sempre dietro
alla virtù , e che le azioni generose ed illustri non restano giammai senza la meritata
gloria. In Mercurio, che a' prieghi d' Adone calcolandogli la figura della natività, e
pronosticandogli la morte, vien confutato da Venere, si dinota quanto sia grande
r umana curiosità di volere Intendere le cose future , e quanto poco si debba credere
alla vanità dell* astrologia giudlciaria.
AaCOMlIITO.
Belleste r contemplar d'alme dÌTÌoe
Sen poggia al terao del la coppia lieta;
B dagli eflTeUi di quel bel pianeta
Scopre lo Dio facondo alle dottrine.
0 già dell* Amo, or della Senna onore.
Maria più eh* altra invitta e generosa ,
Donna non già, ma nova Dea d* amore ,
Che vinta col tuo giglio hai la sua rosa,
E del gallico Marte il fiero core
Domar sapesti e trionfarne sposa ,
Prendi queste d* onor novelle fronde ,
Naie colà su le castalle sponde.
Queste poche d* onor fronde novelle ^
Questi fior di Parnaso e di Permesso
La tua chioma reai degna di stelle
Non sprezzi, ond* io corona oggi le tesso;
Poiché anco li Sole, oSol dell* altre belle.
Che è della tua beltà ritratto espresso ,
Scorno non ha , che fra la luce e i* oro ,
Che gli fregiano il crin , serpa 1* alloro.
Che tue lodi garrisca e di te canti
Stridula voce, ignobll cetra e vile.
Che 1 tuoi si chiari e sì famosi vanti
Adombri oscuro inchiostro, oscuro stile ;
Che 1 pregj tuoi sì spaziosi e tanti
Raccolga angusto foglio, alma gentile.
Sdegnar non dei,ch*è gloria e non oltraggio
Illustrar Tornbre altrui col proprio raggio.
Sai, che pur rauco a salutar l'Aurora
Infra i cigni canori II corvo sorge.
In plcciol onda, In picclol vetro ancora
Chiusa del ciel 1* inunensità si scorge.
Né suol celeste Dea quando talora
Simulacro votivo altri le porge ,
Ricco di sua bellezza aver a sdegno
Rozzo Un , rozzo piombo e rozzo legno.
186
MARIMO.
Tu dell' ingegno mio propizia stella ,
Per quest* acqua , eh' io corro , esser ben
Poiché i divini amor canto di quella, [dei,
Della cui stirpe originata sei ;
E di volto e di cor benigna e bella
Ben la somigli e ti pareggi a lei ,
A cui per farsi a te del tutto eguale
Quanto sol manca, è l'onestà reale.
Troppo audace talor tento ben lo
Cantando alzarmi al tuo celeste foco.
Ma le penne all' ardir, V aure al desio
Mancano , e caggio augel tarpato e roco.
Pur se dell* opre tue ni*l cantar mio
11 più si tace , e quel eh' io scrivo è poco,
Gran fiamma secondar breve favilla
Suple, e fiume talor succede a stilla.
Uscita col canestro era e con l' urqa
La cpodottrice de' novelli albori ,
Dall' aureo vaso e dalla mano eburna
VersaodD perle e seminando fiori.
Già la caliginosa aria notturna
Spogliava r ombre e rivestia 1 colori ,
E precorreano e predlceano il giorno
La stella innanzi e gli augelletti intorno.
Quando l' augelle querule e lascive
U carro della Dea levando in aito ,
Dal cerchio di quel Nume, a cui s* ascrive
L' eloquenza e II saver , spiccaro il salto.
E in breve acceso di fiammelle vive ,
Vive , ma non cocenti , un puro smaUo
Quasi di schietto azzurro oltremarino ,
Alla vista d* Adon si fé' vicino.
Vasai al del di costei, che 11 cor ti sface,
Disse Mereurio attor, dal del seconda-
Mira QolA della sua beila face
il dolee sigDorìl lume fecondo.
0 letizia, 0 deliala , o vita, opaca
Univeraal dell' un e V altro mondo!
GoBiA aereo « quel nnn pia mai si vide.
Della lampe felice il lampo ridel
IM rumata alalia, a cui aiam preaeDomai,
Ia grandeazft non è quam' altri crede ,
Gb^ è dei globe terreii minore assai ,
Pur tanta in ogni mwko esser si vede ,
E tanti spargi « a ai vivaci rei ,
Che Giove islemoi» qnalclie parte eccede;
Kd a leiee4e ogni altra luce iatorne ,
Salito ie due , ebe fan la nona e il giorno.
Né di tutto r esercito stellante,
I cui splendor col suo bel volto imbruna ,
Fiamma si luminosa arde tra quanta
Ferme ne ha il dolo, o peregrine, alcuna.
Quinci quando talor spunta in Lavante
Piazza intorno si fa , come la Luna ;
E talvolta addivien , che splender suole
In ficela ai giorno , al paragon del Sole.
Quaior gli sguardi avventurosi gira,
E spiega in sul ba-con le chiome bionde.
Tal di grazia , e d' amor faville q>ira ,
Tanti di cortesia raggi diffonde ,
Che può gli occhi invaghir di cbl la mira,
E la notte fugar, che si nasconde,
Dando stupor dal suo lucente albergo
AI mio gran alo , che la, sostien sul tergo.
Luce del mondp ed ultima, e priml^i
Sila il giorno discblvde ad alia ilaerrn.
Sorge la prima a risaliiarar la aoi9«
Tosto che il carro d' or glia aaiiamb
Poi quando tutta la fngaae aohlem
Delle stelle minor nel mar si serra ,
Riman nell' aria d' ogni luce priva
Sola invece del Sol fioche egli arriva.
Sempre accompagna II Sol, né mai da lui
Per brevissimo spazio si disgiunge.
Come ancor fa la mia , sicché ambodui
Non sappiam Tua dall'altro andarne longe.
Siam auoi seguad , e seco ognun di nul
Quasi in un tempo, al fin del corso giunge.
Terminando di par con la sua scorta
Del gran calle vital la linea torta.
Ben (come vederpuol) di sua i
Grande veracemente é la cblai
Ma sua virtude e sua fatai
Sappi aneor, che risponde alla haUaian^
Di piacevol natura ogni altra avance »
Tutta é benignità, tutu é dalaaaaa.
Tu per lei sola appien fatte eontapta
Saprai per prova dir, se adulo, o
Egli è ben ver che sa Satuma^ o Marte
A lei si acaoata con obliquo aapetlo ,
Le contamina il lume, e le ooaifMrCa
Di sua rea qualità qualehe difetta.
Ma quando avvien, ebe in eleveta parta
Lunga io sguardo infausto abbia 44eetta,
Non ai può dir con quanti efleMi e ^naH
Fortunati suol Zar gli altrui natali.
L'AMNE.
ir
G\\ agi del leu»., e eoa diletto e riso
SckerzI , .giochi, trastulli , osj promelle.
Bellezza dona , e leggiadria di viso ,
Ma Xa molli le genti e laaclvette.
E 'SO i|aand' io le son Incontro assiso.
Meco amico e concorde I rai riflette ,
Produco in terra con auapkj lieti
Ciliari oratori e celebri poetU
So Febo poscia » visitar si move ,
E In sito princIpal la casa tiene ,
O viensl a vagheggiar col padre Giove ,
De* suol tesori prodiga diviene.
Il grembo appieno allarga, e laggiù piore
Ogni. grazia, ogni onore ed ogni bene,.
E col ravor dell' una e V altra luce
A gran fortune I suol soggetti adduce.
Con questo dir per entro il ludd* ateo
M «sarchio odamantin drizia il sentiero,
Che al conosciuto carro aprendo il varco,
La Diva ammette al suo celeste imper».
Loco, ohe di piacer, di gioia carco.
Paradiso del del può dirsi Invero t
E tasta fame e tanta gloria serra ,
Cheapposquel cielo ogni altrocielo è terra.
Anretle molli , zefiri lascivi ,
Fonti d' argento e nettare sonanti ,
Di conrenle saffir placidi rivi ,
Rive smaltale a perle ed a diamanti ^
Rupft gemflMte di smeraldi vivi ,
Selve d* incenso e balsamo stillanti ,
Prati sempre di porpora fiorili.
Piagge deliaiose , antri romiti ;
Vaghi per terra di grottesche erbose ,
Di pastini ben culti ampi giardini ,
Bei padiglioni di «iole e rose ,
DI garofani bianchi o purpurinl,
Dolci concordie e musiche amorose
Di Sirene, di cigni e d* augellini ,
Boschi di folti allori e folti mirU,
Tranquilli alberghi di felici spirU ;
Freechl ninfei di limpidi cristaUi ,
Puri canali di dorate arene ,
Siepi di cedri , cespi di coralli ,
Scogli muscosi e collinette amene ,
Ombre scerete di soiUighe vaili ,
E di verdi teatri opache scene ,
Tortorelic e colombe innamorate.
Fanno gioir le region beale.
Ha V vi riposte e cristalline stante
Di scelti unguenti e d' odorati fumi ,
Che sogllon ricettar belle adonanae
Di Ninfe no, ma di celesti NumU
Altra Rete canzoni e liete dante
Accorda all' amonia de* sacri flumk
AltrannoUin narlo,cbehal*ondelniatle
Di manna e mele e di rugiada e latte.
Siccome suol triangolar eriataHo
Ripercosso talor da raggio avverso ,
Mostrar rosso ed azzurro e verde e giallo
Quasi fiorite un bel giardin diverso;
Onde chi mira i bel colori, ed hallo.
Del gran pianeta al lampeggiar converso,
Veggendo Iride fatto un puro gelo ,
Non sa se il Sol sia in terra ,o il vetrota&elelo^
Cosi volgendo ai dileuosl oggetti.
Novi al suo senso , attonito le dglla ,
Entrato 11 beli* Adon tra qne* rloattl.
Non aensa alto piacer si meraviglia.
Sul collo al volatori amorosetU
L* uccìsbr d* Argo abbandonò la briglia^
E gli lasciò su per la riva fresca
Pascer d' ambrosia incorruttibil esca.
Nel dritto mezzo vaneggiava uoptent
Cimo di colli e spazioso in giro.
Che portando lo sguardo assai lontuio^
Tntto d' or mattonaio e di zaffiro.
Era In un piaiza e prato, e quivi In strano
Uvor composti a risguardare uscirò
YarJ ortlcelll di bei fior dipinti ,
Che di larghi sentieri eran distinti.
Dietro la pesu Adon , sotto la cura
Della sua bella ed amorosa duca ,
Si mise per la florida pianura ,
La cui via dritta In ver la costa adduce.
Quando rasserenossi oltre misura
Queir emispero di beata luce.
Ed ecco un iustit) lampeggiar dintorno.
Che Sole a Sole aggiunse egiocno a giorno.
A guisa di carbon , che si ravviva
Di Borea ai soflj e doppio vampo acquista.
Novo splendor sovra splendore arriva.
Che riga l'aria di vermiglia lista.
Quasi ampia sfere, il bel chiaror s*apriva«
Nel cui centro il garzon ficcò la vista,
E vide entro quel circolo lucente
I Gran tratU spaziar di lieU gente.
188
MARINO.
Come augelllni , che talor satolli
A stonno a stormo levansi dal fiume ,
Quasi congratulanti , al vicln coIU
Scoton cantando le bagnate piume (
0 come pecchie , che da' campi molli
Rapir le care prede ban per costume ,
Tra* purpurei fioretti e tra gli azzurri
Alternando sen van dolci susurri.
Così menavan tra festivi canti
L' anime fortunate allegra vita ,
Lucide a maraviglia e folgoranti ,
Tutte in età di gioventù fiorita.
Vive persone no , paion sembianti
Specchiati in bei cristal, che il vero imita.
Ciascuna lor immagine rassembra [bra.
Vanità, che abbia corpo ed abbia mem-
Tremoiavan per entro i ral sereni
Quelle fulgide fiamme a mille a mille
Non altrimenti , che atomi , o baleni
Soglian per le snebbiate aure tranquille,
0 lucciolette , che ne' prati ameni
Con vicende di lampi e di scintille
Vibrano , quasi fiaccole animate ,
Il focil delle piume inargentate.
Deh per quel dolce ardor, disse il don-
Alla sua Dea, che per te dolce m'arse [zello
Dammi, ch'io sappia, che folgore è quello,
Che repentino agli occhi nostri apparse?
E quelle luci , che in più d' un drappello
Vanno per mezzo i raggi erranti e sparse,
Dimmi che son , poiché a beltà sì rara
La chiarezza del elei più si rischiara?
La luce , che tu miri , è quella istessa ,
Che arde ne' tuoi begli occhi, ella rispose,
Specchio di Dio, che si vagheggia in essa,
Fior delle più perfette e rare cose , [sa,
Stampa immortai da quel suggello Impres-
Dove il Fattor la sua sembianza pose,
Proporzion d' ogni mortai fattura ,
Pregio dei mondo e gloria di Natura.
Esca dolce dell' occhio e dolce rete
Dei cor, che dolcemente il fa languire.
Vero piacer dell'alma, alma quiete
De' sensi, ultimo fin d^ogni desire.
Fonte, che solo altrui può trar la sete,
E sol render amabile 11 martire.
Se udito hai nominar giammai bellezza.
Qui ne vedi l' essenza e la pienezza.
L'anima nata infra l'eterne forme,
Ed avvezza a quel bel, che a sé la chiama.
Della beltà celeste In terra l'orme
Cerca e ciò che l'alletta e segue e brama ;
E quando oggetto ai suoi pensier conforme
Trova , vi corre ingordamente e l' ama.
Fior, fronde, gemme e stella e Sde ammira
Ma viepiù '1 Sol chMn due begli occhi gira.
Bellezza è Sole e lampo e fiamma e strale.
Fere ov' arriva e ciò che tocca accende.
Sua forza è tanta e sua virtude è tale.
Che inebbria si, ma senza oflìesa offende.
Nulla senza beltà diletta , o vale ,
Il tutto annoia ove beltà non splende.
E qual cosa si può fra le create
Più bella ritrovar della belute?
[coglia
Perde appo questo (ancorché in un s'ac-
Quanto il mondo ha di buono) ogni altro be-
Ogni altro ben, che a desiare invoglia, [ne,
Alfln sazia il desio quando e' ottiene.
Sol quei desio, che di beltà germoglia.
Cresce in godendo, e vie maggior diviene.
Sempre amor novo a novo bel succede,
Tanto più cerca» quanto più possiede.
Giogo caro e leggier, leggiera salma,
Prigionia grata e tirannia soave.
In qualunque altro affar perder la palma
Altrui rincresce e l' esser vinto è grave.
A quest' impero sol qual più grand' alma
Soggiace, e d'ubbl(àr sdegno non bave.
Non é cor sì superbo , o sì rubello ,
Che non si pieghi e non s' inchini al bello.
Violenza gentil, che opprime, affrena,
Tira, sforza, rapisce, eppur non noce.
Tosco vital , che nutre ed avvelena,
E senza danno ai cor passa veloce ,
Magia del dei che incanta ed Incatena,
E non ha mano e non ha lingua, o voce,
Voce, che muta persuade e prega ,
Man , che senza legami annoda e lega.
Un sol guardo cortese , un atto pio
Di bella donna, mille strazj appaga,
Fa subito ogni mal porre in obblio ,
Lodar l'incendio e benedir la piaga.
Cupido di penar rende il desio ,
E del proprio dolor l'anima vaga.
Ed uom di vita e di conforto privo
È possente a tornar beato e vivo.
L' ADONE.
189
Questo è quel lume, che innamora e
E fa corona all' anime contente, [place.
Né foco in fiamma, né favilla in face,
Né stella in elei , né Sole in oriente
Arde in sì puro incendio e si vivace.
Glie agguagli il dolce ardor che qui si sente.
Sono astratte sostarne e lucid' ombre.
Di ogni impaccio terren libere e sgombre.
Son delle donne più famose e belle
Tutte raccolte qui 1* alme beate ,
Perocché per fatai legge di stelle
Quante giammai ne sicno, o ne son state,
Quelle che nacquer già miiranni, e quelle
Che nasceran nella futura etate ,
Son (come qui le vedi) a schiera a schiera
Tutte quante dovute alla mia sfera.
E se vago sci ptu* di mirar come
Liete sen van per questa piaggia aperta ,
E vuoi, che alcuna io ne disegni a nome.
Meco non ti rincresca ascender l*erta.
Quivi di quante scorgi aurate chiome
Contezza avrai più manifesta e certa,
Che meglio apparirà (benché remota)
Qualunque fia tra lor degna di nou.
Ciò detto , ad un poggiuol poggiare In
Delle rupi più basse e più vicine, [cima
Ma qoal, seguì Ciprigna, elegger prima
Del bei numer degg' io, che è senza fine ?
0 quai più stimerò degne di stima?
Le Barbare, le Greche, o le Latine
Fra tante le più belle e nobil donne,
Che abbia il Ciel destinate a vestir gonne t
Tu vedi ben colei , che tanta luce
Fra 1* altre tutte di bellezza ha seco.
È la famosa suora di Polluce ,
Flebll materia al gran poeta cicco.
Vedi Briseida, che il più forte duce
Fé* sdegnoso appartar dal campo greco.
Polissena la segue e va contenta, [ta.
Che r ira ostil coi proprio sangue ha spen-
L'altra, che alquanto lia turbatelto il el-
fi la vezzosa vedova alTrlcana , [glio,
Del mio ramingo ed agitato figlio
Fiamma quasi maggior della troiana.
Tien nella destra 11 ferro ancor vermiglio,
Né la piaga del petto in tutto è sana;
E in tanta gioia pur mostra la vista
D* ila, d*odlo, d'amor, di affanno mista.
Quella che ha in man dueserpi,e tanta do-
Lussuria trae di barbaresche spoglie, [pò
E pende nel color deli'Etiopo,
Ma col suo bruno all' Alba il pregio toglie,
E il nero crine ali' uso di Canopo
Sotto un diadema a più colori accoglie ;
Del grande Antonio amica , è Cleopatra ,
Che l'ha di sua beltà fatto idolatra.
Danae è colei, che semplicetta accolse
Nel grembo virginal l'oro impudico.
Quella è l' incauta Semele, che volse
Mirare in trono il non ben noto amico.
Ecco Europa colà , da cui già tolse
La più nobU provincia il nome antico.
Eccoti Leda qui , che si compiacque
Del bianco augello, ond'Elenapoi nacque.
Vi è Dlanlra, che si duol delusa
Di avere ucciso V uccisor di Anteo.
Havvi Arianna, che l' inganno accusa
Del troppo ingrato e perfido Teseo,
Guarda Andromeda poi che non ricusa
li fido suo liberator Perseo.
Ed Ero guarda, che da lido a lido
Trasse più volte il nuoutor di Abido.
Vedi una turba di progenie ebrea
Tutta in un groppo, che laggiù cammina?
In queste sol, clie il fior son di Giudea,
Arde di santo amor fiamma divina.
V ha Rebecca e Rachele e Betsabea,
Havvi Susanna, Ester, Dalila e Dina,
E Giuditta è tra lor la vedovella
Feroce e formidabile, ma bella.
Mira il tragico ardor dei pria cruilele ,
Poi ripentito, anzi arrabbiato Erode ,
Marianne gentil , che le querele
Del fiero amante di quassù non ode.
L'altra che d'aver tolto ai suo fedele
Il bel trionfo Insuperbisce e gode,
lo dico a Tito il buono , è Berenice ,
Che del gran vincitore è vincitrice.
Or li addito di belle un altro coro ,
Non meno accese in amoroso rogo.
La gran donna del Lazio è madre loro ,
Cui por s'aspetta all' universo il giogo.
Livia d' Augusto è prima infra costoro ,
Messalina di Claudio ha l'altro luogo,
Senza mill' altre ancor, che ne tralascio
Per restringer gran massa in picco! fascio.
190
■AMlfO.
LtfKku però «m voglio unt eho tolto
La Mnea poppo fusaitiulnau e gunu
Ha di punta mortale U fianco rotto,
LMsrtaia> «corolle fnna abbia di «aaia.
Non so ie ha come II corpo. Il cor corrotto,
So, €he «Ma fona altrui poco contrasta ;
B«Oviebe col pagliai non s' apre II petto ,
Che gustar pria non voglia il mio diletto.
No no, non già per Ira il aen si Aede ,
Che abbia ( ti so ben dir ) contro 11 tiranno,
Per vendicar, siccome 11 volgo crede ,
Con «1 oolpo-ll suo torto • il oomon tkui-
Fallo sol per dolor, perchè s'avvede [no.
Pur CMppo Cardi del suo aciooco inganno,
Che n'ha passata per follia d'onore
^Smua tanto piacer i' età migliore.
Volgiti a Fausta, che di fòco infausto
Percagion del llglia&trohallcortanl'arso,
ChecoBTion , che di Amor fatto olocausto
Grlspo l'estingua col ano sangue sparso.
n tempo a dime unte è troppo esausto ,
L' occhio a segnarle tutto è troppo scarso.
Lascio l'antica schiera e passo a quella ,
Che dee nobilitar l'età novella.
Trai pia chiari splendor deHe moderne
Vedi là sdotlilar Giulia Gonzaga.
Deli' immensa beltà die in lei si sceme ,
Potrà far solo il grido hicendlo e piaga ,
Ed al fler Soliman le fibre interne
Strugger dell' «Ima innamorata e vaga ,
Onde per adempir gli alti desiri
Verrà io Setta a ber l'onde di Lirl.
Vedi duo rami del medesmo stelo.
Una coppia real di Margherite ,
Sol per bear la terra elette in cielo ,
E fir di casto amor dolci ferite.
Quella che è prima e di purpureo velo
Le schiette membri e candide ha vestite,
Indorerà con luce ardente e chiara
E del secolo il ferro e di Ferrara.
L' aHra,che mano a man seco congiunge,
Di l^orena felice i poggi onora.
Folgoreggia il bel volto ancor da hnge ,
E di lume divln tutto s* Infiora.
Amor non cura, eppur saetta e punge,
EdoUrui non volendo, uccide ancora.
Mka con che ridente aria soave
Tempra il rigor del portamenlo grave.
Socoid'ogui beltà, pur cui beila
Fla NoveUara, un oovu moeiro « eutiiOi
Per immagin formar A beo lorram
Dei grau plttora'awanuggiò la mino.
Di Amor guerriera e di AivHle armati
Fa piaghe ardenti, onde si fugge Invwio.
Ogni sua paroletta, ogni ano aguanlo
Fuimloa una faoella^ ai mia un cardo.
Isabella la beila è eoatei detta ,
Che dalle prime due non si dlluuga.
Disponi il core, o gran Vlncenao , aipetla
Che un suo raggio per gli oeehi al cor ti
Saprai di quale ardor di qua! aaefttB[gìunga,
Dolcemente mortai riscaldi e punga.
Venga a mirar costei , chi non intende
Come al possa amar cosa che eflènde.
Che lume è quel che trae di lampi un nem-
Checandld'ombra? e di che rat si vestet[bo
Poita nel volto Amor, leGmie hi grambo,
E nulla ha di tcrren, tncta è celeste.
Si si , tien scritto neli' aurato lembo ,
La fentee dd Po, GiuHa da Este.
0 del mondo cadente ultima speme.
Prole gentil dell' onorato eeme 1
Oh come la vegg* lo folgor divino
Tra miile balenar loci lombarde!
Finch' uom degno di lei trovi il destino.
Scompagnata trarrà l'ore pia tarde.
Quasi tra perle lucido rubino ,
Da fin or drooscritto, avvampa ed arde.
Quasi rosa tra I fior, che in fresca sponda
Forma il Soi^ moice l'aura e nutre l'onda.
Ecco del Tebro una pregiata figHa ,
Onde la gloria Aldobrandina irraggia,
Idolo della terra e meraviglia
Di queste lieta e fortunate piaggia.
Volge r arciere e sagitterie ciglia
Mia, né men che bella, oneste e sag^a.
Ride il bel volto, e quasi uncielslammh^,
Che ie stelle paterne intorno gira.
m
Altre dee ne van seco in una schiera ,
Che le sembran compagne, e son sorelle.
Colei, die più si accoste alla primiera ,
Apre al verno maggior rose novelle.
L'altra incontrando la più chiara sfera.
Fa quel del Sol,ch'ei fa dell'altre stelle.
Farà la prima il Taro adorno e tteto,
Dell'altre due si arricchirà Bebeto.
L'AMIfE.
191
Osai S«TOi« ftfli oaor mmì sii «appella,
E .fiMHro Dive a rimirar m' invila «
GaCeriM e Maria eoa iMbelia,
fi la fliaggior éi latte è M argi>erita.
Qual Paride, «he aceiga or la più bella?
Quair liagHa fia di giudicarle ardiu?
Per <|«este^ onde risona e Tiie e Battro,
Le Graiie, die aen tre, diveiraa ^naturo.
L'Awora ti parrà, se quella Tedi, [na.
Quand'^eUa li pigro suo veccliloabl>audo«
Se questa prendi a riaguardar, la credi
La Mia e Irianca figlia éì Lalona.
Se éaH'alIfa di lor notiala chiedi,
fi Biri k) splendor clic 1* incorona ,
Dfrii , ohe « meacogiomo, a messa stale
Ha mlÉorlukie li knninoso frate.
Mala perla, di* io dico, al cui gran pregi
L* Inda atupiace e I* Oriente ha scorno^
BagH astichi tesor di cento regi
Vadca a rischiarar d* Europa il giorno ;
•ftuuIiÉ, che dee di preeiosi fregi
Far dd gran Aglio mio l' erario adomo,
È tal, che mai non ne produsse alcuna
La Iwica, ove nascendo ebbi la cuna.
AtÈW dirà, die il paragona è viie ,
•A«ui tanto di questu il candor piacqne ,
€Ma d «uo povere sen ne fé' monile,
E nel foco attnolia e non neH' acque.
Blrà, che^uesia sua perla gentile
Vra V«nde no, «la tra le stelle nacque.
Ccho il dd, perchè vince ogni aHrasteNa,
▼«oM In^oe dd S>ote, ornar di queBa.
H più taddo Al diel vello aurato
I%r porla In nobll Alza , ha doto attorto ;
Bper legarla il più An or pregiato
Va aoelto Amor cheabhia l' occaso o V orto.
Ma legge wd d'irreparahil fato,
Ghe4n breve il suodgnor rimanga morto ;
Né potendo ella diatemprarsi In pianto,
Plangan sangue per lei Torino e Manto.
4)odl' altra che soMilglla attera e sola
L' «HA vi!l*giiidla peregrina ,
Qualor te phime ha rinnoifate e toia
A visitar la region vidna ,
Matilda lè poi, d'Enmnuel AgKuofta,
No' cai begli ««chi Amor gli strali ailna ;
Ed a cui die dt sua beltà superna
#MMo può éu rOnnlpoteiita eterna.
Ouagli occhi fagbl«dliddceaaaaMlenti,
Per cui fia più dd dd bdhi la iwra^
Struggeran , non che i cor, le navi dgeaii,
Che deU' Alpi canute il oatclilo ««ra.
Moveran con tal amd a si pungenti
Contro r alme ritruee assalto e gueraa ,
€he lorran lor nell' amorosa impresa
E l'ingegno e la fuga e la difesa*
Vedi unrivaggio, che ddl' aite *esca
Ripiegando le dme , U prato bagna.
Quivi aitili amori Amore totenso adesoa
Quanto avran mai di bello Iuilla« Spagna.
Quiri fiorisce isgni bdtà donnesca ,
Ma fors' è , che di dime io mi rlmagna ,
Uiè all' ocdiio, die non ben tante n* aeio-
Lalontanaasaeios|ilendor le taglie, {glie
Pur non oonvien, che ooiidlench) lo passi
Quelie che son hra l'Alpi e 1 Pirend.
E prima dia mio vista incontro fasd
Alma , che co' sud lumi abbaglia i> mtlei.
Sola degna, a cui ceda e il pomo lassi >
Che ottenni dal pastor de' bosoM tdd.
Margberiu Valeria, li cui valore
È tesor di virtù, pompa Sonore.
Quest'dtra perla che qudSd fiammeggia,
Ragion none oh* io dd mio dirdefraerie,
Benché di un tal soggeUoio bennil«r«eg-
Con le parole estenuar la fonde. [già
Oh con qual grada e nnestà passeggia ,
Come stupido il Ciel tutto l'applaude !
Tanti spirti reali intorno piove.
Che par la «fera mia sfera di Giove.
Ma par negli atti d contristi e ddga,
E va turbata e disdegnosa alquanto
Che senza morte si rallenti e sdolga
Quel nodo, onde la strinse Iweneo santo ;
Kche altra a un punto le rapisca e vdga
Di Gdlia il regno e di beitade 11 vanto.
Onde perdere in nn deggia per qndla
E di rdna il Utolo e di bella.
Più okre , oh che divhi volto vegg' io ,
11 col grave rigor modera e «dee
Di iMMigna letizia un raggio pio,
E d* onesto eorriso un lampo dolce I
EU* è Carlotta , arder dd regno «rio.
Che gli onor di Condè sostiene e folce ;
Nume degno di altari e che si adori
Con sacrifici d'«nimc e di cori.
192
MARINO.
Dal cielo, ond' esce il gran faiial di Deio,
Alla riva che è meta a sua fatica ,
E dai pigri Trioni , ove di gelo
La Xvia U piede Incrìstallito implica,
Fin dove sotto il più cocente cielo
Ferve di Libia la pianura aprica ;
Beltà non v' tia , che più si ammiri e pregi,
Possente ad infiammar l' alme dei regi.
Aguzza il guardo pur, se pur da tante
Luci esser può, che non languisca offeso ;
E guarda, elle a quel Sol che avrai davante,
Non resti o V occliio cieco, o il core acceso.
Vedrai Maria Borbon , dal cui sembiante
Il modello del bel Natura ha preso.
Beltà , che far potrebbe in forme nove
Spuntar le corna e nascer 1* ali a Giove.
Questa degli avi suoi degna nipote ,
Farà di Monpensier più chiarì I figli.
Hanno ancor molto a volger queste rote
Pria che nasca laggiù chi la somigli.
Bella onestà le imporpora le gote.
Ma confonde alle rose i patrj gigli.
Fa beato T inferno il suo bel viso,
E poo le pene eterne In paradiso.
Rlsguarda or quella in umiltà superba
Sotto candido vel fronte serena
Quant' aspetto real ritiene e serba,
È la vaga Luigia di l..orena.
Dell* angelica vista alquanto acerba ,
E del bel guardo la licenza affrena ;
Ma la forza del foco e dello strale ,
Che passa I cori , ad affrenar non vale.
Per questa il mio reame, il suo lignaggio
Non men d'onor, che di beltà fiorisce.
Vince parlando ogni rigor selvaggio.
Le tigri umilia e gii aspidi addolcisce.
Tempra gli smalli col benigno raggio ,
Scalda I ghiacci , apre i marmi, i cor rapl-
Amor, questi miracoli son tuoi , [sce.
Che in virtù de' begli occhi il tuUo puoi.
Mira quell'altra, che con schivi gesti
Dal commercio comun sen va lontana.
Agli atti gravi, agii andamenti onesti
Sfaretrata talor sembra Diana.
Ma per quanto comprendo ai rai celesti ,
É la Dea Caterina, alma sovrana.
Che in sé romita e dalio stuol divisa
Fa di sé sol gioir Gioiosa e Guisa.
Anna obbliar di Sueason non deggio ,
Ornamento e stupor della mia corte.
Languir per lei d' amor mlil* alme veggio,
E veggio al nascer suo nascer la morte.
0 delle glorie mie colonna è seggio ,
0 maniere leggiadre , o luci accorte !
Dove di quelle luci il Sol non giri ,
Altro eh' ombre non vede, occhio che mirt
Fisa la vista e tra' più densi rai
Enrìchetta Vandoma intento mira ,
E due d'amor luciferi vedrai ,
Che invece d' occhi la sua fronte gira.
Due giardini di fior non secchi mal
Veston le guance , onde dolce aura spira.
Ride la bocca , onde puoi ben vederle
In ostel di rubin chiostri di perle.
E che dirò di quella nobil ombra.
In cui tanto di lume Apollo infuse.
Che di Safo e Corinna i raggi adombra,
E gloria accresce e numero alle Muse 7
Anna Roana, che d'un lauro all'ombra
Le suore seco a gareggiar t>en use
Sfida a cantar con que'-celcsti accenti.
Che dei foco d' amor son sì cocenti.
Tacerò poi fra tante lampe eccelse
Quella, onde Roccaforte arde e sfavilla?
Per crear questa luce , il Ciel si svelae
Del destro lume l' unica pupilla.
Se ancor verde ed acerba Amor la scelse
Per arder l'alme e sol d'ardor nutrilla.
Deh che fia poscia e qual trarranno arsura
Quando alle fiamme sue sarà matura ?
Ma dove lascio un altro lume chiaro ?
Maria, de'Moubasoni egregia prole?
Grazia, che stia di tanta grazia al paro.
Non mira in quanio mondo alluma il Sole.
Le doti illustri dello spirto raro
Raccontar non si lasciano a parole.
Dir di lei non si può , che non s* onori.
Onorar non si può, che non s" adori.
Incomposta bellezza e semplicetta
Parte si scopre in lei , parte si chiude.
Ignudo Amor nel vago viso alletta ,
Le Grazie nel bel sen scherzano ignude.
Cortese orgoglio e maestà negletta ,
Maniere Insieme e mansuete e crude ,
Gravità dolce e gentilezza onesta
Bella la fan , ma lo sua beltà modesta.
L'ADONK
193
A queste g^orte aggiunti , a queste lodi
1 pregi del maguanimo marito ,
lo dico Carlo , che con saldi nodi
D'amor santo e pudico è seco unito,
E l'un fassi dell'altro in dolci modi
DI scambievole onor fregio gradito ,
Con quei lume reciproco fra loro , [oro.
Che oro a gemma raddoppia e gemma ad
0 del Rodano altero, inclito figlio.
Per cui di gloria il Gallo impenna Tali,
Signor degno di scettro , Il cui consiglio
Volge la chiave de' pensier reali;
n cui sommo valor farà dal giglio
Sovente puUuI&r palme immortali ;
Dritto fia ben , che d' ogni gioia colmo
Stringa sì bella vite un si degn'olmo.
E qui Venere tace, indi gli addita
In disparte un drappel di donne elette ;
E fra lor, come capo, è reverìta
Una , che trae per man tre pargolette.
Tien composta negli alti , a brun vestita
Le bionde trecce in fosco vel ristrette;
E diadema reale ha sulla chioma
Di tre gigli fregiato e di sei poma.
Son le fanciulle alla beltà materna
E nei volto e nel gesto assai sembianti ;
E in fronte alla maggior par si dlscerna
Cerchio di gemme illustri e scintillanti ,
Sicché d' Apollo la corona eterna
Tempestata non è di raggi tanti ,
Onde nel tutto a lei si rassomiglia
Di A gran genitrice emula figlia.
Tal dove l'ombre trionfali spande
La pianta amica a Giove e cara al Sole ,
Sotto II suo tronco verdeggiante e grande
Tenera sorge e giovinetta prole;
Tal rosa ancor non atta alle ghirlande
Non aperta e non chiusa in orto, suole
Spiegando all'aura 1 suol novelli onori,
Mia madre imparar come s* infiori.
Parve fra le più degne e più leggiadre
Questa ad Adon la più leggiadra e degna ;
Onde rivolto alla benigna madre
Del plcciol Dio, che nel suo petto regna;
Chi è colei , che fra sì belle squadre ,
Disse, d' ogni beltà porta l'insegna?
Colei, che in vista affabilmente altera
Guida r illustre ed onorata schiera?
Ben reina mi par delle reine ,
Cotanta in lei d' onor luce rlsplende,
Ed ha tre fanciullette a sé vicine,
lu cui i'efligie sua ben si comprende.
E coronata d'or l' oro del crine,
Vasseue avvolta In tenebrose bende,
E sotto oscuro manto e bruno velo
Può d'ogni lume impoverire il cielo.
Adone, ella risponde , io ben vorrei
Spegner la sete al bel deslr, che mostri.
Ma scarsi sono a favellar di lei [stri.
Non che gli accenti, i più facondi inchio-
Non han luce più chiara i regni miei ,
Non vedran più bel Sol mai gli occhi vostrL
Con voce di diamante e stil di foco.
Cento lingue d'acciarne dlrian poco.
Altre volte sovviemmi aver narrato
Quai d'eccellenze In lei cumul si serra.
Oh quante palme, oh quanii allori il Fato,
Nella futura età le serba in terra !
Ma di quanti travagli il mondo armato
Per maggior gloria sua le farà guerra 1
Che non può l'alta grazia e il buon consiglio
E del provvido ingegno e del bel ciglio?
Ma di sue lodi, a cui di par non m'ergo,
Dar ti potrà colei miglior novelle ,
Dico colei , che tu le vedi a tergo
Tra il fido stuol delle seguaci ancelle.
Fama si appella e tien sublime albergo
Là neir ultimo cici sovra le stelle ,
Dove sorge fondata immobilmente
Di diamante immortai , torre eminente.
Olimpo a Giove ingiurioso monte.
Atlante delle stelle alto sostegno,
Peiia, che altrui fu scala. Ossa, che ponte
Per assalir questo superno regno,
L' Emo, il Libano, il Tauro, o qualla fronte
Erge a più eccelso inaccessibil segno ,
Fora a questa d'altezza ancor secondo.
Che passa il elei, che signoreggia il mondo.
Entrate Innumerablli ha ia rocca,
E il tetto e il muro in molte parti rotto.
Di bronzo usci e balconi , e non gli tocca
(Che gran romor non faccia) aura di motto.
Tosto che esce il parlar fuor d' una lx>c€a ,
A lei per queste vie passa introdotto,
E forma quivi un indistinto ftuono ,
Come suol di lontan tempesta, o tuono.
9
194
MARINO.
Quivi la pose il gran Retlor de* deli ,
Quasi guardia fedel, cauta custode.
Perchè ciò che si fa scopra e riveli ,
Nunzia di quanto mira e di quant'ode.
Cosa occulta non è , che a lei si celi ,
E di conforme all'opre o blasmo, o lode.
Se si more aura in ramo, in ramo fronda,
Esser non può , che da costei s' asconda.
Deli* umane memorie ombra seguace
Sempre avvisa, riporta e parte e riede ,
Né riposa giammai , né giammai tace,
E più, quanto più cresce, acquista fede.
Garrulo Nume e spirito loquace ,
Vita de' nomi e di sé slessa erede ,
Possente ad eternar gli eroi pregiati ,
E far presenti i secoli passati.
Generolla la terra e co* giganti
Nacque In un parlo orribili e feroci.
Dea, che quant' occhi intomo ha vigilanti,
Tanti ha vanni al volar presti e veloci ,
E quante penne ha volatrici e quanti
Lumi, tante anco ha lingue e tante ha voci
E tante bocche e tante orecchie , ond' ella
TttitD spia, tutto sa, tutto favella.
Picciola sorge e debile da prima.
Poi s'avanza volando e forza prende.
Passa r aria e la terra e su la cima
Poggia de' tetti e fra le nubi ascende.
E per varj idiomi in ogni clima
Pari al guardo ed ai volo il grido stende.
Di ciò che altri mal fa, dì ciò che dice
0 di buono ^ o di reo pubblica trice.
Questa, che deve a tutti quattro i venti
Far poi la gloria sua chiara e solenne,
Soddisfaratti in più diffusi accenti.
Cosi detto chiamolla ed ella venne.
Baitea per le serene aure ridenti
Con moto infaticabile le penne.
L'occhiuto augel rassomigliava all'ali.
Che di varie fiorian gemme immortali.
Di tersa luce e folgorante acceso
Brando, a' cui lampi ilSol perdea di molto,
Striogea nell' una man , l' altra sospeso
Reggeadal busto esangue un capo sciolto.
Per la squallida chioma avvinto e preso ,
Fosco nel ciglio e pallido nel voiio.
Spirava nebbia ; e seppe Adon , che questa
Dell' 01)bllo smemorato era la testa.
La sollecita Dea , cut del desio
Del bellissimo Adon nulla è nascosto,
E che quando l'alato e cieco Dio
Il congiunse alla madre, il seppe toslo;
Ben di lontan la sua dimanda udio,
E quanto Citerea gli avea risposto ;
Ond' una allor delle sue cento lingue
Sciogliendo, il ragionar cosi distingue :
Volgi, omortale, ove quel Sol lampeggia
Di bellezze e di grazie unico e solo,
Gli occhi felici, e la beiti vagheggia.
Che alza i più pigri ingegni a nobil volo.
Dico quel Sol , per cui dolce fiammeggia
La terra e il cielo e l'un e l'altro polo ;
Quel vivo Sole, alla cui chiara lampa
Senna senno non ha, se non awampa.
Questa è l' eccelsa e gloriosa donna ,
Che accoppia a regio scettro animo regio.
Gran reina de' Galli , e della gonna,
E del sesso imperfetto eterno pregio.
Dell'inferma Virtù stabil colonna,
Dell'età rugginosa unico pregio;
Esempio di beltà, nido d'Amore,
Specchio di castità , fonte d' onore.
Dal gran centro del elei lunga catena
Di bel diamante inanellata pende.
Con questa Amor, che l' universo affreoa.
Annoda altrui soavemente e prende.
Per questa l'uom dalla beltà terrena
D'un grado in altro alla celeste ascende,
E di questa quel bel , che in lei s'aounira.
Un amo è d'or, che qui l' anime tira.
Quest' amo ascose infra suoi strali AnMNre
In quel divino e maestoso aspetto ,
In cui di d||e bellezze un doppio ardore
Abbaglia ogni pensier, scalda ogni affetto.
L'una di nobil fiamma accende il core.
L'altra è degli occhi un reverito oggetto;
E quel gemino bel si ben si mesce ,
Che qual foco per foco incendio cresce.
L' una il cupido senso alletta in guisa
Con vivi lampi di serena luce ,
Che empie d' alto piacer chi in lei s'affisa,
Sebben casti desir sempre produce*
L' altra dal career suo l'alma divisa
Di raggio in raggio al sommo Sol conduce.
Mostrandole laggiù sotto unian velo
Quella beltà , che si contempia in ciek».
L'AB(»fE.
19S
Beo tu per «luesta scala ancor le piume
Del tuo basso Intelletlo alzar potrai,
E nello specchio del creato lume
Dell* increato investigar I rat ;
E del corporeo e naturai costume
L'Impura qualUi vinta d* assai,
Di quel bel ciglio alla beata srera
Tornar d' umil farfalla aquila altera.
Laggiù nel mondo a soggiornar lien tardi
Verrà, ma carca di caduca salma.
E benché la gentil , per cui tu ardi ,
Po«egga di beltà la prima palma ,
Sì nobili però non son que* dardi ,
(Con pace sua) che ti saettan 1* alma.
L' una è lasciva Dea , V altra pudica ,
L'una madre d' Amor, l'altra nemica.
E ti so dir, che alfin, polche avrà molto
Vestite in terra le terrene spoglie ,
Quando il nodo vltal le sarà sciolto
Dalla falce crudel , che il tutto scioglie,
Lo sno spirto reai fla qui raccolto
In questo istesso ciel, dove or s'accoglie;
E (come è legge di destino etemo)
Si usurperà di Venere il governo.
A lei di questo giro il grave pondo
Dal sovrano Motor sarà commesso ,
E d' influir laggiù nel vostro mondo
Quanto influisce il suo bel Nume istesso*
E ben contenta dell' onor secondo
Bnmerà la tua Dea di starle appresso ;
Né ben possente ad emularla appieno ,
Una delle sue Grazie essere almeno.
Potrebbon forse per cessar le gare
Delle vicende lor partir le cure.
Quella le notti addur serene e chiare.
Questa portar le torbide ed oscure.
Crederò ben , che per invidia amare
Tai cose, ed a soffrirle saran dure, •
Ma perché U corso dell'eterne rote
Porla questo tenore, altro non potè.
Senno farà , se volentier le cede ,
E porta in pace il vergognoso oltraggio ,
Poiché pur di sua stirpe é degna erede ,
E di sua luce un segnalato raggio.
Sai ben di qual orìgine procede
Del famoso Quirin l' alto iegnagglo.
Sai , che d'ogni suo ramo é ceppo Enea,
Che fu figliuol della medesma Dea.
Tu dei dunque saver,che a nascer hanno
Del buon sangue troian l'alme latine,
Onde il Tebro ornerà dopo qualch'anno
Prosapia di propagini divine.
Quindi gli Anicj e i Pier Leon verranno.
Poi d' Austria 1 regi , indi d' Etruria alfine
A dilatar nel secolo più fosco
Il romano splendor, l' austriaco e 11 tosco.
Veggio dell'Austro l'onorata pianta
Si fatti partorir germi felici ,
Che nell'arbor dell'or non fu mai tanta
Ricca copia di rami e di radici.
Ma tra' primi virgulti , ondo si vanta.
Quei che avrà più d* ogni altro 1 Cieli amid.
Sarà Filippo , onor di sua famiglia,
Dico colui , che reggerà Castiglla.
Seguirà Carlo , al fortunato impero
Promosso poi con titolo di Quinto,
Che di trionfi laureati altero,
E d'illustri trofei fregiato e cinto.
Poiché partito dal paterno Ibcro
Avrà r Affrica corsa e li mondo vinto.
Romito abltator d* ermi ricetti ,
Deporrà il fascio de' terreni affetti.
Sottenlrerà l' altro Filippo al peso
Quasi d* un novo Atlante un novo Alcide.
Re tanto a pace ed a vlrtute inteso
Giammai da polo a polo il Sol non vide.
Questi Io scettro in Lusliania steso
(Cotanto il Fato a' bei pensieri arride}
In regione ancor non nota, o vista.
Di là dal mondo un altro mondo acquista.
Catterina vien poi con Isabella,
Qui le vedi ambedue starsene in gioia.
Questa va Belgla a far beata , e quella
Di sue bellezze ad abbellir Savoia.
Ecco li terzo Filippo; oh degna, oh bella
Progenie del guerrlcr, clic uscì di Troia !
Spagna, costui con l' arme e col consiglio
Ti fia principe e padre e padre e figlio.
Non fia clima remoto, estrema zona,
Dove lo scettro suo l'omlìra non stenda.
Ma l'ampia monarchia della corona
È la luce minor, che in lui risplenda.
Quel che sovramortal gloria gli dona ,
È quella coppia amabile e tremenda ,
Pietà, che con Giustizia Insieme alberga ;
Oh di tronco i>ennato Inclita verga!
196
MARINO.
Oh come a propagar di stelo in stelo
yiensi la sllrpe del gran rege ispano l
Ecco novo Filippo innanzi il pelo
Già di novo spavento empie Ottomano.
Destina a lui quell'angelelta il Cielo,
Che la donna real si tien per mano ,
10 dico delle tre la meno acerba ,
•Quella, che ha la corona a lui si serba.
Ma dei regio troncon , che si dirama ,
11 secondo germoglio ecco discerno.
Fernando il buon , la cui temuta fama
Fia dei Turco crudcl terrore etemo, [ma,
E perchè, fuorché il giusto, altro nonbra-
Sempre rivolto ai rai del Sol superno ,
Spiegherà nel vessillo altero e bello
Del sommo Giove lo scudiero augello.
Lascio Massimo poi , trapasso Ernesto,
E Ridolfo e Mattia , del gran cultore
Di quel più che altro avventuroso innesto
Successori all'impero ed al valore.
E taccio Alberto, il qual non fia di questo
(Quantunque ultimo di anni} ultimo onore,
Che ali* indomito Ren quel giogo grave,
Che sì duro gii fu , sarà soave.
L* altra è Giovanna, e ben scorger la puoi
Dolci balli menar per questi campi ,
Lieta , clie al elei per lei di tanti eroi [pi.
Si aggiungano Sol che più del Sole avvam-
Stupisce ristro, e del cristalli suoi
Stemprar sente Io smalto a sì bei lampi ,
Menlre passando in braccio al gran Fran-
€on r italico elei cangia il tedesco, [cesco
E cosi fia, che un stretto groppo incalmie
D'Austria e d' Etruria ambe le piante Insie-
Etruria,acui non giàmen nobii alme [me.
De' gran Medici ancor promette il seme ,
Che per tante, che aduna e spoglie e palme.
Fin di Bisanzio il fier Soldan ne teme.
Ma quando ogni altro pur venga mancando
Basta a supplir per tutti un sol Fernando.
Questi non pur con ben armati legni
Tremar fa in guerra i più lontani mari.
Di Corinto e di Ponto i lidi e i regni
Purgando ognor di barbari corsari ;
Ma in pace ancor del più famosi Ingegni,
E di cigni nutrisce incliti e chiari.
Schiere felici, onde per lui diviene
L'Arno Meandro e la Toscana Atene.
Cosmo, di Cosmo anch' ei degno nipote.
Lascerà dopo lui memorie illustri ,
E le genti rubelle e le devote
Domerà, reggerà per molti lustri.
L'oro fia il meo della sua ricca dote ,
Quando con degne nozze Europa illustri.
Copulando l' Esperie e novi onori
Traendo d'Austro la Città dei fiori.
Mira colei , che alluma e rasserenai
Tutto di questo dei l' ampio orizzonte.
Quella fia sua consorte , e Maddalena
(Leggilo in lettre d'oro) ha scritto in fronte.
Del gran fiume german limpida vena ,
Pur scaturita dall'austriaco fonte.
Rosa giammai non vagheggia l'Aurora
Più modesta, o più bella in grembo a Flora.
Lunga istoria sarebbe, o bell'Adone,
Della schiatta, eh' io dico, acontar gitavi.
Giulio, Clemente, Ippolito, Leone,
E i lor sommi maneggi e 1 pesi gravi.
Ostri, mitre, diademi, elmi, corone,
E stocchi e scettri e pastorali e chiavi ;
E la linea non mai rotta dagli anni
De' Lorenzi , de' Pieri e de' Giovanni.
Ma sovra questi e soYr' ogni altro frutto,
Che si nobii giammai ceppo produca ,
Un rampollo gentil sarà prodotto ,
In cui tanto valor fia che riluca.
Che allo splendor dei suo lignaggio tutto
Par che tenebre e lume a un punto adduca.
Siccome Sol , che illumina le stelle ,
Ma sorgendo tra lor, le fa men belle.
Vi è quel cerchio lucente, ove raccolte
Quasi in aureo epiciclo, altr'ombre stanno.
Quivi In gran nebbia dì splendore inrolie
Le miglior di sua stirpe insieme vanno ,
E foltissimo stuol di molte e molte
Stelle terrene e Dee dietro si tranno ;
Ma di tutte è colei , che le conduce.
La lumiera maggior, l' unica luce.
Quella, che seco parla e che si asside
Sovra la rugiadosa erba vicina,
E d'esser del bel numero sorride.
Pur con regio diadema, è Catterina,
E rintuzzar saprà 1* armi omicide , [ na ,
Che han col tempo a sbranar GaHia moschi-
E saprà del gran corpo in sé diviso
Saldar le piaghe , onde sia quasi ucciso.
L'ADONE.
197
GoDgiuxigerassi in nobU giogo e degno
L' una al secondo e l'altra al quarto Enrico.
Non si turbi però , né prenda a sdegno
DI restar vinta da cottel , eh' io dico , ,
E di cedere a lei non pur del regno
Lo scettro sol , ma d' ogni pregio antico ;
Non pur della real gloria e grandeua ,
Ma la corona ancor della bellezza.
Dell' Istessa brigata eccoten una,
Gbe come slngolar fra l'altre io sceglio,
Che l'Amo e il Mincio illustra e in sé raguna
Del fior d'ogni beltà la cima e il meglio;
Gemma d' Amore , e senza menda alcuna
Di grazia e di virtù limpido speglio,
Leonora, che onora ogni aito stile ,
E desta amore in ogni cor gentile.
Un'altra Catterina ha in compagnia.
Che come il volto, ha 1* abito vermiglio.
Quella e questa del par sposata fia
Del sangue d'Ocno a genitore e figlio.
Ma vedi come alla gran suora e zia
Reverenti ambedue volgono il ciglio.
Dico a costei, che senza spada, o lancia
Ha sol con gli occhi a trionfar di Francia.
Dal mare il nome avrà, di coi fu prole
L' istessa Dea , che ha del tuo core il freno ;
E come è di bellezza un chiaro Sole ,
Cosi fia un mar di mille grazie pieno.
RaoGorri in sé quanto raccoglier suole
Di ricco il mare e di pregiato in seno.
Anzi al mar darà perle il suo bel riso ,
Oro il bel criue e porpora il bel viso.
In questo sol dal mar fia difierente ;
Ricetta ei scogli e mostri , ira e furore ,
Ma costei sosterrà scettro innocente ,
Pien di clemenza e privo di rigore.
In lei due vivi Soli hanno Oriente ,
Nel mare il Sol tramonta e il giorno more.
Agli assalti de' venti 11 mar soggiace ,
L' animo suo tranquillo ha sempre pace.
Non fia giammai fra le più degne e conte
Dovunque il volo mio stenda i suoi tratti.
Altra che la pareggi , o la sormonle
In leggiadre fattezze ; o in chiari fatti.
Prudenza in grembo e pudicizia in fronte,
Senno ne' delti e maestà negli atti
Nova Aspasia la fan , nova Mammea ,
Anzi degna del elei , novella Astrea.
Flen magnanime imprese , opre virili
Del suo nobil pensier le cure prime.
All' ago, air aspo, a' rozzi studj e vili
Non piegherà giammai l' alma sublime.
Ma dalie basse valli erger gli umili ,
I superbi abbassar dall' alte cime ,
Maneggiar scettri e dispensar tesori ,
Questi flen di sua man degni lavorL
Uopo, che molle amomo unga 11 bel crine,
0 che barbaro nastro unqoa lo stringa
Non avrà già, che gli ori e l' ambra fine
Fia che col suo biond' or d* Invidia tinga.
Non della guancia l' animale brine
Artefice color fia che dipinga.
Altro che quel color di fiamme e rose,
Che l>eltà sol con onestà vi pose.
Non in terso cristallo avrà costume
De' begli occhi arrotar lo strai pungente.
Ma le fia solo il chiaro antico lume
Del suo sangue real specchio lucente.
Sangue real, che quasi altero fiume,
Di grandezza Immortai colmo e possente.
Verrà dal fonte di si ricche vene
Le belle a fecondar galliche arene.
Tenteran Morte rea , Fortuna avara ,
Ambe d' Amor nemiche e di Natura ,
Di quest' Inclito Solla luce chiara
Con benda vedovil render oscura.
Ma nel manto funesto assai più cara
Fia de' begli occhi suoi la dolce arsura;
E come fiamma di notturna sfera.
Coprirà doppio lume in spoglia nera.
Barbara man con sacrilegio infame ,
Ferro crudel con perfida ferita
Dell' Alcide di GalHa il regio stame
Troncando (ahi stolta in ciò viepiù che ai-
Oserà di spezzar l' aureo legame [dita )
Della più degna è gloriosa vita.
Cosi talvolta awlen , che chi di spada
Cader non può , di tradimento cada.
Ma come a questa Venere novella
Quando il velo mortai squarcerà Morte ,
Per esser più dell' altra onesta e bella ,
II terzo cielo è destinato in sorte ;
Cosi costui , che la guerriera stella
Vincerà di valor, Marte pù forte ,
Del suo giorno vitale a sera giunto ,
Fia del quinforbe al gran dominio assunto.
108
MARINO.
Ahi qual allor , qual esser deve e quanto |
0 Muse , il voslro aflanno , il vostro lutto?
Dritto è, che resti , abbandonando U can-
Da'sospir vostri il sacro fonte asciutto, [to,
Dritto è, che tomi poi coi largo pianto
De' vostri lumi a ricolmarsi tutto.
Degno n' è li caso; e se mortai non siete,
Esser alraen passibili dovete.
Ma che fia di costei , veduto estinto
Sotto un colpo fellon 1* Ercol novello?
E di sangue real bagnalo e Unto
Chiudere il corpo augusto angusto avello?
Languirà, piangerà , né però vinto
Fia il decoro dal duolo, o il duoimen bello.
Men belio il duol non fia nel suo bel viso ,
Che il festivo sereu del dolce riso.
Né, sebbcn sola e sconsolata resta
Dopo r orrendo e scellerato scempio ,
Vedova lagrimosa in bruna vesta ,
Cede li fren del discorso al dolor empio ;
Anzi qual buon noccliieroin ria tempesta,
Di bontà Sole e di giustizia esempio.
Mar di prudenza e di fortezza scoglio,
Degli scogli e dei mar rompe i* orgoglio.
E del vero sembiante essendo priva
( Denchè l'abbia nei cor ) del gran marito,
Procura pur , se non l' clDgie viva,
D' averne almeno un Idolo mentito.
Quando venir dalia toscana riva.
Per man d' altro Usippo a sé scolpito.
Fa di pesante e concavo metallo
Il colosso real sul gran cavallo.
Fonder di bronzo omal più non bisogna
Canne tonanti , o fulmini guerrieri ,
Anzi convien , che stempri il gran Bologna
Quanti tormenti lia Marte orridi e fieri.
Tempo è, die abbiano a far scorno e vergo-
Le statue iliuslri e i simulacri alteri [ gna
Ai crudi ordigni, agli organi da guerra ,
Poiché mercè d' Enrico , é pace in terra.
Ed io quando per lui bombarde ed armi
In aratri e in trofei vedrò cangiate ,
Poiché fien tutti 1 bronzi e tutti i marmi
Rosi dal dente dell' ingorda etate ,
Per eternar con gloriosi carmi
Dei magnanimo re l' opre onorate.
Non già d' altra materia , o d' altre tempre
Le trombe mie vo' fabbricar per sempre.
Mastranocaao awien, neoÉre, per V on-
L* ediflzio mirabile camaliia , [de
Però che tra le cupe acque profonde
L' assorbe la voragine marina.
Ciprigna istessa , che nel mar s' aseonde,
E dal mar nacque, ed é del mar rctea,
Credendel Marte, in q uel passaggio II pren-
Pcr abbracciarlo, alfin delusa U rende, [de
Dal divino scultor veggio animato
L'altodestrier, che sembra nn pIccM son-
Veggiol, quasi da Pallade InUgliato, [te.
Far con la vasu imago ombra al gran pott-
E mentre quivi in cotal atto armai» [ te.
Sé raedesmo a mirar china la fronte,
L' istesso eroe, del ciel fatto guerriero.
Non sa dal finto suo scegliere II
EUa, che deli' artefice, che avansa
Natura istessa, il gran prodigio
Sente dall' insensibile sembianza
Uscir vive faville , onde sospira;
E temprando 11 martir con la
Dalla scultura, che si move e spira ;
Pende iounoblle, e tace, e cosà hitanto
Inganna gli occhi , e disacerba li plantA.
Ma come quella , a cui non d' altro cale,
Che in vera pace assecurar Parigi ,
Per riunirsi alla corona australe
Stringe con esso lei la Fiordlilgl.
Figlia del gran monarca occidentale
L' alta sposa sarà del buon Luigi.
Anna, che ne' vcrd' anni ed immaturi
Fia, che agii anni rapaci il nome furi.
S' io dicessi^ che in bocca ha l'Oriente,
Che Aprii dì puri gigli il sen le Infiora,
Ch' ella porta negli occhi il Sol naseente,
E nelle guance la vermiglia Aurora ;
Poco direi , scbben veracemente
Quanto dir ne saprei , mentir non fora.
Ma il più s'asconde e 11 men che in lei s'ap-
tb la terrena csterior bellezza. [ preeza ,
Vedila là , che per solinghe strade
Spoglia il prato de* fregi, ond* é vestilo ,
E per crescer bellezza alla beltade
Intrecciando ne va serto fiorito.
Deli' Ibero, ove II Sol tramonta e cade ,
Nascerà l' altro Sol, che or io t' addito.
Vedi che dei crin biondo il bel tesoro
Come il fiume paterno , ha 1' onde d' oro.
L'ADONE.
199
0 face di beltà gemina e doppia,
A cui tante il desUn glorie predice.
Là doTe Amor con nobii laccio accoppia
D' Iberia e Gaina il Soie e la fenice I
Leggiadra, augusta, avventurata coppia,
Nasca da voi succession felice ,
Che con sempre fecondo ordin d* eroi
Susciti in terra li prisco onor de' tuoi.
Esca sien queste nozze , onde pugnaci
Verrà poi Marte ad eccitar faville ,
Siccbè d'Amore e d'Imeneo le faci
Fiamme saran di saccheggiate ville.
Dal letto al campo andrassi e'I suon de'baci
Turbato ila da mille trombe e mille.
Ragionarti di ciò panni soverchio.
Che già mostro ti fu nell* altro cerchio.
Altri accidenti ancor volger si denno
Pria che cresduto il pargoletto giglio,
Ella deponga (e deporrallo a un cenno )
Lo scettro franco , e ceda il trono al figlio;
E la costanza accompagnando al senno ,
Dimostri animo invitto e lieto ciglio»
Gostanza tal, che sì può far ritratto
D'ogni altra sua virtù sol da quest' atto.
Or di qua] più bel lauro ornar le chiome?
Di qual fregio miglior vergar le carte
Speran gl'illustri spirti t o quale ^ nome
Trar maggior luce altronde, o gloria all'ar-
Ha che? forano lor troppo gran some [te?
A segnarne pur 1* ombra, a dirne parte ,
Ancorché dalle Dee dei verde monte
Tutto in lei si versasse il sacro fonte.
Sembra penna mortai , che osi talora
Ritrar de'suoi splendor gli abissi Immenai,
Pennel, che bella immagine colora ,
Ma non le dà però ^irti , né sensi.
Onde se non r esalta e non l' onora
Il mio roco parlar quanto conviessi,
Scusimi il Sol de' begli occhi sereno.
Che quanto splende più , si vede meno.
Sveller però per celebrarla lo voglio
Dalle mie piume 1 più spediti vanni.
Con cui più d' uno stile In più d' un foglio
Farà scrivendo a Morte illustri inganni ;
E con queir armi , ond' io trionfar soglio ,
Terrà 1* ira all' obblio, la forza agli anni ;
Fra' quali un ne verrà, che Austro e Boote
Risonar ne farà con chiare note.
Dal mare ancor costui fia che s' appetti.
Per in parte adeguar l' alto suggetto ,
Ma presso al mar d' onor si grandi e belli
Fia picciol fiume il suo rozzo intelletto^
Pur come ( benché poveri ) I ruscelli
Corrono al mare, ed ban dal mar ricetto^
Così sprezzato ancor non fla li suo stile,
Di mar si vasto tributario umile.
0 fortunato, o ben felice ingegno.
Destinato a cantar divini amori ,
Sì dal del favorito e fatto degno
DI tanti e tanto invidiati onori 1
Tu sarai di quel nome alto sostegno.
Che fia ricca mercede ai tuoi sudori ,
Di cui fia che risoni e Sona e Senna ,
Ornamento immortai della tua penna.
Io quanto a me non poserò volando.
Benché sia '1 mondo a tanta gloria angusto.
Finché le lodi sue non spiego e spando
Dall' Atlante nevoso all' Indo aduato.
E con bisbiglio armonico esaltando
In petto femminil pensiero augusto ,
Sebbene il falso al ver mescer mi plaov,
Sarò lodando lei sempre verace.
E giuro ancor di quest' aurata tromba
Il sonoro metallo enfiarsi forte ,
Che a queir alto romor, che ne rimlMmba,
L' ali al Tempo cadran, l' armi alla Morlti
Né vietar potrà mai letargo, o tomb».
Perfida invidia, ingiuriosa sorte.
Che dovunque virtù la scorge e chiana
Non la segua per tutto anco la Fama.
Cosi parlò , poi fuggitive e preste
Le penne dispiegò l'alata Dea,
E il cavo bronzo accompagnando a queste
Vod , gli atrj del cid fremer faoea.
E da più d' un vicino antro celeste
Più d' un eco Immortai le rlspondea.
Allor l'Eternità quant' dia disse
Col suo scarpello in bel diamante scrisse.
I«a vista intanto inusitata e strana
Di quelle vaghe e peregrinei arve.
Che qual si fusse , o sussistente, o vana,
Basta che grau e dilettosa apparve.
Divenuta o più chiara, o più lontana.
Non so dir come, in un momento sparve.
Parve pesce fugace in cupo fiume ,
Non so se fusse o la distanza , o il lume.
200
MARINO.
Come In superba e laminosa scena
Al dispiegar della veloce tela ,
Ogni pompa e splendore ond'ella è piena,
Ai riguardanti subito si cela ;
Così repente in men che non balena
Ciascuna imago agli occhi lor si vela,
E nelle più scerete e più profonde
Viscere della luce si nasconde.
Scendon la balza , e dal poggetto ameno
Tornano al piano, onde partirò avanti;
Ma di stupore Inebbrlato e pieno
Spesso sospende Adon tra via le piante;
E percb* alto desio gli bolle in seno
Di saper qual destin gli è sovrastante ,
Che gliel voglia scoprir Mercurio prega,
E in si fatto parlar la lingua slega :
Or die di tante meraviglie ascose
L* ordin m* è noto, ai secoli prescritto ,
Molto vago sarei con 1* altre cose
Di udir quanto di me nel Fato è scritto.
Tu , per cui ciò che san , san le famose
Scole di Arcadia e 1 gran musei d*Egitto ,
Deh qual di mie fortune In Ciel si cela
Fausto , o misero evento , a me rivela.
Risponde il divin messo: Uom pernatura
Ad oracol fatidico ricorre ,
Perchè qualunque o buona, o rea ventura
Sia per lui fissa in Ciel, gli deggia esporre.
Ma sovente addivien , che egli procura
D'Intender quel che poscia inteso aborre ;
E se infortunio alcun gli si predice ,
Vive vita dubbiosa ed infelice.
E v*ha talun, che da gran rabbia mosso,
Senza guardar,che il mai vien di qua sopra,
Qual can, che morde il sasso, ond'è percos-
Odia colui, che la bell'arte adopra. [so,
Tacer non vo* pertanto e far non posso,
Che'l gran rischio imminente non ti scopra,
Che sebben contro il Ciel forza non hanno,
Pur giova a molti antivedere il danno. '
Quando il pianeta, che dei cercbj nostri
Regge il minor, concorse al tuo natale,
Ferì, varcando li gran sentler de' mostri
Il più bravo e magnanimo animale ,
E il settimo occupò di tutti i chiostri ,
Angolo, che è fra gli altri occidentale.
Talché nel lume suo trovossi unito
Ferino il segno e violento il sito.
Era Saturno in su quel segno anch'esso,
E nel medesmo albergo avea ricetto ,
Ed all' umida Dea giunto dappresso ,
La risguardava di quartlle aspetto ;
E vibrando il suo raggio a un tempo istesso
D'Impression contagiosa infetto ,
Opposto al chiaro Dio, che il di conduce.
Il percotea con la maligna luce.
Intanto Marte era nel Toro entrato.
Casa, dove abitar suoi Citerea,
E già dopo il ventesimo passato
Tutto sdegnoso il quarto grado avea ;
E mandava al Leone il suo quadrato ,
Che quasi in grado eguale il ricevea.
Or questo influsso (come vuol Fortuna)
Sen vien per dritto ad incontrar la Luna.
Contro la Luna II fier quadrato giunge
La qual dinotatrice è della morte ,
E per direzion le si congiunge.
Minacciandoti pur l'istessa sorte.
Perchè come anaretico, l'aggiunge
Virtù nel mal più vigorosa e forte:
E l' uno e l'altro in loco tal si annida.
Che ne divien nocente ed omicida.
Eccoti in somma che il più basso lame
A due stelle perverse applica a prova.
Il malvagio vecchione e il crudo Nume,
A cui guerra sol piace e sangue giova.
Ravvi due fere poi che bau per costume
Di divorar chi sotto lor si trova.
Ed havvi il Sol, cui sguardo iniquo offende
E dall'altrui rigor rigore apprende.
Nel tempo dunque che ti accenno or lo.
Sappi la mente aver provvida e saggia.
Guardali pur dal bellicoso Dio,
E fuggi ogni crudel bestia selvaggia.
Ma non so se la vita al fato rio
Potrai tanto sottrar, che alfin non ca^^a,
E qual da falce suol tronco ligustro.
Non pera al cominciar del quarto lustro.
Cosi parlava, e più parlar volea
L'ambasclator del concistoro santo
Quando le sue ragion ruppe la Dea,
Che seco il bell'Aden trasse da canto.
Lascia ornai queste favole, dlcea.
Ed al garrulo Dio non creder tanto,
Perocch'egli è ben saggio a dime il vero.
Ma viepiù fraudolento e menzognero.
L'ADONE.
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Pascolava io Dio dell' aurea cetra
In Anfrìso T armento, ed ei nibollo.
Taccloml quando l'arco e la faretra
Ancor fancioilo gli furò dal coilo ,
Destro così, che ne restò di pietra,
E ne arros^ , ma ne sorrise Apollo ,
Tolse a Giove lo scettro, e non fu mollo ;
Se non cocca, gli avrebbe U fnlmin tolto.
Allo Dio della guerra Invitto e franco
Il pugnai porrò via dalla vagina.
Al mio marito la tanaglia, ed anco
li martello involò nella fucina.
A me stessa (che